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Alla fine fu Ethan, e non Cee, che Quinn scelse per affiancarla in quella che definì "la seconda ondata di questo assalto".
La bruna mercenaria lasciò il telepate appostato agli ascensori antigravità in fondo al corridoio su cui si apriva l’albergo di Millisor. armato con uno dei due storditoli di cui lei disponeva.
— Rimani fuori vista, e spaia su tutti quelli che arrivano da questa parte con atteggiamento sospetto — lo istruì. — E non pensarci troppo prima di premere il grilletto. Con uno storditore puoi sempre chiedere scusa dopo, per i tuoi errori.
A quella frase Ethan inarcò dubbiosamente un sopracciglio, mentre si girava per avviarsi con lei sul marciapiede.
— Non guardarmi così. Non credo che sparerà su una vecchietta, o su un cardiopatico — borbottò Quinn. voltandosi a controllare il nascondiglio di Cee fra le piante in vaso, le proiezioni olografiche e i terminali di comunicazione all’uscita del pozzo antigravità. Ethan vide che gli alberghi della zona, compreso quello di Millisor, erano evidentemente per turisti le cui possibilità economiche superavano le sue.
Entrarono e dopo aver oltrepassato l’atrio si avviarono nel corridoio di sinistra, deserto e silenzioso. Fu in quel momento che una sgradevole pecca del piano d’attacco della mercenaria cominciò a disturbarlo. — Senta, se non dà uno storditore anche a me come posso affiancarla?
— Ne avevo soltanto due — mormorò lei, spazientita. — Ecco, prendi il mio medikit. Tu sarai il medico.
Ethan esaminò con una smorfia la cassettina che s’era staccata dalla cintura, larga un palmo. — E cosa dovrei fare? Sbatterla in testa a Rau prima che lui usi il suo distruttore neuronico?
— Bravo, questo è lo spirito giusto — disse lei, con un brevissimo sorriso. — Se ne avrai l’occasione, certo. Ma Teki avrà bisogno di un antidoto per qualsiasi cosa gli abbiano propinato. Ad esempio quello contro il penta-rapido; lo troverai proprio accanto al penta-rapido stesso. A meno che le cose non degenerino di brutto; in tal caso usa la tua esperienza di medico.
— Ah — annuì Ethan, accontentandosi di questo. Sembrava una linea di condotta razionale.
Stava aprendo bocca per esprimere un’altra valida obiezione quando Quinn lo colpì con una spallata e lo spinse, senza complimenti, nel limitatissimo e inadeguato riparo della nicchia di una porta.
Da un ingresso in penombra all’altra estremità del corridoio, quello che comunicava direttamente coi pozzi antigravità, erano apparse tre figure seguite da una vettura a bolla sigillata sulla cui parte anteriore c’era lo stemma del Biocontrollo-Epidemiologia, una foglia stilizzata in un triangolo rosso di "pericolo".
Passando sotto il primo pannello illuminante del lussuoso corridoio d’albergo — Ethan aveva già riflettuto che qualcuno doveva aver fatto studi accurati sulle reazioni del cervello umano alle lunghezze d’onda, perché quella luce dava al corridoio un aspetto effettivamente "lussuoso" — le tre figure si rivelarono per un robusto agente della Sicurezza della Stazione, e due tecnici della sorveglianza ecologica, uno di sesso maschile e una di sesso femminile.
Una di sesso femminile corpulenta e ossuta, la cui andatura emanava il calore umano e la gentilezza di un bulldozer…
— Per Dio il Padre — ansimò Ethan, — è quell’infernale piantagrane di Helda!
— E tu mantieni la dannata calma — ringhiò Quinn, spingendolo più forte nella nicchia. Era profonda a malapena un palmo, inadatta a celare alla vista una persona adulta e tantomeno due. — Voltagli le spalle e fingi di fare qualcosa di normale. La porta di Millisor è a dieci metri da qui, e non arriveranno fino a noi. Girati, così, ora metti una mano al muro accanto alla mia testa — gli ordinò in fretta. — Appoggiati, tieni la voce bassa e fai come se mi baciassi il collo…
— Cosa devo fare? Questo contatto fisico è poco… è poco…
— Qualcuno direbbe che è molto. Ora chiudi la bocca e ascolta me. E non guardarmi così, o comincerò a ridere… anche se qualche calcolata risatina non guasterebbe per fare scena.
