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— Penso di sì.
— Allora uccidiamolo adesso, prima che proceda, che veda di più.
— Forse non è così semplice; e poi dovrebbero solo mandarne un altro. Ci sarebbero delle ripercussioni: forse arresti in massa tra i membri della Radpol. La Radpol non è più sul chi vive come ai vecchi giorni. La gente non è pronta. Ha bisogno di tempo per prepararsi. Questo blu, per lo meno, lo tengo in mano. Posso osservarlo, scoprire i suoi piani. Se diventasse necessario, posso ucciderlo io stesso.
Hasan succhiava sempre la sua pipa. Annusai. Sentii un profumo come di legno di sandalo.
— Cosa stai fumando?
— Viene dalle mie parti. Ci ho fatto un salto recentemente. È una delle nuove piante che prima non crescevano. Provala.
Aspirai diverse boccate nei polmoni. Dapprima non successe nulla. Continuai a tirare, e dopo un minuto una progressiva sensazione di calma e tranquillità cominciò a penetrare nelle mie membra. Aveva un sapore amaro, ma rilassava. Gli restituii la pipa. La sensazione rimase, divenne più forte. Era molto piacevole. Non mi sentivo tanto calmo, tanto rilassato da diverse settimane. Il fuoco, le ombre, e il terreno attorno a noi divennero d’improvviso più reali, e l’aria della notte e la luna distante e il rumore dei passi di Dos Santos mi giungevano più chiaramente della vita stessa. Sul serio. La nostra battaglia sembrava così ridicola! Alla fine avremmo perso. Stava scritto che l’umanità fosse destinata a fare da cane e gatto e scimpanzé ammaestrati per l’unica vera razza, i vegani; e da un certo punto di vista non era poi un’idea tanto cattiva. Forse avevamo bisogno di qualcuno più saggio che ci sorvegliasse, che dirigesse le nostre vite. Avevamo fatto strage del nostro pianeta durante i Tre Giorni, e i vegani non avevano mai avuto una guerra atomica. Reggevano un governo interstellare perfettamente efficiente, controllando dozzine di pianeti. Tutto quello che facevano era esteticamente piacevole. Le loro stesse vite erano meccanismi ben regolati, allegri. Perché non lasciargli la Terra? Probabilmente se ne sarebbero serviti meglio di quanto avessimo fatto noi. E perché non essere i loro cuccioletti, anche? Non sarebbe stata una brutta vita. Dargli questa vecchia palla di fango, piena di piaghe radioattive e popolata da esseri menomati e deformi.
Perché no?
Accettai di nuovo la pipa e inalai altra pace. Era così piacevole non pensare per niente a cose del genere, comunque! Non pensare a nulla per cui non si potesse fare niente. Era abbastanza stare lì seduto e respirare l’aria notturna ed essere tutt’uno col fuoco e col vento. L’universo stava cantando il suo inno di cosmica unione. Perché aprire il vaso del caos proprio nella cattedrale?
Ma io avevo perso la mia Cassandra, la mia nera strega di Kos, per colpa delle forze insensate che governano la Terra e le acque. Nulla poteva uccidere il senso di perdita che provavo. Sembrava nascosto in fondo, isolato dietro pareti di vetro, ma era ancora dentro di me. Nessuna pipa orientale avrebbe potuto placarlo. Non volevo conoscere la pace. Volevo l’odio. Volevo strappare tutte le maschere dell’universo: la terra, l’acqua, il cielo, Taler, il Governo Terrestre, e l’Ufficio, per trovare dietro una di esse la forza che me l’aveva rubata, e combattere anche quella, provare un vero dolore. Non volevo conoscere la pace. Non volevo essere tutt’uno con le cose che avevano fatto del male a lei, che era mia per sangue e per amore. Per cinque minuti buoni desiderai essere nuovamente Karaghiosis, e osservare tutto quello da dietro il mirino d’un fucile.
Oh, Zeus, tu che reggi l’universo, pregai, concedimi di abbattere la Forza nel Cielo!
Tornai nuovamente alla pipa.
