124279.fb2 La pietra della Luna - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 53

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La donna barcollò e stavolta fu lei ad aggrapparsi al parapetto. Ma un’altra figura eterea si fece avanti dietro al bimbo; era una donna, aveva il rossetto sulle guance come se una mano violenta glielo avesse spalmato sul viso. Il mascara le scorreva giù in grossi rivoli nerastri, dandole l’aspetto di un pagliaccio miserabile, buono solo per spaventare dei bambini. Come il bimbo era nuda, il busto aperto dallo sterno al pube; non aveva seni, al loro posto solo due ferite sanguinolenti. Dei punti di sutura grossolani si erano lacerati e lasciavano uscire vari oggetti, oggetti ridicoli, ma di cui nessuno era in vena di ridere: una spazzola, una sveglietta, uno specchietto, persino una radiolina a transistor. Si tirò i lembi della ferita come fa una donna con un cardigan quando ha freddo.

Negli occhi dal trucco sbavato un odio terribile per quella donna che le aveva torturato il corpo in quel modo, senza averne ancora pagato il prezzo.

La donna infagottata nella giacca a vento alzò una delle sue orrende, grasse mani come per allontanarli.

Ma ecco giungere un vecchio a inserirsi tra la prostituta grottesca e il bimbo tremante. Un sogghigno laido sul suo viso avvizzito. Un pigiama gli pendeva addosso dal corpo smunto, un bagliore negli occhi folli, ma uno sguardo pieno di una sorta di vitalità perversa. Sangue seccato gli macchiava il viso pallido, e la testa gli terminava un paio di centimetri al di sopra delle ciglia, segata via anch’essa, e piena di piccoli esseri che succhiavano e si nutrivano dell’ammasso gelatinoso. Balbettava continuamente cose senza senso come se quei parassiti gli avessero già messo fuori uso il cervello così esposto.

La donna gridò, un suono folle come il borbottio del vecchio, e Childes si ritrasse, rifiutandosi di credere ma sapendo che cosa stava accadendo.

Ora toccava alla donna gridare. «Non può essere vero!»

Le figure nebulose la accerchiarono, strappandole i vestiti, graffiandole la faccia con le unghie. Il bambino si mise in punta di piedi allungando una mano verso le nere cavità degli occhi come se gliene volesse strappare uno.

Lei lo respinse, ma lui si rifece sotto, e rideva dell’osceno gioco. La trascinarono in ginocchio, o forse cadde lei per la paura, e agitò le braccia gridando continuamente. «Non siete veri! Non potete esserlo!»

Si fermarono osservando quell’ammasso informe che era il suo corpo, l’uomo sogghignava sempre, la prostituta si reggeva il ventre e il bambino con la mano tesa reclamava il suo cuore.

«Illusione!» sospirò Childes, e la donna, o meglio quella cosa, gli gridò: «Falli andare via. Falli andare via!»

Per un attimo sembrò veramente che quelle forme svanissero, tornassero nel nulla, appena delle proiezioni mentali, incorporee e irreali.

Finché non apparve una figura minuta che si intrufolò tra il gruppo fino ad arrivare davanti all’obesa donna accucciata per terra.

La bambina indossava un vestitino verde e non aveva né scarpe né calze, né un maglione o una giacca per ripararsi dal freddo della notte. Una metà dei capelli erano raccolti in una lunga treccia, trattenuta da un fiocco. L’altra metà era slegata e in disordine, il fiocco si era perso. Aveva le guance umide, e con una mano cercava di asciugare le lacrime. Ma quelle manine non avevano dita: terminavano in cinque piccoli moncherini insanguinati.

«Annabel» chiamò Childes, con la voce rotta dalla tristezza.

«Voglio andare a casa adesso» disse la bimba, con una voce fina e acuta che gli ricordò quella di Gabby.

La donna alzò la testa e ululò, un lungo lamento di angoscia che si amplificò sulle distese di acqua e si trasformò in un pianto prolungato.

Il bambino affondò le dita nell’orbita dell’occhio fino quasi al polso, almeno così sembrò a Childes. Impossibile, si disse, era solo un incubo! Ma quando la mano scheletrita si ritirò ci fu un rumore come di risucchio e uno sgorgare di liquido scuro; le dita serravano qualcosa di tondo e lucido, un oggetto trattenuto da filamenti elastici che infine si spezzarono rimanendo a penzolare nel liquido vischioso.