Fingere di fare qualcosa di normale? Appoggiato al corpo di una femmina? Ethan non s’era mai sentito più anormale in vita sua. Lo spazio fra le sue scapole fremeva nell’attesa di un raggio mortale scaturito dalla porta di Millisor, che era sul lato opposto del corridoio. Non vedere quel che stava accadendo lo aiutava solo a immaginare il peggio. Quinn, invece, da sotto il suo braccio sollevato aveva una vista completa del corridoio, senza parlare del fatto che lui la stava proteggendo col suo corpo.
— Soltanto un agente della Sicurezza di scorta? — mugolò Quinn con un lampo negli occhi. — È una fortuna che siamo venuti anche noi.
Alcune note musicali attutite uscirono da una tasca della sua blusa. La mercenaria si affrettò a far tacere il rintracciatore. Poi si contorse per tirarlo fuori di qualche centimetro, abbastanza da vedere il numero apparso sul display. Emise un fischio fra i denti.
— Che succede? — le sussurrò Ethan in un orecchio.
— Questo numero! È la consolle di comunicazione di quel bastardo di Millisor — mormorò lei, alzando l’altra mano fin dietro il collo di Ethan in una carezza realistica. — È riuscito ad avere il mio numero da Teki, dunque. Probabilmente vuole farsi telefonare per registrare la mia immagine e la mia voce… o per ricattarmi. Lasciamo che sudi un po’.
A dieci metri da loro la sorvegliante biologica Helda premette per la seconda volta la piastra della porta di Millisor, controllando qualcosa su uno schermo che aveva in mano. — Ghem-lord Harman Dal… signor Dal, vuole aprire, per cortesia?
Non ci fu risposta.
— Siamo sicuri che sia in casa? — domandò l’altro tecnico.
Helda grugnì un assenso e gli indicò un display sopra la piastra sensibile. Ethan intuì che le strisce di colore dovevano essere un codice, forse imposto dal regolamento per i soccorsi antincendio, perché il tecnico disse: — Ah. E in compagnia, anche. Forse la segnalazione corrisponde al vero.
Helda premette ancora la piastra dell’avvisatore. — Signor Dal, io sono la sorvegliante biologica F. Helda. Le chiedo di aprire subito questa porta, altrimenti lei sarà incriminato per infrazione agli articoli 176-b e 2-a del Regolamento della Sicurezza Interna.
— Almeno diamogli il tempo di rimettersi i pantaloni — disse l’altro tecnico. — Questo dev’essere molto imbarazzante per lui.
— Che sia imbarazzato quanto gli pare — disse seccamente Helda. — Quel mangiafango non può illudersi di fare qui le sue porcherie, appestando tutti i… — Premette ancora la mano sulla piastra, con rabbia.
Quando fu chiaro che dall’interno non intendevano aprire, la donna tirò fuori dalla blusa una chiave universale e la appoggiò sulla fessura della serratura elettronica. Sull’oggetto palpitarono alcune luci. Non accadde niente.
— Mio Dio — disse il tecnico, stupito. — Hanno bloccato il circuito dell’apertura d’emergenza!
— Questa sì che è una violazione dei regolamenti antincendio — grugnì soddisfatto l’agente della Sicurezza, e batté una nota sul suo minicomp. Al tecnico, che lo interrogava con lo sguardo, spiegò il motivo del suo improvviso buonumore: — Voi del Bio-controllo potete saltare addosso a tutti gli stranieri senza preoccuparvi dei loro diritti civili, ma io devo avere una prova documentata per intervenire, altrimenti rischio il posto. — E sospirò, invidioso.
— Dal, sblocchi subito questa porta! — gridò furiosamente Helda nell’intercom.
— Potremmo tagliargli i servizi in camera, da sotto — suggerì il suo collega. — Quando non avrà più da mangiare e da bere dovrà venir fuori.
