124279.fb2 La pietra della Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 35

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La parola scomparve; poi riapparve.

«Non vorrei cancellarti il programma,» disse Childes a Kelly con la voce falsamente tranquilla, «ma ho paura di non avere altre soluzioni». Stavolta premette HOME. Lo schermo si cancellò, diventò grigio, vuoto. Lui si abbandonò sulla sedia.

Poi si irrigidì nuovamente quando vide risplendere dal buio la parola. Fissò Io schermo con gli occhi sbarrati. Era a lettere verdi:

MOON

Alcune delle ragazze si erano radunate attorno a loro ma da quelle rimaste al posto arrivavano gridolini sorpresi. Childes si alzò e andò di monitor in monitor. Su ognuno era stampata la stessa incredibile parola.

Con una disperazione che spaventò le ragazze, passò di banco in banco strappando le prese, togliendo corrente a ogni macchina, finché tutti gli schermi non furono grigi. Le ragazze si assieparono da un lato come se fosse impazzito.

Cautamente si avvicinò al computer dove aveva lavorato Kelly, si chinò e infilò la spina.

Lo schermo si accese, ma adesso la parola che lo aveva spaventato non c’era più.

Trovò Amy dopo la lezione, durante la quale era a malapena riuscito a mantenere una facciata di tranquillità davanti alle ragazze. Aveva spiegato che probabilmente il fenomeno era dovuto a qualche strana interferenza di qualche computer esterno al sistema. La spiegazione era poco credibile ma le ragazze sembrarono accettarla.

Childes fece salire Amy in macchina ringraziando il cielo che la lezione fosse finita subito prima dell’intervallo del pranzo, dandogli modo di allontanarsi. Non si fermò finché non arrivarono in un punto isolato sulla scogliera.

Spense il motore e si girò a guardare il mare. Dopo qualche secondo, quando ebbe ripreso a respirare normalmente, si voltò verso di lei e disse: «È qui Amy. È qui sull’isola.»

* * *

La giornata era perfetta. Appena qualche piccola nuvola bianca immobile contro lo sfondo azzurro limpido del cielo. Non si sentiva un alito di vento. Il sole come una palla di fuoco brillava dominando il mondo. Una leggera foschia si andava diradando sul mare rendendo altre isolette lontane appena delle macchioline indistinte.

Decine di motoscafi segnavano il mare con le loro scie spumeggiami mentre le vele cercavano invano una brezzolina con cui gonfiarsi. Sotto riva dei surfisti stavano cavalcioni delle loro tavole con le vele colorate pigramente adagiate sull’acqua. Le spiagge erano affollate mentre le insenature isolate rimanevano tranquille, rifugi ideali per coloro che ambivano alla tranquillità tanto da affrontare le impervie discese.

Sulla cima di una scogliera che dominava una di queste piccole baie si ergeva il collegio femminile La Roche, bianco edificio come un faro illuminato dal sole.

Un sabato ideale per il giorno delle premiazioni: tutti, docenti, studentesse e classi erano agghindati pronti per le ispezioni ufficiali. Era un giorno importante per la scuola, venivano assegnati premi e onorificenze, certificati di merito e attestati per i risultati raggiunti individualmente e in gruppi o squadre. Poi c’erano i discorsi, quello della preside, la signorina Estelle Piprelly, e quello di uno dei consiglieri, Victor Platnauer; poi ci sarebbe stata la recita della capoclasse, un resoconto in versi baciati (come voleva la tradizione) degli avvenimenti dell’anno. Era questa una prova di ingegno e costanza per la ragazza prescelta (e di grande pazienza da parte dell’uditorio), tutto per conquistare altri genitori paganti. Un giorno di grandi divertimenti anche: una serie di lotterie, giochi vari, una rivendita di divise di seconda mano, un banco di dolci e pasticcini, un altro di gelati e di fragole e panna, marmellata e caramelle, un banco di hot-dog e una grande grigliata di salsicce, un distributore di vino e bevande varie; vi sarebbe stato anche il saggio di ginnastica e il coro, poi un balletto popolare, il tutto tra i magnifici prati e le aiuole fiorite.

Una giornata in cui niente doveva andare storto, insomma.

Arrivavano frotte di genitori, nei parcheggi quasi al completo le auto manovravano per entrare in spazi angusti, le ragazze giravano tra la gente eccitate e nervose ma tutte cercando di mostrarsi a loro agio, molte civettavano nonostante la raccomandazione di comportarsi bene. Childes aveva abbandonato la sala dei computer appena era terminata l’ora obbligatoria messa a disposizione per i colloqui con i genitori. Scrutava con irrequieta attenzione il mulinio delle attività attorno a lui. Cercava di non farsi scorgere mentre fissava ogni viso che passava, ma più d’uno aveva mostrato un leggero imbarazzo nell’incontrare il suo sguardo indagatore.

A un certo punto anche lui si sentì osservato. Voltandosi si accorse che la signorina Piprelly, verosimilmente in conversazione con alcuni ospiti a pochi metri da lui, lo guardava intensamente.

I loro occhi si incontrarono e vi fu una sorta di riconoscimento, una comunicazione che non aveva mai sentito prima. Un velo di ansia passò negli occhi della preside e Childes la osservò mentre prendeva congedo dalle persone che aveva vicine, avviandosi verso di lui con quel fare impettito che la caratterizzava.

