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— Non puoi far sparire il Segretario della Radpol e sua moglie senza far nascere un incidente. Siamo figure politiche troppo note.
— Questo lo so.
— Sicché non puoi fare niente a Don, e non credo che faresti qualcosa a me.
— Hai ragione.
— Resta Hasan.
— Hai ancora ragione.
— E Hasan è… Hasan. Cosa farai?
— Perché non gli dai il foglio di congedo e mi risparmi un mucchio di guai?
— Non lo farò.
— Non che lo credessi.
Tornò a guardarmi. I suoi occhi erano umidi, ma il viso e la voce non erano cambiati.
— Se ci accorgessimo che tu avevi ragione e noi torto — disse, — mi spiacerebbe.
— Anche a me — dissi. — Molto, molto.
Quella notte m’appostai ad un tiro di coltello da Myshtigo, ma non accadde nulla. Il mattino seguente fu privo d’eventi, come quasi tutto il pomeriggio.
— Myshtigo — dissi, quando ci fermammo per fotografare una collina — perché non se ne torna a casa? Perché non torna a Taler? Perché non torna da qualsiasi parte? Perché non se ne va? Perché non scrive qualche altro libro? Più ci allontaniamo dalla civiltà, più debole diventa il mio potere di protezione.
— Mi ha dato un’automatica, si ricorda? — replicò.
Finse di schiacciare un grilletto con la destra.
— D’accordo. Pensavo solo di dover fare un ultimo tentativo.
— È una capra quella che se ne sta sul ramo più basso di quell’albero, non è vero?
— Già. Sono matte per quei piccoli frutti verdi che pendono dai rami.
— Voglio una foto anche di quello. È un olivo, no?
— Sì.
— Bene. Volevo sapere come intitolare la fotografia. «Capra che mangia frutti verdi su un olivo» — dettò. — Questa sarà la didascalia.
— Perfetto. Faccia la foto intanto che può.
Se soltanto non fosse stato così privo di comunicativa, così estraneo, così incurante del proprio benessere! Lo odiavo. Non riuscivo a capirlo. Non parlava, a meno che si trattasse di chiedere informazioni o di rispondere a una domanda. E quando rispondeva a una domanda, era compito, elusivo, beffardo, o tutte e tre le cose assieme. Era presuntuoso, affettato, blu, e insopportabile. Mi faceva pensare a tutta quanta la gens degli Shtigo, con la loro filosofia, filantropia, e abilità giornalistica Non mi piaceva, semplicemente.
Ma parlai con Hasan quella sera, dopo avergli tenuto addosso un occhio (quello blu) per tutto il giorno.
Stava seduto accanto al fuoco, e sembrava una figura di Delacroix. Ellen e Dos Santos erano seduti lì vicino, a bere caffè. Rispolverai il mio arabo e m’avvicinai.
— Salve.
— Salve.
— Oggi non hai tentato d’ucciderlo.
— No.
— Domani, forse?
Scrollò le spalle.
— Hasan. Guardami.
Mi guardò.
— T’hanno pagato per uccidere l’amico blu.
Scrollò di nuovo le spalle.
— Non c’è bisogno che tu neghi, o ammetta. Lo so già. Non posso permetterti di farlo. Rendi a Dos Santos il denaro che hai ricevuto, e riprendi la tua strada. Posso procurarti una Lancia per domattina. Ti porterà in qualunque posto tu voglia andare.
— Ma io sono felice qui, Karagee.
— Smetterai subito di essere felice se succede qualcosa al blu.
— Io sono una guardia del corpo, Karagee.
— No, Hasan. Tu sei figlio d’un cammello dispeptico.
— Cos’è un «dispeptico», Karagee?
— Non conosco la parola araba, e tu non capiresti quella greca. Aspetta, troverò un altro insulto. Sei un codardo e un mangiacarogne e un imboscato, perché sei mezzo sciacallo e mezzo scimmia.
— Potrebbe essere vero, Karagee, perché mio padre m’ha detto che sono nato per essere scorticato vivo e fatto a pezzi.
— Perché mai?
— Perché ho mancato di rispetto al Demonio.
— Oh?
— Sì. Erano demoni quelli per cui hai suonato ieri? Avevano le corna, gli zoccoli…