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«E la signorina Sebire può confermarlo? Lo ha visto anche lei?»
«Non lo so. No, non può averlo visto, era solo nel mio cervello. Ma io sentivo quelle mani strozzarmi, le sentivo!»
«Non è possibile!»
«Posso mostrarle i segni. Li ha visti anche il dottor Poulain». Si allentò il colletto e Overoy accese la lucetta interna. «Li vede?» chiese Childes.
«No Jon. Solo qualche graffio, niente ematomi.»
Childes girò lo specchietto e allungò il collo per guardarsi. Era vero, non aveva alcun segno sul collo.
«Mi porti a casa» disse esausto. «Facciamo questa chiacchierata!»
Era in piedi, nel buio dell’antica e solitaria torre. Era immobile, in silenzio, si godeva il vuoto. Il buio oblio.
Il suono delle onde che si infrangevano contro le scogliere più in basso entrava dalle aperture, echeggiando contro le pareti circolari, come tanti sospiri. La cosa nel buio si immaginò che fossero le voci sommesse di coloro che erano morti in mare, che si lamentavano in eterno dal loro limbo senza stelle. Il pensiero era divertente!
Un puzzo nauseante ristagnava tra le mura cadenti della torre, urina, feci e marciume, i rifiuti di coloro che non avevano interesse per i monumenti nè per la loro storia. Ma quegli odori non infastidivano la figura in agguato nel buio accogliente. Anzi, godeva di quel putridume.
Da qualche parte nella notte una bestiolina cadde vittima di un altro essere più veloce e più mortale.
Sorrise.
Le forze stavano crescendo. Quell’uomo era parte di questa costruzione. Ma non lo sapeva.
Ancora no. Ma ben presto lo avrebbe saputo.
E per lui sarebbe stato troppo tardi!
Estelle Piprelly scrutava il buio dalla sua finestra. La luna ammantata di nuvole dense rendeva tutto invisibile. I viali, gli alberi erano ancora lì, anche il mare che batteva contro la scogliera, ma per quanto la riguardava il mondo finiva dietro a quella finestra. Si sentiva così sola da riuscire quasi a credere che la vita fosse solamente un’illusione, un parto creativo della sua mente.
Ma non era la solitudine il problema, era abituata alla solitudine, quando non era impegnata in affollate riunioni di lavoro; no, era questo senso di vuoto minaccioso che risvegliava un’angoscia profonda, insopportabile. Gli umori della notte presagivano calamità.
Voltò la schiena alla sua immagine riflessa, la nota schiena diritta ora leggermente incurvata la faceva sembrare più fragile. Passeggiò per la stanza senza uno scopo preciso, senza un pensiero chiaro. Il viso era solcato da rughe di preoccupazione, le mani dentro le maniche del cardigan chiuse a pugno. Le labbra erano meno tirate, meno decise del solito.
Non era soltanto la notte tetra a turbare la preside del La Roche, nè tantomeno il silenzio inquietante. Proprio quella mattina aveva visto la morte affacciarsi nella sua scuola. Quel volto dissacrante era apparso nel viso di alcune ragazze. Così come da bambina, pur senza capire, aveva visto sui volti dei soldati che occupavano l’isola l’imminente massacro, oggi aveva visto la maschera della morte sul volto delle sue alunne.
L’agitazione montante la costrinse a sedersi. Sopra il camino un orologio a cupola con il quadrante di legno laccato scandiva il tempo. Lei si strinse addosso il cardigan coprendosi anche il collo. Il gelo le saliva da dentro.
La signorina Piprelly sembrava improvvisamente più vecchia, addirittura tremante sulla poltroncina. Rivolse la mente all’esterno, cercando disperatamente di percepire qualcosa, ma sapendo che le forze non le bastavano, che le sue capacità non arrivavano oltre un certo limite, non erano assolutamente paragonabili a quelle di Jonathan Childes. Era strano che proprio lui non sapesse quanto potere possedeva. Quell’uomo era un enigma preoccupante. Si voltò quando la finestra fu sfiorata da un ramo. S’aspettava quasi di vedere la Morte in persona.
