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Childes vide gli occhi avvicinarsi, mentre la cosa, quell’orrenda cosa ghignante, allungava la mano con le dita forti, omicide, le unghie protese verso il suo collo, a lacerargli le carni.
L’auto sbandò di lato, strisciando contro una siepe. «Jon!!!» urlò Amy.
Gli occhi avidi. Dita d’acciaio gli strinsero la gola. Sentì un respiro fetido sulla guancia. Cercò di afferrare quella mano ma toccò solo il proprio collo.
La macchina sbandò ancora, colpendo un muretto basso. Un getto di scintille si levò dal cofano quando la Mini strusciò lungo i sassi. Rami e cespugli frustavano la carrozzeria.
Amy agguantò lo sterzo cercando di girarlo verso sinistra ma le mani di Childes erano arpionate al volante, rigide, il metallo lacerato stridette ancora.
Riusciva a malapena a respirare tanto gli stringeva la gola. Il piede destro era premuto a fondo sull’acceleratore nel tentativo di sfuggire al mostro ghignante sul sedile posteriore. Ma come poteva sfuggirgli se era lì in macchina con lui?
La strada faceva una curva. Lui girò un poco il volante ma non abbastanza per imboccarla. Inchiodò, spingendo il piede sul freno; ma era ormai troppo tardi. La macchina sbandò ancora, il muro sembrava balzarle incontro.
Dopo aver sbattuto in un angolo, l’auto si arrestò con un botto assordante. Childes si resse al volante e attuti il colpo tenendo le braccia leggermente piegate.
Ma Amy non aveva niente a cui reggersi.
Venne scagliata in avanti, il parabrezza le esplose intorno, urlava mentre volava oltre il muso della Mini. Cadde dolorante e insanguinata al di là del muretto.
Childes si piegò in avanti e si prese la testa tra le mani; il sordo pulsare gli provocava nausea. Sentiva anche un dolore nel petto, sapeva che aveva sbattuto contro lo sterzo della macchina. Ma lui era stato fortunato. Amy no.
Una porta in fondo al lungo corridoio si aprì e ne uscì un uomo in camice bianco. Il medico scorse Childes adagiato su un divanetto e allungò il passo verso di lui fermandosi a parlare con un’infermiera. L’infermiera proseguì entrando nella stanza da dove il medico era uscito. Childes fece per alzarsi.
«Non si muova Childes.» Il dottor Poulain si avvicinò e aggiunse: «Mi siedo volentieri anch’io, proprio una bella giornatina, non c’è che dire.» Si sedette con un sospiro di sollievo. «Anche per lei la si direbbe una giornata intensa.» Osservò Childes con occhio professionale. «È ora che dia un’occhiata anche a lei.»
«Mi dica come sta dottore.»
Poulain si passò una mano tra i capelli precocemente ingrigiti e sorrise all’uomo che gli sedeva davanti. «La signorina Sebire ha subito escoriazioni profonde al viso, al collo e alle braccia, un paio purtroppo lasceranno qualche piccola cicatrice. Ho dovuto toglierle dei frammenti di cristallo da un occhio, niente di cui preoccuparsi, erano rimasti in superficie, non è stata danneggiata né l’iride né la pupilla, quindi non dovrebbero esserci conseguenze. Danni solo superficiali, insomma.»
«Dio mio…»
«Sì, Dio deve averci messo lo zampino. Vorrei tanto che il governo dell’isola applicasse la norma ormai vigente in Inghilterra, di rendere obbligatorie le cinture di sicurezza, ma tanto continueranno a discuterne per anni.» Fece schioccare la lingua in segno di disapprovazione. «Comunque la signorina ha anche un polso fratturato e parecchie contusioni al torace e alle gambe. Nonostante tutto direi che è un ragazza molto fortunata.»
Childes tirò un sospiro di sollievo prendendosi nuovamente la testa tra le mani. «Posso vederla?» chiese, guardando di nuovo il medico.
«Mi dispiace, ma deve riposare, le ho fatto somministrare un sedativo, ormai sarà addormentata. Ha chiesto di lei prima, le ho detto che stava bene. Mi è sembrata molto contenta di saperlo.»
All’improvviso Childes si sentì totalmente esausto, le mani gli presero a tremare in modo irrefrenabile.
«Vorrei vederla in ambulatorio» suggerì Poulain. «Ha un brutto ematoma sulla guancia e anche il labbro mi sembra molto gonfio.»