La donna si mise in piedi brancolando con la mano per tamponare il sangue che le scorreva lungo la faccia. Urlò, pianse e pregò di essere lasciata in pace.

Ma non la volevano lasciare in pace anzi, l’assalirono con le mani protese.

Riuscì a divincolarsi, colpendo all’impazzata, fece cadere il vecchio cosicché l’ammasso putrescente nel suo cranio scoperchiato si riversò come un liquido da un buffo boccale. Lui si chinò sempre ghignante, sempre emettendo quella risata demenziale, raccolse il cervello semisfatto e lo rimise al suo posto nel cranio come ci si mette un cappello, come un vecchio che si rimette in posizione un parrucchino.

Childes si chiese se alla fine non era del tutto impazzito.

La donna indietreggiava, inciampò nelle gambe distese di Childes, agguantò il bordo del parapetto per rimanere in piedi, si ritirò verso il fondo della diga, verso la torretta, gli alberi fra i quali aveva sostato e si era nascosta prima. Le figure bianche illuminate dalla luna la inseguirono, gli occhi spenti fissi sul suo corpo, le braccia sempre tese in avanti, a ghermirla.

Solo la figurina che era stata Annabel rimase accanto a lui.

La donna fuggiva sempre, barcollando, e Childes la seguì con lo sguardo, detestandola per le atrocità che aveva commesso con quella sua mente perversa e straordinaria, ma non poté godere della macabra vendetta. Si teneva premuta una mano contro l’orbita svuotata, le dita macchiate di sangue nero, ma non smetteva di indietreggiare, di allontanarsi da quegli spettri. Infine voltò la schiena accelerando il passo, un terrore folle la spingeva a continuare, le gambe tozze dalle caviglie lardose quasi correvano.

Ma si arrestò dopo poco. Prese a rinculare sui gradini da cui poco prima era sorta come un demone dalla tomba infernale.

Cadde nelle braccia tese di coloro che la seguivano.

Childes vide allora cosa l’aveva spinta a retrocedere. Dai gradini altre figure spettrali salivano le scale. Prima erano apparse le teste, poi le spalle, i petti, non indossavano le camicie da notte in cui erano morte bruciate ma le divise della scuola. I colori vivaci del La Roche sui corpi anneriti, senza capelli, i crani carbonizzati e infossati; i denti esposti ghignavano, la carne pendeva in orridi lembi. Kelly indicava la donna con un braccio bruciato, mentre le compagne ridacchiavano come se la ragazza avesse appena raccontato una barzelletta sconcia…

… E la signorina Piprelly le guidava, la testa carbonizzata poggiata su una spalla come se dovesse cadere da un momento all’altro; gli occhi rivoltati in modo strano ardevano bianchi dalle ossa annerite, ed erano colmi di infinita tristezza, di pianto…

… e dietro la governante, che sospingeva le sue ragazze, e controllava che nessuna si smarrisse, che stessero tutte bene, che la carne a brandelli e le ossa offese non dolessero; il male era ormai dimenticato, sia per lei che per le ragazze…

Childes aveva la vista annebbiata senza le lenti, eppure tutto nella sua mente gli sembrava terso e chiaro come un cristallo. Persino quando gli occhi si riempirono di lacrime nel vedere, per un attimo fugace, tutti i loro corpi riprendere vita, nuovamente interi, le loro carni intatte e vitali: la testa di Estelle Piprelly eretta come il fiero busto, Kelly vivacissima ed impudente come sempre, il braccio teso snello e levigato. Ma giunte in cima ai gradini erano di nuovo carbonizzati e sfigurati cadaveri.

Le grida della donna si fecero stridule quando le figure la circondarono, i loro corpi esangui le stavano addosso, abbrancando, graffiando, picchiando, una pioggia di colpi che non avrebbe dovuto avere alcun effetto, ma che invece ferivano a sangue, facendo cadere la donna, quella bestia, a terra. Con un grosso braccio si riparava il volto, con l’altro continuava a coprire l’orbita svuotata. Childes si accorse che nella foschia alle spalle del gruppo inferocito, quasi una foschia egli stesso, c’era un uomo in uniforme, lo sfregio sanguinante aperto nella gola una ripetizione del suo mesto sorriso. Childes riconobbe il poliziotto che aveva trovato riverso nella sua auto nel parco del La Roche. Altre forme ancora si agitavano sullo sfondo dei boschi, ma queste davvero era informi, poco più che veli di nebbia sorgenti dalla superficie del lago. Ma tra quelle foschie provenivano risate e gemiti e un pianto dirotto.