La signorina Piprelly si chiese quanto fosse sicura la scuola; all’ingresso c’era un poliziotto di guardia, ogni tanto scendeva dall’auto accanto al cancello principale per pattugliare il parco; controllava tutte le porte e le finestre, e illuminava con la torcia i cespugli tutto intorno. Ma come poteva un poliziotto solo impedire a qualcuno di entrare in uno degli edifici con tutte le entrate che c’erano? La disposizione stessa del complesso della scuola rendeva difficile una sorveglianza accurata e offriva nascondigli a qualsiasi malintenzionato. Aveva parlato con l’ispettore Robillard proprio quel pomeriggio, pregandolo di provvedere (ma senza riuscir a spiegare le cause della sua preoccupazione), e lui l’aveva assicurata che la zona sarebbe stata ben sorvegliata e controllata. Che lo era stata da quando era stata aggredita Jeanette. Aveva detto di capire la sua preoccupazione ma di non condividerla, poiché era improbabile che il delinquente tornasse al La Roche adesso che sapeva che la polizia era all’erta. La preside sperava tanto che la calma sicurezza del poliziotto fosse giustificata.
Tornò a pensare a Jonathan Childes, come aveva fatto spesso negli ultimi giorni. Suo malgrado lei aveva dovuto chiedergli di allontanarsi dalla scuola, spiegando che non era sospeso dal posto, nè tantomeno sospettato di niente, soltanto che la sua presenza al La Roche sembrava aver messo in pericolo le ragazze e lei doveva innanzitutto pensare al loro benessere. Lei stessa, Victor Platnauer, e gli altri membri del consiglio avevano discusso il problema con l’ispettore Robillard ed avevano convenuto che sarebbe stato saggio tenerlo lontano dalla scuola per un po’ (evitò di dire che Platnauer aveva chiesto il suo immediato licenziamento). Dato che mancavano appena due settimane alla fine dell’anno scolastico, sperava che lui accettasse senza far difficoltà. E così fece, senza la minima esitazione.
Quando lo aveva ricevuto nel suo studio quel lunedì mattina, appena tre giorni prima, l’intensità del suo potere era sconcertante. Sembrava udire appena le sue parole, eppure non era distratto. Era evidentemente alle prese con una confusione interiore ma perfettamente conscio di ciò che succedeva intorno a lui. Era sicuramente scosso da quanto gli era capitato, la terribile esperienza di Jeanette e l’incidente con la signorina Sebire, tutto nello stesso giorno; sentiva comunque che il suo stato di evidente confusione non riguardava questi episodi. Quest’uomo stava sondando, lei lo aveva sentito dentro la sua mente, ma la ricerca era casuale, senza una precisa direzione. Lui aveva riconosciuto in lei il potere, ma non aveva detto nulla. In certi momenti lei aveva sentito una vibrazione circondarlo, un campo di energia psichica che si contraeva e si espandeva di continuo. La fluttuazione la turbava profondamente ma lui sembrava non accorgersi di queste invisibili emanazioni.
Il suo corpo sussultò violentemente quando la terribile violenza che si stava per scatenare la colpì, attraversandole il cervello come una lama di coltello rovente. Non pensava più al passato, il vero incubo era presente, in quel preciso istante.
Nella scuola si aggirava una presenza malvagia.
Le ombre nella stanza si fecero più cupe, i rintocchi dell’orologio più forti, e sembravano volerla intimidire, impedirle di ragionare.
La signorina Piprelly pensò di chiamare subito la centrale di polizia. Si alzò della sedia: dovette sforzarsi perché le ombre e il frastuono dell’orologio la sconvolgevano. Si avviò barcollando verso il telefono, ma non alzò il ricevitore, la mano sospesa a mezz’aria.
Cosa poteva dirgli, “per favore venite, sono sola e spaventata, c’è qualcuno nella scuola, qualcuno che vuole farci del male, le ragazze stanno dormendo e io ho visto la morte sui loro volti e sono così giovani, così innocenti, non hanno ancora vissuto, e non sanno di essere in pericolo…”: poteva dire così alla polizia?
Le avrebbero subito chiesto se aveva visto qualcuno. Il loro uomo non aveva comunicato niente di anormale, l’avrebbero chiamato via radio, ordinandogli di controllare di nuovo, e di fare rapporto. “Nessun problema signorina,” avrebbero detto — una vecchia zitella che aveva paura delle ombre —, “tutto a posto, il loro uomo era di guardia, poteva richiamare quando voleva!”.
Poteva mentire forse, dire che aveva sentito dei rumori. E se poi arrivavano in forze e non c’era segno di intrusi, allora cosa sarebbe successo? Sorrisetti ironici, sguardi di commiserazione? Risate divertite sulla via del ritorno?
