Cazaril trascorse la giornata successiva col sorriso sulle labbra, pieno di anticipazione per il piacevole diversivo costituito dalla visita di Palli. Lo turbava soltanto un poco il fatto che Iselle e Betriz si mostravano colpite dal giovane, le cui qualità senza dubbio risaltavano sullo splendido sfondo della corte. Si ripeteva che dy Palliar era un possidente terriero dotato di ricchezza, di fascino e di uno spiccato senso dell’onore, per cui sarebbe stato più che giusto se tra lui e Lady Betriz, per esempio, fosse nato qualcosa… Eppure, nel corso della giornata, Cazaril si trovò suo malgrado a elaborare piani per la serata che includevano l’amico, ma non le due dame.
Con sua notevole delusione, però, quella sera Palli non si presentò a corte. Neppure dy Yarrin si fece vedere e Cazaril ne dedusse che la presentazione delle prove al comitato, radunato nella Casa della Figlia, si era probabilmente prolungata fin dopo cena. D’altro canto, se la discussione di quel caso si fosse protratta, la permanenza di Palli a Cardegoss sarebbe durata anche più delle due settimane da lui previste.
Cazaril rivide l’amico soltanto il mattino successivo, quando lui si presentò all’improvviso sulla soglia del suo studio, che poi era l’anticamera dell’appartamento assegnato alla Royesse Iselle e alle sue dame. Nel sollevare lo sguardo dalla scrivania, Cazaril si accorse che Palli aveva abbandonato l’abbigliamento adatto alla corte a favore di una tenuta da viaggio: alti e logori stivali, una spessa tunica e un corto mantello da equitazione.
«Palli! Siediti…» lo invitò, indicando uno sgabello.
Spostato lo sgabello in modo da potersi sedere davanti a Cazaril, il giovane si adagiò su di esso con un grugnito di stanchezza. «Posso fermarmi solo un momento, amico mio… Ma non potevo partire senza salutarti. Io, dy Yarrin e le nostre truppe abbiamo l’ordine di lasciare Cardegoss prima del mezzogiorno di oggi, pena l’espulsione dal sacro Ordine della Figlia», spiegò, con un sorriso carico di tensione.
«Come? Che è successo?» esclamò Cazaril, posando la penna e spingendo di lato il registro della sempre più complessa contabilità personale di Iselle.
«Non sono certo di poterne parlare senza esplodere», ammise Palli, passandosi una mano tra i capelli neri e scuotendo il capo con aria incredula. «La scorsa notte sono riuscito a stento a trattenermi dall’estrarre la spada e trapassare il molle ventre di quel sogghignante figlio d’un cane. Caz, hanno respinto il caso presentato da dy Yarrin! Hanno confiscato tutte le prove, ricusato e congedato i testimoni senza neppure averli convocati e ascoltati!… Hanno permesso a quel ladro di un controllore di uscire di cella…»
«Chi lo ha fatto?»
«Il nostro Santo Generale, Dondo dy Jironal e le sue creature in seno al consiglio della Figlia, quei suoi cani tremebondi… Ah, che la Dea mi accechi, se mento nel dire che prima d’ora non avevo mai visto un simile branco di bastardi terrorizzati. Sono una vergogna per i suoi puri colori!» ringhiò Palli, calandosi il pugno serrato su un ginocchio. «Noi tutti sapevamo che da qualche tempo la Casa dell’Ordine, qui a Cardegoss, era nel caos… Quando il vecchio generale si è ammalato così gravemente, avremmo dovuto inviare una petizione al Roya per chiedergli di congedarlo. Però nessuno ha avuto il cuore di fare a quel povero vecchio una cosa del genere, anche perché pensavamo che un successore più giovane e vigoroso non avrebbe avuto difficoltà a rimettere le cose a posto e a ripartire da zero. Questo, però… è peggio della nostra leggerezza! È palese malafede! Caz, hanno assolto il controllore da ogni colpa, senza quasi degnare di uno sguardo le lettere e i libri mastri che lo incriminavano e che, la Dea mi è testimone, erano così numerosi da riempire due bauli! Sono pronto a giurare che la decisione era già stata presa ancor prima che l’udienza avesse inizio!»
