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Capitolo QuindicesimoDa Marrakech alla Luna!

«Décidémment, nous sommes hors du monde.»

RIMBAUD

Poco dopo il tramonto, due uomini stavano in una viuzza buia, nei pressi dello Jardin Abdallah. Parlavano a voce sommessa.

«Io ho fatto tutto il possibile,» disse Marcel Brioche. «Mon général, il resto è nelle mani del bon Dieu.»

«Parli inglese, vache! I muri hanno le orecchie, a Marrakech. Mi dica esattamente quali misure ha preso per garantire la sicurezza di questa missione… in altre parole, della sua persona.»

«Innanzitutto, ho fatto credere a entrambi gli agenti, cioè al russo e all’americano, che ho concluso una specie di accordo con la parte avversa. In questo modo li ho sbilanciati, fino ad ora, mettendoli uno contro l’altro. Se avrò fortuna, saranno così occupati a spiarsi reciprocamente, o a combattersi, che mi lasceranno in pace.»

«E se non avrà fortuna?»

«Ho dato ordine al mio cameriere Antoine di indossare un duplicato della mia tuta spaziale e di nascondersi vistosamente, per così dire. Cioè, lui deve avviarsi furtivamente, per vie secondarie, verso il luogo del lancio, che conosciamo solo noi tre, tirandosi dietro tutti coloro che potrebbero avere intenzione di seguirmi. Se qualcuno vuol farmi la pelle, spero che commetta un errore cruciale.»

«E Antoine è al corrente del rischio?»

«Come me, è un buon francese. E per un buon francese, i rischi non esistono.»

«Capisco…» La voce del generale si spezzò.

«Qualcosa che non va, generale?»

«No, Brioche, niente.» L’uomo più vecchio si portò una mano alla fronte. «Non… non pensavo che questa missione potesse mettere a repentaglio la vita di un uomo.»

«Probabilmente il rischio è minimo, generale. Come ho detto, solo noi tre sappiamo dove avverrà il lancio. Persino i tecnici che hanno montato segretamente l’astronave sono stati ricondotti in Francia sotto scorta armata, e non potranno comunicare con nessuno fino a dopo il decollo. Antoine rappresenta solo un fattore di sicurezza.»

«Sì, forse ha ragione.» Le nocche delle dita del generale sembravano voler spianare le rughe d’ansia sulla sua fronte. «Continui, la prego.»

«Non c’è altro da dire. Mi recherò al luogo del lancio passando per le strade principali, con un normale tassi. Indosserò l’alta uniforme, come se uscissi a cena. Mi incontrerò con Antoine sul luogo del lancio e lì indosserò la tuta spaziale. Il decollo avrà luogo allo scoccare della mezzanotte.»

«E allora bonne chance, mon ami,» disse il generale, con voce stranamente soffocata. «Lo Spirito della Repubblica sia con lei, stanotte!»

L’astronauta si allontanò a grandi passi: le parole del suo superiore gli brillavano in cuore, accanto all’immagine della ragazza suicida. Non vide la figura furtiva di Vetch che usciva da un voltone e piazzava in mano al generale una banconota di grosso taglio.

«Congratulazioni,» disse Vetch, non senza sarcasmo. «Non è stato facile, vero? È bastato che tradisse il suo paese e due dei suoi compatrioti, e adesso potrà pagare i suoi debiti di gioco.» La faccia di Vetch era in ombra e il generale poteva scorgere solo la punta della sua barbetta satanica.

«Demonio! Lurido…»

«Ah ah! Che le prende, generale? Non è contento del suo lavoro di questa notte?»

«Sono un miserabile,» confessò il vecchio, tremando per l’emozione. «Vorrei essere morto, pur di non aver commesso un’azione così spregevole!»

«Perché pensare a una scelta?» chiese tranquillo Vetch. Il suo movimento fu rapido e sciolto. Senza un grido, il generale traditore crollò sul marciapiedi, con un pugnale nel cuore.

«Questo non ti servirà, dopotutto,» disse Vetch, strappando la banconota dalle dita contratte del morto. «Sei stato ricompensato come meritavi.» E rise, rauco.

«Ora, ecco il mio piano,» disse Suggs, mentre aiutava Barthemo Beele a infilarsi l’argentea tuta spaziale. «Quando arrivi all’astronave, tu fingi di essere Brioche. Nel frattempo, io ucciderò il vero Brioche, lasciandoti il tempo per imparare a capirci qualcosa dei comandi. Poi indosserò la sua tuta e ti raggiungerò, se posso. Tutto chiaro?»

Fissò il casco bianco, ma Beele fece segno che voleva parlare, e perciò Suggs tornò a svitare i bulloni.

«È proprio necessario che tu ammazzi Brioche? Mi sembrava un tipo a posto, Suggs.»

«È un mangiaranocchi, Beele, non dimenticarlo. I mangiaranocchi continuano a imbrogliare da anni i turisti americani. Sono tutti viscidi e sporcaccioni e carogne e traditori, e quelli di loro che non sono froci sono comunisti. Quindi muoviti, Beele.» Prima che Beele avesse il tempo di ribattere, Suggs tornò a sbattergli il casco sulla testa.

