124204.fb2 La comunione della carne - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

La comunione della carne - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

Fortunatamente il lavoro non mancava perché dovevano prepararsi alla partenza imminente e il personale era poco. C’erano da smantellare le apparecchiature, imballarle, trasportarle sulla nave e ordinarle nelle stive. Occorreva preparare anche la Nuova Aurora, riprogrammare e collaudare parecchi sistemi. Evalyth fungeva da meccanico, pilota di scialuppa e caposquadra di carico. In più continuava il suo compito di custodia.

Il comandante Jonafer tentò di farle osservazione: — Perché fa tutto questo, tenente? Gli indigeni sono agitati nel vedere questo via vai di robot, macchinari pesanti, riflettori che illuminano a giorno… È diventato quasi impossibile persuaderli a restare in città!

— E allora? Cosa ce ne importa? — rispose bruscamente.

— Non dobbiamo distruggerli, tenente.

— È vero, ma potrebbero essere loro a distruggere noi alla prossima occasione. Pensi a quali particolari virtù può possedere il suo corpo!

Jonafer lasciò perdere. Ma quando Evalyth rifiutò di incontrare Rogar la prima volta che tornò a terra, la costrinse a riceverlo e a essere gentile.

Il Klev entrò nel laboratorio biologico tenendo tra le mani un dono: una spada forgiata con il metallo imperiale. La accettò con una scrollata di spalle. Un museo l’avrebbe sicuramente gradita.

— Mettila a terra.

L’unica sedia era occupata da Evalyth, perciò Rogar rimase in piedi. Pareva piccolo e vecchio.

— Sono venuto per dirti che noi lokonesi gioiamo della tua vendetta.

— Non l’ho ancora ottenuta del tutto — lo corresse Evalyth.

Lo fissò con aria truce e Rogar non riuscì a sostenere quello sguardo.

— Visto che la Venuta dal cielo è riuscita a scovare coloro che cercava… saprà bene che gli abitanti di Lokon non hanno mai avuto intenzioni malvage.

Non era necessario rispondere.

Rogar giocherellò con le dita.

— Perché ve ne andate? All’inizio ci avevate garantito che sareste rimasti per molte lune e poi sarebbero sopraggiunti degli altri a insegnare e a commerciare. Noi ne eravamo felici. Non solo per i prodotti che avremmo potuto acquistare o per la promessa di porre fine alla fame, alla malattia, al pericolo e all’angoscia. Niente affatto. La nostra felicità era dovuta principalmente alle cose meravigliose che ci stavate rivelando. Il nostro piccolo mondo di colpo era diventato immenso. E invece ve ne state andando. Alle mie domande alcuni dei tuoi hanno risposto che non tornerete più. Vi abbiamo offeso, Venuta dal cielo? Come possiamo riparare?

— Non dovete più trattare i vostri simili come animali — replicò subito Evalyth.

— Ho capito… voi reputate ingiusto quello che succede nel Luogo Sacro. Ma avviene una sola volta nella vita di ogni uomo, Venuta dal cielo, ed è un dovere!

— Non è necessario.

Rogar si gettò carponi davanti a lei.

— Forse per voi è diverso — implorò. — Ma noi siamo semplicemente uomini. Se i nostri figli non conseguono la virilità, non possono procreare e l’ultimo che rimarrà in vita non avrà nessuno che gli liberi l’anima dopo la morte… — Alzò gli occhi su di lei. Indietreggiò, strisciando e gemendo, fino a essere illuminato dal sole.

Chena Darnard andò da Evalyth. Dopo aver bevuto qualcosa e aver chiacchierato un po’, l’antropologa affrontò l’argomento che le stava a cuore.

— Ho sentito che sei stata dura con il Grande Capo.

— Ma come… Oh! — si ricordò che il colloquio era stato registrato, come sempre. — Come avrei dovuto comportarmi? Baciando quel cannibale sulla bocca?

— Certo che no! — rabbrividì Chena.

— Sei stata tu la prima a firmare la richiesta della partenza!

— È vero. Però… Ero nauseata e lo sono ancora, ma… Hai già esaminato i prigionieri?

— No.