Helda strinse i denti. — Io non ho certo intenzione di aspettare tanto, prima che un mangiafango infetto si decida a collaborare con chi protegge questa stazione dai sudicioni come lui. — La femmina raggiunse a lunghi passi un pannello, poco più in là. su cui c’era scritto: SERVIZIO ANTINCENDIO — SOLO PERSONAL AUTORIZZATO, e premette la sua tessera sulla piastra sensibile. Lo sportello si aprì con ubbidienza. Non avrebbe osato restare chiuso, pensò Ethan. Helda premette una lunga serie di tasti luminosi.
Da oltre la porta chiusa della camera di Millisor provenne un sibilo ruggente, accompagnato subito da grida e imprecazioni spaventate. La sorvegliante ecologica sorrise trucemente.
— Cosa sta facendo? — sussurrò Ethan nell’orecchio di Quinn.
Anche la mercenaria stava sorridendo. — Ha azionato il sistema antincendio. Voi avete nebulizzatori d’acqua, o di schiuma ignifuga. Nello spazio non sarebbero efficienti. Qui sigilliamo i locali e pompiamo fuori l’aria. Molto veloce. Niente ossigeno, niente fuoco. Millisor non è stato abbastanza intelligente, o abbastanza stupido, da bloccare le griglie degli aspiratori.
— Uh… ma non è molto spiacevole per chi restasse intrappolato dentro?
— Di norma c’è un rivelatore di presenza, oltre all’allarme per evacuare i locali. Helda li ha disattivati, evidentemente.
La chiave elettronica universale che l’altro tecnico premeva sulla serratura palpitò di luci rosse e mandò un beep. All’interno ci furono altre grida e qualcuno tempestò freneticamente la porta, a pugni e a calci.
— Ora Millisor vuole aprire, ma la sua forza non basta, perché la differenza di pressione glielo impedisce — sussurrò Quinn.
Dopo un intervallo a suo avviso sufficiente come punizione, Helda invertì il flusso dell’aria. La porta si aprì con un pop udibile, e l’aria del corridoio sibilò dentro. Millisor e Rau vacillarono fuori, col naso che buttava sangue e agitando la mandibola nello sforzo di ristabilire la pressione dell’aria nell’orecchio interno.
— Helda non ha neanche dato a questi bastardi la possibilità di far uscire il loro ostaggio — borbottò Quinn. — Fin troppo efficiente…
Millisor ritrovò finalmente il fiato. — Ma siete impazziti? — gridò in faccia ai tre funzionari della stazione. Si rivolse all’agente della Sicurezza: — Io godo di immunità diplomatica! Mi rivolgerò a…
L’agente gli indicò Helda con un pollice. — Qui comanda il Pronto Intervento dei Bio-controllo. Parli con la sorvegliante.
— Come si permette di calpestare così i miei diritti? — gridò Millisor, imbestialito. — Questi locali sono stati legalmente affittati e pagati, e inoltre io ho un passaporto diplomatico di Classe IV. Lei non ha l’autorità di ostacolare la mia libertà personale in nessun caso, salvo che io non venga accusato di reati contro la persona o le proprietà altrui!
Ethan non avrebbe potuto dire se quell’indignazione fosse vera o recitata, e se a parlare fosse il Ghem-colonnello Millisor o l’onesto commerciante Harman Dal.
— I diritti che lei cita riguardano la Sicurezza della Stazione — ribatté Helda, nello stesso tono. — L’emergenza del Bio-controllo li abroga tutti. Ora salite sulla vettura isolante, prego. Senza discutere.
Ethan non poteva più rimanere voltato, perché lui e Quinn dovevano ora fingere d’essere spettatori casuali. Com’era inevitabile, lo sguardo di Rau finì per spostarsi su di loro; subito una mano dell’individuo toccò un braccio del superiore, interrompendo le sue verbose proteste. Millisor girò la testa, e la sua bocca si chiuse di colpo. Ethan trovò qualcosa di orribile in quell’istantanea capacità di controllare la rabbia. Non placata, bensì spinta giù sotto la superficie, conservata per qualche momento futuro. Negli occhi del cetagandano ribollirono turbini di pensieri.