Quando Vovov indossò la tuta spaziale di stoffa argentata — realizzata in modo da apparire identica a quella del francese — e se ne andò, Vetch caricò la pistola, ne controllò il funzionamento e avvitò il silenziatore.

«Povero Vovov,» sospirò. «Povero stupido. Lui crede di star per fare un viaggio sulla Luna, quando sta semplicemente per fare il grande viaggio. Senza dubbio gli americani lo scambieranno per Brioche e lo uccideranno. Perfetto! Sembra la trama di uno dei loro assurdi film che piacciono tanto al povero Vovov! Naturalmente, se non riescono ad ammazzarlo, dato che gli americani sono così inetti, dovrò occuparmene io. Gli ordini sono ordini.»

Estrasse dal taschino il telegramma in codice e lo rilesse. «’Dare a Vovov trattamento speciale. Sospetti esistenti da tempo ora confermati da tua descrizione di sua ammirazione per Virginia Mayo. Il Comandante.’ Ah, povero Vovov!» disse ancora, sospirando con molta soddisfazione mentre calzava i guanti neri. «Quel povero scimmione non si rende neanche conto della propria decadenza.»

Appena il suo cameriere se ne fu andato, Marcel Brioche ebbe qualche dubbio. «Come faccio ad essere così egoista?» gridò, battendosi la fronte con il palmo della mano. «Antoine ha una fidanzata in Francia. Io non ho nessuno che mi aspetta. Come posso chiedergli di correre un simile rischio? No, non posso! Non posso lasciargli fare una cosa del genere!» Brioche arraffò un fermacarte. «Lo raggiungerò e scambierò di nuovo i vestiti con lui. Non posso chiedergli di indossare la tuta che io dovrei portare con fierezza… di affrontare la pallottola che io sarei lieto di ricevere!» E si precipitò fuori nella notte caliginosa.

La figura in tuta d’argento uscì nel chiarore del lampione per un secondo soltanto, ma bastò. Suggs lanciò il coltello, ringhiando: «Prendi questo, lurido mangiaranocchi!»

La figura cadde in ginocchio, fremette, e cadde lunga distesa. L’agente della CIA accorse, svitò il casco e scrutò i lineamenti immoti.

«Vovov!» esclamò. «Oh, stanno facendo i furbi, dunque. Credevano di farti salire a bordo spacciandoti per Brioche, eh? Be’, Vovov, prenderò io a prestito questa tuta. Tanto, stanotte tu non partirai certo per la Luna.» Suggs indossò tuta e casco più in fretta che poté.

Barthemo Beele aveva quasi raggiunto il luogo del lancio. Aveva avuto cura di percorrere solo i vicoli bui, e fino a quel momento non aveva notato niente di sospetto. Il suo unico errore, pensò, era stato di indossare il casco. Si fermò nella lunga viuzza dietro la moschea, si liberò del casco e si asciugò il sudore. Ancora pochi metri da percorrere. Ancora pochi…

All’improvviso sentì un suono di passi precipitosi. Da ogni direzione si levarono echi ingannevoli, e in quella viuzza tortuosa era impossibile vedere qualcuno fino a quando non ci andavi a sbattere contro. Invano Beele si girò di qua e di là, tendendo l’orecchio nell’oscurità echeggiante.

All’improvviso un braccio gli serrò la gola: si sentì strattonare all’indietro in una presa soffocante. Una voce gli bisbigliò all’orecchio:

«Lo faccio per il tuo bene, Antoine! Tu hai qualcuno che aspetta il tuo ritorno.»

Qualcosa lo colpì dietro l’orecchio e Beele…

Suggs aveva tutte le ragioni, pensò. Brioche è un pessimo attore, sicuro. Chiunque aggredisce volutamente un agente della Cia in questo modo senza essere stato provocato merita che gli si spari come a un cane.

E mentre pensava questo, Beele piombò bocconi in un abisso stellato.

Vetch vide la figura uscire in fondo alla viuzza dietro la moschea, in tuta e con il casco in mano. Benché fosse troppo buio per vederlo in faccia, Vetch capì, poiché era troppo piccolo per essere Vovov, che doveva essere il cameriere.

Dovrei ucciderti, pensò. Ma tu sei un uomo coraggioso che non sa quel che fa. Tu sei solo uno strumento del malvagio imperialismo. Rendo omaggio al tuo valore, o cameriere, continuò, impugnando la pistola per la canna. O figlio del proletariato!

Si avvicinò con una dozzina di rapidi passi felini e sferrò il colpo, mirando dietro l’orecchio. «Compagno lavoratore, perdonami!» gridò Vetch. L’uomo cadde con un gemito. Vetch non seppe trattenersi dal soffermarsi per girarlo, per vedere se gli aveva fatto troppo male.

«Toh, Monsieur Brioche!» esclamò, scrutando con una certa sorpresa la faccia dell’astronauta. «Dunque, si è scambiato di nuovo d’abito con il suo cameriere, eh? Come in una pessima farsa francese… o in un film americano!» Infuriato con se stesso per aver chiamato «compagno lavoratore» quell’aristocratico di Brioche, Vetch si trattenne a stento dallo sparare all’astronauta. Tuttavia si costrinse a calmarsi e indossò la tuta spaziale del francese.

