124246.fb2 La luna dei cacciatori - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 6

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— Sto tornando nella mia area di studio — spiegò al meccanico. Quando questi tentò di dissuaderla, Jannika fece valere il proprio grado: era un sistema che non le piaceva, ma Io aveva imparato dagli spettri danubiani della sua infanzia. — Niente discussioni. Pronto ad aprirmi il passaggio ed a fornirmi l’assistenza necessaria. È un ordine.

Il piccolo velivolo rabbrividì e ronzò sul terreno, ed il decollo richiese una notevole abilità… con un brutto momento in cui una folata di vento per poco non lo fece rovesciare… ma, una volta in aria, prese a volare stabilmente. Innalzatasi al di sopra delle nubi, Jannika le vide agitarsi come un mare, con Argo che sorgeva da esse come una montagna, le stelle e le due lune tenui bagliori più lontani. Verso nord, si scorgeva un’oscurità più densa ed elevata, il fronte della tempesta: il tempo sarebbe davvero peggiorato nelle prossime ore, e, se non le fosse riuscito di rientrare prima, avrebbe fatto meglio a rimanere da qualche parte, fino a che il cielo si fosse schiarito.

Il volo fino al luogo dello scontro fu breve; quando il pilota inerziale l’ebbe portata là, Jannika si mise a volare in cerchio, indossò il casco ed azionò il sistema, mentre il polso le si accelerava e la bocca le si inaridiva.

— A’i’ach — sussurrò, — sii vivo, per favore, sii vivo.

La luce verde si accese: almeno, la sua trasmittente era presente sul posto. E lui? Jannika si dovette costringere a cercare il contatto.

Debolezza, dolore, un frastuono di foglie fruscianti e di rami che sbattevano…

— A’i’ach, resisti, sto scendendo!

Ci fu un balzo di gioia: sì, lui la percepiva.

Un atterraggio sarebbe stato davvero rischioso. Il velivolo era in grado di scendere verticalmente, aveva un radar ed un sonar eccellenti, un computer ed attrezzature in grado di eseguire la maggior parte delle manovre, tuttavia, lo spazio libero sottostante non era molto ampio, era diviso in due, e, sebbene la foresta circostante attenuasse la furia del vento, ci sarebbero state però correnti pericolose.

— Dio, mi metto nelle Tue mani — mormorò Jannika, chiedendosi ancora una volta come facesse Hugh a sopportare il proprio ateismo.

Se avesse atteso oltre, avrebbe perduto il coraggio, quindi, giù!

La discesa si rivelò ancora più violenta di quanto si sarebbe aspettata: dapprima le nubi apparvero come un vortice, poi si ritrovò in mezzo a loro ed in preda ad un vento violento, e vide le cime degli alberi protendersi verso di lei mentre il velivolo rollava, sobbalzava, imbardava. Era stata forse una pazza? Dopotutto, non desiderava realmente morire…

Jannika riuscì ad atterrare, e, per parecchi minuti rimase a sedere, priva di forze; quando si mosse, tutto il corpo le doleva per la tensione, ma c’era in lei anche la sofferenza di A’i’ach: attirata dal bisogno del nativo, slacciò le cinture ed uscì. Il frastuono era assordante nella nera palizzata di alberi che la circondava, con i rami gementi e le cime sconvolte, ma al livello del terreno l’aria, per quanto agitata, era più quieta e quasi calda. L’invisibile Argo arrossava le nubi, il cui bagliore forniva una luce sufficiente a permetterle di vedere senza l’ausilio della torcia. Jannika non trovò traccia degli uranidi uccisi, ma, del resto, quelle creature non avevano ossa, ed i dromidi dovevano averle divorate fino all’ultimo frammento. Che uso orrendo… Dov’era A’i’ach?

Jannika lo trovò dopo qualche ricerca: era disteso dietro un cespuglio spinoso intorno al quale aveva avvolto i filamenti per ancorarsi al suolo; il suo corpo era sgonfio al massimo, un sacco vuoto, ma gli occhi erano brillanti ed era in grado di parlare, nell’acuta e sbuffante lingua del suo popolo, che, come Jannika era giunta a scoprire, era melodiosa.

— Possa la gioia soffiare su di te: non avrei mai sperato nel tuo arrivo. Sei la benvenuta. Qui mi sentivo solo.

L’ultima parola fu accompagnata da un brivido. Gli uranidi non sopportavano di rimanere a lungo separati dal loro sciame, ed alcuni xenologi ritenevano che in essi la consapevolezza fosse più collettiva che individuale. Jannika rifiutava però quel concetto, a meno che esso fosse forse applicabile a specie diverse trovate in altre zone di Nearside, perché A’i’ach aveva una sua anima!

