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Voglio che se ne vada, pensò tra sé e sé, subito! Non era colpa dell’uomo, non poteva essere incolpato per quell’incredibile sensibilità che possedeva, così come lei stessa non era responsabile delle sue eccezionali facoltà. Non poteva mandarlo via per quello, sarebbe stato troppo ipocrita, e crudele. Ma lo voleva fuori dalla stanza, adesso, subito. Per un attimo aveva avuto la sensazione che lui l’avesse riconosciuta, avesse visto attraverso la sua maschera perenne, avesse presentito quella sua abilità, un dono di natura tanto inaccettabile a lei quanto lo era la cattiva pubblicità per la scuola. Il suo segreto, la sua pena, era privata, da non condividere con nessuno. Troppo a lungo era stato coperto, nascosto, per anni. Avrebbe corso il rischio di continuare ad averlo come insegnante, era giusto in fondo… ma lei si sarebbe tenuta lontano da lui, non gli avrebbe mai dato la possibilità di scoprire la loro somiglianza. Sarebbe stato sciocco, dopo tanto tempo, pericoloso addirittura, per una persona nella sua posizione.
«C’è qualcos’altro che deve dirmi Childes?». Trattenne a stento l’impazienza, anni di ferrea disciplina la assistevano.
«Solamente grazie, sono contento di avere la sua fiducia.»
«La fiducia non c’entra niente. Innanzi tutto se avessi pensato che lei non meritava fiducia non l’avrei assunta. Diciamo che ho bisogno delle sue capacità.»
Lui riuscì a sorriderle mentre si alzava, iniziò a dire qualcosa poi ci ripensò ed uscì dalla stanza.
La preside appoggiò la testa all’alto schienale; il sole sulle spalle non riuscì però a disperdere quel senso di gelo.
Una volta fuori nel corridoio Childes cominciò a tremare. Quella mattina si era convinto di aver ripreso il controllo di se stesso, che buona parte dell’angoscia si fosse dissipata il giorno precedente, espulsa letteralmente dall’organismo, lasciandolo talmente spossato che una volta tornato a casa sarebbe stato subito preda del sonno. E così fu. Un sonno senza sogni, senza quel rigirarsi inquieto, senza lenzuola intrise di sudore; solo alcune ore di oblio. Quella mattina si era svegliato riposato, le immagini viste il sabato sera appena un ricordo sommesso, ancora fastidioso, ma relegato in qualche comparto lontano della memoria, un riflesso inconscio, una specie di autodifesa mentale, ci doveva essere un termine medico preciso per definire quel tipo di reazione.
Il giornale del mattino mandò in frantumi quella fragile difesa.
Aveva comunque compiuto tutti i gesti del vivere quotidiano deciso ad arrivare in fondo alla giornata; poi, nel frattempo, c’era stato l’incontro con la Piprelly. E ora tremava.
«Jon!»
Si voltò allarmato, ed Amy vide la paura sul suo volto. Gli si avvicinò sollecita.
«Jon cos’hai? Hai il viso stravolto.»
Childes si aggrappò a lei brevemente. «Andiamocene da qui,» disse, «puoi allontanarti per un po’?»
«Sì certo, c’è ancora l’intervallo per il pranzo, ho una mezz’ora prima delle lezioni.»
«Facciamo un giro in un posto tranquillo!»
Si separarono nel sentire dei passi lungo il corridoio ed infilarono le scale che portavano all’ingresso principale; non dissero nulla fin quando non furono fuori, al sole, che li scaldò dopo il fresco dell’edificio.
«Dov’eri ieri?» chiese Amy. «Ti ho cercato tutto il giorno.»
«Pensavo che tu stessi facendo vedere l’isola a Edouard Vigiers.» Non c’era critica nel commento.
«L’ho fatto per un’oretta. Ma lui aveva capito che ero in pensiero per te e ha deciso di tagliar corto. Inoltre non ero un granché come compagnia.» Si avviarono verso il parcheggio. «Sono passata dal cottage ma non c’era anima viva, ero preoccupata.»
«Mi dispiace Amy, avrei dovuto pensarci. Ho sentito il bisogno di uscire, non potevo star chiuso lì dentro.»
«Per quello che è successo a cena?»
«Sì, non mi sono certo attirato le simpatie di tuo padre.»
«Non è questo l’importante. Voglio sapere Jon.» Lo prese per il braccio.
«Sta ricominciando tutto daccapo Amy. L’ho capito da quella volta alla spiaggia. Le stesse sensazioni, come se fossi altrove; guardavo, vedevo un qualcosa che accadeva e non avevo alcun potere sugli eventi.»
