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«Purtroppo non è così per tutti» spiegò Childes. «I ragazzi intendo, ci si illude se si crede che tutti i ragazzini abbiano una propensione naturale al calcolo e all’elaborazione elettronica.»
Tilly Platnauer ebbe un moto di sorpresa. «Io pensavo proprio che fossimo ormai nell’epoca delle guerre stellari, con tutti i ragazzini piccoli geni del micro-chip in confronto agli adulti.»
Childes sorrise. «Vede, siamo solo agli inizi. Poi i giochi elettronici non sono esattamente come l’applicazione pratica dei computer, sono comunque un buon inizio, ma il computer ha una logica assoluta e non tutti i ragazzi sono perfettamente logici.»
«Nemmeno molti adulti lo sono» brontolò Platnauer.
«C’è sempre il rovescio della medaglia, in un certo senso» continuò Childes. «L’industria dei divertimenti ha fatto in modo che il consumatore pensasse ai computer come a oggetti divertenti, e questo va bene, crea interesse. Poi il pubblico, i ragazzi nel caso nostro, scoprono che c’è da faticare prima di poter capire veramente come funzionano, e qui iniziano le defezioni.»
«Allora la risposta è iniziarne l’insegnamento in tenera età, così potranno diventare un fattore quotidiano della loro vita». Era stato Vigiers a parlare, con un accento che addolciva le parole senza deformarle.
«Giusto! Ma quella sarebbe una situazione ideale, dove il computer diventa un oggetto casalingo qualsiasi, un soprammobile, come la TV o lo stereo. Manca ancora un bel pezzo a quel tipo di situazione.»
«Motivo di più perché le nostre scuole diano ai nostri bambini modo di apprendere le nuove tecnologie mentre le loro menti sono ancora tenere e malleabili, non le pare?» insisté Platnauer.
«In linea di principio sì. Ma bisogna capire che non è una scienza alla portata di tutti. E sfortunatamente la microtecnologia diventerà sicuramente un fatto quotidiano tra una ventina d’anni, e ci sarà molta gente e molte aziende che rimarranno indietro.»
«Bisogna quindi assicurarci che i giovani di quest’isola non rimangano indietro» affermò Sebire e Platnauer annuì approvando.
Childes nascose la frustrazione. O non avevano capito o non volevano: la conoscenza della tecnologia si poteva insegnare con le buone o con le cattive ma se non ci si era portati era difficile da digerire.
Vigiers cambiò argomento. «Lei insegna anche scienze al La Roche, Jon?»
Rispose per lui, inaspettatamente, Sebire. «No, nient’affatto. Il signor Childes è un esperto di informatica, Edouard, una specie di genio, mi si dice.»
Childes lo guardò sorpreso. Chi lo dice, si chiese, Amy?
«Ah» fece Vigiers. «Allora sono ancora più curioso di sapere cosa l’ha portato ad insegnare ai giovani, non è quel che dite… dunque… un passo indietro? Giusto, sì? Mi scusi se sono indiscreto, ma un cambiamento netto di attività, une brusque changement de vie, diremmo noi, è sempre interessante, non è d’accordo?». Sorrise amabilmente e Childes si fece guardingo.
«Qualche volta ci si accorge che l’eterno gareggiare non è quel che fa per noi» rispose attento.
A Vivienne Sebire la risposta piacque e quindi aggiunse. «E chi potrebbe resistere alla quiete dell’isola, a dispetto di quello che fate voialtri affaristi per rovinarcela!». Lanciò un’occhiata intensa al marito.
La porta della cucina si aprì ed entrarono Amy e Helen con dei vassoi d’argento pieni di dolci.
«Altre delizie!» fece entusiasta George Duxbury. «In quale tentazione ci induci questa volta Vivienne?»
«C’è da scegliere» rispose, mentre i vassoi venivano posti al centro del tavolo. «Il cioccolato con le albicocche l’ho fatto io, il soufflé di lamponi è una specialità di Amy; naturalmente potete prenderli tutt’e due, se avete ancora posto.»
«Lo trovo, il posto!» l’assicurò Duxbury.
«Alla mia dietologa verrebbe un colpo se mi vedesse» disse la moglie allungando il piatto tra le risate di tutti. «Cioccolato con le albicocche grazie.»
Amy si mise seduta mentre Helen serviva. Vigiers si sporse verso di lei e le bisbigliò in tono confidenziale. «Io assaggerò il soufflé, ha un’aria invitante!»
Lei sorrise fra sé e sé. Edouard aveva una di quelle voci basse adatte alla vendita degli immobili in TV. «La mamma è una vera cuoca, io pasticcio solamente.»
«Sono sicura che lo sa fare molto bene. Suo padre mi diceva che anche lei insegna al La Roche.»
