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Tanto per far compagnia a Cee, Ethan mangiò alcuni cubetti di fegato di pollo, qualche sottaceto e un po’ di cioccolato; poi si lasciò convincere ad assaggiare i vini. Il chiaretto era aspro e scadente malgrado il prezzo, ma il Borgogna gli parve ben invecchiato e lo Champagne (come dessert) risultò all’altezza della sua fama. La leggerezza di cui si sentiva preda lo avvertì poi che quell’assaggio era già andato troppo in là. Si chiedeva come reggesse allo sforzo Cee, che seduto di fronte a lui mangiava e beveva doverosamente tutto ciò che poteva.
— Comincia a sentire qualcosa? — gli domandò Ethan. ansiosamente. — Vuole che le apra questo vasetto di aringhe? Ancora un po’ di formaggio piccante? Un bicchiere di birra?
— Un’insalata di pillole anti-nausea? — propose Quinn, premurosa. Ethan la guardò con disapprovazione. Cee rifiutò le loro offerte con un gesto e si pulì la bocca, deglutendo un ultimo boccone.
— Sono sazio, grazie — disse. Si massaggiò la nuca e il collo, e dal suo grugnito diagnosticò un incipiente mal di capo. — Dottor Urquhart, lei è certo che neppure una parte delle colture ovariche ricevute da Athos erano quelle spedite da Casa Bharaputra?
Ethan aveva l’impressione di aver risposto un milione di volte a quella domanda. — Ho aperto il contenitore io stesso, e in seguito ho esaminato il materiale ricevuto dagli altri centri. Non si trattava neanche di colture, ma di semplici pezzi di ovaie e carne morta.
— Janine…
— Se la sua, uh, donazione d’organi è stata usata per produrre cellule-uovo…
— È stata usata. Tutte e due le ovaie.
— … in tal caso non era nei contenitori. Neppure una frazione.
— Io stesso ho assistito al confezionamento dei pacchetti sigillati — disse Cee. — Ero presente quando i contenitori sono stati spediti, al reparto merci dello spazioporto, sul Gruppo Jackson.
— Questo restringe, anche se di poco, il tempo e il luogo dov’è avvenuta la sostituzione — disse Quinn. — Può essere accaduto qui su Stazione Kline, nei due mesi che il materiale ha trascorso in magazzino. Ciò lascia, se ricordo bene, uh, 426 astronavi di cui andrebbe riesaminata la lista dei passeggeri e il carico. — Sospirò. — Un lavoro, sfortunatamente, oltre le mie possibilità.
Cee versò del Borgogna in un bicchiere di plastica e bevve ancora. — Oltre le sue possibilità, o semplicemente di nessun interesse per lei?
— Mmh… e va bene, entrambe le cose. Voglio dire, se io volessi davvero rintracciare quel carico potrei aspettare che sia Millisor a fare il lavoro e limitarmi a tenerlo d’occhio. Ma l’interesse delle colture ovariche sta soltanto nel fatto che contengono un materiale genetico il quale, se ho capito bene, è anche nelle sue cellule. Una manciata di capelli o una provetta del suo sangue potrebbero bastarmi. Oppure, per fare meglio le cose, un po’ di… — Tacque, lasciando che Cee capisse a quale altro tipo di prelievo stava alludendo.
Il giovanotto cambiò discorso. — Io non posso aspettare che Millisor rintracci quelle colture. Appena lui e la sua squadra avranno finito i loro controlli sui passeggeri arrivati di recente, sapranno che io sono qui su Stazione Kline.
— Lei ha ancora un certo margine di tempo — osservò Quinn. — Sono certa che i cetagandani sprecheranno delle giornate dietro quel povero innocente di Teki, per scoprire se lei lo contatta. Forse si annoieranno al punto di rinunciare e andranno via da qui — si augurò, — risparmiandomi così di completare un lavoro antipatico per conto di Casa Bharaputra.
Cee si volse a Ethan. — Athos non vuole il materiale che ha ordinato e pagato?
— Ci abbiamo rinunciato. Ritrovarlo significherebbe risparmiare la spesa di un’altra ordinazione, ma temo di non vedere dove starebbe il nostro guadagno se Millisor venisse a cercare quelle ovaie su Athos, seguito da un esercito e con propositi di genocidio nella mente. È così ossessionato dal timore che qualcuno possa averle, che… in realtà vorrei potergli consegnare io stesso quella dannata roba, per assicurarmi che Athos si liberi di lui una volta per tutte. — Allargò le mani verso Cee. — Mi scusi, ma le cose stanno così.
