124279.fb2 La pietra della Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 19

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«Scommetto che pensavi che non mi avrebbero mai creduto» continuò il vecchio. “Ma loro lo sanno che i matti non sono tutti rinchiusi la notte. Ci sono anche quelli che sono liberi di girare quando gli altri dormono, quelli che fanno finta di essere buoni e simpatici durante il giorno. Quelli che sono pazzi quanto quelli a cui badano.»

Gli stava sopra, oscurando la lampadina. In una mano portava una borsa.

«Mi hai portato qualcosa, eh?» disse il vecchio cercando di scorgere il volto nella massa scura che lo sovrastava, «Un altro dei tuoi scherzi infami. Mi hai lasciato i segni l’altra volta. Li ho fatti vederi ai dottori». Ridacchiò soddisfatto. «Adesso mi credono. Stavolta non potevano dire che mi ero fatto male da solo!» Una goccia di saliva gli scivolò lungo il mento incartapecorito. Sentì il peso della borsa sul petto, udì l’aprirsi del lucchetto. Grandi mani che frugavano.

«Che cos’è che hai lì?» domandò il vecchio. «È lucido. Mi piacciono le cose lucide. Mi piacciono affilate. È affilato? Sì, si vede che lo è. Non l’ho detto ai dottori, sai. Volevo solo prenderti in giro, non lo farei mai. Non gli direi di te, davvero. A me piace…». Le parole gli uscivano a stento, «…mi piace quando mi… fai male… noi ci divertiamo.»

Si divincolò sotto le cinghie strette, i muscoli deperiti inutili ormai. Curiosamente il terrore che aveva negli occhi lo rendeva quasi lucido, sano di mente.

«Dimmi, che cos’è?». Ora parlava in fretta, quasi un unico lamento. Le spalle e il torace premevano dolorosamente contro le cinghie di cuoio. La figura si piegò su di lui che ne poté alfine scorgere il volto. «Non mi guardare così, ti prego. Non mi piace quando sorridi in quel modo. No, ti prego… non mi toccare la fronte con quel coso… No! Mi fai male… Lo so che non mi sente nessuno se urlo… Guarda che urlo eh?… mi tagli… ma è sangue… sangue… negli occhi. Ti prego, non ci vedo… Adesso urlo… è troppo…»

L’urlo fu soltanto un gorgoglio soffocato. Un calzino gli era stato infilato in gola.

La figura si chinò ancora sul letto continuando a segare con movimenti lenti e regolari. Il personale e i ricoverati del manicomio dormivano tranquilli.

* * *

L’incubo arrivò quella notte stessa, ma Childes non stava dormendo, guidava verso casa.

Dapprima lo assali una sensazione di caldo afoso, l’aria si fece pesante come se fosse piena di densi vapori. Strinse le mani sul volante, e benché umide di sudore le dita gli tremarono. Cercò di concentrarsi sulla strada appena illuminata davanti a sé, cercando di ignorare il pulsare della testa. La pressione aumentò, come una sostanza nebulosa che gli si andava espandendo dentro la testa, i muscoli del collo si tesero, le braccia gli si fecero di piombo.

La prima immagine gli passò davanti come un lampo. Per un attimo la pressione diminuì. Non era sicuro di ciò che aveva visto, l’attimo era troppo fuggente, la pesantezza cupa ritornava a ondate. Sbandò, strappando cespugli e rovi con la fiancata dell’auto. Rallentò, ma senza fermarsi.

Gli sembrava di aver visto delle mani, mani grandi, forti.

La testa ora gli sembrava piena di bambagia putrida che man mano gli sopprimeva la coscienza, crescendo di volume. Non mancava molto a casa e Childes si costrinse a mantenere una velocità costante, anche se prudente, seguendo la linea in mezzo alla strada sapendo che a quell’ora c’era poca gente in giro. Con la mente vide lo strumento lucido nelle grosse mani, un’apparizione brillante che lo colpì come un fulmine abbagliandogli la vista.

Lottò per tenere la carreggiata; la visione sparì così com’era comparsa. Il senso di pesantezza era ora meno incombente, ma il tremore delle dita ora gli si trasmetteva anche al braccio.

Non mancava molto, la strada che conduceva al cottage era già di fronte. Childes staccò il piede dall’acceleratore e iniziò a frenare. Una gocciolina di sudore gli colò dalla fronte fino a un occhio e venne spazzata via dal dorso della mano. Il movimento gli costò fatica. Girò lo sterzo, i fari della Mini illuminarono la schiera di casette poco lontano. Sapeva cosa gli stava capitando e temeva le immagini che sarebbero seguite. Sentiva un disperato bisogno di essere nella sua casa, si sentiva tremendamente esposto lì fuori nella luce notturna, la luna faceva sembrare tutto come congelato, gli alberi curiosamente piatti, come ritagliati nel cartone.

