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Solo che un golem non avrebbe dovuto uccidere, incidenti a parte, e Rolem stava tentando d’uccidermi.
Il che significava che il suo regolatore interno non funzionava.
Abbandonai la presa, visto che non serviva, e piazzai il palmo della mano sinistra sotto il suo gomito destro. Poi raggiunsi l’estremità delle sue braccia e gli afferrai il polso destro con l’altra mano, e mi abbassai più che potevo e diedi uno strattone in su spingendolo per il gomito e tirandolo per il polso.
Quello perse l’equilibrio e precipitò verso destra, mollando la presa sulla mia gola. Sempre tenendolo per il polso, gli feci girare il braccio in modo che il gomito si trovasse rivolto in alto. Poi con la mano, dopo aver chiamato a raccolta tutte le mie forze, cercai di spezzargli il braccio, portandogli il polso ad angolo retto col gomito.
Niente. Non ci fu alcun rumore di frattura interna. Il suo braccio cedette semplicemente e assunse un’angolatura innaturale.
Gli lasciai il polso e lui cadde in ginocchio. Poi si rialzò in piedi, velocissimo, e il braccio gli si raddrizzò e tornò in posizione normale.
Se capivo davvero qualcosa di Hasan, Rolem era stato regolato sul massimo di tempo: due ore. Un periodo piuttosto lungo, tutto considerato.
Ma questa volta sapevo chi ero e cosa stavo facendo. E sapevo in che modo erano strutturati i golem. Questo qui era un robot lottatore. Di conseguenza non poteva boxare.
Gettai una veloce occhiata alle mie spalle, nel posto dove mi trovavo quando tutta la faccenda era cominciata: la tenda della radio era distante una quindicina di metri.
In quel momento ci mancò poco che mi finisse. Durante quello schifoso secondo in cui avevo rivolto altrove la mia attenzione, quello era balzato avanti e mi aveva afferrato dietro il collo con una mano e sotto il mento con l’altra.
Sarebbe anche riuscito a spezzarmi il collo se avesse potuto finire, ma proprio in quel momento arrivò un altro scossone del terreno (piuttosto duro, che ci fece finire tutti e due a terra), e mi liberai anche di quella stretta.
Qualche secondo dopo balzai in piedi, mentre la terra continuava a tremare. Anche Rolem era di nuovo in piedi, e mi stava di fronte.
Eravamo come due marinai ubriachi che combattevano su una nave scossa dalla tempesta…
Mi balzò incontro e io lo aspettai.
Lo colpii con un pugno di sinistro, e mentre lui s’attaccava al mio braccio gliene tirai un altro nello stomaco. Poi indietreggiai.
Tornò all’attacco, e io continuai a mollargli pugni. Per lui la boxe era come la quarta dimensione per me: non poteva vederla. Continuò ad avanzare, assorbendo i miei pugni, e io continuai a ritirarmi in direzione della tenda della radio, e il terreno seguitò a sussultare e da qualche parte una donna stava gridando, e sentii urlare un «Olé!» quando gli tirai un destro sotto la cintura, nella speranza di danneggiargli un po’ il cervello. Poi ci arrivammo, e vidi quello che volevo: il grande sasso che prima intendevo scaraventare sulla radio. Feci una finta di sinistro, poi afferrai Rolem tenendolo ben stretto, e lo sollevai in alto sopra la mia testa.
Mi sporsi in avanti, tesi i muscoli, e lo scagliai sul sasso. Lo prese nello stomaco.
Cominciò di nuovo a rialzarsi, ma più lentamente di prima, e allora lo colpii nello stomaco, tre volte, col mio stivale destro rinforzato, e lo vidi ricadere all’indietro.
Uno strano ronzio cominciò a provenire dalla parte centrale del suo corpo.
Il terreno si mosse di nuovo. Rolem si ripiegò su se stesso, poi si distese, e gli unici segni di movimento erano nelle dita della sua mano sinistra. Continuavano ad aprirsi e chiudersi, ricordandomi, stranamente, le mani di Hasan quella notte all’hounfor.
Allora mi voltai lentamente, ed erano tutti lì: Myshtigo ed Ellen, e Dos Santos con una guancia gonfia, Parrucca Rossa, George, Rameses e Hasan, e i tre egiziani tutti incerottati. Feci un passo verso di loro e cominciarono di nuovo a ritirarsi, i visi pieni di paura. Ma io scossi la testa.