Cee sorrise mestamente. — Non si scusi per la sua onestà, dottor Urquhart. — In tono più teso continuò: — Ma lei deve capire che non possiamo permettere che quel complesso genetico cada nelle loro mani. La prossima volta saranno molto più sottili nell’assicurarsi che i telepati siano schiavi fedeli dei Ghem-lord, e non ci sarà limite all’uso corrotto e mostruoso che sapranno farne.
— Possono davvero allevare esseri umani privi di libero arbitrio? — domandò Ethan, con un brivido. La vecchia frase "È un abominio agli occhi di Dio il Padre" sembrava riempirsi di un significato molto reale e inquietante. — Devo ammettere che l’idea non mi piace affatto, seguendola fino alle sue logiche conclusioni. Macchine di carne, capaci di…
Quinn lo interruppe, dal letto, in un tono che Ethan cominciava a riconoscere come il prodotto di un pensiero assai rapido: — A me sembra che il genio sia ormai uscito dalla bottiglia, sia che Millisor ritrovi o non ritrovi quel materiale. Millisor pensa in termini di operazione da controspionaggio, per semplice abitudine di lavoro. Lo cerca con tanto accanimento solo per assicurarsi che nessun altro lo abbia. Ma ora che Cetaganda ha ottenuto un certo risultato scientifico, dimostrando che è possibile, è solo questione di tempo prima che qualcun altro lo replichi. Dieci anni, venti al massimo. Quando i cetagandani avranno schiere di telepati con cui schiacciare l’opposizione al loro regime, ci saranno già eserciti di telepati liberi che si opporranno ad essi. — Il suo sguardo scrutò Cee come se cercasse qualche punto del suo corpo da cui prelevare subito un po’ di preziose cellule.
— E cosa le fa pensare che al servizio del suo ammiraglio Naismith farei qualcosa di meglio di quando lavoravo per i cetagandani?
Quinn si schiarì la gola. Il telepate le stava leggendo nella mente fin da quando aveva cominciato a far domande, comprese Ethan, e lei se ne rendeva conto.
— In questo caso, spedisca un campione del suo tessuto organico a tutti i governi della galassia, se preferisce. — Ebbe un sogghigno lupesco. — Millisor sarà richiamato in patria per riscuotere il prezzo del suo fallimento, lei avrà avuto la sua vendetta, e Athos tornerà ad essere un posto privo d’interesse per tutti. Mi sembra una soluzione rapida ed efficiente.
— Una soluzione da cui nascerebbero cento razze di schiavi? — disse Cee. — Cento minoranze di mutanti, temute e odiate, o controllate da regimi dittatoriali con tutti i mezzi ritenuti necessari dai loro padroni? Schiavi alla catena… o esseri umani destinati a fuggire in eterno, sempre incalzati da chi li teme troppo per consentire che esistano?
Ethan non aveva mai immaginato di trovarsi all’incrocio di eventi decisivi per la storia umana. Il guaio di quella posizione, scoprì, era che in qualsiasi direzione uno guardasse vedeva davanti a sé un pendio scivoloso, un percorso incontrollabile verso lo strano genere di futuro in cui avrebbe dovuto vivere. Non era mai stato così ansioso di pregare, né così incerto se questo sarebbe servito a qualcosa.
Cee scosse il capo e bevve ancora. — Per me, io ne ho abbastanza. Non voglio più saperne. Tre anni fa ho camminato nel fuoco, ma lo facevo solo per Janine.
— Ah — disse Quinn. — Janine.
Il giovanotto la fissò con occhi duri. Non era per niente ubriaco, comprese Ethan. — Lei vuole la sua libbra di carne, mercenaria. Le faccio il prezzo, allora. Mi trovi Janine.
Quinn storse le labbra. — Ciò che ne resta, vuol dire, nelle colture che gli athosiani hanno ordinato come spose-in-vitro? È un problema. Si arrotolò una ciocca di capelli intorno a un dito. — Lei si rende conto, suppongo, che la mia missione qui è finita. Ho già fatto il mio lavoro. Potrei metterla fuori combattimento con lo storditore lì dove si trova, prelevarle un campione di tessuto e sparire prima che lei si svegli.
Cee si agitò, a disagio. — E allora?
— Gliel’ho detto perché lei capisca i fatti.
— Cosa vuole da me? — la sfidò Cee, rabbiosamente. — Pretende che io mi fidi di lei?
Quinn strinse le labbra. — Lei non si fida di nessuno. Non lo ha mai fatto. Però si aspetta che gli altri si fidino di lei.
— Ah — disse Cee. annuendo seccamente. — Si riferisce a questo.