Ancora pochi metri. Calma adesso. La macchina si fermò nello spazio davanti al cottage, Childes spense il motore e si lasciò andare sul volante, senza forze. Tirò dei profondi respiri, la pressione alle tempie ormai insopportabile. Tirò fuori le chiavi dal cruscotto e barcollò verso la casa. La luna gli illuminò d’argento il viso e i capelli. Cincischio con la chiave ma finalmente gli riuscì di infilare la toppa e aprire la porta, per cadere poi in ginocchio quando la visione lo colpì alla mente con pieno fulgore.

Il viso terrorizzato del vecchio era chiarissimo, l’orrore evidentissimo nei suoi occhi. Le labbra sottili e rinsecchite balbettavano parole che Childes non poteva udire, la saliva gli scorreva dalla bocca mentre si divincolava dalle cinghie che lo costringevano sullo stretto lettino. I tendini del collo risaltavano dalla pelle floscia del collo avvizzito, il nodo sporgente del pomo d’Adamo andava su e giù come se ingoiasse l’aria. Aveva le pupille allargate contro lo sfondo giallognolo delle orbite, e Childes vi scorse un riflesso, una forma indefinibile che diventò più grande quando qualcuno si avvicinò al vecchio.

Childes si accasciò contro il muro quando vide un oggetto di metallo appoggiato alla fronte dell’uomo impaurito, urlò quando vide iniziare il movimento della sega, si portò le mani agli occhi come per nasconderli a quella vista. Il sangue sgorgava dalla ferita, fluiva denso lungo la testa della vittima, tingendogli i capelli di rosso, accecandolo.

Il movimento si fermò per un attimo: rimase solo il tremolio del corpo del vecchio, la piccola sega da chirurgo ben piantata ormai nell’osso del cranio. In quell’attimo ci fu come un riconoscersi, una congiunzione delle menti: l’omicida lo identificò.

E gli diede il benvenuto.

* * *

«Overoy?»

«Ispettore Overoy, sì.»

«Sono Jonathan Childes, ispettore.»

«Childes?». Qualche secondo di pausa. «Ah sì, Jonathan Childes, è da parecchio che non ci si sente.»

«Tre anni.»

«Davvero? Eh già. Cosa posso fare per lei, Childes?»

«Beh, è difficile. Non so bene da dove cominciare.»

Overoy spinse indietro la sedia e poggiò un piede sull’orlo della scrivania, poi con una mano sfilò una sigaretta dal pacchetto e se la mise in bocca. L’accese con un accendino da quattro soldi, dando così il tempo a Childes di trovare le parole.

«Si ricorda degli omicidi?»

Overoy sbuffò fuori una nuvola di fumo. «Vuol dire i ragazzini? Come non potrei? Lei ci fu di grande aiuto in quell’occasione.»

E ne pagai caro il prezzo, pensò Childes, ma disse: «Credo che mi stia accadendo di nuovo.»

«Come, scusi?»

Overoy non gli stava certo rendendo più facili le cose. «Ho detto che credo mi stia accadendo di nuovo. Le visioni, la precognizione.»

«Scusi un attimo, vuole forse dirmi che ha scoperto degli altri cadaveri?»

«No. Questa volta pare che gli omicidi io li veda mentre avvengono.»

Il piede di Overoy scivolò giù dalla scrivania, e lui si sporse, cercando una penna. Fosse stato un altro al telefono avrebbe lasciato perdere la conversazione credendolo un altro mitomane, ma aveva imparato a prendere sul serio Childes anni prima, anche se gli era stato difficile. «Mi dica esattamente quello che ha, ehm, visto, Childes.»

«Prima voglio che lei accetti una condizione.»

Overoy guardò il ricevitore come se si trattasse di Childes in persona. «Sentiamo» rispose.

«Voglio che tutto quello che le dirò rimanga tra noi due soltanto, niente soffiate alla stampa. Non come l’altra volta.»

«Guardi che quella volta non fu soltanto colpa mia. La stampa ha fiuto per questo tipo di cose, questo non posso evitarlo. Ho cercato di tenerla nell’anonimato ma una volta sguinzagliati quelli non mollano.»

«Voglio che me lo garantisca, Overoy, non posso correre nuovamente il rischio di essere braccato… è stato più che sufficiente l’ultima volta. Inoltre ciò che ho da dirle può non significare proprio niente.»

«Posso solo dirle che farò del mio meglio.»

«Non mi basta.»

«E che cosa s’aspetta da me allora?»

«Un’assicurazione, per ora almeno, che quello che le dirò rimarrà tra noi due soli. Per lo meno fino a quando non avrà trovato qualche riscontro, poi ne parlerà solamente ai suoi capi o a persone comunque coinvolte nei casi.»

«Casi? Quali casi?»

«Solo uno per ora, ma forse ce n’è un altro.»

«Vorrei che mi dicesse di più.»

«Mi dà la sua parola?»

Overoy scrisse il nome di Childes su di un foglietto e lo sottolineò due volte. «Dato che non ho idea di che cosa lei stia parlando, sì. Ha la mia parola.»