Rispose brevemente al saluto di altri visitatori con sorrisi gentili ma che non ammettevano ulteriori scambi, poi gli fu dinanzi e lo guardò in volto. Lui sbatté gli occhi colpito dall’energia che emanava, un’aura di vitalità piena di colori tenui. Era uno straordinario fenomeno che aveva più volte vissuto in questi ultimi tempi, sembrava una radiazione cangiante che fiammeggiava appena, poi scompariva nel momento in cui si tentava di osservarla meglio. Lui ne era affascinato e incuriosito assieme. Lo strano effetto svanì appena la Piprelly parlò.

«Gradirei che lei non rimanesse lì impalato a guardare la gente in quel modo, Childes. C’è forse qualcosa che non va?»

Quell’incredibile sapienza che aveva negli occhi! Egli cominciava a guardare la preside con occhi diversi, ne presentiva nuove e maggiori sensibilità sotto quella scorza apparentemente rude. Eppure il loro rapporto era sempre uguale, si chiedeva se per caso quel nuovo modo di vedere la donna non fosse dovuto a confusi sviluppi dentro se stesso.

«Signor Childes?». Attendeva ancora una risposta. Il bisogno di dirle tutto era irresistibile, ma quando mai gli avrebbe creduto? Estelle Piprelly era una preside razionale e con i piedi ben piantati per terra, energica e tenace nella sua ricerca della perfezione in campo didattico. Eppure c’era qualcosa in lei che smentiva questa immagine, qualcosa di impalpabile, di mimetizzato, che lui non riusciva a cogliere.

Sospirò spazientita. «Signor Childes!?»

«Mi scusi, ero sovrapensiero.»

«Sì, questo l’ho capito. Se permette si direbbe che lei sta poco bene. Ha un’aria un po’ esaurita, è qualche tempo ormai che l’ho notato. Da quando si è preso quei giorni di ferie, mi pare.»

Una breve malattia, aveva detto per giustificare il viaggio a Londra quando era sparita Annabel. «Niente di grave,» rispose con una scrollata di spalle, «ormai il trimestre è finito quindi avrò tutto il tempo di riposarmi.»

«Non si può certo dire che lei abbia lavorato a tempo pieno, comunque!»

«No, forse no.»

«Ma ha qualche preoccupazione» insisté lei. Lui tentennò, ma questo non era né il luogo né il momento per parlare in tutta franchezza. Probabilmente lo avrebbe allontanato dalla festa se l’avesse fatto.

«No, no. Stavo solo facendo una specie di giochino, con i genitori. Cercavo di accoppiarli ai loro figli. Ha mai notato come alcuni padri o madri sono identici alle ragazze mentre altri sono completamente diversi? È curioso no?»

Non sembrò molto soddisfatta della risposta ma aveva troppo da fare per poter perdere tempo. «Non lo trovo affatto curioso. Comunque le suggerisco di lasciar perdere il suo ‘giochino’ e di frequentare di più i nostri ospiti.» La preside si voltò e fece per avviarsi ma si fermò ancora e aggiunse: «Signor Childes, se ci fosse qualche problema me ne parli, sono sempre a disposizione per lei.»

Lui evitò il suo sguardo sentendosi a disagio. L’invito non era stato tanto casuale. Ma quante cose sapeva di lui?

«Me lo ricorderò» le disse e la seguì con lo sguardo mentre si allontanava.

Amy vide Overoy che tentava di sembrare un genitore in visita, ma appariva solo un poliziotto in borghese a caccia di borseggiatori, lo sguardo attento e l’aspetto lo tradivano subito. Non riuscì a trattenere un sorriso, ma forse lei lo vedeva così, perché sapeva chi era e cosa faceva lì. Riuscì a frenare l’impulso malizioso di chiamarlo ad alta voce «ispettore Overoy!». Decise invece di lasciare per un attimo il banco delle fragole e panna alle due tredicenni che le stavano accanto. «Fate da sole per un po’ e ricordatevi, solo quattro fragole per ogni coppetta altrimenti le finiamo subito e non ci guadagnamo niente. E attente al resto!»

«Sì signorina Sebire» risposero all’unisono felicissime di tanta autonomia.

Amy attraversò il prato salutando tutti i genitori che conosceva. Overoy era sotto un albero e sorseggiava vino da un bicchiere di plastica, con le maniche della camicia arrotolate e la giacca su un braccio.

«Fa caldo vero, ispettore?» lo salutò Amy avvicinandosi.

Lui si voltò con fare sorpreso. «Salve signorina Sebire, c’è parecchio lavoro a quel suo banco.»

«Fragole e panna vanno molto con una giornata così. Vuole una coppetta?»

«Molto gentile ma grazie, no.»

«Migliorerebbe il suo travestimento.»

«Sono molto ovvio, vero?», sorrise della presa in giro.

«Sarà perché io so chi è lei e perché è qui. Comunque gli altri non li ho notati.»

Lui scosse la testa facendo una smorfia. «Lo credo, sono solo qui, e sono fuori servizio. Non sono riuscito a convincere i miei capi ad affidarmi una squadra. Oltretutto non siamo competenti per il territorio dell’isola. Per fortuna l’ispettore Robillard è un vecchio amico, e così sono qui per un week-end di vacanza.»

«Mi pareva d’averlo visto insieme a sua moglie.»

«È qui anche lui fuori servizio, dà un’occhiata in giro.»

«Cercate il mostro?»

«È un po’ difficile quando non sappiamo come è fatto il nostro uomo.»

«Jon si rifiuta di ammettere che si possa trattare di un essere umano.»

«Me ne sono accorto.» Overoy si grattò la guancia e per poco non versò il vino. «Childes è un uomo strano per certi versi, signorina Sebire.»