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— Penso che glielo chiederò.
— Tu sei pazzo! — Lei si girò.
— A modo mio, o non se ne fa nulla — replicai.
— In qualsiasi modo, allora. Non importa. Abbiamo già perso.
La presi per le spalle e le baciai il collo. — Non ancora. Vedrai.
Lei rimase rigida.
— Torna a casa — disse; — è tardi. È troppo tardi.
Le obbedii. Tornai nel vecchio, caro edificio di Iakov Korones che ospitava sia Myshtigo che me, e dove s’era fermato anche Phil.
Mi fermai nella stanza funebre, nel posto dove Phil aveva dormito per l’ultima volta. Il suo Prometeo Liberato si trovava ancora sul tavolino, accanto ad una bottiglia vuota. Quando mi aveva chiamato in Egitto si sentiva già la fine addosso, e poi aveva avuto un attacco di cuore, e aveva passato un mucchio d’altri guai. Mi sembrava che dovesse aver lasciato un messaggio per un vecchio amico, su una faccenda del genere.
Così aprii l’inconsistente poema di Percy B. Shelley e lo sfogliai.
Stava scritto sulle pagine bianche alla fine del libro, in greco. Ma non greco moderno. Classico.
Suonava più o meno così:
Caro amico,
per quanto io aborra scrivere cose che non potrò rivedere, capisco che è meglio non fare tanto il prezioso con un messaggio. Non sto bene. George vuole che voli ad Atene. E domattina ci volerò. Ma prima, per quanto concerne la faccenda che hai tra le mani… Fa’ ripartire vivo il vegano dalla Terra, ad ogni costo. È importante.
È la cosa più importante di questo mondo. Avevo paura di parlartene prima, perché pensavo che Myshtigo fosse un telepate. È per questo che non vi ho seguiti durante tutto il viaggio, anche se mi sarebbe piaciuto moltissimo. È per questo che ho finto di odiarlo, per potergli stare lontano tutto il tempo che volevo. Ho deciso di raggiungervi solo dopo essere riuscito ad appurare che non è un telepate.
Sospettavo, data la presenza di Dos Santos, Diane e Hasan, che la Radpol volesse il suo sangue. Se era telepatico, ho immaginato che se ne sarebbe accorto in fretta e avrebbe pensato da solo a mettersi al sicuro. E se non lo era, avevo sempre molta fede nella tua abilità di difenderlo da qualsiasi cosa. Hasan compreso. Ma non volevo che lui sapesse che ero al corrente di tutto. Comunque ho cercato effettivamente di avvisarti, se ti ricordi.
Tatram Yshtigo, suo nonno, è una delle creature viventi più nobili e sensibili. È un filosofo, un grande scrittore, un amministratore altruistico di pubblici servizi. Lo conobbi durante la mia visita a Taler, qualcosa come trent’anni fa, e più tardi diventammo amici intimi. Da allora siamo sempre rimasti in contatto; e già da tempo m’aveva avvisato dei piani dell’Impero Vegano per quel che concerne la Terra. Ma mi ha anche costretto al segreto. Nemmeno Cort può sapere che io ne sono al corrente. Suo nonno perderebbe completamente la faccia, se la cosa saltasse fuori prima del tempo. I vegani si trovano in una posizione molto imbarazzante. I nostri emigrati si sono bellamente appoggiati, dal punto di vista economico e culturale, alla loro civiltà. D’altronde i vegani hanno capito (e con quale immediatezza!) durante i giorni della Ribellione Ritornista che esiste una popolazione indigena con una propria organizzazione, desiderosa di prendere nuovamente possesso del pianeta e di riportarlo al passato splendore. Anche ai vegani piacerebbe che questo accadesse. Non vogliono la Terra. E cosa se ne farebbero? Se volessero sfruttare la nostra gente, ce n’è di più su Taler che qui; e comunque non lo stanno facendo, almeno non su grande scala o per cattiveria. I nostri emigrati hanno preferito fermarsi sui loro pianeti a svolgere qualsiasi lavoro, piuttosto che tornare qui.