— Lei dica ad altri una sola parola di questo — sorrise Quinn a denti stretti, — e io organizzerò per la sua persona un’uscita di scena ancor più completa di quella di Okita
— I suoi segreti e quelli del suo ammiraglio non hanno il minimo interesse per me — disse Cee rigidamente. — Sono cose poco rilevanti in questa situazione, comunque.
— Sono rilevanti per me — borbottò Quinn, ma gli concesse un cenno d’assenso, accettando la sua implicita assicurazione che avrebbe rispettato il silenzio.
Tutti i peccati che Ethan aveva commesso o contemplato gli balzarono alla mente, fuggendo dalle stanze del suo passato in cui li aveva chiusi e nascosti. Capiva bene da cosa nasceva la minaccia di Quinn. Ed evidentemente questo suo sentimento non sfuggì a Cee, perché il giovanotto biondo distolse lo sguardo dalla mercenaria e si girò verso di lui.
All’improvviso Ethan si sentì spaventosamente nudo. Tutte le cose a cui avrebbe voluto evitare di pensare sembravano affollarsi nella sua testa. L’affascinante bellezza fisica di Cee, ad esempio, la sua personalità intelligente e nervosa, quei meravigliosi occhi azzurri… Ethan maledisse il debole che aveva per i ragazzi biondi e snelli, e distolse a stento la mente dalle immagini di un rapporto sessuale. Dopo essersi visto nudo nelle sue fantasie erotiche, Cee non si sarebbe più lasciato ingannare dalla sua distaccata aria professionale da medico. Ethan invidiò disperatamente l’indifferenza e l’autocontrollo di Quinn.
Ma poteva fare di peggio. Poteva pensare a quanto fragile era la protezione di Athos che lui doveva teoricamente fornire a Cee, come ricompensa per tutte le cose che il telepatc gli aveva rivelato. Quanto si sarebbe sentito tradito e in pericolo Cee, dopo aver capito che l’asilo politico di Athos consisteva nelle chiacchiere di uomo incapace perfino di proteggere se stesso? Ethan arrossì, ancor più vergognoso di prima, e abbassò lo sguardo sul pavimento.
Stava per lasciare Cee all’eccitante vita avventurosa dei Mercenari Dendarii ancor prima di aver avuto la possibilità di parlargli di Athos… i mari azzurri, le tranquille cittadine, l’ordinata vita sociale, le fattorie nelle regioni terraformate. e oltre quei confini le zone desertiche coi loro affascinanti aspetti climatici e le bizzarre comunità di Emarginati… i saggi, anche se scostanti, eremiti che si davano alla contemplazione, i fuorilegge… Ethan immaginò se stesso mentre conduceva Cee in barca sulla costa della Provincia Meridionale, per mostrargli i recinti sommersi degli allevamenti di pesce di suo padre (Cetaganda aveva mari?) gli operai abbronzati dal riflesso dell’acqua salmastra, il duro lavoro sotto il sole caldo, e la birra fresca bevuta di sera sotto un pergolato.
Cee ebbe un fremito, come un uomo che si distogliesse con uno sforzo da un sogno indotto dalla droga. — Ci sono mari su Cetaganda, sì — mormorò, — ma io non li ho mai visti. Ho sempre vissuto nei corridoi, nei laboratori, nelle prigioni.
Il rossore di Ethan si estese al collo e agli orecchi. Si sentiva trasparente come vetro.
Quinn, che lo guardava, ridacchiò senza alcuna allegria per comunicargli che capiva perfettamente. — Signor Cee, credo che il suo talento non le procurerà molti inviti ai ricevimenti della buona società.
Il giovanotto parve tirarsi fuori dal bozzolo dei pensieri altrui con uno sforzo di volontà. Ethan ne fu sollevato.
— Se potete dare asilo politico su Athos a me, dottor Urquhart, perché non prendere anche l’eredità di Janine? E se non potete proteggervi da Millisor, perché suppone di…
Il sollievo di Ethan abortì. Ma ormai mentire sarebbe stato assurdo. — Io non riesco ancora a immaginare come uscire vivo da questo guaio — ammise, sconfortato. — figuriamoci come tirarne fuori lei. — Diede uno sguardo a Quinn. — Ma non ho intenzione di gettare la spugna. Il mio lavoro non è finito.
La mercenaria alzò un dito a indicare che accusava il colpo. — Potrei farvi notare, signori, che prima di pensare a cosa fare con quel materiale genetico bisogna scoprire se esiste ancora e dove lo hanno portato. Ora, in questa dannata equazione sembra che manchi un elemento. Cerchiamo di restringere il campo d’indagini. Se Millisor non ha quel carico, chi può averlo?
— Chiunque abbia scoperto di cosa si trattava — rispose Cee. — Governi planetari rivali. Organizzazioni criminali. Flotte di mercenari indipendenti.