«No, non sono un assassino,» disse. «Lascerò fare ai suoi superiori… quando scopriranno che lei ha fatto perdere alla Francia la sua unica astronave!»

Rimase immobile un momento, scosso da una risata silenziosa al pensiero della sorte che sarebbe toccata a Brioche. L’Isola del Diavolo era ancora una colonia penale? Se lo augurava. Ricordava di averla vista in certi vecchi film americani…

Ma poi udì dei passi e in fondo alla stretta viuzza comparve un’altra figura in tuta spaziale. Vetch sfoderò la pistola e si acquattò nell’ombra.

Mi fai pena, Vovov, pensò, appoggiando la canna della pistola sull’avambraccio. Ma tu sei uno sciocco, e gli sciocchi sono collaboratori pericolosi. Addio, collega!

Lasciò che la figura lo superasse e passasse un po’ oltre, poi premette il grilletto. Il primo colpo silenzioso fece tremare il casco dell’uomo; i due successivi gli distrussero completamente la testa.

Vetch si affrettò a procedere verso il luogo del lancio senza fermarsi a guardare il corpo dell’ultimo proletario che avrebbe avuto occasione di vedere.

Suggs rimase sorpreso nel vedere un’altra figura in attesa accanto alla rampa di lancio segreta, con addosso una tuta spaziale come la sua. Nella sua mente si levarono spettri non evocati, ma egli li scacciò. No, doveva essere Beele. Era strano che il suo giovane aiutante se la fosse cavata così bene. Doveva aver liquidato un paio di russi, lungo il percorso… e a mani nude! Lo spaventava un po’ l’idea di salire a bordo dell’astronave insieme a quell’uomo.

Suggs alzò entrambi i pollici per segnalare che andava tutto bene e la figura rispose al segnale. Era Beele, ovviamente. Suggs scrutò attentamente il razzo, camuffato con tanta astuzia. Dunque era così che ce l’avevano fatta quei furbi mangiaranocchi! Doveva riconoscere che erano in gamba, i bastardi.

Vetch rimase sorpreso nel vedere un’altra figura che arrivava alla rampa di lancio, con addosso una tuta spaziale come la sua. Nella sua mente si levarono spettri non evocati, ma egli li scacciò. No, doveva essere il cameriere, naturalmente. Come se gli leggesse nel pensiero, la figura fece un gaio segnale con i pollici in su, come si conveniva a un esponente della classe lavoratrice, e Vetch rispose con tutto il cuore. Certo, era il cameriere! Il robusto contadino aveva giocato i porci capitalisti che credevano di essere i suoi padroni.

Vetch scrutò attentamente il razzo, camuffato con tanta astuzia. Nelle sue orecchie, il count-down (con la voce cantilenante d’un registratore) era arrivato a quatre-vingt dix-neuf. Vetch si agganciò meticolosamente la cintura di sicurezza.

«Ehi, uomo, questa sì che è roba buona,» disse Ron. Lui e Kevin Mackintosh erano stravaccati sulle sdraio, su di una terrazza buia da cui si contemplava quasi tutta la città. Sorseggiavano tè alla menta per placare la sete data dal kif. «Questa sì che è roba buona,» ripeté.

Kevin annuì, infastidito. Gli sarebbe spiaciuto dover dire a Ron che un vero fumatore di kif non diceva mai che quella era roba buona.

«Ehi,» disse Ron, indicando con un gesto pigro oltre la balaustrata della terrazza. «Ho appena visto due marziani, giù per la strada.»

Marziani, Cristo! pensò Kevin. «E cosa facevano?» chiese, in tono sognante.

«Si sparavano, uomo. Come nella Notte dei Fallopodi, sai? Come nell’Invasione dei dischi volanti. Erano tutti d’argento, con grosse teste bianche. Si sono sparati con delle pistole a raggi che non facevano rumore. Uno ha ammazzato l’altro. E poi lo ha scuoiato.»

«Sì? Come nella Cosa venuta dal Vuoto

«Sicuro, e poi dopo ne ha ammazzato un altro ancora. Il corpo è ancora laggiù.»

Kevin si sporse dal parapetto e guardò giù. C’era un corpo inerte, dalla pelle argentea. Era senza testa. Un brivido di gelo lo invase. Era proprio come in Io, il mostro minorenne dalla spiaggia. Mantenendo un’espressione disinteressata, Kevin tornò a sdraiarsi. In quel momento, la terra cominciò a tremare. A pochi isolati di distanza, si accese una batteria di riflettori. I tremori crebbero d’intensità, facendo tintinnare i bicchieri di tè sui piattini.

«Vedi anche tu quello che vedo io?» gridò Ron. «Lo vedi?»

«Uomo, certo che questa è proprio roba buona,» mormorò Kevin, spalancando gli occhi sbalordito.

Un minareto si innalzò lentamente nell’aria, sorretto da una colonna di fiamma.