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Nel Reparto Quarantena Rau tenne dietro alla lettiga su cui era disteso il suo superiore ancora privo di sensi, sopportando tutte le ispezioni fisiche e le analisi pretese dal Bio-controllo senza una parola di protesta. In effetti non aveva più aperto bocca da quando avevano lasciato l’albergo sotto pesante scorta, ma era rimasto accanto a Millisor con una sorta di cupa fedeltà, come un cane che rifiutasse di allontanarsi dalla bara del padrone.
Ethan non poteva immaginare quali esami si richiedessero per rivelare la plasmosi virale Alpha S-D-2 — o la sua mitica mutazione 3 — ma dall’espressione tetra che vide sulla faccia di Rau suppose che non fossero stati molto gradevoli.
Si sarebbe sentito meglio se Rau avesse mostrato almeno un minimo di fair play. Lo sguardo che c’era negli occhi del cetagandano quando lo riportarono in sala d’attesa per far entrare lui fu invece amichevole come una lama di coltello.
Seguendo fuori l’inserviente Ethan fu condotto in un ufficio per un colloquio con due agenti della Sicurezza, l’uomo robusto che aveva eseguito gli arresti all’albergo e un ufficiale femmina che sembrava essere il suo diretto superiore. A metà del colloquio i due furono raggiunti da un terzo funzionario della Sicurezza, che si presentò come il capitano Arata, un eurasiatico magro e nervoso con lisci capelli neri, faccia pallida e occhi acuti come aghi, che parlava poco e ascoltava molto.
Il primo impulso di Ethan, che si sentiva tentato d’essere franco e dire tutto, si smorzò subito allorché dovette pensare al problema della sparizione di Okita. Prudentemente decise che non avrebbe fatto il minimo accenno a quell’individuo, se non ci fosse stato costretto. Gli esperimenti genetici cetagandani e i tragici fatti culminati nella fuga dei loro due telepati divennero, sotto quelle tre paia d’occhi kliniani sicuramente molto interessati alle manovre politiche altrui, la vaga notizia che "un’ordinazione di colture ovariche per Athos era stata sostituita, sul Gruppo Jackson, con del materiale genetico rubato su Cetaganda". Ethan evitò con cura di menzionare Terrence Cee. Questo avrebbe potuto rendere le cose troppo complicate…
— In questo caso — disse la funzionaria della Sicurezza, — la sorvegliante biologica F. Helda ha fatto un favore ad Athos, agli effetti pratici, anche se involontariamente. Ha impedito che materiale genetico alterato fosse introdotto nella vostra società.
La funzionaria, comprese Ethan, stava cercando obliquamente di fargli pressione perché lui lasciasse cadere le accuse contro Helda, risparmiando così uno scandalo imbarazzante a una stazione la cui economia si basava sul traffico di merci e di viaggiatori. Ripensò alle dimensioni dei loro magazzini, e alla quantità di navi che attraccavano continuamente ai moli. Capire che quella gente stava sudando come lui lo fece sentire meglio, al punto che passò subito all’offensiva.
I tre funzionari assunsero un atteggiamento di fredda cortesia, dicendosi disposti a collaborare. Questo significava che la mezza dozzina di infrazioni commesse da Ethan, ed elencate con precisione burocratica dall’agente che aveva eseguiti gli arresti, potevano esser lasciate evaporare in considerazione del fatto che lui rappresentava Athos, anche se la presentazione delle sue credenziali di ambasciatore non era stata richiesta da Stazione Kline (e non era avvenuta). Nessun altro vandalismo come quello perpetrato dalla sorvegliante ecologica F. Helda, gli fu assicurato, sarebbe stato permesso. La sorvegliante ecologica F. Helda, che ormai aveva una certa età, avrebbe avuto il pensionamento anticipato senza che ci fossero altre pretese di Athos o conseguenze legali. L’ambasciatore Urquhart non avrebbe più dovuto preoccuparsi del Ghem-lord Harmon Dal, o colonnello Millisor che fosse, poiché lui e i suoi assistenti erano già in lista per la deportazione a bordo della prima nave disponibile, con l’accusa di rapimento, presentazione di false generalità e sospetta truffa (accuse, queste ultime, per cui la Camera di Commercio s’era già costituita parte civile).
— A proposito, signor ambasciatore — intervenne il capitano Arala, — lei ha idea di dove si trovino gli altri due dipendenti di questo Ghem-lord?