— Badi a chi mette nello stesso mazzo, Cee — brontolò Quinn.
— Casa Bharaputra sapeva di che si trattava — suggerì Ethan.
Quinn sorrise a mezza bocca. — E loro appartengono a due di quelle tre categorie, essendo sia un governo privato sia un’organizzazione criminale… ahem. Scusate i miei pregiudizi. Sì, alcune persone di Casa Bharaputra sapevano probabilmente anche quello che lei, Cee, non ha voluto dir loro. Ma ormai costoro sono morti e sepolti. A quanto ho capito io, Casa Bharaputra non sa più quale uovo aveva covato. I dirigenti con cui ho parlato non mi hanno certo messo a parte dei fatti loro, però devo presumere che se avessero saputo quant’erano importanti quelle colture mi avrebbero chiesto di mettere nelle loro mani Millisor vivo, per poterlo interrogare, invece di ordinarmi esplicitamente la sua eliminazione fisica. — Inarcò un sopracciglio verso Cee. — Lei ha senza dubbio conosciuto la loro mentalità meglio di me. Pensa che il mio ragionamento regga?
— Sì — ammise Cee con riluttanza.
— Stiamo girando in cerchio — fece notare Ethan.
Quinn srotolò la ciocca di capelli. — Già.
— C’è la possibilità che sia intervenuto qualcun altro — disse ancora Ethan. — Un estraneo, giunto per caso a conoscere alcuni fatti. Il capitano di un’astronave. ad esempio, o…
— Senta — brontolò Quinn. — io ho detto di restringere il campo delle possibilità, non di allargarlo! Mi servono informazioni. Fatti. — Si alzò in piedi. Scrutò il giovanotto biondo. — Pensa di aver finito per oggi, signor Cee?
Lui si stava palpeggiando una tempia con aria sofferente. — Sì. l’effetto si è smorzato. Non sento più niente.
Ethan lo guardò preoccupato.
— Sente dolore? È una cosa collegata alla telepatia?
— Sì. Non importa. È sempre così. — Cee andò a sdraiarsi sul letto e si coprì il volto con una mano.
— Cosa pensa di fare? — domandò Ethan a Quinn, che stava uscendo.
— Per prima cosa guarderò se nelle mie trappole per dati è rimasta imprigionata qualche informazione. Poi cercherò di sondare con molta discrezione il personale dei magazzini. In quanto a ciò che il supervisore umano di un sistema automatizzato potrà ricordare di un singolo carico, a sette mesi di distanza dai fatti… Oh, be’. Se non altro avrò scartato una pista. Tu potresti restare qui anche oggi, dottor Urquhart; questo posto è sicuro quanto un altro. — Un cenno del capo gli suggerì in silenzio: E già che ci sei, tieni d’occhio il nostro amico.
Ethan ordinò alla consolle di servizio della stanza tre quarti di grammo di acido acetil-salicilico e un po’ di vitamina B. e mise le due pasticche in mano al giovane telepate.
Cee le ingoiò e si girò di fianco, rivolgendogli un gesto mi-lasci-stare-io-posso-anche-morire che non ebbe certo l’effetto di tranquillizzarlo. Ma dopo una ventina di minuti la sofferente apatia che s’era impadronita di lui lasciò il posto al sonno.
Ethan rimase a vegliarlo e ruminò sulle sue scarse possibilità d’azione. Lui non aveva niente da offrire, o almeno niente di simile al repertorio di trucchi elettronici e di esperienza che Quinn sapeva usare così bene. Tutto ciò che aveva era la crescente convinzione che stessero avvicinando il problema dall’estremità sbagliata.
Il ritorno di Quinn svegliò Ethan, addormentato sul pavimento. Si tirò in piedi e andò ad aprire la porta, sfregandosi gli occhi appiccicosi. I polpastrelli delle dita gli dissero che avrebbe dovuto farsi la barba. Forse Cee poteva prestargli un rasoio, o un po’ di depilatore.
— Dov’è stata fin’ora? Ha trovato qualcosa? — le domandò.
La mercenaria scrollò le spalle. — Millisor continua a mantenere la sua routine di copertura. Rau, come già sappiamo, lavora al suo posto d’ascolto per il monitoraggio delle richieste di tyramina. Potrei fare una chiamata anonima alla Sicurezza della Stazione per rivelare dove si trova, ma se poi evadesse di nuovo dal Reparto Detenzione non saprei più dove andare a cercarlo. In quanto al supervisore del magazzino, è in grado di bere litri di acquavite di marca e di parlare per ore di ciò che ha fatto fino al massimo di una settimana fa, ma oltre questo limite non ricorda nulla. — Lei doveva avergli fatto buona compagnia, a giudicare dal suo alito.