— Ehi — disse l’agente della Sicurezza, mettendo la testa nella stanza appena evacuata. — Qui c’è una terza persona. Un giovanotto legato a una sedia… nudo come un verme.
— Me lo aspettavo, da questi depravati. Siete disgustosi — disse Helda, fulminando Millisor con lo sguardo.
Lo sguardo rimbalzò innocuo come una brezza su quello di Millisor, che continuava a macinare furibondi sospetti fissando Ethan. Rau si agitò nervosamente. La sua mano destra fece per entrare sotto il bordo della giacca, ma sia Millisor che Quinn scossero il capo in un silenzioso non provarci, ciascuno dalla sua diversa prospettiva.
— Quest’uomo non è una faccia nuova. Perde sangue — disse l’agente della Sicurezza entrando nella stanza. Subito però si volse a controllare Millisor e Rau con uno sguardo insospettito, e portò una mano alla fondina dello storditore.
— È il naso — disse Helda da fuori. — È normale, quando si abbassa la pressione atmosferica. Anche se uno sembra uscito da un mattatoio, nessuno è mai morto per un po’ di sangue dal naso.
— Senta, lei, il mio amico è un medico — disse a voce alta Quinn, dirigendosi verso di loro con entusiasmo. — Possiamo essere d’aiuto, se c’è un ferito?
— Sì, può darsi — disse l’agente dalla soglia, con sollievo. — Lei è un medico?
Quinn si voltò a prendere Ethan per mano e poi lo spinse nella stanza, senza smettere di sorridere a Millisor e a Rau. Aveva in pugno il suo storditore, ma lo teneva in modo che soltanto i due cetagandani lo vedessero. L’agente della Sicurezza la ringraziò con un cenno del capo. Helda s’infilò un paio di guanti di plastica con aria in grugnita e quindi entrò nell’alloggio, per vedere coi suoi occhi quella scena scandalosa.
Ethan s’avvicinò ansiosamente alla preda di Millisor e cercò di capire in che condizioni fosse. L’agente della Sicurezza si chinò invece accanto alla sedia e toccò con un brontolio di stupore il nudo fil di ferro che era stato usato per legare le caviglie di Teki. L’avevano attorcigliato con un paio di pinze, facendogli sanguinare la pelle. I vestiti e gli oggetti personali del giovanotto erano sul letto, disposti come Ethan ricordava di aver visto i suoi dopo che erano stati esaminati in cerca di microspie. Anche i suoi polsi erano assicurati ai braccioli con un giro di filo di ferro, stretto altrettanto spietatamente. Il sangue gli era colato dal naso fin sul petto e sull’inguine. La testa di Teki ciondolava stupidamente, ma il giovanotto aveva gli occhi spalancati e sorrideva con innaturale allegria. Ridacchiò, quando l’agente della Sicurezza gli toccò le caviglie. L’uomo indietreggiò stupito, quindi scosse minacciosamente il capo e tirò fuori il minicomp. agitandolo verso di lui come fosse un’arma. — Questa storia non mi piace, amico. Qui c’è qualcosa di molto, molto strano. Come ti chiami?
Helda, sbucando alle spalle di Ethan, si fermò di colpo. — Signore Iddio che mi proteggi… Teki! Io l’ho sempre saputo che eri uno scriteriato capace di tutto, ma questo oltrepassa ogni…
— Io sono fuori servizio — le comunicò Teki con voce impastata ma dignitosa. — E non ho intenzione di lasciarmi offendere da te fuori dell’orario di lavoro. Anzi, andrò subito via. — Il giovanotto si agitò lottando contro i legami, e altre gocce di sangue gli colarono sui piedi.
La sorvegliante biologica restò ammutolita quando poté vedere meglio ciò che aveva davanti, ma il suo silenzio non durò a lungo. — Che diavolo significa tutto questo?
— È drogato, dottore? — domandò l’agente della Sicurezza a Ethan, inginocchiato accanto a Teki. — Con cosa? Secondo lei si tratta di una faccenda privata di questa gente che gli è sfuggita di mano, o di qualcosa per cui devono essere incriminati? — Le sue grosse dita attendevano speranzose sulla tastiera del minicomp.