— Vuol dire che non avete ancora arrestato quel, uh, come si chiama. Setti? — domandò Ethan.
— Ci stiamo lavorando — disse Arata. Il suo volto inespressivo e controllatissimo non diede a Ethan alcun indizio sul significato di quella frase.
— Suppongo che farà meglio a domandarlo al colonnello Millisor. quando riprenderà i sensi. In quanto all’altro dipendente, forse potrà avere sue notizie da… mmh. quella mercenaria…
— La comandante Elli Quinn? — domandò Arata.
— Può darsi — annuì Ethan, con indifferenza.
— E dove si trova la comandante Quinn, signor ambasciatore?
Ethan sospirò. — Se ò andata via così in fretta, presumo che la sua nave stesse partendo. Era in ferie. Probabilmente farà ritorno alla flotta dei Mercenari Dendarii. dovunque sia in questo momento. — Portandosi dietro senza dubbio il suo nuovo acquisto, Cee. Quanto tempo il giovane telepate sarebbe sopravvissuto, ora che aveva perso del tutto i suoi sogni e i suoi scopi? Più di quanto era destinato a sopravvivere quando aveva Millisor alle calcagna, ammise Ethan per onestà. Che vada pure. Faccia come vuole.
Anche Arata ebbe un sospiro. — Una creatura scivolosa come un’anguilla — borbottò. — Quanto al fatto che se ne sia andata, vedremo. Mi deve ancora qualche spiegazione.
A quel punto Ethan vide che il colloquio era terminato e si alzò. La funzionaria lo accompagnò solo fino alla porta del suo ufficio. — La ringrazio per la sua gentile collaborazione, signor ambasciatore. Se c’è qualcosa che Stazione Kline potrà fare per rendere più gradevole la sua permanenza, la prego di informarci.
Non gli era stato detto altro di Helda, e poiché adesso lui era un diplomatico decise che chiedere qualcosa di più del pensionamento anticipato (la sua testa in un blocco di plastiglax, ad esempio) sarebbe stato poco diplomatico.
Nel corridoio che conduceva al portello stagno di quel settore Ethan rallentò il passo. — Ora che ci penso, capitano Arata, c’è qualcosa che potreste fare per me.
— Davvero? Mi fa piacere.
— Il colonnello Millisor è sotto sorveglianza, no? Quando si sarà svegliato, potreste concedermi di parlargli per qualche minuto?
Arata lo scrutò con aria speculativa. — Se vuole seguirmi vedrò cosa posso fare, signore.
Ethan fu condotto dal capitano della Sicurezza attraverso la sezione amministrativa e oltre due portelli stagni, di nuovo nel Reparto Quarantena. Qui incontrarono un meditec che stava uscendo giusto allora da una camera dalle pareti trasparenti. Il meditec accese un pannello INGRESSO CONSENTITO sopra la porta della camera e cominciò a togliersi la tuta isolante. All’interno una guardia armata della Sicurezza mandò fuori da uno scomparto un rotolo di indumenti, in un sacchetto che il meditec gettò in un cestone con altra roba destinata alla lavanderia.
— Quali sono le condizioni del vostro paziente? — gli domandò Arata.
Il meditec guardò i gradi del suo interlocutore. — È sveglio e ha recuperato l’orientamento. Accusa qualche tremito dovuto al trauma dello storditore, e un certo mal di capo. Le analisi rivelano che soffre inoltre di ipertensione cronica, di una gastrite dovuta presumibilmente al lavoro stressante, di un inizio di degenerazione epatica pre-cirrotica, e di una prostata ingrossata che fra qualche anno dovrà farsi operare. In breve, è in uno stato di salute normale in un uomo della sua età. Quello che non ha è la plasmosi virale Alpha S-D-2, né la 3, né la 29 o qualsiasi altro numero. Il suo apparato genitale è tatuato, come usa fra i cetagandani, ma non ammalato. Qualcuno ci ha inoltrato un falso allarme, capitano, con quel rapporto di qualche ora fa, e spero che scoprirete chi è stato. Io non ho tempo per giochetti così stupidi e costosi.
— Ci stiamo lavorando — disse il capitano Arata.
