124279.fb2
«Sì, certo. E Gabby, la tieni a casa allora?»
«Se credi, altrimenti potremmo trovargli una scuola vicino a casa di mia mamma.»
«Meglio ancora.»
«D’accordo allora!» Fran si passò la mano tra i capelli castani e sembrò rilassarsi un poco. «Vuoi un altro caffè?»
«No grazie. Sto crollando. Ti crea problemi se rimango qui stanotte?»
«Era previsto. Nonostante gli screzi che ci sono stati sei sempre il benvenuto qui.» Gli toccò la mano con un gesto un po’ incerto e lui rispose premendole la punta delle dita, brevemente. «Forse non è andata a finire troppo bene la nostra storia, ma c’è stato qualcosa di buono, no?»
Malgrado la stanchezza Childes sorrìse. «Sono stati anni belli Fran.»
«All’inizio.»
«Siamo cambiati, non ci si riconosceva più.»
«Quando…» iniziò a dire, ma lui l’interruppe.
«Acqua passata Fran.»
Lei abbassò lo sguardo. «Ti sistemo il lettino nella stanza degli ospiti, se è lì che vuoi dormire…» La frase rimase volutamente sospesa a mezz’aria.
Era tentato. Fran non era ceno meno desiderabile ora di quanto non lo fosse stata prima e le tetre emozioni della giornata li avevano lasciati entrambi bisognosi di affetto fisico. Passò qualche attimo prima che rispondesse: «Ho un buon rapporto sentimentale con un’altra persona da un po’ di tempo.»
Forse c’era una punta di risentimento nella voce di Fran. «Una collega, un’insegnante?»
«Come fai a saperlo?»
«Quando è tornata dall’ultima vacanza con te, Gabby non parlava d’altro che di questa maestra tanto simpatica che aveva incontrato. E da parecchio che andate avanti no? Non ti preoccupare, parla pure tranquillo, non sono più gelosa, oltretutto non potrei neanche permettermelo.»
«Si chiama Aimée Sebire.»
«Francese?»
«No, solo il nome. La conosco da un paio d’anni ormai.»
«Una cosa seria.»
Lui non rispose. «Io invece m’innamoro sempre di uomini sposati,» sospirò Fran, «non sono mai stata brava a scegliere.»
«Sei sempre molto bella Fran.»
«Ma non irresistibile!»
«In altre circostanze io…»
«Sì, non ti preoccupare, lo faccio apposta per metterti a disagio, l’indipendenza per una donna non è poi quella gran cosa di cui si dice, anche in quest’epoca. Avere un corpo caldo contro cui accoccolarsi nel letto, una forte spalla maschile su cui addormentarsi, sono ancora bisogni primari per noi sedicenti donne emancipate.» Si alzò lentamente dal tavolo e lui si accorse per la prima volta delle ombre scure che aveva sotto gli occhi. «Ci penso io alle lenzuola. Ancora non mi hai detto cosa pensate di farne del nostro amico orco, tu e il tuo compare Overoy». Si fermò sulla porta della cucina in attesa della risposta.
Egli si voltò sulla sedia per guardarla meglio e la risposta la raggelò.
«Finora mi ha sempre cercato ‘lui’, mi ha frugato nella mente ‘lui’: Overoy pensa che sia giunto il momento di invertire i fattori.»
Si svegliò all’improvviso sentendo la presenza di qualcuno lì nella stanza. Per alcuni secondi rimase disorientato, la poca luce dall’esterno era estranea, le forme nella stanza buia sconosciute. In un attimo ripercorse gli avvenimenti della giornata. Era a casa. No, non era a casa. Era temporaneamente tornato nella sua vecchia casa con Fran e Gabby. La luce veniva dal lampione sulla strada.
Un’ombra si avvicinò.
Childes si mise seduto di scatto, irrigidito dalla paura improvvisa.
Si sentì un peso sul letto e la voce bassa di Fran. «Scusa Jon, non ce la faccio a dormire da sola stanotte. Non arrabbiarti.»
Lui alzò le coperte e lei gli scivolò accanto avvicinandogli. La sottoveste era morbidissima contro la sua pelle.
«Mica dobbiamo fare l’amore per forza» bisbigliò. «Non è per questo. Basta che mi metti un braccio intorno e mi tieni stretta per un po’.»
Lui obbedì… e fecero l’amore.
Si svegliò di nuovo molto più tardi; era notte fonda, il sonno gli ottundeva la mente.
Una mano gli strinse la spalla, anche Fran si era svegliata. «Cos’è?» mormorò.
«Non lo so…»
Si udì di nuovo un suono.
«Gabby!» dissero all’unisono.
Childes si precipitò giù dal letto con Fran alle spalle, dirìgendosi di corsa verso la porta. Un freddo terrore gli faceva accapponare la pelle nuda. Cercò a tastoni l’interruttore della luce del corridoio, preso da una improvvisa vertigine, la luce gli fece strizzare gli occhi.
Videro la gatta nera fuori della porta aperta della stanza di Gabby, aveva la schiena arcuata, il pelo irto come tanti spilli. Fissava davanti a sé, gli occhi furenti, la mascella vibrante di rabbia con i dentini aguzzi.
Gabby gridò ancora, uno strillo acuto.
Il pelo della gatta si mosse come sfiorato dalla brezza, poi sparì lungo le scale.
Si affrettarono lungo il corridoio e quando entrarono nella stanza videro Gabby seduta sul letto. Guardava diritto davanti a sé fissando un angolo buio della stanza, la lampada da notte gettava lugubri ombre sul suo viso. Non li guardò affatto quando si avvicinarono al letto ma continuò a fissare sempre quello stesso angolo in ombra, dove sembrava vedere qualcosa. Qualcosa che né il padre né la madre potevano scorgere.
Quando Fran la prese tra le braccia, sbatté gli occhi come se si risvegliasse da un sogno. Childes la guardò preoccupato mentre si divincolava per cercare qualcosa dietro al comodino. Trovò gli occhiali e li inforcò scrutando nuovamente l’angolo della stanza.
«Dov’è?» chiese con la vocina piena di lacrime.
«Chi amore, chi?» chiese Fran stringendola a sé.
«È andata via un’altra volta, mamma? Era così triste!»
Childes sentì i capelli drizzarglisi sulla nuca, aveva la fronte e le mani madide di sudore.