— Avresti dovuto. Avresti visto come urlano e come si spaventano quando vengono legati in laboratorio e come si abbracciano nelle loro celle.

— Non vengono mutilati o torturati, vero?

— No davvero. Ma loro ne sono convinti anche quando li assicuriamo che non faremo loro del male. Non possiamo neppure somministrare loro dei tranquillanti per non invalidare i risultati delle analisi. Ma hanno così paura di quello che non conoscono… non sono più riuscita a seguire gli esperimenti. — Lanciò un lungo sguardo a Evalyth. — Tu invece ce la faresti.

Evalyth scosse il capo.

— Non è che io ci goda. Ammazzerò l’assassino di mio marito come esige l’onore della famiglia. Gli altri vengano pure liberati, anche i suoi figli… nonostante quello che hanno mangiato. — Si servì abbondantemente il liquore e lo bevve in un sorso solo. Bruciava.

— Ti prego, non farlo — disse Chena. — Donli non avrebbe voluto. Ricordo che citava sempre un antico proverbio. Venivamo dalla stessa città, lo sai, perciò lo conosco… lo conoscevo da molto tempo. Gliel’ho sentito ripetere più volte: «Non sconfiggo forse i miei nemici se me li faccio amici?»

— Ma quando si tratta di un insetto velenoso te lo fai amico o lo schiacci?

— Ricordati che un uomo agisce sempre secondo le regole della società in cui vive. — Chena si infervorò. Afferrò la mano di Evalyth, che restò impassibile. — Che cosa significa un uomo solo se paragonato all’insieme di coloro che gli stanno intorno e di coloro che sono già morti? Il cannibalismo non sopravviverebbe in tutte queste genti così diverse fra di loro se non fosse un elemento fondamentale della cultura dell’intera razza.

Evalyth sentì la collera divampare.

— Ma che specie di razza è, allora? Non ho il diritto di agire anch’io come esige la mia cultura? Tornerò nel mio paese e crescerò il figlio di Donli lontano da voi, codardi. Non dovrà vergognarsi per aver avuto una madre troppo debole per fare giustizia. E ora scusami ma domani mi devo alzare presto per caricare l’astronave.

Evalyth rimase occupata tutto il giorno seguente. Si avviò a casa solo al tramonto, stanca ma un pochino più serena. Si ritrovò a pensare: Sono giovane e un giorno troverò un altro uomo. Comunque ti amerò sempre, caro.

Camminando sollevava la polvere. Metà del complesso era già stato smontato per cui parte del personale dormiva a bordo della Nuova Aurora.

La sera era tranquilla, il cielo giallo. Le baracche erano quasi deserte e Lokon taceva come ormai accadeva da tempo. Il rumore dei suoi passi sui gradini che portavano all’ufficio di Jonafer la rianimò.

La stava aspettando, seduto alla scrivania.

— Compito eseguito senza incidenti — riferì Evalyth.

— Si accomodi — la invitò.

Evalyth obbedì in silenzio. Infine il comandante disse: — Gli scienziati hanno terminato gli esami ai prigionieri.

Incredibilmente lei ci rimase male.

— Di già?… Cioè… Non è che abbiamo molte apparecchiature qui, e poi manca il personale specializzato, soprattutto adesso che Donli… Un esame accurato, utile… non richiederebbe più tempo?

— Certo — ammise Jonafer. — Non abbiamo trovato niente di rilevante. Se il gruppo di Uden avesse avuto idee precise, forse avremmo scoperto qualcosa di più. Si sarebbero potute formulare delle ipotesi e così arrivare a conoscere meglio questi organismi. È vero. Solo Donli Sairn avrebbe potuto farlo. Ma senza di lui e senza la collaborazione degli stessi prigionieri, ignoranti e terrorizzati, abbiamo dovuto procedere quasi alla cieca. Abbiamo individuato delle particolarità nei processi digestivi… niente a che vedere con l’ecologia dell’ambiente.

— Ma allora perché vi siete fermati? Ci resta ancora una settimana.

— L’ho deciso io dopo aver visto quello che succedeva. Uden mi ha detto che si sarebbe interrotto comunque.