124308.fb2 La spia dei Dendarii - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 3

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CAPITOLO SECONDO

— Forse — disse speranzosamente il delegato anziano del Consiglio della Popolazione di Las Sands, — la Casa Bharaputra ha commesso un errore in buona fede. Forse pensavano che il materiale ci servisse per gli studenti di medicina, o qualcosa del genere.

Ethan si stava chiedendo perché Roachie l’avesse trascinato a quella riunione. Come testimone? Come esperto? In un’altra occasione avrebbe potuto sentirsi intimidito da quell’ambiente lussuoso: lo spesso ed elegante tappeto, il bel panorama della capitale dalle finestre, il tavolo di legno ondulato e le facce barbute dei consiglieri che si riflettevano sulla sua lucida superficie. Ma in quel momento era così irritato che non se ne accorgeva neppure. — Questo non spiega perché ci siano 38 pezzi in una scatola marcata 50 sbottò, — né spiega la presenza di quelle dannate ovaie di mucca. Credevano per caso che volessimo allevare minotauri, qui?

Il giovane delegato di Delara li informò, con voce blanda: — La scatola che abbiamo ricevuto noi era completamente vuota.

— All’inferno! — disse Ethan, alzandosi. — Nessun materiale così putrefatto e scadente può essere frutto di un errore "in buona fede" o di un disguido nella spedizione… — Desroches, esasperato, gli accennò di rimettersi a sedere, e lui moderò il tono: — Se non si tratta di negligenza, o di una truffa, l’unica ipotesi che posso fare è quella di un atto di sabotaggio.

— Più tardi — gli promise sottovoce Desroches. — Potrà alzarsi e approfondire questo punto più tardi.

Il presidente raccolse i dischi coi rapporti ufficiali sul materiale ricevuto da tutti e nove i Centri di Riproduzione, li registrò sulla sua consolle di comunicazioni e fece un sospiro. — Perché diavolo abbiamo ordinato le nostre forniture a quella gente del Gruppo Jackson? — chiese. Era una domanda retorica, ma sembrava aspettarsi una risposta.

Il capo del sub-comitato per gli acquisti mise due pasticche in un bicchier d’acqua e le guardò mentre cominciavano a sciogliersi in un nugolo di bollicine. — La Casa Bharaputra ci faceva il prezzo più basso — spiegò, accigliato.

— E tu hai messo il futuro di Athos nelle mani di chi fa i prezzi più bassi? — grugnì un altro consigliere.

— Voi tutti avete approvato. Ve ne siete dimenticati? — ribatté il capo del sub-comitato per gli acquisti, accalorandosi. — Anzi, avete insistito, dopo aver saputo che un’altra ditta ci avrebbe mandato soltanto trenta colture per lo stesso prezzo. La Casa Bharaputra ci aveva promesso cinquanta colture… e vi brillavano gli occhi quando ho letto il preventivo, lo ricordo benissimo.

— Cerchiamo di attenerci all’ordine del giorno, prego — lo esortò il presidente. — Non abbiamo tempo da perdere con le recriminazioni o per distribuire le colpe. La nave del censimento galattico lascerà l’orbita di Athos fra quattro giorni, e questo è il solo mezzo di trasporto disponibile fino all’anno prossimo, se vogliamo trasmettere all’estero la nostra decisione.

— Dovremmo avere anche noi le nostre navi da balzo — fece notare un consigliere. — Allora non saremmo trattati in questo modo, né ci troveremmo alla mercè dei programmi di viaggio altrui.

— I militari insistono con me da anni per averne un paio — disse il consigliere dell’Ufficio della Difesa.

— E a quale centro di riproduzione vorresti tagliare i fondi per acquistarle? — domandò ironicamente un terzo. — Noi e i militari siamo le due voci maggiori nel bilancio, insieme alle opere di terraformazione dalle quali dovrà nascere il cibo con cui vogliamo nutrire più figli… salvo che tu non desideri spiegare ai nostri cittadini che i figli da loro agognati devono esser lasciati nell’aldilà, per fare posto su questo mondo a dei giocattoli che non producono nulla in cambio del loro costo.

— Non producono nulla… finché non ce ne sarà bisogno — mugolò l’altro consigliere, irritato.

