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Il sollievo provato si univa alla tristezza per la bimba scomparsa. Egli conosceva il destino di Annabel. Aveva commesso un errore, era sua figlia la vittima predestinata, ma ormai anche l’altro sapeva dell’errore.
Amy parcheggiò la MG mentre Childes faceva il check-in al banco. Lo raggiunse nella sala d’attesa, nessuno dei due parlò molto mentre aspettavano che venisse annunciato il volo. Poi lei lo accompagnò al cancello tenendolo abbracciato.
Amy lo baciò teneramente prima di passare il varco e stringendolo a sé brevemente gli disse: «Chiamami se puoi.»
Lui annuì col volto tirato. Poi sparì attraverso il varco con altri passeggeri, la borsa da viaggio buttata dietro la spalla. Amy uscì dal terminal e rimase in macchina fin quando non vide decollare l’aereo. Aveva il volto coperto di lacrime.
Childes suonò il campanello e vide subito un movimento dietro i vetri. La porta si aprì e Fran lo guardò con un misto di contentezza e di mestizia negli occhi.
«Jonathan!» esclamò, facendo un passo come se volesse abbracciarlo; esitò, notando l’uomo accanto a Childes, e l’occasione del gesto si perse lì.
«Ciao Fran» disse Childes girandosi per presentare il suo compagno. «Ti ricordi l’ispettore Overoy vero?»
Prima confusa, poi ostile, Fran cambiò espressione mentre rispondeva. «Come non potrei?» digrignando i denti, interrogando con lo sguardo l’ex marito.
«Ti spiego poi» disse Childes.
Lei si scansò per lasciarli passare. Overoy le augurò la buonasera senza ricevere risposta.
«Andiamo nel soggiorno» disse Fran ma i passettini affrettati dal pianerottolo di sopra impedirono loro di fare come suggerito.
«Papà, papà» si udì gridare con gioia ed eccola arrivare lanciandosi dagli ultimi tre scalini verso le braccia protese di Childes. Lo strinse tutto bagnandogli le guance con le lacrime, gli occhiali spinti indietro sul viso. Lui chiuse gli occhi e la tenne stretta a lungo.
Singhiozzava mentre gli diceva. «Papà, hanno preso Annabel.»
«Lo so, amore, lo so.»
«Ma perché papà, perché l’uomo cattivo l’ha portata via?»
«Non lo sappiamo ancora. Vedrai, ci penserà la polizia a trovarla.»
«Ma perché non la lascia andare? La sua mamma piange, e io pure, è la mia migliore amica, lei.» Aveva il visino arrossato dal gran piangere, gli occhi gonfi sotto le lenti degli occhiali.
Posò la figlia in terra e si mise seduto sugli scalini accanto a lei, tirò fuori il fazzoletto e le asciugò le lacrime, poi le tolse gli occhiali e li pulì parlandole dolcemente. Le piccole dita rimasero strette attorno al suo braccio.
Overoy li interruppe. «Vado a fare una visita a questi signori… ehm…»
«Berridge!» suggerì Fran.
«Sì, vada pure!» gli disse Childes mettendo un braccio attorno a Gabby. «Ci vediamo quando ha finito.»
Con un cenno a Fran Overoy si voltò chiudendosi alle spalle la porta d’ingresso. Lei si alzò per girare la chiave.
«Che accidenti ci fa quello?» chiese adirata.
«Gli ho telefonato prima di partire» spiegò Childes. «È venuto a prendermi all’aeroporto e mi ha accompagnato.»
«Sì, ma cos’ha a che fare con tutto questo?»
Childes carezzò la testa della figlia e Gabby guardò prima lui poi la madre con una nuova ansia dipinta in viso. Lui non voleva una discussione di fronte a lei.
«Gabby, vai di sopra, io arrivo subito. Io e la mamma dobbiamo parlare.»
«Non vi strillerete mica però?»
Se lo ricordava ancora. «Ma no, certo che no. Solo che dobbiamo parlare di una cosa a quattr’occhi.»
«Sei occhi. Dovete parlare di Annabel?»
«Sì!»
«Ma è amica mia, anch’io voglio parlare.»
«Quando vengo su parliamo quanto vuoi.»
La bimba si alzò e prima di avviarsi si strinse forte al collo del padre. «Prometti di venire presto?»
«Prometto.»
«Mi manchi tanto papà.»
«Anche tu a me, passerottino»
Salì le scale voltandosi in cima per salutare prima di correre nella sua stanza.
«Gabriel!» chiamò Fran, «credo che sia ora che tu ti prepari per la nanna. Il pigiama rosa è nel primo cassetto.» Udirono quel che poteva essere una protesta, poi il silenzio.
«E stata una brutta giornata per lei oggi» commentò quando Childes si alzò in piedi.
«Brutta anche per te si direbbe.»
«Ma capisci l’inferno che stanno vivendo Melanie e Tony?». Si tenne ancora lontana per un attimo guardandolo incerta, poi si precipitò tra le sue braccia, la testa abbandonata sulle sue spalle. «Oh Jon, ma che bestialità orrenda.»
Lui la tranquillizzò accarezzandole i capelli. «Poteva essere Gabby, capisci?» ribadì lei. Lui rimase zitto.
«Strano, avevo sentito che c’era qualcosa che non andava stamattina. Gabby era giù a preparare il tè e io mi sono alzata per vedere perché ci metteva tanto». Rise stancamente. «Non ci crederai, aveva versato lo zucchero e lo stava pazientemente spazzando fino all’ultimo granello perché io non me ne accorgessi. Annabel dev’essere passata per il viale, non lo sa nessuno, nessuno l’ha vista, solo quello che l’ha portata via. Dio mio, quante volte glielo abbiamo detto di non uscire dal cancello.»
«Perché non beviamo tutt’e due qualcosa. Ci farebbe bene.»
«Avevo paura di bere il primo, non so se sarei capace di smettere, sbronza non sarei di molto aiuto a Melanie. Comunque adesso che ci sei tu va bene, sei sempre stato bravo a frenare i miei eccessi.»
Andarono nel salotto tenendosi come se fossero ancora amanti. Tutto era piacevolmente familiare a Childes, nonostante qualche oggetto d’arredamento fosse stato acquistato dopo che se n’era andato. Era difficile dimenticare cinque anni di vita lì; allo stesso tempo era una cosa lontana, non faceva più parte della sua vita, del suo mondo. Era un sentimento strano e non piacevole.
«Tu mettiti seduta, i drink li preparo io» le disse. «Sempre gin and tonic per te?»
«Sempre,» annuì Fran «fammelo bello lungo.» Si lasciò andare sul divano togliendosi le scarpe per raccogliere i piedi sotto di sé. «Jon, quando hai chiamato stamattina io non ti ho dato il tempo di parlare, però poi ripensandoci mi è sembrato che tu avessi già una voce angosciata, da come hai pronunciato il mio nome persino!»