Cazaril non aveva più sentito dy Palliar balbettare per la rabbia dal giorno in cui la notizia della vendita di Gotorget era stata comunicata all’affamata e malconcia guarnigione da un ben nutrito corriere del Roya, che aveva attraversato le linee dei roknari. Sconcertato, si appoggiò allo schienale, tormentandosi la barba con fare pensoso.
«Ho il sospetto… No, nel profondo del mio cuore, ho la certezza che Lord Dondo è stato pagato per emettere questo giudizio, sempre che non sia lui stesso il padrone che gestisce quel controllore disonesto… Così, adesso, due bauli pieni di prove vengono usati per alimentare i fuochi accesi sull’altare della Signora e il nostro nuovo generale dirige l’Ordine della Figlia come se fosse una mucca da mungere a piacimento. Ieri, un Accolita mi ha fermato sulle scale e, tremando come una foglia, mi ha sussurrato che dy Jironal ha posto sei contingenti di soldati della Figlia a disposizione dell’Erede di Ibra, nell’Ibra meridionale, come se fossero semplici mercenari. Questo non rientra nel loro mandato, non è opera da svolgere al servizio della Dea… È rubare sangue, il che è peggio che rubare denaro!»
Un frusciare di stoffa e un sussulto indussero entrambi gli uomini a guardare la porta di accesso alle stanze interne. Lady Betriz era ferma sulla soglia, con una mano appoggiata allo stipite, e la Royesse Iselle stava sbirciando da sopra la sua spalla. Entrambe avevano un’espressione allibita.
Sorpreso, Palli aprì la bocca senza emettere suono, la richiuse, deglutì a fatica e balzò in piedi, inchinandosi alle due dame. «Royesse, Lady Betriz, purtroppo mi devo congedare da voi», disse. «Farò ritorno a Palliar stamattina stessa.»
«Rimpiangeremo la perdita della vostra compagnia, March dy Palliar», replicò Iselle, con voce flebile.
«Caz…» proseguì Palli, girandosi verso Cazaril e abbozzando un altro inchino con aria contrita. «Mi dispiace non averti creduto riguardo ai fratelli dy Jironal. Dopotutto, non eri pazzo, e avevi ragione in pieno.»
«Credevo che mi avessi creduto…» mormorò Cazaril, sconcertato.
«Il vecchio dy Yarrin è astuto quanto te, e deve aver sospettato fin dall’inizio che potesse succedere qualcosa del genere. Quando gli ho chiesto perché pensava che avessimo bisogno di una scorta così nutrita per entrare a Cardegoss, mi ha risposto che non serviva per entrare, ma per uscire… Una battuta di cui capisco il significato soltanto adesso.»
«Non… tornerete più qui?» domandò Lady Betriz, con voce soffocata, portandosi una mano alle labbra.
«Giuro davanti alla Dea che non tornerò a Cardegoss se non per presenziare al funerale di Dondo dy Jironal», dichiarò Palli, passandosi una mano sulla fronte, sulle labbra, sul ventre e sull’inguine, per poi allargarla sul cuore nel sacro gesto della quintuplicità. «Mie signore…» salutò, con un rispettoso inchino, poi si protese ad afferrare le mani di Cazaril, baciandole, onore che lui si affrettò a ricambiare, mentre l’altro concludeva: «Caz… arrivederci».
Giratosi, dy Palliar lasciò a grandi passi la stanza e, non appena se ne fu andato, lo spazio da lui precedentemente occupato parve collassare su se stesso, come se a uscire fossero stati quattro uomini, e non uno solo. Betriz si avvicinò alla porta e si protese a sbirciare oltre lo stipite, per seguire con lo sguardo il giovane che si allontanava lungo il corridoio.
«Quanta parte della conyersazione avete sentito?» chiese Cazaril alle due dame, giocherellando nervosamente con l’estremità piumata della penna.