Sempre prostrato contro il muro Childes guardò la scena, troppo spaventato per muoversi, per gridare, senza più un briciolo di forza. Accanto a lui la figurina silenziosa di Annabel.

La donna era appoggiata al parapetto, le enormi spalle piegate all’indietro nello sforzo di tenere lontane quella mani spettrali. Si voltò per coprirsi il volto e un fiotto di sangue le passò tra le dita scorrendo lungo il muretto, allargandosi in una macchia scura sulle lastre di cemento.

Avvenne tutto così rapidamente che Childes non sapeva bene cosa avesse visto, o forse sentito, il suo cervello insisteva che nulla di tutto questo era reale, che non stava accadendo proprio niente.

Forse era salita sul parapetto per sfuggire quelle figure.

Forse resa ancora più pazza dal dolore aveva deciso di buttarsi.

Oppure le figure che la circondavano avevano sollevato le sue gambe grosse come tronchi e l’avevano buttata giù.

Di fatto Childes vide la sua mole enorme scomparire e udì il suo grido echeggiare nella notte.

Chiuse gli occhi per non vedere quella follia, ma dietro alle palpebre chiuse vedeva ancora tutto. Era tutto ancora fi, nella sua mente assediata.

«Dio, Dio mio…» mormorò e riaprì gli occhi.

Le forme erano leggermente evanescenti, nebulose e tremule, raggruppate al centro del passaggio, ondulanti e trasparenti, come mosse, pareva, dalla brezza. Gli sembrò di udire altri suoni lontani, e delle luci. Annabel era sempre immobile al suo fianco, minuta e triste, il viso un’immagine fievole di infinita solitudine.

Childes esalò un respiro a lungo trattenuto. Chinò la testa sulle ginocchia, le braccia molli ai fianchi, le mani appoggiate sul cemento, le dita gelide e immobili. Era finita. Era esausto, si chiese se avrebbe mai saputo quale era stata la vera natura di quella donna deviata, demente, che aveva rappresentato per lui una tortura senza fine.

Una mente maniacale, sicuramente un mostro. Ma con uno straordinario potere, una forza psichica che aveva del demoniaco. Pregò che quel potere si fosse estinto, finito con la sua vita.

Ma sentì un formicolio insidioso e minaccioso sulla nuca.

Childes alzò la testa e scrutò le nebbie, lì dove era caduta la donna. La sua bocca si spalancò lentamente, gli occhi sbarrati, e presa a tremare come e più di prima.

Vide la grossa mano, le dita spesse che si aggrappavano all’orlo del muretto in una morsa carnosa. E la tenevano sospesa.

«No!» esclamò sottovoce, appena un sospiro sommesso. «No, no!»

Negli occhi spenti di Annabel non era forse apparsa una fiammella, un accenno di preghiera?

Childes si issò sulle gambe, cercò brancolante l’appoggio del muro, sembrava proprio che le gambe si rifiutassero di sostenerlo, ma la forza rifluì con il sangue negli arti intirizziti, quasi con dolore.

Rimase un attimo appoggiato al muretto poi barcollò verso la mano, le nebbie riprendevano le loro forme distinte, si aprivano per lasciarlo passare. Lo guardarono remote e impassibili; il ragazzino nudo stringeva qualcosa di bianco e di viscido nel fragile pugno, e tentava di ficcarselo in petto come se potesse sostituire il suo cuore perduto. La donna dipinta si teneva il ventre in cui si intravedevano strani oggetti angolosi, il torace smembrato era macchiato da due grossi ovali di sangue. Le ragazze e la governante erano corpi carbonizzati con le ossa esposte tra le carni annerite. L’uomo in divisa con i suoi due sorrisi, uno sopra al mento, l’altro sotto. Estelle Piprelly, intera, senza un segno, che guardò Childes negli occhi, comunicandogli una improvvisa emozione. Lo guardavano tutti, attendevano qualcosa.