124279.fb2 La pietra della Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 43

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Un passo dopo l’altro sul pavimento viscido, e iniziò il lungo viaggio verso l’entrata. Si fermò di nuovo, a metà strada. Aveva udito qualcosa, o lo aveva piuttosto sentito? C’era qualcuno nel corridoio di sinistra? Non c’era un’ombra che si spostava nel buio? Riprese il cammino, il sottile strato di liquido era appiccicoso contro le suole. Allungò il passo nell’avvicinarsi alle porte.

C’era qualcuno in agguato nel buio, qualcuno che desiderava il male della scuola e suo. La sensazione di questa presenza era intensa, le opprimeva il petto facendola respirare a fatica. Il cuore aveva accelerato i battiti, le gambe tremavano così come le mani tese verso gli interruttori. La presenza era vicina, sempre di più, ancora invisibile ma protesa verso di lei, quasi la toccava.

Fuori! Doveva uscire di lì.

Avrebbe trovato la guardia, l’avrebbe chiamata, avvertita. Lui avrebbe saputo cosa fare, prima che la benzina prendesse fuoco! Li avrebbe salvati!

Era alle porte, quasi ci sbatté contro, cercò le maniglie, il catenaccio, piangendo di sollievo, quasi libera.

Si chiese brevemente come mai non fossero chiuse a chiave poi girò le maniglie e fu fuori, con un piccolo grido di trionfo e di paura. L’aria fredda le scompigliò i capelli.

Era lì, una forma indistinta sullo sfondo della notte, immobile e impassibile sulla soglia.

Le gambe della signorina Piprelly cedettero di colpo e le uscì appena un gemito quando la figura si protese verso di lei.

* * *

Childes frenò bruscamente la macchina davanti ai cancelli del La Roche, le mani irrigidite attorno al volante. Spalancò gli occhi quando guardò in fondo al viale illuminato dai fari. Gli edifici del college erano immersi nell’oscurità, la facciata bianca dell’edificio principale era ora di un grigio plumbeo contro il cielo denso di nuvole. Non vi erano fiamme alle finestre, nessun fuoco bruciava.

Non aveva udito sirene durante il percorso. Non aveva incrociato altri veicoli lanciati come lui disperatamente verso la scuola. Le strade erano vuote. E perché mai avrebbe dovuto accorrere qualcuno se non c’era nessun incendio? Scosse la testa, perplesso. Poi si accorse della macchina della polizia accanto ai cancelli, con le luci spente. Childes innestò la marcia e guidò la macchina lentamente avvicinandosi, quasi non volesse disturbare. L’auto era vuota.

O no?

Perché quel bisogno improvviso di scendere dalla sua auto a dare un’occhiata? E perché nello stesso tempo l’impulso di fuggire da questo luogo temibile appena illuminato dalla luna nascosta dietro i nuvoloni immobili e minacciosi?

Già… perché? rispose una voce cupa proveniente da un altro mondo.

Un fulmine lampeggiò brevemente, illuminando la massa densa delle nubi, una brezza vivace soffiò dal mare agitando le foglie e i rami, i fari della macchina formavano un solco luminoso verso la palazzina imponente sul fondo. Childes non aveva più dubbi, avrebbe guardato nell’auto poi sarebbe andato alla scuola; la storia era già stata scritta, aveva uno svolgimento predeterminato. Lui era ancora libero di scegliere, poteva cambiare idea quando voleva, eppure il destino gli intimava di andare. Lui lo avrebbe fatto, ma senza soccombere. Pregò di non soccombere.

Scese dalla Renault girandole attorno verso l’altra auto. Guardò attraverso il finestrino aperto. Il poliziotto era scivolato verso il basso, le ginocchia sospinte in alto dietro lo sterzo. In un attimo di panico isterico Childes credette che stesse dormendo, ma la macchia scura che gli si allargava sulla camicia bianca come uno sparato nero indicava diversamente. Allungò la mano e lo toccò stando attento ad evitare la viscida sostanza che defluiva dal collo. Non ci fu alcuna reazione, come del resto si aspettava. Prese la maniglia della portiera e tirò, aprendo lo sportello quel tanto che bastava per far accendere la lucina interna.

Il mento dell’uomo in divisa era appoggiato al torace e nascondeva alla vista la ferita sul collo. Era un po’ grosso come poliziotto, la lucina sul soffitto si rifletteva sulla sua calvizie. Aveva gli occhi mezzi aperti come se stesse guardando in basso verso la macchia cremisi sulla camicia. Le braccia serenamente distese lungo i fianchi, le mani aperte, rilassate; evidentemente la morte era sopraggiunta così rapida da inibire l’opportunità di una lotta. Appariva sereno, ignaro del proprio fato.