«Tutta, credo» replicò Betriz, scoccando un’occhiata a Iselle. «Dy Palliar non stava certo parlando a bassa voce.» Voltandosi, riattraversò lentamente l’anticamera, con espressione turbata.
«È un evento che si è verificato nel corso di un consiglio a porte chiuse di un Ordine militare sacro», mormorò Cazaril, cercando un modo per metterle in guardia. «Sono cose di cui Palli non avrebbe dovuto parlare, al di fuori della Casa della Figlia.»
«Ma essendo un Lord Devoto, un membro di quel consiglio, non ha dunque il diritto — anzi il dovere — di parlare dell’accaduto al pari di chiunque altro?» obiettò Iselle.
«Sì, però… L’ira nei confronti del suo stesso generale lo ha portato a formulare una serie di gravi accuse che non ha il… potere di provare.»
«Voi gli credete?» domandò Iselle, scoccandogli un’occhiata penetrante.
«Il problema non è ciò che credo io», ribatté Cazaril.
«Se è vero, però, si tratta di un crimine… Anzi di un atto peggiore di un crimine: è una violazione della fiducia accordata non solo dal Roya e dalla Dea, ma anche da tutti coloro che, nel loro nome, hanno pronunciato un giuramento di obbedienza.»
Vede le conseguenze, in entrambe le direzioni… bene, rifletté Cazaril, ma si rese subito conto che non era esattamente così. «Noi non abbiamo visto le prove, quindi è possibile che il consiglio abbia fatto bene a ignorarle. Non abbiamo modo di saperlo per certo.»
«Se non possiamo vedere le prove, come ha fatto invece il March dy Palliar, non possiamo valutare l’attendibilità degli uomini e da questo valutare le cose a ritroso?» chiese Iselle.
«No», dichiarò Cazaril con fermezza. «Talvolta anche un bugiardo dice la verità… Ed è possibile che un uomo onesto sia indotto a mentire da circostanze straordinarie e imprevedibili.»
«Credete che il vostro amico abbia mentito?» esclamò Betriz, sorpresa.
«No, è ovvio, perché è mio amico e lo conosco bene… Potrebbe essersi sbagliato, però.»
«Tutto questo è troppo confuso», affermò Iselle, in tono deciso. «Pregherò la Dea perché mi guidi.»
«Non avete bisogno di rivolgervi così in alto per avere una guida, Royesse», si affrettò a replicare Cazaril, ricordando cos’era successo l’ultima volta che Iselle aveva fatto una cosa del genere. «Avete involontariamente ascoltato un discorso confidenziale, quindi avete il dovere di non riferirlo a nessuno.»
«Ma se ciò che ho sentito è vero, allora la cosa ha importanza, Lord Caz… Ha una grande importanza!»
«In ogni caso, l’antipatia o la simpatia non costituisce una prova», insistette Cazaril.
«È vero, Lord Dondo non mi piace», osservò Iselle, accigliandosi. «Ha un odore strano, e ha sempre le mani calde e sudate.»
«Già», aggiunse Betriz, con una smorfia di disgusto. «Inoltre cerca sempre di toccare le persone…»
La penna si spezzò nelle mani di Cazaril, spargendogli la manica di goccioline d’inchiostro. «Davvero?» commentò lui, con un tono che sperava suonasse adeguatamente neutro. «E quando farebbe una cosa del genere?»
«Oh, ovunque, durante le danze, a cena, nei corridoi. Intendiamoci, qui sono molti i gentiluomini che fanno la corte alle dame, alcuni in maniera anche molto gradevole, ma Lord Dondo è… pressante. A corte, le dame avvenenti della sua stessa età abbondano, quindi non capisco perché lui non cerchi di esercitare il suo fascino su di esse.»
Per poco, Cazaril non le chiese se trentacinque anni le sembravano un’età avanzata per fare la corte alle giovani dame, ma si trattenne. «Naturalmente desidera acquisire influenza sul Royse Teidez», disse. «Quindi è deciso a entrare in ogni modo nelle grazie della Royesse, direttamente o tramite il suo seguito.»