— No, adesso sono a posto — dissi, — ma lasciatemi solo. Vado al fiume a fare un bagno. — Mossi diversi passi, e poi qualcuno deve aver levato il tappo, perché gorgogliai, tutto prese a vorticare, e il mondo fu risucchiato nel tubo di scarico.
I giorni che seguirono furono cenere, e le notti furono ferro. Lo spirito che m’avevano strappato dall’anima era sepolto più in fondo di qualsiasi mummia che giacesse sotto quella sabbia. Si dice che i morti dimentichino i vivi nella casa dell’Ade, Cassandra, ma io speravo che non fosse così. Avevo ancora il compito di guidare la spedizione e continuai ad occuparmene. Lorel suggerì che trovassi qualcuno per portarla a termine e mi prendessi una vacanza. Non potevo.
Cosa avrei fatto? Dovevo restarmene a rimuginare in qualche Vecchio Posto, vivendo sulle spalle degli incauti viaggiatori? No. In circostanze del genere è sempre essenziale avere qualcosa da fare; qualcosa che abbia una forma, e abbia la possibilità di sviluppare col tempo anche un contenuto. Così continuai con la spedizione, rivolgendo la mia attenzione ai piccoli misteri che aveva generato.
Mi portai via Rolem e studiai il suo regolatore interno. Era stato rotto, naturalmente; il che significava che l’avevo fatto io nelle prime fasi del nostro combattimento, oppure l’aveva fatto Hasan con l’intento di ridurmi a pezzettini. Se era stato Hasan, allora non voleva vedermi solo sconfitto, ma morto. Se le cose stavano così, la domanda era: perché? Mi chiesi se il suo mandante sapeva che un tempo io ero stato Karaghiosis. Ma se lo sapeva, perché avrebbe dovuto voler uccidere il fondatore e primo Segretario del suo Partito? L’uomo che aveva giurato che non si sarebbe lasciato portar via la Terra sotto gli occhi per vederla ridotta ad un campo sportivo da un branco di alieni blu, non senza combattere, per lo meno; l’uomo che aveva organizzato un sistema terroristico che riduceva automaticamente a zero il valore di qualsiasi proprietà vegana sulla Terra, ed era giunto al punto di bombardare gli opulenti uffici dell’Immobiliare Talenta nel Madagascar; l’uomo di cui aveva sposato apertamente gli ideali, anche se ormai erano incanalati in una forma più pacifica e legale di difesa della proprietà; perché doveva voler morto quell’uomo?
Di conseguenza, o aveva tradito il Partito, o non sapeva chi io fossi e aveva in mente qualche altro scopo quando aveva ordinato ad Hasan d’uccidermi.
Oppure Hasan agiva agli ordini di qualcun altro. Ma chi altro poteva esserci? E di nuovo, perché?
Non avevo risposta. Decisi che ne volevo una.
Le prime condoglianze erano state quelle di George.
— Mi spiace, Conrad — aveva detto, guardando oltre le mie spalle, e poi giù verso la sabbia, e volgendo poi rapidamente gli occhi sul mio viso.
Dire qualcosa d’umano lo sconvolge, e gli fa venire voglia di andarsene. Me ne accorgevo benissimo. È dubbio che la coppia formata da Ellen e me durante l’estate precedente avesse occupato troppo la sua attenzione. Le sue passioni morivano aldilà della porta del laboratorio. Mi ricordo ancora quando ha dissezionato l’ultimo cane rimasto sulla Terra. Dopo quattro anni di grattatine d’orecchio e uccisioni di pulci sulla coda, un giorno George aveva chiamato Rolf. Rolf era entrato trotterellando, portandosi in bocca il vecchio strofinaccio con cui erano soliti giocare al tiro alla fune, e George se lo era tirato vicino sul serio e gli aveva fatto un’iniezione e poi lo aveva aperto. Voleva studiarlo mentre era ancora giovane. Si tiene ancora lo scheletro montato nel laboratorio. Avrebbe voluto anche infilare i suoi bambini (Mark e Dorothy e Jim) nell’incubatrice, ma ogni volta Ellen aveva battuto i piedi sul pavimento (più o meno: bang! bang! bang!), presa da attacchi di atteggiamento materno da dopo-parto che erano sempre durati almeno un mese: un periodo sufficiente per rendere impossibili gli esperimenti sul controllo degli stimoli che George intendeva svolgere sui bambini. Sicché non riuscivo davvero ad immaginare che avesse troppo desiderio di prendermi le misure per infilarmi in una cassa di legno, del tipo «riposa-in-pace». Se mi avesse voluto morto, sarebbe probabilmente stata una cosa sottile, veloce, ed esotica; qualcosa come il veleno per conigli. Ma poi no, non gliene importava tanto. Ne ero sicuro.