Childes si toccò il viso e fece una smorfia quando trovò il gonfiore. «Devo aver girato la testa quando ho colpito il volante» disse premendosi leggermente il labbro gonfio.
«Faccia un respiro profondo e mi dica se fa male.»
Childes obbedì. «Un po’ indolenzito, ma nient’altro.»
«Mmm. Niente dolore, sicuro?»
«No, no.»
«Comunque è meglio controllare.»
«Sto bene, un po’ scosso, tutto qui.»
Il medico rise. «Un po’! I suoi nervi sono a pezzi, altro che scosso. Quando oggi pomeriggio è arrivato qui con quella ragazzina… Jeanette? Sì, Jeanette. Avevo suggerito che prendesse un sedativo leggero, ma lei si è rifiutato. Bene, adesso le consiglio qualche cosa di più forte, qualcosa da prendere quando arriva a casa, che la faccia dormire a lungo.»
«Credo che dormirò bene comunque.»
«Io non ne sarei tanto sicuro.»
«Quanto deve rimanere qui Amy?»
«Dipende molto da che aspetto avrà il suo occhio domani mattina. Ci vorranno un paio di giorni sotto osservazione, anche se non ci sono problemi.»
«Ma lei aveva detto…»
«Glielo confermo. Sono quasi certo che non ci saranno problemi per l’occhio, ma dobbiamo comunque essere cauti. A proposito, non ho ancora capito com’è avvenuto l’incidente.» Notò con sorpresa la paura alterare i lineamenti del viso dell’altro.
«Non glielo so dire dottore» disse lentamente Childes evitando lo sguardo del medico. «È successo tutto così rapidamente. Devo essermi distratto proprio mentre imboccavo quella curva.» Cosa poteva dire a Poulain di credibile? Che aveva visto degli occhi riflessi nello specchietto retrovisore, occhi osceni e malvagi che lo guardavano? Che nel sedile posteriore aveva visto qualcuno che non c’era affatto?
«Distratto da che cosa?»
Childes guardò il medico senza capire. «Da che cosa è stato distratto?» insisté Poulain.
«Non… non lo ricordo. Forse ha ragione lei, avevo i nervi scossi.»
«Adesso ha i nervi a pezzi non prima, prima era solo un po’ scosso. Mi scusi l’insistenza, Childes, ma conosco la famiglia Sebire da molti anni, e conosco Amy da quand’era una bimba, è qualcosa di più di un semplice interesse professionale. Stavate per caso litigando?»
Childes non riuscì a rispondergli subito. Il dottor Poulain continuò. «Vede, credo che lei dovrà probabilmente spiegare alla polizia quelle chiazze che ha sulla gola, che hanno tutta l’aria di essere delle contusioni e sembrerebbero indicare un tentativo di strangolamento; sono evidenti i segni della compressione.»
Per un attimo Childes fu colto da un panico selvaggio e terribile. Come poteva esserci un potere del genere? Non era possibile! Egli aveva sentito la mano, sentito stringersi le dita intorno al collo, ma in macchina c’era solamente Amy. Scacciò il panico. Nessuno, niente poteva lasciare dei segni semplicemente con il potere della propria mente. A meno che la vittima non fosse stata complice infliggendosi le ferite da sé.
Ma non ebbe il tempo di continuare nelle sue elucubrazioni, né il medico poté fare altre domande. Le porte dell’ascensore si aprirono per lasciar passare Paul Sebire e la moglie. Childes aveva chiamato casa Sebire al telefono appena giunto in ospedale. Aveva parlato con Vivienne Sebire, le aveva detto dell’incidente. La preoccupazione di Paul Sebire diventò immediatamente rabbia quando scorse Childes che si era alzato dal divano assieme al dottore.
«Dov’è mia figlia?», chiese il finanziere a Poulain, facendo finta di non vedere Childes.
«Sta riposando» rispose il medico, poi proseguì informandoli delle condizioni della figlia.
Sebire aveva il volto teso quando Poulain ebbe finito di parlare. «Vogliamo vederla.»
«Non è il caso adesso, Paul» disse il medico. «Starà dormendo, inoltre non vi aiuterebbe affatto, in questo tipo di incidente le lesioni sembrano spesso molto più gravi di quel che sono. Ho appena consigliato al signor Childes di evitare di darle disturbo.»
Sebire trasudava odio allo stato puro quando si girò a guardare il giovane. Vivienne prese velocemente il braccio di Childes. «Tu come stai Jonathan? Non mi hai detto molto per telefono.»
«Sto bene, è Amy che mi preoccupa.»