«Sì. Inglese e francese. Assisto anche nei corsi di dizione e recitazione.»
«Allora parla bene la mia lingua? Il vostro nome mi dice che siete di origine francese, sì? E se permette lei ha quel fascino particolare che hanno le donne del mio paese.»
«Fu proprio il vostro Victor Hugo che scrisse che queste isole erano brandelli di Francia raccolti dall’Inghilterra. Una volta facevamo parte del ducato di Normandia quindi molti di noi hanno antenati francesi. Alcuni degli anziani parlano ancora il ‘patois’, e sono sicura che avrà notato che i luoghi conservano il nome originale.»
«Siamo sempre stati un possedimento prezioso, per più di una nazione, Monsieur Vigiers» fece Grace Duxbury, che aveva ascoltato la conversazione.
«Mi auguro che il mio paese non vi abbia mai provocato fastidi» rispose lui con occhi divertiti.
«Fastidi?» rise Sebire. «Avete cercato di invaderci più volte, i vostri pirati hanno fatto scorribande per secoli, persino Napoleone ci provò, ma rimediò solo un occhio nero.»
Vigiers sorseggiò il vino con evidente spasso.
«Abbiamo comunque sempre molto apprezzato le nostre origini francesi,» continuò Sebire, «e devo dire che sono felice che i rapporti non si siano mai interrotti.»
«Mi pare di capire che i tedeschi non suscitano le stesse simpatie?»
«Decisamente no!» ringhiò Platnauer. «L’occupazione in tempo di guerra è ancora fresca nella memoria e poi ci sono tutti quei bunker e le difese costiere a ricordarceli. Devo dire però che non c’è animosità oggigiorno, alcuni veterani delle forze di occupazione tornano come turisti.»
«È curioso quanto quest’isola abbia sempre attratto l’uomo fin da epoche lontane» disse Sebire mentre sceglieva anche lui il soufflé. «Nel Neolitico arrivavano fin qui a seppellire i morti e a pregare i loro dei, vi sono ancora quelle massicce tombe di granito, l’isola è cosparsa di megaliti e menhir, quei massi che essi adoravano. Aimée perché non fai fare il giro dell’isola a Edouard domani? Lunedì deve tornare a Marsiglia e non ha ancora avuto il tempo di dare un’occhiata intorno. Che ne dici, Edouard?»
«Mi farebbe veramente piacere» rispose il francese.
«Mi dispiace ma io e Jon abbiamo altri impegni per domani». Amy sorrise ma lo sguardo che lanciò al padre era di ghiaccio.
«Sciocchezze!» insisté Sebire, cosciente del fastidio della figlia ma inamovibile. «Vi vedete sempre a scuola, e quasi tutte le sere mi pare, sono sicuro che a Jonathan non dispiace lasciarti libera qualche ora visto che il nostro ospite rimane così poco tempo.» Guardò ammiccante Childes in fondo al tavolo, egli stava conversando con Vivienne ma la sua attenzione venne immediatamente attratta dal sentire il proprio nome.
«Eh, sì, certo, cioè, sta a Amy decidere» disse incerto.
«Ecco fatto» fece Sebire sorridendo alla figlia. «Nessun problema!»
Imbarazzato Vigiers disse: «Ma non c’è problema, veramente, se…»
«Non c’è problema Edouard» lo interruppe Sebire. «Aimée è abituata ad intrattenere i miei ospiti d’affari. Ho spesso sperato che scegliesse la mia professione anziché l’insegnamento. Sarebbe stata un vero e proprio fiore all’occhiello per la società.»
«Sai bene che la finanza non mi dice nulla» rispose Amy, nascondendo la rabbia di non poter fare altro che accettare il ruolo impostole di guida turistica. Accidenti a Jon, perché non l’aveva tratta d’impaccio? «Mi piacciono i bambini, sono soddisfatta di fare qualcosa di utile. Non voglio criticare ma il vostro modo di fare soldi non mi gratificherebbe affatto, ho bisogno di un riscontro tangibile dei miei sforzi, non di cifre su un bilancio.»
«E ottiene questo con i suoi studenti?» chiese Vigiers.
«Sì! Con molti.»
«Con tutti, ne sono sicuro, se hanno te come educatrice.»
«Papà, non ho bisogno di uno sponsor!» minacciò lei.
I due uomini risero all’unisono e Grace Duxbury disse: «Non gli dar retta, Amy cara. Sono ambedue di quella razza quasi estinta che crede che gli uomini controllino il mondo. Mi dica, Monsieur Vigiers, ha avuto modo di provare i nostri ristoranti durante la sua sosta qui sull’isola? Come ha trovato la loro cucina in confronto a quelle, ottime, del suo paese?»