— È evidente che lo hanno drogato e torturato, agente — dichiarò Ethan senza mezzi termini, aprendo il medikit di Quinn. — Inoltre ci troviamo di fronte a un sequestro di persona. — Nella scatola c’era un bisturi a vibrolama; un tocco, e i fili di ferro alle caviglie tintinnarono al suolo. — Quest’uomo è stato rapito.
— A scopo di libidine?
— Ne dubito.
Il suono della voce di Ethan distrasse Helda, che si girò di scatto a guardarlo. — Tu non sei un medico — si sbalordì la femmina. — Tu sei quel filibustiere dei Moli e Portelli. Che diavolo stai facendo qui? Il mio ufficio si aspetta ancora delle spiegazioni da te!
Teki esplose in una risata stridula a quelle parole, facendo cadere la spugnetta sterile con cui Ethan gli disinfettava una caviglia. — Povera Helda, quanto poco sai degli esseri umani che sfiorano la tua grigia vita! Lui è davvero un dottore! — esclamò. Si piegò verso Ethan, rischiando di rovesciare la sedia, e in tono da cospiratore sussurrò: — Non lasciarle mai capire, per nessuna ragione, che tu sei un athosiano, o le scoppierà un’arteria e quello sarà il suo ultimo attacco di bile. Helda odia Athos. — Annuì con enfasi teatrale e poi, esausto, lasciò ciondolare di lato la testa.
Helda rimuginò quelle parole. — Un athosiano? Cos’è, una specie di scherzo? — Guardò Ethan in attesa di una risposta.
Assorbito nel suo lavoro lui accennò col capo a Teki. — Lo domandi a lui. In questo momento è pieno di siero della verità. — Il cugino di Quinn aveva le pulsazioni accelerate, e le mani e i piedi freddi, ma non era in stato di shotk. Gli liberò anche i polsi. Era pronto a sostenerlo, però il giovanotto non cadde in avanti, anzi si alzò in piedi con le sue forze. — Comunque, signora, per sua informazione io sono il dottor Ethan Urquhart di Athos. Ambasciatore dottor Urquhart, in missione per conto del Consiglio della Popolazione del mio pianeta.
Non si era aspettato di impressionare molto quell’indisponente femmina, ma con sua sorpresa Helda si fece indietro e sbarrò gli occhi, pallida in viso. — Ah, sì? — disse con voce piatta.
— Te l’avevo detto di non dirglielo. Doc — lo rimproverò Teki. — Dopo che suo figlio scappò di casa, come ti ho raccontato l’altro giorno. Helda rimase sola. Il ragazzo se l’era squagliata su una nave diretta ad Athos, lasciando detto che non ne poteva più di lei e di tutte le altre donne del mondo. Helda cercò di contattarlo per posta spedendogli dei video… ma la censura athosiana rimanda indietro tutte le immagini dove appaiono delle donne. Finora non è riuscita ad avere una parola da lui. — Teki ricominciò a ridere stupidamente. — Scommetto che è felice come un topo nel formaggio.
Ethan ebbe una smorfia al pensiero di poter essere trascinato in una lite di famiglia. L’agente della Sicurezza stava annuendo con interesse professionale.
— Fuggito di casa, eh? Quanti anni aveva il ragazzo?
— Trentadue — rispose Teki.
— Ah, be’. — L’uomo ebbe un gesto come a dire che la faccenda non lo riguardava più.
— Tu… lei dispone di un antidoto a questo cosiddetto siero della verità, dottore? — chiese gelidamente Helda. — In tal caso voglia per cortesia somministrarlo. Poi risolveremo gli altri aspetti della cosa giù al Reparto Quarantena.
Ethan rallentò il lavoro sulle caviglie di Teki. Le parole gli uscirono di bocca come lame di coltello: — Dove lei possiede poteri dittatoriali, e dove io… — Alzando la testa incontrò lo sguardo ostile della sorvegliante ecologica. Il tempo si fermò. — Dove io…
Il tempo accelerò di colpo. — Comandante Quinn! — chiamò Ethan.