Childes richiuse la portiera, il tonfo sordo suonò come il coperchio di una bara. Si appoggiò al tetto della macchina con la testa tra le braccia incrociate. La vittima non si era minimamente resa conto di quello che le stava per accadere, poco abituata forse a una violenza siffatta. Stava sorvegliando la scuola, il gruppo di edifici, e forse i cespugli vicini attraverso il finestrino aperto in modo da poter udire anche eventuali suoni anomali. Non aveva quindi tenuto d’occhio la strada dietro a sé. Un coltello, un rasoio, una lama d’acciaio affilato, era sbucata attraverso il finestrino per recidergli la gola di netto, un movimento veloce, due, tre secondi appena. Se il poliziotto avesse tentato di gridare non sarebbe uscito altro che un gorgoglio strozzato da quel taglio profondo.

Era qui, nella scuola, l’essere che conosceva con il nome di MOON.

La coscienza di ciò gli crebbe dentro bloccandogli lo stomaco e i polmoni, che quasi non riuscivano più a pompare ana. Alzò la testa e osservò gli edifici in fondo al viale; i fari illuminavano solo la ghiaia, non riuscivano a penetrare fino in fondo quel buio tetro e pauroso.

Nella sua testa risuonò un gemito non suo. Era sfuggito a qualcuno che era dentro il college: dietro quelle mura austere qualcuno era terrorizzato a morte.

E qualcosa, lì dentro, godeva di quel terrore.

In quel momento dietro le finestre del pianterreno dell’edificio principale un bagliore arancione si propagò. L’incendio non era più soltanto una precognizione visiva della sua mente, era una terribile realtà.

* * *

La signorina Piprelly giaceva sul pavimento, incapace di muoversi, la testa piegata a un angolo grottesco. Era cosciente ma terrorizzata. Sapeva, ma in modo stranamente distaccato — poiché non c’era dolore, solo paralisi — di avere il collo rotto, le ossa spezzate facilmente da quelle mani rudi e robuste che l’avevano aggredita quando le gambe avevano ceduto. In quell’attimo terrificante la preside aveva compreso che l’intruso si era nascosto proprio dietro la porta d’ingresso quando l’aveva sentita arrivare.

La donna non aveva scorto il suo assalitore, ne aveva avuto solo un’impressione di pesantezza, una pesante massa inarrestabile che avanzava su di lei per ghermirla. Il respiro maleodorante, fetido, un grugnire soddisfatto; la torsione, lo schiocco delle sue vertebre quando la sua testa, serrata tra le grosse mani dai palmi duri come la roccia, era stata completamente girata all’indietro. La forma nera si era poi allontanata goffamente, un tonfo dietro l’altro dei passi sul pavimento. Poi era ritornata, le aveva versato addosso il liquido sui vestiti, tra i capelli, e lei aveva chiuso gli occhi. Giaceva lì, gli arti inutili, la voce appena un mormorio incomprensibile. Le pungevano gli occhi bagnati dal fluido che le scorreva giù dalla fronte. Li batté cercando di schiarirsi la vista ma la sensazione di buciore permaneva impedendole di vedere. Riusciva appena a intravedere la goffa figura in fondo al corridoio, urlò di paura, ma il suono rimase dentro di lei. Aveva intravisto un leggero bagliore. Un fiammifero acceso. Lo vide cadere a terra, e la fiammella sprizzare verso l’alto quando la benzina esplose.

Quella creatura illuminata dalle fiamme sorrideva… sogghignava… verso di lei!

Le fiamme serpeggiarono velocemente — così velocemente! — lungo il corridoio, verso il suo corpo disteso e inzuppato, e immobile…

* * *

L’incendio aveva invaso quasi tutto il pianterreno e si stava propagando ancora mentre Childes correva verso l’edificio. Le fiamme erano alimentate dai vecchi legni stagionati delle travi e dei pavimenti. Le finestre riflettevano una alla volta una vampa arancione, rossastra e vicino al nucleo del fuoco scoppiavano verso l’esterno gonfiate dal calore. Ormai vicino Childes si accorse che le fiamme già lambivano il primo piano. Si sentiva lo scampanellio degli allarmi antifumo. Quando arrivò sull’erba bagnata di rugiada quasi perse l’equilibrio; riuscì a rimanere in piedi quasi senza cambiare passo, passando attraverso l’aiuola circolare davanti all’ingresso dove la statua del fondatore del La Roche osservava impassibile l’incendio riflettendo anch’essa il rosso delle fiamme.

Childes salì gli scalini dell’ingresso sempre di corsa, aspettandosi di trovare il portone chiuso a chiave. Spinse una della maniglie di ferro e con sorpresa sentì che la porta cedeva. Una vampata di calore bruciante lo investì ricacciandolo all’indietro.

Schermandosi gli occhi contro il bagliore accecante, diede un’occhiata veloce all’interno. La pelle delle mani e del viso gli si ustionò leggermente, il respiro sembrava dita di fuoco cacciate in gola. Tornò fuori, la vernice della porta già iniziava a gonfiarsi e a spaccarsi, a sua volta prossima a prender fuoco.

La scalinata era in fiamme, e lì accanto alla porta intravide una massa annerita che ancora bruciava. Non perse tempo a chiedersi di chi fosse stato quel corpo.

