124279.fb2 La pietra della Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

La pietra della Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 5

«Perché, la mia sì? La preside non sarà proprio un ayatollah, ma qualche parentela c’è di sicuro.»

Lui scosse la testa sorridendo. «Non è poi tanto male. Un pò ansiosa forse. Tiene troppo all’immagine della scuola, ma la posso capire, ci andate giù duro con le scuole private in quest’isoletta.»

«Questo succede quando si è un paradiso fiscale. Comunque hai ragione, la concorrenza è spietata, e il consiglio d’amministrazione non perde occasione per ricordarcelo. Un po’ di solidarietà gliela do, ma…»

Si accorsero di una figura sull’uscio.

«Ti sei dimenticata qualcosa Jeanette?» chiese Jon, chiedendosi da quanto era lì.

La ragazzina lo guardò con timidezza. «Mi scusi, prof, credo di essermi dimenticata la stilo sul tavolo.»

«Okay, cercala pure.»

A testa china, Jeanette entrò nella stanza, a piccoli passi frettolosi. Era una fanciulla dall’incarnato olivastro, gli occhi scuri, un giorno forse sarebbe stata carina. Piccola per l’età che aveva, i capelli informi, senza traccia di uno stile. La giacca blu, troppo grande, la rimpiccioliva ancora di più. Aveva poi una timidezza tenerissima che Childes, qualche volta, trovava un tantino esasperante.

Si mise a cercare attorno al computer che aveva adoperato. Amy la guardava con un leggero sorriso mentre Childes si apprestò a staccare le prese dei macchinari. Jeanette sembrò non avere fortuna e finì per fissare avvilita il computer quasi che questi avesse misteriosamente ingoiato l’oggetto mancante.

«Niente?» chiese Childes avvicinandosi e chinandosi a sfilare la spina.

«Nossignore!»

«Certo che no. Eccola qui per terra.» Inginocchiandosi le porse la penna che aveva perduto.

Con un che di solenne, gli occhi bassi, Jeanette la prese. «Grazie» disse, e Childes fu sorpreso di vederla arrossire e fuggire dalla stanza.

Staccò la spina e si drizzò. «Cos’hai da sorridere?», chiese a Amy.

«Quella povera piccola ha una cotta per te.»

«Jeanette? Ma se è una bambina!»

«In una scuola per sole femmine, un maschio appena appena decente attira per forza l’attenzione, non te ne sei accorto?»

Alzò le spalle. «Un paio di loro mi avranno anche guardato strano, ma… e poi come sarebbe a dire appena decente?»

Con un sorriso Amy gli prese il braccio e lo condusse verso la porta. «Dai. La scuola è finita e io ho proprio bisogno di un po’ di pace. Una corsetta in auto e poi un gin and tonic con tanto ghiaccio prima di andare a casa per la cena.»

«Ancora ospiti?»

«No, no. Solo la famiglia stavolta. A proposito, sei stato invitato a cena questo fine settimana.»

Aggrottò la fronte. «Tuo padre ha cambiato idea?»

«Bah, non direi, gli sei comunque antipatico. Diciamo che c’è lo zampino della mamma.»

«Ah! Bene. Sono proprio contento!»

Lei lo guardò e gli fece una smorfia, stringendogli il braccio prima di affrontare il corridoio. Lungo le scale sentiva la scia di commenti sussurrati da numerose allieve, vide qualche gomitata. Lei e Jon si comportavano in modo molto formale quando erano in pubblico a scuola, ma bastava un passaggio in macchina a far correre le parole.

Raggiunsero le grandi porte a vetri dell’edificio, una struttura relativamente nuova che ospitava i laboratori di scienze, le aule di musica e di lingue. Era separata dall’edificio principale da un vialetto circolare con in mezzo un’aiuola. Al centro di quest’ultima una statua del fondatore del La Roche fissava stoico l’edificio primario come se dovesse tenere il conto di quanti passavano per il portone. Le ragazze si affrettavano attraverso il cortile, chi verso il parcheggio alle spalle del palazzo, chi verso i dormitori e le sale comuni nell’ala meridionale, un chiacchiericcio sfrenato dopo la lunga giornata di disciplina. L’aroma salmastro della brezza che saliva dalle scogliere era un piacere dopo il chiuso delle aule. Childes aspirò profondamente scendendo con Amy le scale di calcestruzzo della costruzione.

«Signor Childes, permette un attimo?»

Entrambi mugugnarono piano, la preside faceva cenno dall’altro lato del viale.

«Ti raggiungo» mormorò, accennando con la mano alla preside.

«T’aspetto vicino ai campi da tennis. Ricordati che sei più grosso di lei.»

«Ah sì? E chi lo dice?»

Si separarono. Childes seguì un percorso diritto, attraversò l’aiuola dirigendosi verso la preside che attendeva. La sua smorfia gli suggerì che avrebbe dovuto aggirarla. L’unica parola che ben si adattava alla signorina Piprelly era «diritta»: stava sempre eretta, si rilassava di rado, e aveva il volto particolarmente angoloso, quasi senza una curva, una morbidezza. Persino i corti capelli, tendenti ormai al grigio, erano pettinati in un’unica piega perfettamente parallela al terreno; le labbra sottili, pur senza essere cattive, non rivelavano tracce di umorismo alcuno. La montatura quadrata degli occhiali si sposava coerentemente alla generale linearità della donna. Persino i seni si rifiutavano di cambiare l’aspetto complessivo e Childes si era chiesto spesso se non fossero trattenuti mediante un artifizio. Quando era in vena di cattiverie aveva anche pensato che non li avesse affatto.