La camera fu aperta ed Ethan seguì il suo accompagnatore fino all’ingresso di quella successiva. Qui Arata accennò alla guardia di restare fuori dalla porta ma invece di fare lo stesso entrò con Ethan, fermandosi un passo oltre la soglia in educato ma risoluto atteggiamento d’attesa. Lui rifletté che chiedergli di uscire sarebbe stato inutile; la stanza era sicuramente monitorata.
Avvicinandosi al letto su cui giaceva Millisor, sveglio e vestito con un semplice camice verde sotto cui doveva essere nudo, Ethan notò con sollievo che aveva cinghie di sicurezza chiuse intorno ai polsi e alle caviglie. Il cetagandano s’era limitato a voltare la testa verso di loro. Teneva le mani incrociate sul petto, rilassato come se avesse già completamente accettato il fatto d’essere legato e in arresto, ma scrutava Ethan con un sardonico distacco. Questo ebbe l’effetto di farlo sentire un codardo, come un goffo turista che osasse avvicinare un predatore feroce ormai messo ai ceppi da cacciatori ben più esperti e coraggiosi di lui.
— Uh, buon pomeriggio, colonnello Millisor — lo salutò Ethan, piuttosto incongruamente.
— Buon pomeriggio, dottor Urquhart. — Il cetagandano gli rivolse un ironico cenno del capo a mo’ di inchino. Appariva esente da qualsiasi animosità personale: un professionista, come Quinn. Del resto non aveva mostrato alcuna animosità personale verso di lui neppure quando aveva ordinato la sua esecuzione.
— Io, uh… volevo essere completamente e definitivamente sicuro, prima della sua deportazione, che lei abbia capito che Athos non ha mai ricevuto, e non riceverà mai, materiale genetico proveniente dal Gruppo Jackson — disse Ethan.
— Le probabilità sembrano far propendere per questa ipotesi — gli concesse Millisor. — Nonostante ciò io dubito di tutto. È una questione di logica.
Ethan soppesò quella dichiarazione. — Incontrare la verità così all’improvviso deve sembrarle insopportabile, allora. Specialmente una verità dove c’è molta follia umana e assai poca logica.
Millisor lo guardò con aria di compatimento. — Lei ha una filosofia difettosa, Urquhart. Io non ho mai conosciuto nessuno disposto a regalarmi la verità; al massimo la sua versione della verità. — Strinse le palpebre, — Dunque, cosa ne pensa di Terrence Cee, ora che lo ha conosciuto?
Ethan s’irrigidì, allarmato. — Di chi sta parlando?
— Andiamo, Urquhart, so benissimo che si trova qui. Posso sentire l’odore della sua presenza, nella situazione tattica. Lo ha trovato attraente, lei, da autentico athosiano? Ma non c’è bisogno d’essere athosiani per apprezzarlo… e per essere apprezzati da lui. Sa, in passato ho avuto modo di notare che il suo, uh, dono, funziona in due direzioni per quel che riguarda certe emozioni… come se lui fosse contagiato da quelle altrui.
Era un pensiero sgradevole, al momento, soprattutto perché Ethan non poteva negare di aver trovato Cee molto attraente. Si volse a mezzo. Millisor stava ora guardando con interesse Arata, forse in attesa delle reazioni dell’ufficiale della Sicurezza alla piega che aveva preso la conversazione. Ethan cercò subito di tagliare ogni accenno di Millisor alla lista di fatti e nomi che lui aveva tenuto segreti: — Non mi è ancora accaduto di parlare del signor Cee con… con loro. E non ho alcuna voglia di farlo. Questo, nel caso che lei se lo stia domandando.
Millisor inarcò le sopracciglia, stupito. — Come favore a me?
— Come favore a loro — lo corresse lui.
Il cetagandano accettò quella dichiarazione col beneficio del dubbio, almeno a giudicare dal suo cenno del capo. — Ma Cee è su Stazione Kline. Dove, esattamente, Urquhart?
Ethan scosse il capo. — Non lo so, mi creda. Se lei preferisce pensare che questa è una bugia, è un problema suo.
— Allora lo sa la sua amichetta, la mercenaria. Perciò la domanda resta la stessa: dov’è quella donna?
— Non è la mia amichetta! — esclamò Ethan, inorridito. — Io non ho niente a che fare con la comandante Quinn. Quella femmina lavora da sola. Se lei ha dei problemi con la comandante Quinn, se la prenda con lei, non con me!
Arata, senza muovere neppure un muscolo del viso, s’era fatto più attento.