La bruna mercenaria entrò subito nella stanza preceduta da Millisor e da Rau, tenuti sotto tiro dal suo storditore, ed Ethan si alzò in piedi. Si sentiva in preda all’impulso folle di correre avanti e indietro dando pugni alle pareti, o di strapparsi manciate di capelli dalla testa, o di afferrare quella femmina per il petto della sua blusa bianca e grigia e scuoterla fino a farle battere i denti. Le parole gli scaturirono in un flusso eccitato.
— Io ho cercato di dirglielo, ma lei non si è mai fermata un momento ad ascoltarmi. Immagini di essere l’agente di qualcuno, o quello che le pare, qui su Stazione Kline. e di volersi impadronire delle colture ovariche spedite ad Athos. Immagini di dover prendere l’improvvisa decisione di sostituire quei tessuti congelati con altro materiale. E noi sappiamo che la decisione è stata improvvisa, perché se lei l’avesse programmata avrebbe portato con sé delle colture autentiche e nessuno avrebbe mai saputo e indagato sulla sostituzione. Giusto? Allora dove, dove, nel nome di Dio il Padre, andrebbe a prendere 450 ovaie umane? No, neppure 450: trecento e ottantotto, più sei ovaie di mucca. Io dico che neanche sul suo Manuale del Mago dello Spazio c’è scritto da quale cilindro tirarle fuori, comandante Quinn.
La bruna mercenaria aprì la bocca, la richiuse, e assunse un’aria molto pensosa. — Vai avanti, dottore.
Millisor aveva lasciato cadere la sua maschera indignata da Harmon Dal e, come dimentico dello storditore di Quinn, fissava Ethan con rapita attenzione. Rau spiava il suo capo in attesa di qualche segnale che gli desse l’ordine di agire. L’altro sorvegliante ecologico aveva un’aria disinteressata e spazientita. L’agente della Sicurezza, benché sorpreso da quel secondo e non meno imprevisto risvolto della situazione, sembrava deciso a mettere a verbale ogni parola pronunciata in quella stanza.
Ethan continuò: — Dimentichi le 426 astronavi sospette. Segua al contrario la rotta di una sola nave, quella del censimento galattico, quando ancora era attesa qui nella sua rotta verso Athos. Metodo, motivo e opportunità, per i Nove Peccati Capitali! Chi ha accesso a ogni locale e ogni cassetto di Stazione Kline? Chi può andare dentro e fuori da un magazzino senza che nessuno faccia domande? Chi si vede passare davanti ogni giorno le salme dei defunti… cadaveri metà dei quali sono di sesso femminile, e da cui nessuno noterà mai la scomparsa di pochi grammi di tessuto, perché i corpi vengono biodegradati subito dopo il prelievo? Ma questi cadaveri femminili non erano abbastanza, eh, Helda, per sostituire l’intero insieme delle colture ovariche prima che la nave del censimento partisse per Athos. Vero? Ecco perciò le ovaie di mucca, gettate frettolosamente nel mucchio tanto per fare numero, e le scatole piene solo in parte, e la scatola vuota. — Ethan fece una pausa, ansimando.
— Lei è un folle! — rantolò Helda. La sua faccia era impallidita ancor di più, ma ora stava diventando paonazza. Gli occhi ostili di Millisor la stavano divorando. Quinn la guardava come un essere umano di fronte a una visione ultraterrena. Le dita dell’agente della Sicurezza erano inchiodate alla tastiera del minicomp in una sorta di stupefatta paralisi.
— Non folle quanto lei — disse Ethan. — Cosa sperava di ottenere?
— Domanda inutile — sbottò Millisor. — Noi sappiamo a cosa mirava. Non si faccia ingannare dalle apparenze, e le domandi chi l’ha pagata e dove ha mandato le… — Un secco gesto dello storditore di Quinn gli ricordò che era stato retrocesso dal rango di interrogatore a quello di prigioniero.
— Voi dovete andare tutti al Reparto Quarantena e…
— È finita, Helda — disse Ethan. — Scommetto che se scendessi giù al Riciclaggio troverei da qualche parte un sigillatore per pacchi postali.