Childes voleva scappare, andarsene dalla scuola, andarsene via, dovunque. Temeva per sé, ma si rendeva conto del pericolo che correvano gli altri, quelli che erano ai piani superiori: le ragazze del college e qualche membro del personale che era alloggiato al La Roche. Ormai i segnali di allarme dovevano averli sicuramente destati, sarebbero stati in preda al panico, spaventati a morte; avrebbero subito pensato alla scalinata principale che era la via di fuga più vicina, ma l’avrebbero trovata già invasa dalle fiamme; forse la paura avrebbe fatto loro scordare le procedure di emergenza tante volte eseguite con disciplina estrema.

Prima di dirigersi verso il retro dell’edificio dove si trovava la scala antincendio, Childes allungò il braccio nell’inferno di fuoco tirando a sé il grande portone, e urlò dal dolore nel toccare il metallo rovente. Tenendo duro richiuse la porta, appena un tentativo per evitare che il risucchio d’aria alimentasse le fiamme che minacciavano le scale. La porta rimbalzò contro gli stipiti, il legno ormai deformato. Childes lasciò perdere e scese di corsa le scale, correndo lungo un lato della scuola, passando sotto le finestre illuminate, curvandosi per evitare i vetri che andavano in frantumi.

Quando girò l’angolo venne investito da un freddo intenso, come se si fosse improvvisamente aperto lo sportello di un congelatore. Il sudore gli si gelò addosso. Era al buio, da quel lato non c’erano bagliori di fiamme, non ancora. Sul prato si riflettevano macchie di luce provenienti dalle finestre dei corridoi e dei dormitori. Tenendosi radente al muro Childes corse fino all’angolo successivo e scorse poco lontano la scala antincendio. Trovò la porta già aperta. Il vetro era già stato rotto all’altezza del lucchetto.

Childes non perse tempo a chiedersi chi fosse stato e perché; spinse la porta e cercò l’interruttore che sapeva essere lì a fianco.

Il fumo acre erano già penetrato fin lì, anche se non così tanto da essere preoccupante. I campanelli d’allarme, che all’interno erano molto più forti, non facevano altro che aumentare la sua paura con il loro suono stridulo e incessante. Affrontò comunque gli scalini di pietra a tre a tre, i suoi nervi scoperti lo rimandavano a un ricordo analogo appena tre giorni prima.

Stavolta però le vite in pericolo erano molte.

Il fumo si fece più denso mentre saliva e si poteva udire il frastuono scoppiettante delle fiamme. Poi delle voci, passi che scendevano, si avvicinavano, luci dall’alto. Intravide dei movimenti lungo le scale. Grazie a Dio stavano scendendo!

Sostò al primo piano scrutando il corridoio che si apriva alla sua destra. In fondo c’era l’inferno, il fuoco divorava tutto dal soffitto al pavimento. Il calore rovente rombava lungo il passaggio lambendolo.

Avanti, era sciocco fermarsi, anche un solo secondo. Era sciocco fermarsi per valutare il pericolo.

Le voci erano ormai vicine, forse solo un piano sopra di lui. Childes continuò a salire, il fumo gli bruciava gli occhi, l’aria stessa sembrava bruciare, inaridita, malgrado le fiamme fossero ancora lontane. Si chiese quanto si fosse propagato il fuoco. Poi vide apparire le prime figure barcollanti e corse loro incontro.

Una bambina di non più di dieci anni in camicia da notte e a piedi nudi, gli cadde tra le braccia, con il viso rigato di lacrime.

«Sei in salvo» le disse, guardando le altre assieparsi alle sue spalle. «Tra poco sarai fuori.»

«Signor Childes, Signor Childes, è proprio lei?». Si sentì chiamare da qualche parte. Un’altra figura si avvicinò. Come le ragazze era anche lei vestita da notte, e si stringeva addosso la vestaglia come se questa potesse difenderla dal calore montante. Portava un paio di scarpe da passeggio senza tacchi, tanto che per un attimo la scambiò per la preside, ma riconobbe subito Harriet Vallois, l’insegnante di storia che era anche una delle tutrici interne.

«Sono tutte uscite dai dormitori le ragazze?» urlò, per superare il clamore dei campanelli d’allarme e delle bambine terrorizzate. Alcune di loro tossivano, l’aria si faceva sempre più irrespirabile.

«La governante e la signorina Todd stanno controllando.» Il tremore delle labbra suggeriva che anche lei era ormai sull’orlo delle lacrime. «Mi hanno mandata avanti con questo gruppo.»

La prese per le spalle per sostenerla. «La signorina Piprelly è con loro?»

«No, no. Sono passata dalla sua stanza, ho bussato ma non c’era nessuno. Ho pensato che fosse andata direttamente nei dormitori… ma non era neanche lì.»

Quel corpo carbonizzato nell’ingresso!

Childes rabbrividì. Il corpo poteva anche essere quello del piromane, morto nell’appiccare il fuoco, chiuso nella sua stessa trappola. Non poteva essere certo che fosse Estelle Piprelly quel corpo annerito, non poteva essere! Eppure lui ne era sicuro, non aveva il minimo dubbio.

Harriet Vallois guardava disperata le scale, gli occhi sbarrati. «Porti fuori le ragazze!» le ordinò, stringendole forte il braccio. Il dolore la fece riprendere.