Svegliato dalle loro voci, Cee si tirò a sedere sul letto. Esaminò la situazione, mugolò: — Ah! — e tornò a sdraiarsi, lentamente e sbattendo le palpebre. Dopo un poco si alzò di nuovo. — Che ore sono?
— Le diciannove zero-zero — rispose Quinn.
— Dannazione — Cee si alzò in piedi con cautela. — Ieri era il mio giorno di libertà, ma oggi devo andare al lavoro. Sono nel turno di notte.
— È proprio necessario? — domandò ansiosamente Ethan.
Quinn annuì giudiziosamente. — È meglio che mantenga la sua copertura il più a lungo possibile. Finora ha funzionato bene.
— Quello che devo mantenere è la mia paga — disse Cee, — se voglio comprarmi un biglietto per andar via da questa trappola per topi.
— Io posso pagarle una cabina su una nave passeggeri — offrì Quinn.
— Quella su cui partirà lei, eh? — disse Cee.
— Be’, naturalmente.
Cee scosse il capo e andò nel bagno, con una tuta fra le mani.
Quinn vide la carta di credito del giovanotto, la infilò nella consolle e ordinò al distributore succo d’arancia e caffè. Ethan ripulì il piccolo tavolo per fare un po’ di posto e accettò con gratitudine entrambe le bevande.
Quinn succhiò un sorso di liquido nero e caldo dal bulbo trasparente.
— Be’, il mio pomeriggio non è stato molto proficuo, dottore. E il tuo? Cee ha detto qualcosa di nuovo?
Lo stava dicendo solo per fare conversazione, pensò Ethan. Probabilmente la bruna mercenaria aveva registrato ogni loro sussurro.
— Abbiamo dormito finora — rispose, bevendo il caffè. Era una miscela artificiale dal sapore irriconoscibile, senza dubbio derivata da prodotti innominabili riciclati un milione di volte, ma Ethan rifletté che andava sul conto di Terrcnce Cee e non volle lamentarsi. — Comunque, ho pensato al problema di come rintracciare quel carico. Mi sembra che finora abbiamo affrontato la cosa nel modo sbagliato. Guardi, ad esempio, il genere di materiale che è arrivato su Athos.
— Spazzatura, a quanto hai detto. In tutti gli scatoloni.
— Sì, però…
Tre deboli note musicali, come quelle di un telefono portatile, uscirono da una tasca della blusa bianca e grigia di Quinn. Lei si frugò addosso mormorando: — Cosa diavolo… oh, no. Teki, ti avevo detto di non chiamarmi mai… — Quello che tirò fuori non era però un portatile, ma un minuscolo apparecchio sul cui display palpitava un numero.
— Cos’è? — domandò Ethan.
— Un rintracciatore. Poche persone hanno il mio codice. Non lo si ottiene dai computer della stazione, ma Millisor ha un’attrezzatura che potrebbe… uh, questo però non è il numero telefonico di Teki, neppure quello del suo ufficio.
Quinn andò a sedersi alla consolle di comunicazione e usò ancora la carta di credito di Cee. — Tu non parlare, dottore, e stai fuori dal campo della telecamera.
Compose il numero e la persona che aspettava la sua chiamata apparve subito sulla piastra olovisiva. Si trattava di una femmina giovane dai capelli biondi, vide Ethan, vestita con una tuta azzurra.
— Oh — disse Quinn, sollevata. — Sei tu, Sara. — Le sorrise. — Che c’è di nuovo?
La bionda non rispose al suo sorriso. — Salve, Elli. Teki è lì con te?
Una goccia di caffè uscì dal tubicino quando la mano di Quinn strinse convulsamente il bulbo. Il suo sorriso s’incrinò. — Con me? Ti ha detto che veniva a cercarmi?
Gli occhi di Sara si strinsero.
— Non fare questi giochetti con me, Elli. Puoi riferire a quel signore che io ero alla Felce Azzurra, puntuale come sempre. E che nessuno può farmi aspettare tre ore come una stupida, specialmente dopo che una persona di mia fiducia, non dico chi, lo ha visto insieme a tu-sai-chi.
Guardò la blusa bianca e grigia di Quinn e si accigliò. — Comunque l’ho sempre saputo che gli piacciono le uniformi. Ora devo andare. Ah… già che ci sei, digli pure che una certa festicciola, stasera, non avrà bisogno della sua presenza, perché è una festicciola fra amici. — E mosse una mano verso il pulsante di spegnimento.