— Al contrario — disse Millisor. — Quinn ha tutta la mia ammirazione. Molte cose che prima non avevo capito mi sono adesso chiare. Se potessi la assumerei al mio servizio.
— Uh… non credo che lei sia disponibile.
— Tutti i mercenari hanno l’etichetta col prezzo. Forse non in denaro. Prestigio, potere, piacere.
— No, guardi — disse con sicurezza Ethan — Il suo ammiraglio è ostile a voi cetagandani, e Quinn sembra innamorata di lui. Io ho già visto questo fenomeno nell’esercito di Athos… adorazione di certi ufficiali che i subordinati vedono come eroi. Alcuni ufficiali abusano di questo vantaggio, altri no. Non so a quale categoria il suo ammiraglio appartenga, ma non credo che voi riuscireste a interessarla altrettanto.
Arata annuì in silenzio, con aria comprensiva.
— Anch’io conosco quel comportamento — sospirò il Ghem-lord. — Be’, peccato. — Il suo grugnito, indifferente e distaccato, costrinse Ethan a chiedersi perché si fosse lasciato indurre a prendere le difese di Quinn e della sua fedeltà ai Dendarii. Che Millisor stesse cercando di farlo avvicinare a lui per afferrarlo? Ma aveva le gambe saldamente assicurate al letto.
— Le confesso una cosa, Urquhart: lei mi lascia perplesso — proseguì il cetagandano. — Se lei non era d’accordo con Cee per cospirare ai nostri danni, allora poteva essere soltanto la sua vittima. Non riesco a capire che guadagno lei veda nel proteggere quell’uomo, dopo il brutto scherzo che stava cercando di fare ad Athos.
— Lui non voleva fare niente di male ad Athos. Voleva soltanto emigrare là. Non è certo un delitto. E da quanto ho visto finora di questa parte della galassia, devo dire che lo capisco. Io stesso ho una gran voglia di tornarmene in patria.
Le sopracciglia di Millisor si sollevarono fin quasi all’attaccatura dei capelli, uno dei pochi gesti che gli erano concessi. — Perdio! Comincio davvero a credere che lei sia lo sciocco ingenuo che proclamava d’essere, Urquhart! Eppure credevo che lei avesse capito cos’hanno fatto al materiale da voi ordinato.
— Sì. Cee ha chiesto che il fornitore ci spedisse materiale ovarico prelevato da sua moglie. Un po’ macabro, forse, dato che si trattava di un cadavere. Ma considerando chi lo ha allevato, c’è da stupirsi che non sia molto più strano.
Millisor lo guardò un attimo, incredulo, e poi scoppiò a ridere. Ethan non trovava nulla di divertente in quella situazione. Guardò il Ghem-lord, a disagio.
Millisor si calmò e scosse il capo. — Lasci che le presenti due fatti, allora. Due fatti ormai obsoleti, visto che la mentecatta colpevole di aver aperto i contenitori su questa stazione ha ormai compiuto il suo stupido sabotaggio. Uno: il complesso genetico, uh, del quale stiamo parlando… — gettò uno sguardo ad Arata, — era recessivo, e non sarebbe riapparso nel fenotipo finché non fosse stato presente in entrambe le metà del genotipo, ovvero l’ovulo femminile e uno spermatozoo maschile. Due: ogni singolo ovulo prodotto dalle colture destinate ad Athos conteneva il meccanismo per produrre l’altra metà del complesso genetico. Rifletta su questo, dottor Urquhart.
Ethan corrugò le sopracciglia.
Nella prima generazione, le nuove colture ovariche avrebbero fornito le loro caratteristiche recessive, nascoste e non attivate, ai bambini — e ben presto, dato il ritmo a cui morivano le vecchie colture, a tutti i bambini — nati su Athos. Ma soltanto allorché la seconda generazione avesse raggiunto la pubertà l’organo telepatico funzionante sarebbe apparso in una metà (statisticamente) della popolazione, dall’unione del genotipo attivato maschile con il genotipo recessivo delle colture. Nella terza generazione, metà della popolazione restante sarebbe passata dalla telepatia latente a quella effettiva, e così via, poiché la maggioranza telepatica avrebbe continuato a trasmettere il genotipo attivato a metà della minoranza non-telepatica dimezzandola a ogni generazione.