— Per non parlare della tecnologia che dovremmo importare insieme a delle astronavi da guerra… e cosà, ti prego d’illuminarmi, potremo esportare per pagarle? Il nostro reddito annuale lordo basta appena per…

— Allora facciamo in modo che le navi da balzo si paghino da sole. Se le avessimo potremmo esportare qualcosa, e avere così abbastanza valuta galattica da…

— Cercare il contatto con quelle culture contaminate sarebbe una contravvenzione ai dettami dei Padri Fondatori — lo interruppe un quarto consigliere. — Essi ci hanno portato qui, proprio in fondo a questo lungo corridoio di transito, e in una zona isolata della Distorsione Galattica, in primo luogo proprio per tutelarci dalla nociva influenza…

Il presidente batté alcuni secchi colpi sul tavolo. — I dibattiti su argomenti d’interesse planetario spettano al Consiglio Generale, signori. Oggi ci siamo riuniti per occuparci di un problema specifico, e possibilmente in fretta. — La sua voce piatta e irosa non invitava alla discussione. Intorno al tavolo i consiglieri si irrigidirono, buttarono giù note sulle loro tastiere e assunsero espressioni accigliate.

Il giovane delegato di Barka, dopo essersi consultato con un suo collega anziano, si schiarì la gola. — Evitando di andare su altri mondi, c’è un’unica possibile soluzione. Possiamo far crescere il nostro materiale genetico qui.

— È proprio perché le nostre colture non crescono più che siamo stati costretti a… — cominciò un altro.

— No, no, questo l’ho capito, è ovvio — s’affrettò a interromperlo il delegato di Barka, un capo del personale come Desroches. — Io volevo dire che, uh… — si schiarì la gola, — potremmo far crescere alcuni feti femminili noi, qui. Non sarà necessario portarli a termine, naturalmente. Tolti dal replicatore uterino prima del parto, si potrà asportare loro il tessuto ovarico, e ricominciare con altri feti.

Sul tavolo cadde un pesante silenzio e ci furono borbottìi di disgusto. Il presidente torse la bocca come se avesse succhiato un limone acerbo. Il consigliere di Barka deglutì un groppo di saliva ed evitò accuratamente di guardare dalla sua parte.

Infine il presidente disse: — Non siamo ancora alla disperazione. Tuttavia forse è un bene aver intavolato un argomento a cui qualcun altro avrebbe pensato, se le cose dovessero peggiorare.

— Non sarebbe necessario renderlo di pubblico dominio — precisò il delegato di Barka.

— Questo voglio sperarlo — annuì il presidente. — Prendo nota della possibilità suggerita. I presenti sono tenuti a considerare segreto e non divulgabile questo argomento. Ma devo sottolineare che questa proposta non risolverebbe l’altro perenne problema, ormai da anni all’attenzione del Consiglio e di Athos: mantenere un’accettabile varietà genetica. La nostra generazione non lo sente ancora come un problema pressante, ma tutti noi sappiamo che lo diverrà, in futuro. — Il suo tono si ammorbidì. — Sarebbe venir meno alle nostre responsabilità se oggi lo ignorassimo, scaricandolo così sui nostri nipoti sotto forma di crisi.

Intorno al tavolo ci furono mormorii di sollievo, quando la logica prese il posto delle emozioni destate dal delegato di Barka. Anche quest’ultimo apparve rassicurato. — È giusto… Proprio così… Bisogna pensarci prima… Meglio prendere due piccioni con una fava, se possibile…

— L’Ufficio Immigrazione potrebbe esserci d’aiuto nel cercare un agente — disse un consigliere, che una settimana all’anno lavorava all’Ufficio Immigrazione e Naturalizzazione di Athos. — Se uno degli immigrati fosse disposto.

— Quanti immigrati sono arrivati con la nave di quest’anno? — domandò l’uomo seduto di fronte a lui.

— Tre.

— Per l’inferno, è un periodo di stanca?

— Non direi. L’anno scorso ne sono giunti soltanto due. E due anni fa, nessuno. — L’uomo dell’Ufficio Immigrazione sospirò. — La logica fa pensare che dovremmo essere sommersi da folle di uomini in cerca di una vita migliore o di asilo politico. Probabilmente i Padri Fondatori hanno voluto esser certi di offrirci un pianeta molto al di fuori delle consuete rotte di navigazione. Talvolta mi chiedo se la gente, sugli altri mondi della galassia, ha mai sentito parlare di noi.

— Forse questa informazione viene soppressa da… uh, loro. Sapete di chi parlo.

— Forse gli uomini che tentano di arrivare qui vengono fermati a Stazione Kline — ipotizzò Desroches. — Forse soltanto a pochi loro concedono di passare oltre.

— È la verità — annuì l’uomo dell’Ufficio Immigrazione. — Tuttavia va notato che gli individui provenienti da fuori tendono a essere un po’… uh. strani.

— Non c’è da stupirsene, considerando che sono il prodotto un parto così traumatico, e delle… uh. creature, che li educano. Non per colpa loro.