«Oh, lo pensate sul serio?» esclamò Betriz, con un sospiro di sollievo. «Ero disgustata al pensiero che fosse davvero innamorato di me, però, se mi sta adulando soltanto per il proprio tornaconto, allora la cosa non mi crea problemi.»
«Lord Dondo deve avere un’idea davvero strana del mio carattere, se pensa che sedurre le mie dame possa farlo entrare nelle mie grazie!» esclamò Iselle, mentre Cazaril era ancora impegnato a dare un senso al contorto ragionamento di Betriz. «Inoltre, da quello che abbiamo visto finora, non credo che gli serva una maggiore influenza su Teidez. Sì, insomma, se la sua influenza fosse positiva, Teidez si dedicherebbe agli studi con maggiore impegno, godrebbe di una salute eccellente e la sua mente si aprirebbe a un mondo più vasto.»
Cazaril si trattenne a stento dal ribattere che Lord Dondo stava avendo un certo effetto su Teidez, almeno riguardo all’ultima voce di quell’elenco.
«Teidez non dovrebbe apprendere l’arte di governare?» proseguì Iselle, con crescente fervore. «Se non altro, dovrebbe seguire il lavoro che si svolge nella Cancelleria, partecipare ai consigli, ascoltare gli inviati, farsi un’idea della diplomazia, o almeno acquisire qualche cognizione nell’arte della guerra. La caccia è un’attività eccellente, ma non credete che Teidez dovrebbe partecipare alle esercitazioni militari, insieme coi soldati? Quanto alla sua dieta spirituale, sembra composta solo da dolci, senza nessun nutrimento sostanzioso. Che sorta di Roya intendono farlo diventare?»
Probabilmente, uno come Orico, sempre ubriaco e malato, che non competa col Cancelliere dy Jironal per la gestione del potere a Chalion, pensò Cazaril. «Non lo so, Royesse», si limitò però a rispondere.
«E come posso saperlo io? Come posso scoprire qualcosa?» si lamentò Iselle, camminando avanti e indietro, con la schiena irrigidita dalla frustrazione e le gonne che frusciavano. «La mamma e la nonna vorrebbero che io mi prendessi cura di lui. Cazaril, potete almeno scoprire se è vero che Lord Dondo ha venduto alcuni uomini della Figlia all’Erede di Ibra? Questa non è certo cosa che si possa mantenere facilmente segreta!»
Consapevole che Iselle aveva ragione, Cazaril deglutì a fatica. «Ci proverò, mia signora, ma… Dopo, cosa pensate di fare?» chiese, nel suo tono più severo, per enfatizzare i rischi. «Dondo dy Jironal è un uomo di enorme potere e lo si può avvicinare soltanto con la massima cautela.»
«Anche se è corrotto?» ribatté Iselle, girandosi di scatto per fissarlo con espressione intensa.
«Quanto più è corrotto, tanto maggiore è il pericolo», dichiarò Cazaril.
«Allora ditemi, Castillar… A vostro parere, quanto è pericoloso Dondo dy Jironal?» chiese Iselle, sollevando il mento di scatto.
Quella domanda colse Cazaril alla sprovvista. Avanti, dillo… Ammetti che Dondo dy Jironal è il secondo uomo più pericoloso di tutta Chalion, naturalmente dopo suo fratello, pensò. Tuttavia, invece di rispondere, prelevò una nuova penna dal portapenne d’argilla e procedette ad appuntirla col coltellino. «Neppure a me piacciono le mani sudate», replicò infine, dopo qualche istante.
Iselle sbuffò, tutt’altro che convinta, ma a Cazaril vennero risparmiate ulteriori discussioni perché, in quel momento, Nan dy Vrit chiamò le due dame. Era sorto un piccolo problema riguardante certe sciarpe e alcune perle di fiume disperse. Così le giovani furono costrette a rientrare nelle loro stanze.