— Come stai? — chiese, inginocchiandosi. Non riusciva a parlare la sua lingua meglio di quanto lui parlasse l’inglese, ma A’i’ach aveva imparato ad interpretare i suoi suoni.

— Il mio male non è eccessivo, ora che sei vicina. Ho perso sangue e gas, ma quelle ferite si sono richiuse. Debole, mi sono posato su un albero fino a che le Bestie se ne sono andate, e nel frattempo si è levato il vento. Ho pensato fosse meglio non volare nelle mie condizioni, ma non potevo rimanere sull’albero, perché sarei stato spazzato via. Così ho esalato quanto rimaneva del mio gas e sono strisciato dietro questo riparo.

Il discorso conteneva molto di più che quella spoglia affermazione: le parole erano laconiche e stoiche, ma il significato implicito non lo era. A’i’ach avrebbe avuto bisogno di almeno un giorno intero per rigenerare una quantità d’idrogeno sufficiente alla risalita… il tempo dipendeva dalla quantità di cibo che sarebbe riuscito a trovare nelle sue condizioni… a meno che un carnivoro non lo avesse trovato prima, il che era estremamente probabile. Jannika immaginò quale getto di sofferenza, timore e coraggio le sarebbe stato trasmesso se avesse avuto indosso il casco.

Raccolse fra le braccia la forma flaccida: pesava poco, ed era calda e setosa. A’i’ach cooperò il più possibile, ma una parte del suo corpo strisciò ugualmente sul terreno, il che dovette risultare doloroso, senza contare che Jannika dovette essere ancora più rude, afferrando manciate di pelle, quando lo portò all’interno del velivolo. Dentro, lo spazio disponibile scarseggiava, ed A’i’ach si trovò praticamente raggomitolato nella sezione posteriore. Invece di scusarsi quando l’uranide gemeva, o di dire qualcosa in particolare, Jannika cantò per lui: A’i’ach non conosceva le antiche parole terrestri, ma apprezzò la melodia e comprese cosa la donna cercasse così di comunicargli.

Jannika aveva equipaggiato il velivolo in modo da poter fornire un soccorso medico di base ai nativi, cosa che le era accaduto di fare in passato. Le ferite di A’i’ach non erano profonde, perché la maggior parte del suo corpo era poco più che una sacca; tuttavia, quella sacca era stata lacerata in parecchi punti e, sebbene fosse autosigillante, con il volo si sarebbe spaccata di nuovo a meno che fosse stata rinforzata. Dopo un’applicazione locale di anestetici e di antibiotici… le cognizioni sulla biochimica degli abitanti di Medea permettevano l’uso di quelle sostanze… Jannika ricucì le ferite.

— Ecco, adesso puoi riposare — disse poi, quando, intorpidita, tremante ed inzuppata di sudore, ebbe terminato le medicazioni. — Più tardi ti somministrerò del gas e ti potrai sollevare subito, se vorrai. Io penso però che sarebbe più saggio se entrambi attendessimo la fine delle bufera.

— È stretto, qui dentro! — Il gemito dell’uranide era l’equivalente di quelle parole umane.

— Si, so cosa intendi dire, ma… A’i’ach, lascia che mi metta il casco. — Lo indicò con la mano. — Questo unirà i nostri spiriti come lo erano prima e potrebbe distogliere la tua mente dalla scomodità della condizione attuale. E ad un raggio così ridotto, considerate le nostre nuove conoscenze… — Un brivido la percorse. — … Chissà cosa potremmo scoprire!

— Bene — convenne l’uranide. — Potremmo godere di esperienze uniche. — Il concetto della ricerca fine a se stessa gli era estraneo… ma la sua ricerca del piacere andava molto al di là dell’edonismo.

Ansiosa nonostante la stanchezza, la donna si avvicinò al sedile e protese la mano verso l’apparecchiatura, ma il ricevitore radio, sempre aperto sulla banda di ricezione standard, scelse pròprio quel momento per entrare in azione.

Ad est, Argo brillava contro il muro, attraversato da lampi ed in avvicinamento, della tempesta che giungeva da nord; più sotto, le nubi già presenti erano torbide e tinte di rosso e di scuro, ed il vento ululava, facendo tremare e sobbalzare il velivolo di Hugh. Nonostante il riscaldamento, il freddo penetrava nel velivolo come portato dalla luce stessa delle stelle e delle lune.