Aveva ben presto scoperto che la professoressa Estelle Piprelly, plurilaureata, sempre con lode, era meno severa di quanto sembrasse, anche se ogni tanto si lasciava andare.

«Mi dica signorina Piprelly» fece lui, fermandosi sullo scalino all’ingresso.

«Potrà sembrarle prematuro, ma sto preparando il corso di studi per l’anno prossimo, Childes, ed è necessario poter offrire tali informazioni ai genitori delle ragazze; inoltre il consiglio di amministrazione preme perché sia prima delle vacanze estive. Allora, stavo pensando che lei potrebbe dedicarci un po’ più del suo tempo dall’autunno prossimo. Pare proprio che i computer siano in auge, nonostante io non ne veda il motivo.»

«Beh, non so, lei sa che ho anche i corsi al Kingsley e al de Montfort.»

«Sì, ma so anche che le rimangono comunque parecchie ore libere. Sono sicura che potrebbe farci scappare qualche ora in più per la nostra scuola.»

Come si faceva a spiegare a una persona come lei che viveva solo del e per il proprio lavoro, che per lui non era affatto prioritario. Non più. Era cambiato, dentro, era cambiata la sua vita.

«Un pomeriggio in più, Childes, il martedi magari?». Lo sguardo teso non ammetteva rifiuti.

«Mi ci faccia pensare un poco», rispose lui guardandola irrigidirsi, infastidita.

«Bene, ma devo approntare la bozza del piano entro il fine settimana…»

«Glielo faccio sapere entro giovedì.» Sorrise, ma era seccato della nota di scuse nella propria voce.

«A giovedì allora.» Il sospiro sembrò un lamento esasperato.

Il colloquio era già finito, niente buongiorno, niente, come se lui non ci fosse più. La Piprelly stava richiamando un gruppetto di ragazze che come lui avevano attraversato il prato. Egli sgusciò via quasi di nascosto, ma poi allungò il passo cercando di apparire naturale.

Dopo aver sgridato il gruppo di ragazze (cosa che fece con poche secche parole e senza alzare la voce), Estelle Piprelly posò nuovamente lo sguardo sull’insegnante che si stava allontanando. Camminava con le spalle leggermente curve, studiando il terreno davanti a lui come se pianificasse ogni appoggio del piede, un uomo abbastanza giovane che a volte sembrava particolarmente logorato. No, forse logorato non era il termine giusto. C’era qualche volta un’ombra in quegli occhi, un’angoscia latente che balenava.

Aggrottò la fronte che si riempì di rughe, e con le dita stuzzicò sovrapensiero un filo che le pendeva dalla manica.

Childes la turbava, e lei non poteva spiegarsene la ragione. Era un ottimo professionista, meticoloso e benvoluto dagli allievi, qualche volta un po’ troppo benvoluto. La sua specializzazione era ai certo un’utile aggiunta ai corsi offerti dalla scuola; inoltre alleggeriva sicuramente il carico di lavoro degli altri insegnanti di scienze. Eppure, nonostante la richiesta di altre ore fattale dal consiglio, qualcosa nella sua presenza la rendeva irrequieta.

Tanto, tanto tempo fa, quando era una ragazzina lei stessa e l’isola era stata invasa dai tedeschi che intendevano adoperarla come rampa di lancio per l’attacco finale contro il territorio inglese, lei aveva sentito intorno a sé la distruzione imminente. Non che la cosa fosse imprevedibile con i tempi che correvano, ma alcuni anni dopo si rese conto di possedere un livello di sensibilità più elevato degli altri. Niente di eccezionale, non a livello di medium o di preveggente, semplicemente una sensibilità più percettiva. Si era poi attenuata, ma non era del tutto scomparsa col passare degli anni. Il pragmatismo della professione scelta contribuiva a reprimerla. Ma in quei giorni lontani aveva visto la morte nei visi di quei soldati tedeschi, una naturale premonizione nei loro passi, nei loro sguardi.

In modo diverso e confuso sentiva lo stesso anche in Childes. Benché fosse ormai scomparso alla vista, la signorina Piprelly rabbrividì.

* * *

Mentre tornava dal bar con i drink, aggirando tavoli e sedie da giardino, Amy si sciolse i capelli che le caddero sulle spalle in una lunga coda, trasformando una vecchia foggia in qualcosa di chic. C’era una sottile eleganza in Amy, innata, non ricercata, e Childes si trovò di nuovo a pensare che tutto sembrava meno che una insegnante, non di quelle che aveva conosciuto lui per lo meno. La sua pelle appariva dorata sotto l’ombrellone, gli occhi verdi e chiari e qualche ciocca chiara che le incorniciava il volto aumentavano l’effetto. Come sempre era poco truccata; questo vezzo la rendeva simile a qualcuna delle ragazze sue allieve, l’illusione confermata dai piccoli seni, appena un tenero gonfiore. Eppure a ventitré anni, undici meno di lui, aveva una maturità serena, di cui lui spesso si meravigliava; non sempre questa era messa in evidenza, poiché ella possedeva anche una innocenza maliziosa che esaltava ancora di più l’impressione adolescenziale. Ignara delle proprie doti, cambiava facilmente d’umore, lasciandolo sconcertato.