— Grazie, Hasan, ma non sono ancora pronto per il mondo dei sogni.
Mi rialzai e mi diressi verso la mia tenda.
— Mi spiace di doverti uccidere domattina — mi gridò dietro lui.
Sorseggiando birra in un rifugio di montagna sul pianeta Divbah, in compagnia d’un informatore vegano di nome Krim (che adesso è morto), avevo guardato attraverso una grande finestra la più alta montagna dell’universo conosciuto. Si chiama Kasla, e non è mai stata scalata. Ne parlo perché la mattina del duello provai l’improvviso rimorso di non aver mai tentato di violarla. È una di quelle cose pazzesche a cui ogni tanto pensate e vi promettete che un giorno o l’altro ci proverete, e poi una mattina vi svegliate e capite che probabilmente è troppo tardi: non lo farete mai.
Quella mattina tutti i visi erano privi d’espressione.
Il mondo attorno a noi era radioso e chiaro e pulito e pieno del canto degli uccelli.
Avevo proibito l’uso della radio per tutta la durata del duello, e Phil si portava nella tasca della giacca qualche filo e qualche valvola che aveva asportato dall’apparecchio, tanto per sicurezza.
Lorel non l’avrebbe saputo. La Radpol non l’avrebbe saputo. Nessuno l’avrebbe saputo, fino a dopo.
Completati i preliminari, misurammo la distanza.
Ci sistemammo ai capi opposti della radura. Io avevo il sole nascente sulla sinistra.
— Siete pronti, gentiluomini? — gridò Dos Santos.
— Sì — e — Sono pronto — furono le risposte.
— Faccio un ultimo tentativo per dissuadervi da questa decisione. Nessuno dei due vuole ripensarci?
— No — e — No.
— Avete entrambi dieci pietre simili in massa e peso. Il primo colpo, naturalmente, spetta allo sfidato: Hasan.
Annuimmo entrambi.
— Allora procediamo.
Don si tirò indietro, e a separarci rimasero solo cinquanta metri d’aria. Eravamo entrambi girati di profilo, per presentare all’avversario la minima superficie. Hasan posò la prima pietra sulla fionda.
Lo osservai farla ruotare rapidamente nell’aria, e d’improvviso il suo braccio si tese in avanti.
Sentii un rumore violento dietro di me.
Non accadde nient’altro.
Aveva sbagliato.
Allora infilai una pietra nella mia fionda e presi a farla ruotare in cerchio. L’aria fischiava mentre la tagliavo. Poi scagliai in avanti il proiettile con tutta la forza del mio braccio destro. Gli sfiorò la spalla sinistra, toccandolo appena. Gli portò via solo un po’ di vestito. La pietra rimbalzò d’albero in albero dietro di lui, prima di sparire definitivamente.
Adesso tutto era tranquillo. Gli uccelli avevano terminato il loro concerto mattutino.
— Gentiluomini — gridò Dos Santos, — avete avuto una possibilità a testa per sistemare le vostre divergenze. Possiamo dire che vi siete affrontati con onore, avete dato sfogo alla vostra ira, e ora vi ritenete soddisfatti. Volete interrompere il duello?
— No — risposi.
Hasan si massaggiò la spalla e scosse la testa.
Infilò la seconda pietra nella fionda, le impresse una rapida rotazione, e me la scagliò contro.
Mi colpì dritto nel fianco, tra la cassa toracica e l’anca. Caddi a terra e tutto diventò scuro.
Un secondo dopo le luci tornarono ad accendersi, ma io ero piegato in due e qualcosa come un migliaio di denti mi mordeva la carne e non mi mollava.
Stavano correndo verso di me, tutti quanti, ma Phil fece loro cenno di tornare indietro.
Hasan era fermo al suo posto.
Dos Santos s’avvicinò.
— È passata? — chiese Phil dolcemente. — Ce la fai a metterti in piedi?
— Sì. Ho bisogno di un minuto per respirare e gettare fuori il fuoco, ma mi tiro su.
— Com’è la situazione? — chiese Dos Santos.
Phil l’informò.