Il presidente batté ancora sul tavolo. — Queste chiacchiere potrete continuarle più tardi. Dunque, siamo tutti d’accordo nell’insistere con la nostra precedente scelta, e cioè cercare al di fuori di questo pianeta un rifornimento di tessuti da coltura…

Ethan, che si sentiva bollire, non riuscì a star zitto: — Signori! Non starete pensando di rivolgervi ancora a quei delinquenti che ci hanno appena… — Desroches lo costrinse con fermezza a rimettersi a sedere.

— … acquistandoli da una fonte più sicura e controllata — finì il presidente, gratificando Ethan di uno sguardo severo. Non di biasimo, tuttavia, ma anzi come se si sentisse d’accordo con lui. — Il vostro parere, signori consiglieri?

Dai presenti si levò un mormorio di approvazione.

— I sì prevalgono, la mozione è approvata. Penso inoltre che siate d’accordo sull’opportunità di non fare due volte lo stesso errore: non più acquisti alla cieca. Ne consegue che dovremo scegliere un agente. Qualche suggerimento, Dr. Desroches?

Desroches si alzò in piedi.

— Grazie per avermi interpellato, signor presidente. Ho già riflettuto con attenzione su questo problema. È ovvio che l’agente commerciale ideale deve prima di tutto possedere le conoscenze tecniche necessarie per valutare, scegliere, imballare e trasportare le colture. Questo restringe considerevolmente la rosa di candidati, dai quali mi sia perciò consentito escludere tutti gli emigrati giunti nei recenti anni sul nostro pianeta. L’agente dovrà essere inoltre un uomo di provata integrità, non solo perché sarà responsabile di quasi tutto il commercio con l’estero che Athos potrà permettersi quest’anno…

— Di tutto — lo corresse con calma il presidente. — Il Consiglio Generale non ha approvato altri scambi, ieri sera.

Desroches annuì. — E non solo perché il futuro di Athos dipenderà dalla sua capacità di giudizio, ma anche perché dovrà avere la fibra morale per resistere alla, uh… a qualunque cosa ci sia là fuori, e che lui potrebbe quindi incontrare.

Stava parlando di loro, ovviamente, delle femmine, e di tutto ciò che costoro avrebbero potuto fare a un uomo. Dato che aveva elencato la fibra morale fra le caratteristiche indispensabili, Ethan si chiese se Roachie stesse meditando di offrirsi volontario. Senza dubbio era qualificato dal punto di vista tecnico, riconobbe. E ammirò il coraggio del collega, anche se fino a quel momento l’aveva considerato un piccolo burocrate di vedute ristrette. Ora invece riconosceva di averlo giudicato frettolosamente. Per Desroches sarebbe stato un sacrificio lasciare i due figli, che lui adorava, per un intero anno…

— Dovrà anche essere un uomo libero dalle responsabilità familiari, in modo che la sua assenza non lasci un pesante fardello sulle spalle del suo coniuge alternativo designato — continuò Desroches.

Tutte le facce barbute intorno al tavolo annuirono gravemente.

— … e infine, dovrà essere un uomo dotato dell’energia e della fermezza che gli occorreranno per portare a termine il suo compito, superando gli ostacoli che gli saranno opposti dalle… dal destino o da chiunque altro potrebbe trovarsi ad affrontare. — Desroches appoggiò saldamente una mano su una spalla di Ethan; l’espressione di cupa approvazione sulla faccia del presidente si allargò in un sorriso.

Le parole con cui Ethan stava per congratularsi con lui, e fargli i suoi auguri gli si erano congelate in gola. Da un lato all’altro del cranio gli echeggiava soltanto una stridula, tremante e incredula frase: Questa me la pagherai, Roachie…

—  Signori, ho il piacere di proporre alla vostra attenzione il nostro nuovo agente commerciale, il dottor Urquhart — disse Desroches, e rivolse a Ethan un sorriso allegro. — Ora può alzarsi e dire quel che voleva dire — lo incitò.

Il silenzio, a bordo della vettura da superficie di Desroches sulla strada fra la capitale e Sevarin, fu lungo e pesante. Infine l’uomo si decise a romperlo, nervosamente: — Non vuole proprio ammettere di avere la capacità di occuparsene?

— Questo è lei a dirlo — grugnì Ethan, scostante. — Avevate già deciso tutto in anticipo, lei e il presidente.

— Era necessario, data la scarsità di tempo. Ho pensato che lei sarebbe stato troppo modesto per offrirsi volontario.

— Modesto un accidente. Quello che lei ha pensato è che sarebbe stato più facile costringermi ad accettare se mi aveste colto di sorpresa.

