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«L’omicidio di quei bambini?»
«Non è stato allora che sono riprese le visioni? Eppoi chissà quante altre volte ti era successo, e tu l’hai imputato a una semplice intuizione.»
Lui ci pensò su poi disse lentamente. «Forse c’è voluta un’altra mente per dargli il via.» E aggiunse sottovoce. «Qualcuno che ha trovato per caso il mio codice.»
«Cosa?»
«Una cosa che mi ha detto Fran, un paragone tra la mente e i computer con i loro codici d’accesso. Il paragone non è importante ma il principio potrebbe esserlo.» Tirò su le ginocchia improvvisamente. «Mi sono ricordato di un’altra cosa del sogno, se così si può definire. Il bambino mi ha visto. Si era accorto della mia presenza.»
Lei scosse la testa. «Non capisco.»
«Mi ha guardato dal letto. Io ho guardato me stesso. Amy! No, non ho sognato stanotte, è stato un ricordo. Io mi ricordo dello spirito di mia madre che veniva da me. Mi parlava del suo amore, del fatto che la morte non è la fine, e mi ricordo di altri occhi che mi guardavano quella notte. Ti giuro Amy, io ricordo quella notte dal punto di vista del bambino. Quegli occhi appartenevano a qualcuno che mi voleva bene, come mia madre. Amy, capisci adesso? Io avevo allora il potere di vedere il me stesso futuro! Sono pazzo Amy? O è questa la verità? Io ho avuto allora il potere di vedere me stesso nel futuro e oggi ho visto me stesso nel passato.»
Tremò e lei lo strinse forte. «Lo sento Amy, sento forte il potere in me. E… e…»
Davanti a lui c’era un bagliore, un vago baluginio, ma lui sapeva che era solo nella sua testa, non nella stanza. Prima piccolo poi sempre più grande, arrotondato, prendeva forma.
Una pietra di luna.
Ma no. Cresceva ancora, cambiava consistenza. Non era più una pietra.
Fessure e crateri ne segnavano la superficie. Catene di montagne gettavano ombre sulla sua superficie bianca.
Vedeva la luna.
E con quell’immagine lo colpì una sensazione di terribile paura.
Jeanette arrivò di volata attraverso l’aiuola circolare diretta al laboratorio di scienze, sperando che nessuno dei docenti la vedesse mentre calpestava quel sacro terreno. Girò attorno alla statua del fondatore della scuola, i capelli scuri al vento, i libri per la lezione successiva sotto il braccio. Fortuna che c’era informatica e che il professor Childes non si incavolava quasi mai, anche se ogni tanto diventava piuttosto severo quando le ragazze facevano troppo casino.
Con sollievo superò l’aiuola e arrivò sull’acciottolato dell’ingresso. Imboccò gli scalini a due a due, spinse il portone di cristallo e piombò su per le scale che portavano al primo piano dov’era l’aula di informatica che faceva parte dei laboratori di scienze. Quando fu quasi in cima inciampò lasciando cadere i libri, così dovette ridiscendere per raccoglierli tutti.
Fuori della porta dell’aula sostò un attimo per tirare il respiro e riassettarsi i capelli con le dita, poi entrò.
«Ciao Jeanette» l’accolse Childes con una smorfia. «Sei un po’ in ritardo.»
«Sì, mi scusi signore» disse lei, ancora trafelata nonostante la sosta. «Ho lasciato nel dormitorio il foglio del mio programma e non ho avuto tempo per andarlo a prendere prima.» Lo guardò un po’ preoccupata.
«OK,» le disse, «vediamo un po’, dovrai dividere una macchina con Nicole e Isobel. Poi toccherà a te. Spero che tu abbia un buon programma da sperimentare!»
«È un test di ortografia.»
Qualcuno ridacchiò. «Beh, certo che è un pochino elementare, Jeanette, comunque andrà benissimo» disse Childes e poi aggiunse a beneficio delle altre: «Ognuno ha i suoi tempi con i computer, non ci sono scorciatoie. Ci vuole un po’ prima che la logica della macchina diventi chiara a tutti; poi fila tutto liscio.»
Jeanette si mise su una sedia alle spalle di Nicole e di Isobel e vide che stavano facendo un gioco di anagrammi.
Childes passò di apparecchio in apparecchio, dando consigli o suggerimenti per migliorare i programmi delle alunne in modo da renderli più interessanti.
Sostò alle spalle di Kelly e sorrise con evidente piacere. Stava simulando i tempi di ingresso e uscita dal porticciolo turistico, sia delle barche a motore che di quelle a vela. Si era presa la briga di far visita alla locale capitaneria di porto per raccogliere i dati riguardanti le maree, i venti, i regolamenti portuali ed altro. Kelly si accorse del suo interesse e lo guardò con un sorriso.