Erano arrivati alla macchina e lei vide che gli tremavano le mani. «Forse è meglio che guidi io» suggerì.
Egli aprì la portiera e le consegnò le chiavi senza discutere. Presero una stradina che conduceva al mare. Di tanto in tanto lei gli gettava un’occhiata mentre guidava e la tensione di lui ben presto prese anche lei. Si fermarono in uno spiazzo che sovrastava una piccola insenatura, il mare in basso era di un azzurro smagliante, verde a tratti e più chiaro sulle secche. Attraverso i finestrini aperti potevano sentire la risacca infrangersi sui ciottoli della spiaggia. In lontananza il traghetto rollava attraverso le acque placide verso il porto, dal lato orientale dell’isola.
Childes ne seguì il lento avanzare con la mente altrove ed Amy dovette prendergli il viso e girarlo verso di sé. «Siamo qui per parlare, per favore dimmi cosa ti è accaduto sabato sera.» Si sporse in avanti e lo baciò accorgendosi con sollievo che il tremore gli era passato.
«Farò di meglio, ti mostro qualcosa!» disse lui allungando la mano per raccogliere il giornale sul sedile posteriore. «Guarda qui!» disse, indicando il foglio.
«DISSACRATA LA TOMBA DI UN BIMBO» lesse lei ad alta voce, ma poi si zittì continuando a leggere incredula. «Oh, Jon! Ma è terribile. Chi può fare cose del genere, fare a pezzi il corpicino di un bimbo, ma…» Ebbe un fremito e distolse lo sguardo dalla pagina. «È una cosa oscena.»
«È quello che io ho visto Amy!»
Lei lo guardò senza capire, i capelli biondi mossi dalla brezza.
«Ero lì, accanto alla tomba. Ho visto quel corpo mentre veniva violato, ero quasi partecipe in qualche modo.»
«No! Tu non potresti mai…»
Lui le strinse un braccio. «Ho visto tutto, a un certo punto ero in contatto con la mente della persona che lo stava facendo.»
«Ma come?». La domanda rimase sospesa a mezz’aria.
«Come prima. Proprio come l’altra volta. La sensazione di essere dentro l’altra persona, di vedere tutto con i suoi occhi. Ma io non c’entro. Non ho controllo. Non posso fermare quello che succede.»
Amy era spaventata dal suo improvviso sguardo di terrore e lo abbracciò parlandogli dolcemente. «Va tutto bene Jon, non ti può accadere niente, tu non ne fai parte, ciò che succede non ha nulla a che fare con te.»
«Avevo dei dubbi in merito l’altra sera» disse lui riprendendosi. «Mi chiedevo se per caso non stessi ricordando qualche violenza che avevo commesso io, certi fatti che poi il cervello aveva provveduto a cancellare.» Indicò col dito il giornale. «Poi questo mi ha fatto ricredere: è accaduto in Inghilterra la sera che ero a casa vostra. Per lo meno questo è un sollievo.»
«Se solo fossi stata con te, ieri, te l’avrei fatta passare io quella stupida idea.»
«No, parlare non sarebbe servito, avevo bisogno di stare solo.»
«Condividere i problemi serve sempre.»
«Il problema è qui dentro», disse lui toccandosi la fronte.
«Tu non sei pazzo.»
Lui sorrise amaramente. «Questo lo so. Ma riuscirò a rimanere sano di mente se le visioni continuano? Dovresti saperlo, com’è, per capire che cosa vuol dire Amy, per capirne la paura. Quando passa mi sento lacerato dentro, come se mi avessero mangiato un pezzo di cervello.»
«È così che ti sentivi l’altra volta? In Inghilterra, intendo.»
«Già. Forse era peggio, era una cosa completamente nuova allora.»
«Quando trovarono l’uomo che aveva commesso i delitti, che cosa hai provato?»
«Sollievo, un incredibile sollievo. Come se avessero sollevato una coltre nera, come se ad un tratto mi avessero messo degli occhiali da sole dopo un lungo periodo in un deserto assolatissimo. Ma stranamente il sollievo arrivò prima che la polizia rintracciasse l’assassino; vedi, io ho avvertito l’esatto momento in cui lui si tolse la vita, perché in quel momento la mia mente fu come liberata, è stata la sua morte a rendermi libero.»
«Ma perché proprio lui. Perché quell’assassino, solo lui? Te lo sei mai chiesto?»