— Aspetta, Sara! Non staccare. Teki non è qui con me. Lo giuro! — Quinn, che s’era piegata in avanti come per entrare nell’olovideo, si rilassò quando vide la mano della bionda fermarsi. — Che significa questa storia? L’ultima volta che io ho visto Teki è stato questa mattina, prima che andasse al lavoro. So che poi è andato all’Ufficio Ecologico. Aveva appuntamento con te, oggi pomeriggio?
— Doveva portarmi a cena fuori, e poi a un balletto zero-G, per il mio compleanno. Lo spettacolo è cominciato un’ora fa. — La ragazza fece un respiro per calmarsi, ma era sempre più irritata. — Ho pensato che avesse da fare sul lavoro, e ho telefonato là. Ma mi hanno detto che è uscito alla solita ora.
Quinn guardò l’orologio. — Capisco. — Le sue mani si strinsero sul bordo della consolle. — Hai provato a chiamare casa sua, o qualcuno dei suoi amici?
— Ho chiamato dappertutto. Il tuo numero me l’ha dato tuo padre. — La ragazza si accigliò ancora, sempre insospettita.
— Ah. — Le dita di Quinn tamburellarono sulla fondina del suo storditore, ora sostituito da un modello non militare. — Ah. — Ethan, distratto per un momento dal pensiero che anche Quinn avesse un padre, si sforzò di prestare attenzione.
Lo sguardo di Quinn tornò sulla ragazza bionda inquadrata sullo schermo. La sua voce si fece secca e autoritaria, con una nota dura.
Involontariamente Ethan pensò che quello doveva essere il suo modo di fare in battaglia, da comandante militare. — Hai già informato la Sicurezza della Stazione?
— La Sicurezza della Stazione! — si stupì la ragazza. — Elli, perché dovrei farlo?
— Chiamali subito, e denuncia la scomparsa di Teki. Chiedi che diano subito inizio alla procedura per le persone scomparse.
— Per un giovanotto che è in ritardo a un appuntamento? Elli, li farò ridere. Non è che mi stai prendendo in giro, per caso? — disse Sara, incerta.
— No, sto parlando molto sul serio, credimi. Fatti passare il capitano Arata. Digli che la comandante Quinn appoggia la tua denuncia. Lui non riderà.
— Ma Elli…
— Fallo subito! Io devo andare. Mi rimetterò in contatto con te appena potrò.
L’immagine della ragazza bionda si dissolse in una nevicata brillante. Quinn imprecò sottovoce.
— Cosa sta succedendo? — volle sapere Cee, che in piedi davanti alla porta del bagno si allacciava i polsini della tuta verde che aveva indossato.
— Credo che Millisor abbia prelevato Teki per interrogarlo — disse Quinn. — Se è così, la mia copertura è andata in fumo. Dannazione! Non c’era nessun motivo logico perché Millisor facesse una cosa simile. Ha cominciato a pensare con le gonadi? Questo non sarebbe da lui.
— La logica della disperazione, forse — disse Cee. — La scomparsa di Okita lo ha allarmato molto. E la ricomparsa del dottor Urquhart ancora di più. Lui ha… uh, alcune sue strane teorie sul dottor Urquhart.
— Sulla base delle quali — annuì Ethan. — lei si è dato la pena di venire a cercarmi. Mi spiace di non essere il superagente che lei si aspettava.
Cee lo guardò in modo strano. — Non se la prenda così.
— Io volevo fare pressione su Millisor. — Quinn si mordicchiò un’unghia con uno schiocco udibile. — Ma non fino a questo punto. Non gli ho dato nessun motivo di rapire Teki. Sono certa che non sarebbe successo nulla, se lui avesse seguito alla lettera le mie istruzioni senza cincischiare tanto… ma non avrei dovuto coinvolgere un non-professionista. Perché ho pensato soltanto alla nostra sicurezza? Quel povero Teki non sa neppure cosa gli è piombato addosso.
— Lei non ha avuto nessuno scrupolo anche quando si è trattato di coinvolgere me — le annotò Ethan, rigidamente.
— Tu eri già coinvolto. E inoltre non spettava a me farti da balia, visto che non è certo colpa mia se Athos è nel mirino di questi cetagandani. e… — Fece una pausa e lo guardò stranamente, come Cee poco prima. — Comunque, non devi sottovalutarti — concluse.
— Adesso dove sta andando? — la fermò Ethan allarmato, mentre lei attraversava la stanza.
— Ho intenzione di… — cominciò lei con fermezza. La sua mano, già alzata verso il pulsante della porta, esitò e si riabbassò. — Ho intenzione di pensarci bene.