Come al solito, pensò lui, sei sempre un po’ troppo presuntuosa Kelly, ma non c’è dubbio che sei la più brava. «Non c’è male Kelly, vedo che pensi al tuo futuro.»
«Proprio così, ma il mio yacht spero che sia alle Bahamas.»
Lui riuscì a trattenere una risata. «Sono sicuro che sarà così Kelly.»
Lei tornò a guardare lo schermo muovendo le dita agili e sicure sulla tastiera. L’unica macchia che aveva sulla mano era di inchiostro e lui si chiese, e non era la prima volta, cosa mai avesse provocato quella visione della sua mano bruciata qualche giorno prima. Le premonizioni non facevano parte del suo strano potere. Eppure da ragazzo aveva visto se stesso nel futuro. Era confuso e spaventato, ma non aveva più intenzione di soggiacere a questa maledizione, né al mostro che lo tormentava attraverso la mente. Childes aveva iniziato a sondare se stesso, una tattica che gli aveva suggerito Overoy. Cercare la mente pervertita del criminale. L’incendio del manicomio era ancora ufficialmente opera di ignoti, ma né lui né Overoy avevano dubbi; era opera dello stesso che aveva ucciso e mutilato prima. Forse avrebbe dovuto essere grato della fiducia che l’ispettore aveva in lui, e non c’erano dubbi che Overoy aveva fatto del suo meglio per evitare che Childes venisse collegato alla sparizione di Annabel. Overoy lo stava ripagando del fatto di non aver gestito molto bene la precedente vicenda. Ma Childes non si fidava comunque di quell’uomo. L’ultima volta che si erano parlati, appena tre giorni prima, Overoy lo aveva informato che gli era stato assegnato il coordinamento delle indagini riguardanti tutti e quattro i casi. Il suo coinvolgimento con Childes era il motivo principale dell’incarico; sfortunatamente non c’erano stati ulteriori sviluppi. Lui non poteva dirgli proprio niente altro, qualcosa che gli evitasse di fare la figura del cretino con i suoi superiori. No, non aveva altre informazioni, comunque gli aveva detto della strana apparizione della pietra che era poi diventata la luna stessa. Cosa significava? E che accidenti ne sapeva! No, non c’era stato nessun contatto con l’altra niente. Anzi, dopo aver accettato la realtà di questo suo potere extra-sensoriale Childes si chiedeva se il potere non lo avesse abbandonato, come un fantasma che scompare appena uno cerca di metterlo a fuoco.
Si chiese se non fosse tutto finito. Che quella creatura, come l’infanticida anni prima, non si fosse per caso tolta la vita, non avesse forse cessato di esistere? Erano finite le orrende visioni e gli incubi?
«Signore, signore!»
La voce di Kelly aveva interrotto i suoi pensieri. Lui la guardò e vide che si era di nuovo girata verso di lui, ma stavolta aveva uno sguardo perplesso.
«Cosa c’è Kelly?» le chiese alzandosi dalla cattedra.
«Il mio computer sta dando i numeri». Si voltò e pigiò con forza un tasto.
«Ehi, buona! Non te la prendere con il computer. Ricominciamo da capo con logica» le disse avvicinandosi.
Si sporse in avanti e si sentì gelare, ogni altra parola gli rimase in gola. Strinse la mano sullo schienale della sedia sentendo una leggera pressione alla mente.
«Perché hai scritto quella roba Kelly?» chiese, cercando di mantenere la calma.
«Io non ho fatto niente,» rispose lei indignata, «è apparsa senza preavviso e il resto è scomparso.»
«Lo sai benissimo che non è possibile!»
«Ma davvero, io non ho fatto niente!»
«OK! Cancella lo schermo e ricominciamo daccapo.»
La ragazza premette il tasto RETURN. Non accadde niente.
Childes pensando ancora che si prendesse gioco di lui si allungò e premette la stessa chiave. Non ebbe alcun effetto.
«Kelly, cos’hai…»
«Ma come facevo, io non so fare queste cose…»
«Va bene, va bene, cedimi il posto.» Childes si inserì al posto della ragazza, gii occhi fissi sul monitor. Stentava a credere ai propri occhi. Altre ragazze si erano avvicinate incuriosite. «Proviamo con il RESET» mormorò mantenendo calma la voce. Ma non poteva nascondere il sudore che gli imperlava la fronte. Premette il tasto. Lo schermo si cancellò e mi tirò un sospiro di sollievo.
Poi la parola riapparve.
«Ma perché fa così, signore?» chiese Kelly che sbirciava sorpresa e affascinata da sopra la sua spalla.
«Non ne ho idea,» rispose, «non dovrebbe poterlo fare. Potrebbe essere qualcuno che dall’esterno si è inserito nel nostro sistema.» Ma era poco probabile, pensò tra sé. Poi ripensò all’analogia di Fran. Sciocchezze, non c’entrava niente! Premette di nuovo il RESET.