Nei pomeriggi sempre più freschi, quando non venivano organizzate partite di caccia, la Royesse Iselle sfogava la propria energia in eccesso uscendo a cavallo col suo piccolo seguito e addentrandosi nella foresta di querce che cresceva vicino a Cardegoss. Con Lady Betriz e un paio di stallieri, Cazaril stava procedendo al trotto al seguito della giumenta pezzata di Iselle, percorrendo un verde sentiero erboso, solcato dalle chiazze dorate delle foglie cadute, e assaporando l’aria pungente, quando gli giunse all’orecchio il rumore di un martellare di zoccoli che si avvicinavano. Si lanciò un’occhiata alle spalle e sentì lo stomaco che gli si contraeva: un gruppo di uomini mascherati stava sopraggiungendo al galoppo lungo il sentiero.
Urlando, gli inseguitori furono loro addosso in un lampo. Cazaril aveva quasi estratto la spada dal fodero quando si accorse che i cavalli e gli equipaggiamenti appartenevano ad alcuni dei cortigiani più giovani del castello di Zangre. Subito dopo notò l’incredibile assortimento di stracci con cui i cavalieri erano abbigliati e vide che le chiazze di «sporcizia» sulle braccia e sulle gambe somigliavano a macchie di lucido per stivali.
Mentre i sorridenti banditi «catturavano» la Royesse e Lady Betriz, legando tutti i prigionieri con nastri di seta, Cazaril trasse un profondo respiro di sollievo e si appoggiò al pomo della sella, imponendo al proprio cuore di calmarsi e desiderando con fervore che qualcuno avesse pensato ad avvertire almeno lui di quello scherzo. Benché apparentemente non se ne fosse reso conto, il gaio Lord dy Rinal era stato a un passo dall’avere la gola squarciata. Una sorte simile sarebbe toccata al robusto paggio che si era avvicinato a Cazaril sull’altro lato e probabilmente la spada del Castillar si sarebbe conficcata nel ventre di un terzo avversario, prima che gli altri, se fossero stati veri banditi, avessero avuto il tempo di coordinare le loro forze… E tutto ciò in risposta a un riflesso condizionato, prima ancora cioè che il cervello di Cazaril potesse formulare una linea d’azione e che lui lanciasse un grido di avvertimento. Ignari, quei giovani cortigiani ridevano allegramente dell’espressione di terrore che gli avevano scorto sul viso e scherzavano sul fatto che lui avesse accennato a estrarre la spada. Così, sfoggiando un sorriso contrito, Cazaril preferì non spiegare qual era l’aspetto di quella faccenda che lo aveva fatto impallidire per il terrore.
Il gruppo raggiunse quindi l’«accampamento dei banditi», un’ampia radura dove numerosi servitori del castello, vestiti a loro volta con abiti volutamente laceri, stavano arrostendo allo spiedo daini e altra selvaggina. Banditesse, pastorelle e alcune mendicanti dall’aria alquanto nobile, nonostante gli abiti laceri, accolsero il ritorno dei rapitori. Iselle scoppiò in una risata velata d’indignazione quando il re dei banditi, dy Rinal, le tagliò una ciocca di capelli ricciuti e la sollevò, pretendendo un riscatto. E fu proprio in quel momento che un contingente di «soccorritori», vestiti in blu e bianco e capitanati da Lord Dondo dy Jironal, fece irruzione al galoppo nel campo. Seguì una battaglia finta ma serratissima, con alcuni tocchi macabri ottenuti grazie a vesciche di maiale piene di sangue. In conclusione, tutti i banditi furono abbattuti. E mentre alcuni si lamentavano che non si era trattato di un combattimento equo, Dondo recuperò la ciocca di capelli. Subito dopo, un finto Divino del Fratello prese a circolare tra i morti, facendo miracolosamente risorgere i banditi con l’ausilio di una borraccia piena di vino. Ben presto, l’intera compagnia si sedette per terra intorno ad ampie tovaglie, per banchettare e brindare.
Cazaril si trovò a dividere una tovaglia con Iselle, Betriz e Lord Dondo; sedutosi in disparte a gambe incrociate, prese a mangiare distrattamente un po’ di cacciagione e di pane, ascoltando Lord Dondo che intratteneva la Royesse con battute che, a suo parere, erano un po’ troppo pesanti per una dama. Poi Dondo implorò Iselle di fargli dono della ciocca di capelli, come premio per averla salvata e, con uno schiocco delle dita, chiamò a sé un paggio, che reggeva una custodia di cuoio lavorato. Dentro di essa c’erano due splendidi pettini di tartaruga adorni di gemme.