E questo cosa indica? Che il Ritornismo è un vicolo cieco. Nessuno ha intenzione di ritornare. È per questo che ho lasciato il partito. Immagino che anche tu lo abbia fatto per lo stesso motivo. Ai vegani piacerebbe molto lavarsi le mani del problema rappresentato dal nostro pianeta. Certo, vogliono visitarlo. Per loro è istruttivo, esemplare, e anche terribilmente spaventoso venire qui a vedere come si può ridurre un mondo! Ma era loro necessario trovare un modo per circuire il nostro governo di Taler. I Talenti non erano propriamente ansiosi di rinunciare all’unica cosa che giustifica la loro esistenza, e le tasse che ci impongono: l’Ufficio. Comunque, dopo parecchi negoziati e parecchi accomodamenti economici, compresa l’offerta della piena cittadinanza vegana ai nostri emigrati, sembrò che si fosse raggiunto un accordo. Il compimento del piano fu affidato alla gens degli Shtigo, in particolare a Tatram. E alla fine lui trovò il modo di restituire alla Terra una posizione autonoma, senza danneggiare la sua integrità culturale. È per questo che ha mandato suo nipote, Cort, a fare l’«ispezione».
Cort è una strana creatura: il suo vero talento è quello di recitare (tutti gli Shtigo ne sono piuttosto dotati), e gli piace posare. Sono sicuro che volesse recitare con molta cattiveria la parte dell’extraterrestre, ed è fuor di dubbio che l’ha fatto con tutta l’abilità necessaria. (Tatram mi avvisò anche che sarebbe stata l’ultima parte di Cort. Sta morendo di drinfan, che è incurabile; e credo proprio che questa sia la ragione per cui è stato scelto). Credimi, Konstantin Karaghiosis Korones Nomikos (e tutti gli altri nomi che non conosco), Conrad, quando ti dico che non sta ispezionando terreni da acquistare. Ma permettimi un ultimo gesto alla Byron. Prendi per buona la mia parola che lui debba vivere, e concedimi di mantenere la promessa e il segreto. Non te ne pentirai: quando saprai tutto.
Mi spiace di non essere mai riuscito a finire la tua elegia, e maledizione a te per esserti tenuto la mia Lara, quella volta a Kerch!
PHIL
Molto bene, dunque, decisi: vita, non morte, per il vegano. Phil aveva parlato, e io non mettevo in dubbio la sua parola.
Tornai al tavolo dell’albergo di Mikar Korones e restai con Myshtigo finché non fu pronto a partire. Lo riaccompagnai in camera e lo osservai sistemare le ultime cose. Durante tutto questo tempo scambiammo sì e no sei parole.
Trasportammo i suoi bagagli nel posto dove sarebbe atterrata la Lancia, di fronte all’edificio. Prima che gli altri (Hasan compreso) arrivassero a dirgli arrivederci, si girò verso di me e disse: — Mi dica, Conrad, perché sta buttando giù la piramide?
— Per fare un dispetto a Vega — risposi. — Per farvi sapere che se volete questo posto e riuscite a strapparcelo, lo troverete anche peggio di quanto non fosse dopo i Tre Giorni. Non ci sarà più nulla da guardare. Bruceremo quello che resta della nostra storia. Nemmeno un bel rottame, per voialtri.
Dai suoi polmoni uscì un robusto soffio d’aria, una specie di mugolio sibilante: l’equivalente vegano d’un sospiro.
— Lodevole, suppongo — disse, — ma non voglio vederlo. Pensa di poterla mai rimettere assieme? Presto, magari?
— Lei cosa pensa?
— Ho notato che i suoi uomini segnavano parecchi pezzi.
Scrollai le spalle.