Ma per allora anche tutti i non-telepatici avrebbero portato quei geni nelle loro cellule, potenziali padri di figli telepatici. L’intera popolazione di Athos sarebbe stata quindi permeata con quel complesso genetico, ormai impossibile da sradicare anche con estese operazioni di chirurgia microcellulare.
Dati quei meccanismi di riproduzione obbligati, la domanda Perché Athos? trovava quindi la sua risposta. Naturalmente Athos. Soltanto Athos.
L’audacia, la perfezione, la bellezza — e l’enormità — del complotto di Cee mozzò il fiato a Ethan. Tutte le tessere del mosaico cadevano al posto, ciascuna provando l’evidenza dell’altra con la chiarezza di un calcolo matematico. C’era da credere che Cee fosse orgoglioso di come aveva speso la sua montagna di denaro.
— Ora chi è che trova insopportabile incontrarsi all’improvviso con la verità? — lo derise Millisor.
— Oh — disse Ethan con un fil di voce.
— La cosa più insidiosa di quel piccolo mostro è il suo fascino — proseguì il cetagandano, guardandolo con intensità. — Lo abbiamo costruito così proprio a questo scopo, quando ancora non sapevamo che i limiti del suo talento l’avrebbero reso poco adatto come agente sul campo. Anche se. visti i guai che ha saputo darci in seguito, di talenti ne aveva fin troppi. Ma non bisogna pensare che il fascino sia una virtù, dottore. Lui è pericoloso, se non altro perché non prova la minima lealtà verso l’umanità dalla quale è uscito, e di cui non fa più parte…
Ethan si chiese se in quel contesto poteva interpretare: Umanità = Cetaganda.
— … essendo non più un uomo ma un virus, che vuole trasformare l’intero universo a sua immagine e somiglianza, un pezzo dopo l’altro. Sicuramente lei capisce che un contagio di questo genere richiede contromisure energiche. Ma la nostra è soltanto la violenza controllata della chirurgia. Lei non deve farsi convincere dalla propaganda del virus. Per quanto pieni di difetti, noi non siamo i macellai che lui vuol farci apparire.
Le mani di Millisor si girarono, nelle cinghie, aprendosi in un gesto di supplica. — Ci aiuti. Lei deve aiutarci.
Scosso, Ethan guardò l’uomo avvolto in quel camice spiegazzato. — Senta, mi spiace di… — Per Dio il Padre, stava davvero chiedendo scusa a Millisor? — No, colonnello. Vede, io ho parlato con Okita. Posso capire che un uomo diventi un killer. Ma un killer che si annoia a fare il suo lavoro?
— Okita è solo uno strumento. Il bisturi del chirurgo.
— Allora il vostro governo trasforma un uomo in una cosa. — Una citazione antica passò nella mente di Ethan: Dai loro frutti li conoscerai…
Millisor strinse le palpebre. Non insisté nelle sue argomentazioni, e dopo un breve sguardo ad Arata domandò: — Cos’ha fatto al sergente Okita, dottor Urquhart?
Anche lui gettò un’occhiata al capitano della Sorveglianza, seccato che quel nome fosse stato riportato in ballo. — Io non gli ho fatto niente. Magari ha avuto un incidente. Oppure ha disertato. — O forse, considerato il destino ultimo di Okita, era più esatto dire "dessertato"… Ethan scacciò quei pensieri morbosi. — In ogni caso, io non posso aiutarla. Anche se volessi tradire Cee per consegnarlo a voi (è questo che mi sta chiedendo, no?) non so assolutamente dov’è.
— Neppure dove sta andando? — suggerì Millisor.
Ethan scosse il capo. — Può esser diretto dovunque, per quello che ne so. Cioè: dovunque ma non su Athos.
— Ahimè, è vero — mormorò Millisor. — Fino ad oggi Cee era legato a quel materiale genetico. Se io fossi riuscito ad averlo avrei potuto mettermi a sedere, e lui sarebbe venuto da noi. Ora che le colture sono state distrutte, e che non sarà possibile da parte nostra attirarlo con qualcosa di analogo, Cee è libero di portare avanti una nuova variante della sua trama nefasta chissà dove. — Il cetagandano sospirò. — Chissà dove…
Il Ghem-colonnello, ricordò risolutamente Ethan a se stesso, era legato e impotente. Lui era libero di muoversi; spettava a lui mettere fine al colloquio prima che quell’astuta spia gli tirasse fuori altre informazioni.