— Oh, sicuro — lo informò volonterosamente Teki. — Lo usiamo per sigillare oggetti ritenuti contaminati e immagazzinarli in attesa di ulteriori analisi. È sotto il tavolo dove sezioniamo gli oggetti organici troppo voluminosi prima d’introdurli nel degradatore. Io l’ho usato per sigillare un paio di scarpe, una volta. Ho anche cercato di sigillare globi d’acqua da gettare nei pozzi antigravità, ma non ci sono riuscito perché…
— Chiudi la bocca. Teki! — protestò disperatamente Helda.
— Questo è niente. Pensa che Vernon ha sigillato dei topi bianchi e li ha spediti…
— Basta con queste chiacchiere insulse — grugnì Millisor da un angolo della bocca, esasperato. Teki si calmò e sedette, sbattendo le palpebre.
Ethan allargò le mani e fronteggiò Helda senza ostilità, scuotendo la testa. — Perché ha fatto questo? Io devo capire.
L’ostilità concentrata nell’atteggiamento della femmina esplose in parole quasi a dispetto della sua volontà. — Perché? Lei ha anche il coraggio di chiedermi il perché? Quando ho visto sull’etichetta qual era il contenuto delle scatole ho deciso che se non volevate delle madri, voi bastardi snaturati nemici delle donne, allora non avreste avuto nessuna madre. Neppure i ventri di metallo che vi partoriscono contronatura. E poiché avevate bisogno di ordinare altrove le colture ovariche ho giurato che avrei fermato anche la prossima ordinazione, e la successiva, e quella dopo ancora, finché… — Stava rantolando, adesso. Soffocava di rabbia? No, comprese Ethan: il suo vanaglorioso trionfo intellettuale s’era trasformato in veleno dentro di lei, in lacrime cocenti. — Finché non sarei riuscita a costringere Simmi a fuggire da quel pianeta, condannato all’estinzione, e allora lui avrebbe capito il suo sbaglio e sarebbe tornato a casa per vivere con una donna. E ho giurato a me stessa che stavolta non avrei criticato la sua scelta e non le avrei torto un capello, e anche la sciocca più vanitosa mi sarebbe andata bene. Ma non potevo sopportare il pensiero che i miei nipoti sarebbero nati fra i mangiafango di quel mondo di depravati, di soli uomini, posto che meritino d’essere chiamati uomini… — Helda ingoiò le lacrime e si erse rigidamente, fronteggiandoli con aria di sfida, rossa in faccia e ansimante, con un filo di saliva sulle labbra dopo quello sfogo.
Ethan pensò che ora capiva come un giovane soldato con la testa imbottita di propaganda poteva sentirsi quando, alla sua prima esperienza di combattimento, si trovava davanti la faccia odiata del suo nemico. Poco prima, in un momento di furore eroico, lui s’era gloriato della possibilità di colpire quella femmina, gli era parso di aver sempre saputo che a minacciare Athos era stata una di quelle creature maligne e subdole. Ma le cose non erano così semplici, e adesso lui si trovava lì con tutti i pezzi di quel rompicapo fra le mani, senza voler colpire nessuno. E per nulla eroico.
— Per il Cristo degli Spazi — mormorò l’agente della Sicurezza, che aveva finalmente fatto i suoi conti. — Allora devo arrestare una della Sorveglianza Ecologica?
Teki ridacchiò. L’altro tecnico, chiaramente colto di sorpresa dalla confessione di Helda, aveva l’aria di non sapere se dire la sua opinione o restare in disparte e rendersi invisibile.
— Ma cosa ne hai fatto delle altre? — Millisor si piegò verso di lei, a denti stretti.
— Le altre cosa? — tirò su col naso Helda.
— Le colture ovariche congelate che hai tolto da quei contenitori diretti ad Athos — spiegò Millisor, sillabando le parole come se stesse parlando a un animale che forse, pazientemente interrogato, poteva essere in grado di rispondere come un essere umano.
— Oh, quelle. Le ho buttate via.