«Un tesoro in cambio di un tesoro, e saremo pari», dichiarò, riponendo la ciocca di capelli in una tasca interna del suo giustacuore, all’altezza del cuore.
«Però è un dono crudele… Regalare pettini a una donna che non ha più capelli su cui appuntarli», fu pronta a ribattere belle, sollevando uno dei pettini, che scintillò alla luce del sole.
«Potrete sempre farvi ricrescere i capelli, Royesse», obiettò Dondo.
«Ma voi potete far crescere un nuovo tesoro?»
«Con la stessa facilità con cui crescono i vostri capelli, ve lo garantisco», sorrise Dondo, appoggiandosi su un gomito accanto a lei e arrivando quasi a posarle la testa in grembo.
«Trovate allora che la vostra nuova carica sia molto remunerativa, Santo Generale?» domandò Iselle, smettendo di sorridere.
«Indubbiamente.»
«In tal caso, forse avete scelto il ruolo sbagliato, e oggi avreste dovuto recitare la parte del re dei banditi.»
«Se il mondo non funzionasse così, come potrei comprare abbastanza perle da soddisfare le belle dame?» replicò Dondo, con un sorriso forzato.
Due intense chiazze di colore si allargarono sulle guance di Iselle, che distolse lo sguardo, mentre il sorriso di Dondo si allargava. Stringendo i denti per trattenersi dall’intervenire, Cazaril si protese a prendere una caraffa di vino, con l’idea di rovesciare il liquido nel collo di Iselle e interrompere quello scambio pericoloso. Ma la caraffa era vuota. Con sollievo del Castillar, comunque, Iselle non accennò a ribattere e si mise invece a mangiare un po’ di pane e di carne. Di lì a poco, nel cambiare posizione, fece in modo di allontanare le proprie gonne da Lord Dondo.
Il gelo della sera autunnale stava cominciando ad accentuarsi, quando il gruppo, ormai sazio, si avviò a passo lento verso lo Zangre. Costringendo la propria giumenta a rallentare il passo, Iselle si affiancò a Cazaril
«Castillar, siete riuscito a scoprire cosa ci sia di vero in quella voce secondo cui le truppe della Figlia sarebbero state vendute come contingenti mercenari?» domandò.
«Ho ascoltato la stessa storia da un paio di persone, ma non direi che è stata confermata», replicò Cazaril. In realtà, aveva raccolto ampie conferme di quell’ignobile traffico, però gli sembrava imprudente rivelarlo a Iselle in quella circostanza.
Accigliandosi, la Royesse non aggiunse altro e spronò il cavallo, tornando a raggiungere Lady Betriz.
Quella notte, il banchetto risultò più spartano del solito e la serata si concluse senza danze, in quanto i cortigiani e le dame, stanchi per le attività pomeridiane, si ritirarono per tempo, per dormire o per indulgere in piaceri privati. Mentre attraversava un’anticamera, Cazaril si trovò a essere affiancato da Dondo dy Jironal, che gli mormorò: «Facciamo due passi insieme, Castillar? Credo che noi due si debba parlare…»
Scrollando le spalle, Cazaril lo seguì senza protestare, fingendo di non notare due giovani bravacci, un paio degli amici più corrotti di Dondo, che li seguivano a qualche passo di distanza. Usciti dalla torre che si ergeva all’estremità più stretta del palazzo, i due si trovarono in un cortiletto che dominava la confluenza dei due fiumi. A un segnale di Dondo, entrambi i giovani si disposero ad attendere vicino alla porta, appoggiandosi alla parete di pietra con l’aria di sentinelle stanche e annoiate.