— Allora mi resta una sola domanda seria, a proposito del suo amore per la distruzione… — fece.
— E cioè?
— È davvero arte?
— Vada all’inferno.
Poi arrivarono gli altri. Scossi lentamente la testa verso Diane e strinsi il polso di Hasan abbastanza a lungo per levargli un piccolo ago che s’era appiccicato al palmo della mano. Poi permisi anche a lui di stringere le mani al vegano.
La Lancia scese ronzando dal cielo che si andava oscurando e vidi Myshtigo salire a bordo, gli porsi personalmente il bagaglio, e gli chiusi la porta.
La Lancia si alzò senza incidenti e sparì in pochi secondi.
Fine d’una scampagnata inutile.
Tornai dentro a cambiarmi gli abiti.
Era tempo di bruciare un amico.
Eretta alta nella notte, la mia catasta di legno sorreggeva quello che restava del poeta mio amico. Accesi una torcia e spensi la lanterna elettrica. Hasan era al mio fianco. Aveva dato una mano a trasportare il corpo sul carro funebre, e aveva guidato i cavalli. Avevo costruito la pira sulla collina coperta di cipressi che domina Volos, presso le rovine di quella chiesa che ho menzionato prima. Le acque della baia erano calme. Il cielo era chiaro, e le stelle splendenti.
Dos Santos, che non approvava la cremazione, aveva deciso di non partecipare alla cerimonia, dicendo che le ferite gli dolevano.
Diane aveva scelto di restare con lui a Makrynitsa. Non mi aveva più parlato, dopo la nostra ultima conversazione.
Ellen e George stavano seduti sulla sponda del carro, sistemato dietro un grosso cipresso, e si tenevano per mano. Erano le uniche altre persone presenti. A Phil non avrebbe fatto piacere che i miei parenti gli intonassero un salmo funebre. Aveva detto una volta che voleva qualcosa di grande, luminoso, veloce, e senza musica.
Avvicinai la torcia ad un lato della pira. La fiamma attecchì lentamente, e prese a divorare il legno. Hasan accese un’altra torcia, l’infilzò nel suolo, si tirò indietro, e rimase ad osservare.
Mentre le fiamme s’aprivano la strada verso il cielo pronunciai le antiche preghiere e versai del vino sul terreno, gettai erbe aromatiche nel fuoco. Poi anch’io mi tirai indietro.
— «… Chiunque tu fossi, la morte ha preso anche te» — gli dissi.
— «Sei andato a vedere gli umidi fiori che si aprono lungo l’Acheronte, tra le ombre dell’Ade che s’addensano scure». Se tu fossi morto giovane, la tua scomparsa avrebbe significato la fine d’un grande talento prima del pieno rigoglio. Ma sei vissuto, e questo non si può più dire. Alcuni scelgono una vita breve ed eroica davanti alle mura della loro Troia, altri una vita più lunga e meno tribolata. E chi può dire quale sia migliore? Gli dèi mantennero la promessa fatta ad Achille d’una fama immortale, ispirando il poeta a cantare un poema immortale. Ma forse che lui è per questo più felice, adesso che è morto come te? Io di certo non posso giudicare, amico mio. Da quel povero bardo che sono, ricorderò alcuni dei versi che anche tu hai scritto sul più grande degli Argivi, e sul tempo delle grandi morti gloriose: «Pallide delusioni infuriano su questo luogo estremo: minacce di sospiri nel pericolo del tempo… Ma le ceneri mai si tramutano in nuove carni. L’invisibile musica della fiamma disegna l’aria di calore, ma il giorno non è più qui». Addio a te, Philip Graber. Che Febo e Dionisio, che amano ed uccidono i poeti, ti raccomandino al loro nero fratello Ade. E che la sua Persefone, Regina della Notte, guardi a te con favore e ti garantisca un degno posto nei Campi Elisi. Addio.
Le fiamme avevano quasi raggiunto la cima della pira.