123823.fb2
— Posso capire perché — disse lui, e io mi sentii a disagio e un po’ come un voyeur, oppure (sottigliezza delle sottigliezze) come uno che guarda un voyeur che guarda.
— Perché? — domandò lei.
— Perché tu vuoi lo strano, il potente, l’esotico; perché non sei mai felice di essere dove sei, quello che sei.
— Non è vero… O forse sì. Sì, una volta anche lui mi ha detto qualcosa del genere. Magari è vero.
In quel momento mi sentii molto triste per lei. Poi, senza rendermene conto, volendo consolarla in qualche modo, mossi la mia mano ed afferrai la sua. Solo che era stata la mano di Mishtigo a muoversi, e lui non l’aveva voluto. Io l’avevo voluto.
D’improvviso fui spaventato. E lui pure. Potevo sentirlo.
Nacque in lui una gigantesca sensazione, come quando uno è ubriaco e la stanza gli gira attorno, quando si accorge di essere invaso; come se avesse incontrato un’altra presenza nella sua mente.
Volli immediatamente ritirarmi, e mi ritrovai di nuovo contro la mia roccia, ma non prima che lei avesse gettato per terra il fiore e l’avessi sentita dire: — Stringimi.
Maledizione a queste realizzazioni pseudotelepatiche di desiderio!, pensai. Qualche giorno la smetterò di credere che sono tutte balle.
Avevo visto due colori in quel fiore, colori per cui non avevo nome…
M’incamminai verso l’accampamento. Lo oltrepassai e continuai a marciare. Raggiunsi l’altro capo del perimetro di sicurezza, mi sedetti per terra e accesi una sigaretta. La notte era fredda, la notte era scura.
Due sigarette dopo udii una voce dietro di me, ma non mi girai.
— Nella Grande Casa e nella Casa del Fuoco, in quel Grande Giorno quando tutti i giorni e gli anni saranno contati, oh, lasciate che mi sia restituito il mio nome — disse.
— Buon per te — commentai, piano. — Citazione appropriata. Riconosco il Libro dei Morti quando lo sento citato a vuoto.
— Non lo stavo citando a vuoto; soltanto appropriatamente, come hai detto tu.
— Buon per te.
— In quel grande giorno quando tutti i giorni e gli anni saranno contati, se ti restituiscono il tuo nome, che nome sarà?
— Non me lo restituiranno. Ho deciso d’arrivare in ritardo. E cos’ha di tanto importante un nome, comunque?
— Dipende dal nome. Prova «Karaghiosis».
— Prova a sederti in un punto in cui ti possa vedere. Non mi piace avere gente alle spalle.
— D’accordo. Ecco fatto. E allora?
— Allora cosa?
— Allora prova «Karaghiosis».
— Perché dovrei?
— Perché significa qualcosa. Per lo meno, significava qualcosa un tempo.
— Karaghiosis era un personaggio nei vecchi giochi d’ombra greci, un po’ come Pulcinella nella commedia italiana. Era uno scemo e un buffone.
— Era greco, ed era intelligente.
— Ah! Era un mezzo codardo, e grasso.
— Era anche un mezzo eroe. Furbo. Un po’ grossolano. Con molto sense of humor. Poteva anche buttar giù una piramide. E poi era forte, quando voleva.
— Adesso dov’è?
— Mi piacerebbe saperlo.
— Perché lo chiedi a me?
— Perché è con questo nome che Hasan ti ha chiamato la notte che combattesti col golem.
— Oh… Vedo. Be’, era soltanto un epiteto, un termine generico, un sinonimo per pazzo, un soprannome; come se io ti chiamassi «Rossa». E adesso che ci penso, chissà cosa sembri a Myshtigo? I vegani sono ciechi al colore dei tuoi capelli, lo sai?
— Non me ne importa proprio niente di cosa sembro ai vegani. Mi chiedo cosa sembri tu, piuttosto. Ho sentito che i dati su di te in possesso di Myshtigo sono piuttosto abbondanti. Dicono anche che sei vecchio di parecchi secoli.
— Un’esagerazione, senza dubbio. Ma sembra che tu sappia un mucchio di cose. A che punto sono le tue informazioni su Myshtigo?
— Non troppo buono, non ancora.
— Sembra che tu lo odii più di qualunque altro. È vero?
— Sì.
— Perché?
— È un vegano.
— E allora?
— Odio i vegani, è tutto.
— No, c’è di più.
— Vero. Sei piuttosto forte, lo sai?
— Lo so.
— In effetti, sei il più forte essere umano che abbia mai visto. Forte abbastanza da spezzare il collo d’un pipiragno, poi volare giù nella baia del Pireo, tornare a nuoto a riva e fare colazione.
— Strano esempio che hai scelto.
— Non troppo, no davvero. Sei stato tu?