Nella sua ritirata strategica Ethan si fermò un momento quando fu a metà strada verso la porta. — La lascio con un’ultima considerazione su cui riflettere, colonnello: se lei avesse usato questi modi così ragionevoli la prima volta che ci siamo incontrati, invece di fare quello che ha fatto, forse mi avrebbe convinto, e le avrei dato ciò che voleva.
Le mani di Millisor si chiusero a pugno e tesero i loro legami, alla fine.
Fu così che Ethan fece ritorno alla sua camera d’albergo, quella che lui aveva preso il giorno del suo arrivo a Stazione Kline e mai più occupata da allora. Poteva ringraziare la fortuna che l’aveva indotto a pagare in anticipo, perché i suoi effetti personali erano ancora tutti dove li aveva lasciati. Fece il bagno, si rase, diede una ritoccata ai capelli, indossò finalmente abiti di sua proprietà e mangiò una leggera colazione ordinata al distributore della stanza.
Con il bicchiere di caffè sintetico in mano sedette a riflettere. Aveva buttato via due settimane — doveva controllare la data, aveva perso la cognizione del tempo — in quell’avventura, prima come specchietto per le allodole di Quinn. poi come bersaglio mobile di Millisor e oggetto delle manovre di Terrence Cee. Tutti lo avevano usato come una pallina da ping-pong, e cosa ne aveva ricavato? Un utile insegnamento? Una volta che avesse restituito la tuta rossa e gli stivali. non gli sarebbe rimasto altro souvenir che quanto aveva appreso. Tirò fuori la carta di credito e la esaminò. L’invisibile microspia di Quinn era presumibilmente ancora lì, e attiva. Se avesse detto quel che pensava di lei, avrebbe fatto fremere uno dei suoi orecchini a forma di fiore? Comunque, una persona che parlava alla sua carta di credito avrebbe senza dubbio messo a disagio chi gli stava accanto, anche lì su Stazione Kline.
Si distese stancamente sul letto, solo per scoprire che i suoi nervi erano troppo tesi per addormentarsi. Era giorno, o notte? E avevano un senso quei termini su Stazione Kline? Lui non avrebbe saputo dire se aveva conservato il ritmo del suo fuso orario di Athos, o se l’aveva perso già prima di sbarcare sulla stazione. Sentiva il bisogno di alzare la faccia sotto la pioggia, o di un freddo vento polare che gli spazzasse via le ragnatele dal cervello. Avrebbe potuto aprire l’aria condizionata, ma l’odore del deodorante chimico non sarebbe cambiato.
Dopo un’ora trascorsa a rivedere tutti gli avvenimenti di quei giorni, e ad immaginare ciò che avrebbe potuto dire e fare se fosse stato più accorto (o più duro, o più pronto alla risposta salace, o più affascinante) rinunciò disgustato, si vestì e uscì dall’albergo. Se dormire gli era impossibile, avrebbe almeno cercato di occupare il suo tempo con qualcosa di utile. Athos stava pagando quattrini sonanti per ogni minuto della sua missione.
Tornò al Livello della Passeggiata dei Viaggiatori, dov’erano quasi tutti i consolati e le ambasciate, e cominciò a fare una ricerca seria delle case produttrici di materiale biologico. Quasi tutti i pianeti più progrediti offrivano qualcosa. Su Colonia Beta c’erano diciannove diverse possibilità, fra ditte private e governative, e l’Università di Silica offriva un’interessante possibilità di scelta fra le donazioni genetiche di persone di talento, con ampie garanzie.
Benché contrario ad accettare senza riserve i suggerimenti di Quinn su qualsiasi cosa, Ethan rifletté che Colonia Beta sembrava la destinazione migliore. Non sarebbe rimasto deluso, gli assicurò la femmina che operava all’interfaccia computerizzato nell’atrio. Lui uscì convinto di aver finalmente fatto un buon lavoro. E si sentiva fiero anche per un altro motivo; aveva trattato con quella femmina come avrebbe fatto con un uomo. Poteva riuscirci, dopotutto; non era affatto difficile.
Fece ritorno in albergo per mangiare un boccone, poi sedette alla consolle di comunicazione per vedere quanto gli sarebbe costato un biglietto di andata e ritorno per Colonia Beta.