Cazaril cercò di valutare la situazione. Nel caso di un duello, la sua portata con la spada era superiore a quella di Dondo; inoltre, benché fosse stato malato, i mesi trascorsi ai remi della galea avevano reso le sue braccia molto più forti di quanto sembrassero. D’altro canto, l’addestramento di Dondo era superiore al suo. Quanto ai due bravacci, erano giovani e un po’ ubriachi… Ma era anche possibile che quei tre non cercassero affatto lo scontro. No, in fondo non era necessario: un segretario tutt’altro che agile beveva un po’ troppo vino, poi andava a fare una passeggiata sui bastioni, scivolava e precipitava nel buio, rimbalzando contro le rocce, prima di finire nell’acqua, un centinaio di metri più in basso… Avrebbero trovato il suo corpo soltanto il giorno successivo, senza neppure una ferita d’arma da taglio, e avrebbero archiviato quella morte come un malaugurato incidente.
Alcune lanterne appese alla parete proiettavano una tremolante luce arancione. Dondo indicò una panchina di granito addossata alle mura esterne, la cui pietra risultò ruvida e fredda contro le gambe di Cazaril. Dondo prese posto accanto a lui con un piccolo grugnito, spingendo automaticamente di lato la sopravveste per lasciare libera l’impugnatura della spada.
«Allora, Cazaril… Ultimamente godete di molta confidenza da parte della Royesse Iselle», esordì.
«La carica di segretario comporta una grande responsabilità, come pure quella di tutore. E io svolgo con la massima serietà entrambi gli incarichi.»
«Questo non mi sorprende… Avete sempre preso tutto troppo sul serio. Però eccedere in una cosa, anche buona, può essere un difetto.»
Cazaril si limitò a scrollare le spalle, e Dondo appoggiò la schiena contro le mura, incrociando le gambe all’altezza delle caviglie, quasi si stesse mettendo comodo in previsione di una lunga chiacchierata. «Una ragazza della sua età e del suo rango dovrebbe cominciare a interessarsi agli uomini… Invece trovo la Royesse stranamente gelida.» Fece un cenno verso la torre, che si ergeva davanti a loro. «Una giumenta simile è fatta per la riproduzione… Ha due fianchi ampi, adatti a ospitare un uomo. C’è da sperare che sia riuscita a sfuggire alla corruzione presente nel sangue della sua famiglia, e che non stia già mostrando i primi sintomi dei… problemi mentali che hanno afflitto la sua povera madre.»
Cazaril si limitò a un borbottio inarticolato, preferendo non addentrarsi in quell’argomento.
«C’è da sperarlo», proseguì Dondo. «D’altro canto, se non si tratta di questo, viene quasi da chiedersi se qualche… persona dall’indole eccessivamente seria non abbia provveduto ad avvelenare la mente della Royesse, rendendomela ostile.»
«La corte è piena di pettegolezzi, e di gente pronta a diffonderli.»
«Non ne dubito. A proposito… Voi, Cazaril, in che termini le parlate di me?»
«Con cautela.»
«Fate bene», annuì Dondo, incrociando le braccia. «Tuttavia preferirei che le parlaste di me con calore. Sì, credo che sarebbe molto meglio.»
«Iselle è una ragazza molto intelligente e sensibile», ribatté Cazaril, umettandosi le labbra. «Se mentissi, sono certo che se ne accorgerebbe, quindi è meglio lasciare le cose come stanno.»
«Ah, ecco che arriviamo al dunque», sbuffò Dondo. «Sospettavo che mi portaste rancore per quel piccolo giochetto malvagio escogitato dal folle Olus…»
«No, mio signore, è una cosa dimenticata», garantì Cazaril, con un piccolo gesto di diniego. Ma la prossimità di Dondo, vicino a lui quanto lo era stato nella tenda di Olus, con quel suo odore particolare, gli stava facendo riaffiorare nella mente con nitidezza ogni dettaglio, dall’ansimante disperazione allo stridio del metallo e al violento colpo sul collo. «È successo molto tempo fa», concluse.