Ellen stessa, per quanto capace d’intensi sentimenti, è il tipo di bambola che si rompe facilmente. C’è sempre qualcosa dentro di lei che fa sprong prima che possa agire sulla base dei suoi sentimenti, e nei giorni successivi rivolge altrove l’intensità delle sue emozioni. Mi aveva dichiarato morto giù al Porto, e per quel che la riguardava quell’affare era definitivamente chiuso. Le sue condoglianze furono qualcosa del genere:
— Conrad, non sai quanto mi dispiace! Davvero. Anche se non l’ho mai incontrata, so come devi sentirti — e la sua voce saliva e scendeva la scala delle tonalità, e io sapevo che credeva in quel che diceva, e ringraziai anche lei.
Persino Hasan mi venne vicino mentre me ne stavo immobile a fissare un Nilo improvvisamente gonfio e limaccioso. Restammo lì per un po’ e poi disse: — La tua donna se n’è andata e il tuo cuore è pesante. Le parole non alleggeriranno il peso, e quello che è scritto è scritto. Ma lasciami ugualmente dire che mi dolgo con te. — Restammo là ancora un certo tempo; poi se ne andò.
Su di lui non mi posi interrogativi. Era l’unica persona che poteva essere scartata, anche se le sue mani avevano messo in moto la macchina. Lui non aveva mai rancori; non uccideva mai spontaneamente. Non aveva alcun motivo personale per uccidermi. Ero assolutamente certo che le sue condoglianze fossero sincere. Uccidermi non aveva niente a che fare con la genuinità dei suoi sentimenti in una situazione come quella. Un vero professionista deve tenere certe distanze tra se stesso e il lavoro.
Myshtigo non ebbe alcuna parola di simpatia. Sarebbe stata una cosa estranea alla sua natura. Tra i vegani, la morte è tempo di gioia. A livello spirituale significa sagl, compimento; la frammentazione della psiche in piccole particelle sensibili al piacere, distribuite un po’ dappertutto per partecipare al grande orgasmo cosmico; e sul piano materiale è rappresentata dall’ansakundabad’t: la commemorazione cerimoniale delle proprietà personali del deceduto, la lettura delle sue ultime volontà e la divisione delle sue ricchezze, accompagnata da grandi feste, cantate, e bevute.
Dos Santos mi disse: — È una cosa molto triste quella che ti è successa, amico mio. Perdere la propria donna è perdere il sangue delle proprie vene. La tua desolazione è grande, e non puoi essere consolato. È come un fuoco agonizzante che non morirà mai, ed è una cosa triste e terribile.
— La morte è nera e crudele — concluse, e i suoi occhi erano bagnati. Perché sia zingaro, ebreo, moro, o qualunque altra cosa, per uno spagnolo una vittima è sempre una vittima, qualcosa da apprezzare su uno di quei loro oscuri livelli mistici che io non possiedo.
Poi Parrucca Rossa mi arrivò a fianco e disse: — Spaventoso… Mi spiace. Nient’altro da dire, da fare, ma mi spiace.
Annuii.
— Grazie.
— E c’è qualcosa che devo chiederti. Non adesso, comunque. Più tardi.
— Certo — dissi, e ritornai ad osservare il fiume dopo che se ne furono andati, e pensai a questi ultimi due. Erano sembrati spiacenti come tutti gli altri, ma pareva che in qualche modo fossero immischiati nell’affare del golem. Ero sicuro, comunque, che era stata Diane a gridare mentre Rolem mi soffocava, a gridare ad Hasan di fermarlo. Restava Don, e ormai ero giunto a dubitare fortemente che facesse mai qualcosa senza prima consultare lei.
Col che non restava più nessuno.
E apparentemente non esisteva un vero motivo…
E poteva essere stato solo un incidente…
Ma…
Ma avevo la sensazione che qualcuno volesse uccidermi. Sapevo che Hasan non era il tipo da prendere due lavori per volta, e con differenti mandanti, a meno che non esistesse un conflitto d’interessi.
E questo mi rendeva felice.