Si volse e andò avanti a indietro, ai piedi del letto. — Perché lo stanno trattenendo così a lungo? — chiese. Ethan non capì se lo stesse domandando a lui, a Cee o all’aria. — Avrebbero dovuto tirargli fuori tutto quello che sapeva in quindici minuti, provocargli un vuoto di memoria e poi lasciare che si risvegliasse in un’auto a bolla, convinto di aver dormito per tutto il percorso. E nessuno avrebbe sospettato nulla, neppure io.
— Hanno scoperto tutto ciò che io sapevo in quindici minuti — la informò Ethan, — ma non per questo si sono fermati lì.
— Sì, però nel tuo caso avevano buoni motivi per sospettarti, dato che come sai ti avevo regalato una microspia con quel proiettore. Ma addosso a Teki non ho messo niente, proprio perché non volevo fargli correre lo stesso pericolo. Inoltre loro possono sapere chi è Teki esaminando le registrazioni di Stazione Kline fino al giorno della sua nascita. Tu eri un uomo senza passato, o almeno con un passato inaccessibile per i cetagandani, il che dava spazio alle loro fantasie paranoiche.
— Il risultato è stato che ci hanno messo sette ore per convincersi che potevano tranquillamente eliminarmi — disse Ethan.
— Tuttavia — intervenne Cee, — dopo la scomparsa di Okita si sono convinti che lei è un agente capace di resistere con successo a sette ore di interrogatorio. Forse ora sono molto meno disposti a crederci, quando uno gli risponde "io non so niente" anche con una dosa di penta-rapido nelle vene.
— In questo caso — disse cupamente Quinn, — prima riesco a tirare Teki fuori di là, meglio è.
— Mi scusi — disse Ethan, — ma fuori di dove?
— È probabile che si tratti dell’alloggio di Millisor. Dove hanno interrogato te. La loro camera "pulita", dove non ho mai potuto infiltrare una microspia. — Quinn si passò nervosamente una mano fra i capelli. — Come diavolo posso riuscirci? Un attacco frontale a un posto ben difeso, in mezzo a una quantità di innocenti indifesi e nell’ambiente delicato di una stazione spaziale… no, questo non sembra molto pratico.
— Come ha fatto a salvare il dottor Urquhart? — domandò Cee.
— Ho aspettato, con molta pazienza, che lo portassero fuori. Ho aspettato a lungo per avere una buona possibilità d’intervenire con qualche speranza di successo.
— Ho apprezzato molto la sua pazienza — disse Ethan. con serietà. Si scambiarono un sorrisetto rigido.
La mercenaria continuò ad andare avanti e indietro come una tigre in gabbia. — Sono stata preceduta. So che è così. Lo sento. Millisor mi cercherà, attraverso Teki. E Millisor è uno che non ha inibizioni quando si tratta di far parlare la gente. Q.E.D. Quinn Erat Dementis. Mio Dio. Non farti prendere dal panico, Quinn. Cosa farebbe l’ammiraglio Naismith, in questa situazione? — Si fermò, lo sguardo fisso sulla parete nuda.
Ethan immaginò navette da combattimento Dendarii che schizzavano fuori dal punto di balzo, truppe d’assalto in scafandro spaziale, piattaforme antigravità armate con terribili cannoni a plasma che si spostavano nell’aria…
— Mai fare di persona — mormorò Quinn. — quello che un esperto con l’attrezzatura adatta può fare al tuo posto. Questo è ciò che lui direbbe. Judo tattico, dal Manuale del Mago dello Spazio. — Nella sua immobilità c’era il dinamismo della meditazione Zen. Quando si girò, lo sguardo le brillava d’eccitazione. — Sì, questo è proprio ciò che lui farebbe! Astuto piccoletto dalla mente contorta, io ti amo! — La sua mano destra scattò in un saluto militare diretto a una presenza invisibile, poi infilò di nuovo la carta di credito di Cee nella consolle e batté un numero.
Perplesso, Cee gettò un’occhiata interrogativa a Ethan, che si strinse nelle spalle.
Sulla piastra video si materializzò il mezzobusto di un’impiegata dall’aria sveglia in tuta verde-pino e azzurro-cielo. — Pronto Intervento Biocontrollo-Epidemiologia. Buonasera. Cosa possiamo fare per lei? — domandò cortesemente, guardando l’interlocutrice.
— Buonasera. Devo fare rapporto su un sospetto vettore di contagio — disse Quinn, nel suo tono più serio e professionale e con una sfumatura d’urgenza.
— Siamo qui per questo. — L’impiegata girò uno schermo verso di sé e batté qualcosa su una tastiera. — Soggetto umano o animale?
— Umano.
— Visitatore, o cittadino della stazione?