«Avere una memoria… malleabile è una virtù, tuttavia… Ritengo che i vostri sentimenti abbiano bisogno di essere un po’ riscaldati. Suppongo che siate ancora povero… Eh, certi uomini sembrano non riuscire a imparare i trucchi necessari per farsi strada nel mondo», dichiarò Dondo. Poi, con una certa difficoltà, si sfilò da un dito grasso e umido un anello d’oro piuttosto sottile in cui era però incastonata una grossa e scintillante gemma verde. «Lasciate che questo riscaldi il vostro cuore e la vostra lingua… nei miei confronti», aggiunse, offrendo il monile a Cazaril.
«La Royesse mi dà tutto ciò di cui ho bisogno, mio signore», ribatté Cazaril, senza accennare a muoversi.
«Non ne dubito», borbottò Dondo, aggrottando le sopracciglia nere sugli occhi scuri, che scintillavano alla luce incerta delle lanterne. «Suppongo che la vostra posizione vi dia ampie opportunità di riempirvi le tasche.»
«Se rifiutate di credere alla mia probità, mio signore, riflettete almeno su quello che sarà il futuro della Royesse Iselle, e sul fatto che io possiedo ancora il cervello elargitomi dagli Dei», scandì Cazaril, serrando i denti per nascondere il tremito d’indignazione che lo pervadeva. «Oggi la Royesse ha un piccolo seguito, ma un domani potrebbe avere una royacy, o un principato.»
«Lo pensate davvero?» chiese Dondo, con uno strano sorriso, poi scoppiò a ridere. «Ah, povero Cazaril, l’uomo che ignora la preda vicina e si lancia a inseguire quella che fugge probabilmente finirà a mani vuote. Questa vi sembra una dimostrazione d’intelligenza?» E posò l’anello sulla panchina, in mezzo a loro.
Aperte entrambe le mani, Cazaril le protese davanti al proprio petto col palmo sollevato, poi le abbassò con decisione sulle ginocchia. «Mio signore… Risparmiate il vostro tesoro e compratevi un uomo che abbia un prezzo più basso. Sono certo che non faticherete a trovarne uno», rispose in tono pacato.
Recuperato l’anello, Dondo lo fissò con espressione sempre più accigliata. «Non sei cambiato affatto, Cazaril», disse. «Sei sempre lo stesso moralista ipocrita. Tu e quello stupido di dy Sanda siete uguali, ma immagino che non ci sia da stupirsi, considerato che siete stati entrambi scelti da quella vecchia che risiede a Valenda.»
Alzatosi di scatto, si rimise l’anello al dito e si avviò a grandi passi. I due uomini rimasti ad attenderlo si affrettarono a seguirlo, dopo aver scoccato un’occhiata incuriosita a Cazaril, il quale trasse un profondo sospiro. Quel momento di furente soddisfazione era forse stato comprato a un prezzo troppo alto? Non sarebbe stato più saggio accettare l’anello e lasciare Lord Dondo con la felice convinzione di avere un altro uomo alle sue dipendenze, un individuo come lui, facile da capire e da controllare? Sentendosi molto stanco, si alzò e rientrò nella torre, salendo le scale verso la sua camera da letto.
Stava infilando la chiave nella serratura quando dy Sanda lo oltrepassò nel corridoio, sbadigliando e scambiando con lui un saluto abbastanza cortese.
«Aspettate un momento, dy Sanda», chiamò Cazaril.
«Castillar?» replicò questi, scoccandogli un’occhiata da sopra la spalla.
«In questi giorni, state ben attento a chiudere a chiave la porta e a tenere la chiave sempre con voi?»
«Ho un baule con una serratura robusta: una protezione sufficiente per le mie cose di valore», replicò dy Sanda, girandosi a guardarlo con espressione perplessa.
«Non è sufficiente. Dovete impedire l’accesso alla stanza.»
«In modo che non si possa rubare nulla? Ho ben poco che…»
«No, in modo che nulla di rubato possa essere messo al suo interno», precisò Cazaril.
Per un momento, dy Sanda rifletté su quelle parole, poi sollevò lo sguardo a incontrare quello di Cazaril. «Oh», mormorò infine, con un lento cenno di ringraziamento che era quasi un inchino. «Vi ringrazio, Castillar. Non ci avevo pensato.»
Ricambiato il cenno, Cazaril si ritirò nella propria camera.