Sulle tempie del cetagandano pulsavano vene e capillari. Ethan avrebbe potuto dire di quant’era salita la sua pressione. Sembrava avere anche qualche difficoltà a respirare. — Stupida puttana — ansimò. — Stupida puttana, tu non sai cos’hai fatto…
La risata di Quinn li colse di sorpresa, facendoli voltale stupiti. Se l’ammiraglio Naismilh fosse qui, si divertirebbe un mondo.
L’autocontrollo del Ghem-colonnello cedette, alla fine. — Maledetta cagna senza cervello! — gridò gettandosi su Helda, e le artigliò le mani alla gola. Il raggi degli storditori di Quinn e dell’agente della Sicurezza s’incrociarono, e il robusto cetagandano si afflosciò al suolo.
Rau si fece indietro, scuotendo la testa e mugolando fra sé: — Oh, merda, merda, merda…
— Resistenza all’arresto… — batté l’agente della Sicurezza sul minicomp, e fece una pausa per precisare l’accusa. — No. Tentata aggressione a una funzionaria della Sorveglianza Ecologica che espletava i suoi compiti…
Rau scivolò verso la porta.
— Non dimentichiamo l’evaso dal Reparto Detenzione — disse subito Quinn. — Sarà meglio non lasciarlo allontanare, agente. — Indicò Rau. — È lui l’individuo che state cercando da due giorni, dopo la sua fuga dal C-9. E scommetto che se perquisite questo alloggio troverete armi e attrezzature militari che la dogana di Stazione Kline non ha mai consentito d’importare.
— Prima viene la quarantena — disse l’altro sorvegliante ecologico, dopo un’occhiata alla collega ormai emotivamente svuotata.
— Ma senza dubbio l’ambasciatore Urquhart vorrà sporgere denuncia per il furto e la distruzione di beni appartenenti ad Athos — fece presente Quinn. — perciò chi deve arrestare chi?
— Tutti noi andremo al Reparto Quarantena, dove potrò tenervi sotto controllo finché non avrò chiarito ogni aspetto della situazione — disse fermamente l’agente della Sicurezza. — Chi è evaso dal C-9 scoprirà che fuggire dalla quarantena è un’altra cosa.
— Questo è vero — mormorò Quinn.
Rau ricominciò a imprecare fra i denti quando altri due agenti della Sicurezza apparvero sulla porta, sbarrandogli la sola via di fuga. La stanza sembrò all’improvviso troppo affollata. Ethan non aveva visto il robusto funzionario della Sicurezza chiamare rinforzi, ma evidentemente doveva averlo fatto ancor prima di entrare. La sua stima per quell’uomo in apparenza lento e indeciso salì di qualche grado.
— Sì, signore? — chiese uno dei nuovi venuti.
— Ve la siete presa comoda — disse l’agente della Sicurezza. — Perquisite quell’uomo. — Indicò Rau. — Poi darete una mano a scortare tutti alla Quarantena. Questi tre sono accusati di aver portato e sparso un contagio. Quello lì è l’uomo evaso dal C-9 e indagato per altri reati. Questa funzionaria è stata accusata di furto da quest’uomo, il quale indossa una tuta della stazione senza apparente giustificazione e nel contempo afferma che quel giovanotto del Bio-controllo è stato rapito. E ho una lista di accuse lunga da qui ai moli da notificare all’individuo disteso sul pavimento, quando si sveglierà. Questi tre hanno bisogno di cure mediche, anche se non urgenti…
Ricordando i suoi doveri, Ethan si avvicinò a Teki e gli applicò a un braccio l’hipospray con l’antidoto del penta-rapido. Si sentì quasi triste per il giovanotto, quando il suo sorriso vacuo ma tranquillo fu sostituito dall’espressione di chi si sveglia con un forte mal di capo. Nel frattempo la squadra della Sicurezza stava estraendo ogni genere di misteriosi oggetti dalle tasche di Rau, che non faceva resistenza.
— E l’attraente signora in uniforme bianca e grigia, che sembra saperla lunga sugli affari di tutti quanti, sarà trattenuta come testimone finché non avrò accertato le sue responsabilità — concluse l’agente della Sicurezza. — Ma… ehi, dov’è andata?