Quest’ultimo pensiero la fece rinsavire. Drizzò la schiena e atteggiò il viso a maggiore durezza. Non poteva cedere così alla preoccupazione. La signorina Piprelly si diresse verso la porta. Avrebbe guardato in giro lei prima; poi, se trovava qualche traccia avrebbe chiamato la polizia. La minima traccia…
Ma quando aprì la porta per un attimo si perse di coraggio. Gli sembrò di essere stata sfiorata da una mano scheletrica.
Childes si svegliò.
Non c’era stato alcun incubo, nè demoni notturni, nessun orrore lo aveva destato. Aveva semplicemente aperto gli occhi di colpo ed era perfettamente sveglio.
Rimase steso al buio ascoltando la notte. Non c’era nulla che lo disturbasse, solo il vento, una brezza, un sussurro nell’aria.
Si alzò comunque dal letto, era nudo e sentì subito freddo. Rimase seduto sulla sponda incerto, indeciso, sentiva un’inquietudine strana roderlo dentro. La finestra era una macchia grigiastra nell’oscurità. Attraverso il vetro le ombre scure delle nubi si spostavano lentamente.
Cercò a tastoni gli occhiali, li inforcò e andò verso la finestra. Strinse forte il davanzale sentendo una morsa gelida e cattiva stringergli il petto.
Lontano, sulla scogliera, il La Roche era illuminato di rosso.
Ma non era come prima, stavolta non era il sole calante a illuminare gli edifici della scuola. Stavolta erano fiamme, che si alzavano lungo i muri uscendo dalle finestre in lunghe lingue di fuoco.
Mentre Estelle Piprelly scendeva, i passi insolitamente rumorosi nel silenzio dei corridoi e delle scale, colse un odore inaspettato. Un odore insolito perché fuori contesto rispetto all’odore del legno stagionato, della cera e dei corpi umani che vi regnava quotidianamente.
Questo odore non faceva parte di questa normalità. Sostò, poggiando la mano sul robusto corrimano, ascoltò quel silenzio spaventoso. Il puzzo, ancora indistinto poiché la fonte era lontana, era dolciastro e acidulo al tempo stesso, e le faceva venire alla mente una baracca in fondo al parco dove venivano riposti gli attrezzi da giardinaggio. Una vecchia baracca di mattoni piena di utensili, di tosaerba, di motoseghe e cose simili, che odorava sempre di terriccio, di grassi, e… di benzina.
Ora che l’aveva identificato l’ansia si moltiplicò; quel puzzo significava che forse le sua angosciose intuizioni non erano ingiustificate. Sentì improvvisa l’urgenza di ritornare sui suoi passi, risalire le scale fino all’ultimo piano dove dormivano le sue protette, svegliarle e condurle lontano. Ma una forza irresistibile la spingeva in basso costringendola a rinunciare al suo intento.
La curiosità si opponeva al raziocinio. Sentiva il bisogno di dare fondamento ai suoi sospetti. Non voleva essere accusata di aver gridato al lupo. Ma una vocina, appena un sussurro, sepolta nelle profondità della sua coscienza le suggeriva altrimenti, di seguire il morboso impulso di trovarsi faccia a faccia con quel fantasma che l’aveva costantemente ossessionata nei volti sconosciuti di coloro che sarebbero morti.
Proseguì la discesa.
Arrivata all’ultimo gradino, dove si apriva l’atrio con corridoi che si allungavano d’ambo i lati, sostò di nuovo e annusò l’aria arricciando il naso: l’odore ora era pungente. Le tavole del pavimento erano umide di un liquido appiccicoso. Dalle scale sullo sfondo arrivava della luce che rendeva più cupe le ombre in fondo ai lunghi corridoi. A una decina di metri davanti a lei le grandi porte doppie erano chiuse, sul muro accanto tutta una serie di interruttori.
Dieci metri non erano molti. E allora perché quello spazio le sembrava insormontabile? E perché il buio le pareva pieno di oscure minacce?
Perché era diventata una sciocca zitellona che tra non molto avrebbe controllato sotto il letto tutte le sere. No, si disse, non era questa la ragione. Quel buio era minaccioso, quello spazio era davvero incolmabile.
Ma non aveva alternative. Ritornare di sopra significava che sarebbe stato dato fuoco alla benzina. Accendere le luci poteva far uscire allo scoperto l’intruso, forse spaventarlo. Comunque le luci avrebbero attirato l’attenzione del poliziotto di guardia.