Il percorso più diretto era via Escobar, e ciò gli avrebbe offerto la possibilità di esaminare altri potenziali fornitori senza aggravare di una spesa extra il Consiglio della Popolazione. Almeno metà dei consiglieri gli avrebbero fatto i loro complimenti, qualunque fosse stata la sua scelta tecnica.
Prese finalmente le decisioni più importanti, la stanchezza cominciò a farsi sentire. Ethan si distese sul letto per un sonnellino di cinque minuti.
Parecchie ore più tardi un ronzio insistente del videotelefono lo trascinò fuori dalla palude di un sogno confuso. Il suo piede destro rifiutò di svegliarsi, piegato a un angolazione anomala, e gli fremette di un solleticante torpore quando si alzò per andare a sfiorare il pulsante "Ricezione".
Sulla piastra olovisiva si materializzò la faccia di Terrence Cee. — Dottor Urquhart?
— Ah. Non mi aspettavo di rivederla. — Ethan si sfregò gli occhi cisposi e sedette per entrare nel campo della telecamera. — Credevo che non sapesse più cosa farsene dell’asilo politico di Athos, visto che i suoi grandi traguardi sono ormai finiti in fumo. Un individuo materialista come lei è sicuramente più adatto all’ambiente dei mercenari, comunque. Le consiglio di esaminare l’offerta della comandante Quinn.
Cee ebbe una smorfia, mostrandosi chiaramente a disagio. — In effetti sto per partire — disse con voce rauca. — Volevo parlarle un’ultima volta per… per chiederle scusa. Possiamo vederci al Molo C-8 fra, diciamo, una mezzora?
— Be’, se proprio ci tiene. — Ethan annuì. — Ha intenzione di partire con Quinn, allora, per unirsi ai Mercenari Dendarii?
— Per il momento non posso dire altro. Mi scusi. — L’immagine di Cee si dissolse in una nevicata luminosa e la comunicazione s’interruppe.
Forse accanto a lui c’era Quinn, che gli aveva accennato di tenere la bocca chiusa. Ethan respinse la tentazione di chiamare la Sicurezza e dire al capitano Arata dove poteva trovarla. Lui e Quinn erano pari, adesso; l’aiuto ricevuto aveva pareggiato i guai in cui quella femmina lo aveva trascinato. Il mistero era stato risolto, lei aveva le informazioni tanto desiderate dal suo capo. Che se ne andasse per la sua strada.
Mentre Ethan usciva dall’albergo e si avviava sul marciapiede del corridoio, un uomo che fin’allora era stato seduto accanto alla vasca dei pesci dorati tolse la carta di credito dalla macchinetta che spruzzava nell’acqua briciole di cibo, e venne verso di lui con l’evidente intenzione di fermarlo.
Per un momento Ethan ebbe l’impulso paranoico di voltarsi e fuggire urlando lungo la strada. L’uomo non poteva essere Setti. Non corrispondeva affatto al tipo razziale cetagandano: era alto, di pelle scura, con un gran naso a becco, e indossava un completo di seta rosa gaiamente ricamato.
— Il dottor Urquhart? — domandò educatamente lo sconosciuto.
Ethan mantenne una certa distanza fra loro. Se costui era un’altra dannata spia di qualche genere, giurò a se stesso, l’avrebbe ficcato a testa in giù nella vasca dei pesci dorati. — Sì?
— Mi chiedo se non sarebbe così gentile da farmi un piccolo favore.
— Di che si tratta?
L’uomo tolse da una tasca della giacca rosa un oggettino oblungo, un piccolo proiettore olovideo. — Se le accadesse di rivederlo, vorrei che lei consegnasse questa capsula da messaggi al Ghem-colonnello Luyst Millisor. Il messaggio si attiva introducendo il suo numero di matricola militare.
Nella vasca dei pesci rossi, a testa in giù. — Il colonnello Millisor è stato arrestato dalla Sicurezza di Stazione Kline. Se vuole fargli avere un messaggio, si rivolga a loro.
— Ah. — L’uomo sorrise. — Forse lo farò. Tuttavia, chi può dire dove ci porterà il prossimo giro della grande ruota? Lo prenda ugualmente. Se non le capiterà l’occasione di consegnarlo, lo getti pure via. — Detto questo cercò di mettere il piccolo oggetto in mano a Ethan, che però fu svelto a indietreggiare. Invece di insistere e costringerlo a camminare ancora all’indietro sul marciapiede, l’uomo si fermò e scosse il capo. Appoggiò la capsula sulla panchina che Ethan aveva messo come barriera fra loro. — Lascio la cosa alla sua discrezione, signore. — Gli rivolse un inchino accompagnato da un ampio gesto del braccio, quasi una genuflessione, e si allontanò.