— Jan, sei là? — chiamò. — Stai bene?

— Hugh? — La voce di lei era colma di sollievo. — Sei tu, caro?

— Sì, certo, chi diavolo altro ti aspettavi? Mi sono svegliato, ho sentito il tuo messaggio… ed eccomi qui… stai bene?

— Perfettamente. Ma non oso decollare, con questo tempo, e tu non devi cercare di atterrare, perché ormai sarebbe troppo pericoloso. Non dovresti neppure rimanere. Caro, è davvero rostomily che tu sia venuto!

— Per tutti i preti ebrei, dolcezza, come potevo non farlo? Dimmi cosa è successo.

Jannika gli spiegò ogni cosa, ed alla fine Hugh annuì con la testa che gli doleva ancora per il liquore bevuto, nonostante l’effetto di una tavoletta di nedolor.

— Ottimo — disse infine. — Aspetta. — Aspetta che il vento si calmi, rigonfia il tuo amico e poi vieni a casa. — Un’idea che stava covando da un po’ lo stuzzicò. — Uh, mi chiedevo una cosa. Credi che lui potrebbe scendere in quel burrone e recuperare l’unità di Erakoum? Sai quanto siano scarsi quei congegni! — Fece una pausa, poi aggiunse: — penso che sarebbe troppo chiedergli di ricoprirla con un po’ di terra.

— Posso farlo io — replicò Jannika, con voce piena di pietà.

— No, non puoi. Ho ricevuto una netta impressione da Erakoum mentre stava cadendo, prima che si spaccasse la testa o cos’altro le è successo: nessuno può scendere là sotto senza una corda assicurata in alto, perché sarebbe impossibile risalire. E, anche con una corda, sarebbe una cosa tanto pericolosa da rasentare la follia: i compagni di Erakoum non hanno tentato nulla, vero?

— Glielo chiederò — replicò Jannika, con riluttanza, — ma può darsi che sia pretendere troppo. L’unità funziona?

— Hmm, sì, ma farò meglio a controllare, prima. Ti riferirò fra qualche minuto. Ti amo.

E sapeva di essere sincero, non importava quanto spesso Jannika lo facesse infuriare. L’idea che in qualche modo, negli abissi del suo essere, potesse aver desiderato la morte di lei non era neppure concepibile, ed Hugh l’avrebbe seguita anche attraverso una tempesta più violenta di quella, solo per negare una simile supposizione.

Bene, adesso poteva andare a casa con la coscienza sollevata ed attendere il suo ritorno, dopodiché… cosa? Quella certezza creò un vuoto dentro di lui.

Il suo strumento emise una luce verde: bene, il trasmettitore di Erakoum era funzionante, e quindi intero e degno di essere salvato. Se soltanto anche lei… Hugh s’irrigidì ed il respiro gli sibilò nei polmoni: ma sapeva davvero che lei era morta?

Si abbassò l’elmo sulle tempie, e le mani tremanti gli resero difficile operare i collegamenti; premette un pulsante, e desiderò di comunicare…

Un senso di sofferenza che si contorceva come un cavo rovente, le forze che si disperdevano sempre di più, morbide onde di nulla che affluivano sempre più spesso, ma che Erakoum riusciva ancora a tenere a bada. La striscia di cielo che le riusciva di vedere dal punto in cui giaceva, impossibilitata a strisciare più in alto, era colma di vento… Erakoum acquistò una coscienza completa, perché percepiva nuovamente la presenza di Hugh.

— Sembra che ci siano delle ossa rotte, ed anche una notevole perdita di sangue. Morirà nel giro di poche ore, a meno che tu la soccorra, Jan. Questo le permetterebbe di resistere fino a quando la potremo trasportare a Port Kato per un’assistenza più completa.

— Oh, la posso ricucire e bendare e steccare, certo. Ed il nedolor è uno stimolante analgesico che va bene anche per i dromidi, vero? Persino un semplice sorso d’acqua potrebbe rappresentare la salvezza, perché deve essere disidratata. Ma come faccio a raggiungerla?

— Il tuo uranide la potrebbe sollevare, una volta che tu lo avessi rigonfiato.

— Non puoi dire sul serio! A’i’ach è ferito e convalescente… ed Erakoum ha tentato di ucciderlo!

— È stata un’aggressione reciproca, giusto?

— Ecco…

— Jan, non ho intenzione di abbandonarla. È laggiù in una tomba, lei che era solita correre libera, ed il contatto che ha instaurato con me è per lei più di quanto avessi immaginato. Rimarrò fino a che sarà stata salvata o fino a che sarà morta.