— Visitatore, maschio, adulto. Ma in questo momento è sul punto di trasmettere il contagio a un cittadino di Stazione Kline.
L’impiegata si mostrò subito più interessata. — E la natura del contagio?
— Plasmosi virale Alpha S-D-3.
La mano dell’impiegata si fermò sulla tastiera. — La plasmosi virale Alpha S-D-2 è una necrosi delle mucose epiteliali trasmessa per contatto sessuale, originaria di Varusa Tertius. È questo il contagio a cui si riferisce?
Quinn scosse il capo.
— Questo è un nuovo e più virulento ceppo mutante dei virus che trent’anni fa ha praticamente sterminato la popolazione di un emisfero di Varusa Tertius. Il vaccino per il tipo S-D-3 non è stato ancora bio-programmato, come lei avrà certo saputo… Non ne siete al corrente, lì al Biocontrollo?
L’impiegata aveva sollevato le sopracciglia. — No, signora. — Batté altre cose, furiosamente, e poi si girò a prendere anche una nota scritta che consegnò a qualcuno fuori campo. — E il nome del sospetto vettore del contagio?
— Ghem-lord Harman Dal, un cittadino cetagandano, commerciante di oggetti artistici e artigianali. Ha appena aperto un’agenzia sulla Passeggiata di Viaggiatori, con una licenza avuta dalla Camera di Commercio poche settimane fa. È già venuto in contatto con una dozzina di persone. Non tutte dell’altro sesso, a quanto mi risulta.
Harman Dal, si appuntò Ethan, doveva essere l’altra identità di Millisor.
— Santo spazio — mormorò l’impiegata, — darò inizio alla procedura. Ah… — Fece una pausa, cercando le parole. — Come è venuta a conoscenza della malattia di questo individuo?
Lo sguardo fermo di Quinn si distolse dal volto dell’impiegata per abbassarsi ai suoi piedi, po’ su un angolo lontano della stanza, poi sulle sue mani. Si schiarì la gola. Sarebbe arrossita, se avesse avuto il tempo di trattenere il fiato abbastanza a lungo. — Lei come crede che io ne sia venuta a conoscenza? — disse, alla fibbia della sua cintura.
— Ah. — L’impiegata spalanco gli occhi. — Be’, in questo caso devo informarla che lei ha l’obbligo di presentarsi quanto prima a questo ufficio. Le assicuro che tutti i casi di malattie che riguardano la sfera intima sono mantenuti rigorosamente confidenziali. Lei potrà essere visitata dal nostro primario del Reparto Malattie Infettive, del tutto gratuitamente…
— Voglio sperarlo — annuì Quinn. mostrando un improvviso nervosismo. — Posso venire giù subito? Però senta… temo che se non intervenite con urgenza quel porco di Dal metterà nelle vostre mani tredici pazienti invece di dodici.
— Le assicuro, signora, che il nostro dipartimento sa come occuparsi di questi casi delicati. La prego di appoggiare sullo schermo un suo documento d’identità, in modo che il computer possa leggerlo.
Quinn eseguì, promise ancora di presentarsi immediatamente al Reparto Quarantena, si fece rassicurare sulla riservatezza della cosa, fu ringraziata, e chiuse la comunicazione.
— Ecco fatto, Teki — sospirò. — I soccorsi sono per strada. Io ho firmato col mio nome un atto criminale, ma valeva la pena di pagare questo prezzo.
— Prendere una malattia venerea è contro la legge, qui? — domandò Ethan, perplesso.
— No, ma inoltrare una falsa denuncia contro qualcuno e un falso rapporto per contagio epidemico sono reati ovunque, suppongo. Non puoi mettere in allarme le squadre di pronto intervento e poi sperare di passarla liscia, specialmente se gli hai lasciato le tue generalità… del resto non sarebbe possibile farle muovere con una denuncia anonima. Però preferisco affrontare la legge che un distruttore neuronico tutti i giorni; questo sarebbe assai più micidiale per il mio conto spese.
Cee la stava guardando con stupore. — L’ammiraglio Naismith lo approverebbe?
— Farà coniare una medaglia apposta per decorarmi. — Quinn gli rivolse un sorrisetto allegro, anche se non sembrava affatto tranquilla. — Ora veniamo a noi. Quelli del Pronto Intervento troveranno molta più resistenza di quel che si aspettano dai nuovi pazienti. Meglio che qualcuno fornisca loro un certo tipo di appoggio. Lei sa usare uno storditore, signor Cee?
— Sì, comandante.
Ethan si schiarì la voce e alzò una mano, esitante. — Io ho avuto l’addestramento standard, nell’esercito athosiano — udì se stesso dire, follemente.