— Non ho intenzione di toccare questo oggetto — disse dietro di lui Ethan con voce piatta. L’uomo si volse a mezzo con un sorrisetto, ed entrò in un ascensore antigravità. — Lo porterò alla Sicurezza! — gridò lui. L’uomo si portò una mano a un orecchio e scosse il capo, sollevandosi nel tubo trasparente. — Io lo… io lo… — Ethan imprecò fra i denti mentre la figura rosa spariva alla vista.
Girò intorno alla panchina, scrutando il piccolo oggetto con la coda dell’occhio. Sembrava innocuo. Alla fine, con un borbottio, si chinò a raccoglierlo. Alla prima occasione l’avrebbe portato al capitano Arata, e qualunque cosa ci fosse dentro se ne sarebbe occupato lui. Guardò l’orologio e si affrettò verso le auto pubbliche.
Dovette prendere una vettura a bolla per farsi portare al Molo C-8. che si trovava in un settore riservato alle navi mercantili sul lato opposto della stazione rispetto alla Passeggiata dei Viaggiatori. Stavolta aveva una mappa con sé, e non si smarrì nelle traverse.
La zona dei moli era molto silenziosa a quell’ora. Un solo ingresso al corridoio estensibile esterno era acceso, collegato a una piccola nave, probabilmente un corriere veloce che affittava anche cabine passeggeri a chi voleva spostarsi in fretta. Quelle astronavi da balzo erano perfino più costose dei grossi transgalattici di linea, ed Ethan rifletté che il conto spese di Quinn doveva essere molto elastico.
Terrence Cee, vestito con la sua tuta verde da operaio della stazione, era seduto su una cassa da imballaggio sul bordo della strada dei moli, completamente solo. Il giovanotto biondo si girò nel sentire i suoi passi sulla rampa di uscita, e quando lui gli fu accanto disse: — È in anticipo di dieci minuti, dottor Urquhart.
Ethan guardò il corridoio estensibile. — Credevo che lei avrebbe cercato un passaggio su un mercantile, o su uno di quei passeggeri che ammucchiano i turisti come sardine. Non immaginavo che lei viaggiasse con questo stile.
— Ero convinto che lei non sarebbe venuto.
— Perché? Forse perché ho scoperto tutta la verità sul materiale che lei voleva mandare ad Athos? — Ethan scrollò le spalle. — Non posso dire che approvo quel che lei cercava di fare. Ma visti gli ovvi problemi che la sua… uh, la sua razza, suppongo di poter dire, avrebbe sofferto nelle vesti di minoranza odiata e temuta, penso di capire.
Un malinconico sorriso illuminò il volto del giovanotto biondo, poi scomparve. — Lei capisce? Sì, è naturale che un athosiano capisca. — Ebbe un cenno col capo. — Forse avrei dovuto dire che speravo che lei non venisse.
Ethan si volse, seguendo la direzione del suo cenno.
Nell’ombra di un grosso carrello sollevatore c’era Elli Quinn. Ma era una Elli Quinn insolitamente sciatta e spettinata. La sua bella blusa non c’era, e indossava solo una maglietta a mezze maniche e i pantaloni dell’uniforme. Anche i suoi stivaletti non c’erano. E inoltre, notò Ethan quando barcollò avanti fuori dall’ombra, la fondina del suo storditore era vuota.
Aveva barcollato avanti perché era stata spintonata da un uomo con l’uniforme arancione e nera della Sicurezza di Stazione Kline. Così l’avevano presa, alla fine. Ethan fu sul punto di ridere. Stare a guardare come se la sarebbe cavata sarebbe stato affascinante…
Il suo buonumore s’inaridì quando poté vedere meglio la pistola che l’individuo robusto dalla faccia inespressiva le puntava alla nuca. Era un letale distruttore neuronico. Un’arma non regolamentare per gli agenti della Sicurezza.
Fu in quel momento che lo scalpiccio sulla strada dei moli lo fece voltare, e vide Millisor e Rau che venivano verso di loro.