— Ma niente affatto, caro Ethan! Sono convinto che lei sia l’uomo più adatto per questo incarico, ecco la verità. E il presidente ha voluto la mia opinione in anticipo perché solo Dio il Padre sa chi avrebbe scelto il Consiglio, lasciato libero di chiacchierare e perdere altro tempo. Magari quell’idiota di Frankin, da Barka. Le piacerebbe vedere il destino di Athos nelle mani di quell’individuo?

— No — fu d’accordo Ethan, con riluttanza. Poi ebbe uno scatto d’ira. — Sì! Mandateci lui, là fuori.

Desroches sorrise, e sul lucido quadro di comando si riflesse il bianco dei suoi denti. — Ma i crediti da doveri sociali che lei ne ricaverà… pensi a questo! Il costo di tre figli, i CDS che guadagnerebbe in dieci anni di lavoro, e tutto ciò in un solo anno che. me lo lasci dire, può essere in buona parte considerato una vacanza. Il compenso approvato dal Consiglio è stato generoso.

Senza volerlo troppo Ethan immaginò un olocubo sulla sua scrivania, pieno di vita e con tre sorridenti volti di fanciulli… pony anche per loro, naturalmente, e lunghe giornate in barca a vela sotto il cielo terso, con lui che insegnava ai figli i segreti del vento e del mare, come suo padre aveva insegnato a lui, e le voci e le risa in una casa non più vuota, e un futuro senza timori…

Ma con voce tetra disse: — Se riuscirò nell’incarico, e se riuscirò a tornare indietro. Inoltre io ho già da parte crediti da doveri sociali per un figlio e mezzo. Il Consiglio avrebbe fatto meglio a stanziare abbastanza crediti da doveri sociali per qualificare il mio coniuge alternativo designato. Sto parlando di mio fratello… cioè, del mio fratellastro, Janos.

— Se lei scusa la mia franchezza, Ethan, gli uomini come il suo fratellastro sono proprio la ragione per cui i CDS non possono essere trasferiti neppure ai familiari — disse Desroches. — È senza dubbio un giovanotto affascinante, ma lei stesso deve ammettere che si tratta di un irresponsabile.

— È giovane — protestò Ethan, a disagio. — Ha soltanto bisogno di un po’ di tempo per maturare.

— Tre anni più giovane di lei, mi sembra di ricordare. Sciocchezze. Il suo fratellastro non maturerà mai, finché può appoggiarsi a lei. Credo che le converrebbe assai di più trovare un CAD già qualificato, piuttosto che cercare di tirarne fuori uno da un ragazzo scriteriato come Janos. Inoltre, con un CAD qualificato come partner, lei potrebbe avere una vita familiare…

— Lasciamo la mia vita privata fuori da questa storia, le spiace? — sbottò Ethan. ferito in un punto sensibile. — Vita che, fra l’altro, questa missione scombussolerà completamente. Non me la sento proprio di ringraziarvi per questo incarico. — E incrociò le braccia, seduto accanto al posto di guida, con gli occhi fissi nella notte che correva incontro alla vettura.

— Poteva andarle peggio — gli fece notare Desroches. — Il Consiglio avrebbe potuto attivare il suo stato di Riserva dell’Esercito, farle dare un ordine dall’Ufficio della Difesa e mandarla in missione con la paga da sottufficiale. Per fortuna lei è stato così intelligente da non cadere in questa trappola.

— Mi sono accorto che non stavate bluffando.

— Infatti non stavamo bluffando. — Desroches sospirò e si fece più serio. — Non l’abbiamo scelta a caso, Ethan. E le dirò che trovare un sostituto in grado di svolgere il suo lavoro a Sevarin non sarà assolutamente facile per me.

Desroches fece scendere Ethan davanti al giardino dell’appartamento che lui divideva con il fratellastro, e prima di ripartire gli raccomandò di farsi vedere di buon’ora al Centro di Riproduzione, l’indomani. Ethan annuì con un sospiro. Quattro giorni. I primi due, e non un minuto di più, gli erano concessi per istruire il suo assistente anziano ai molti nuovi compiti che avrebbe dovuto svolgere, e per sbrigare almeno i più urgenti affari personali — gli conveniva fare testamento? — poi un giorno alla capitale per le ultime istruzioni presso il Consiglio della Popolazione, e quindi presentarsi alla pista di atterraggio delle navette. Il suo cervello già fremeva nello sforzo di barcamenarsi con tutte quelle novità.

Una quantità di cose, al Centro di Riproduzione, avrebbero dovuto semplicemente essere abbandonate. D’un tratto gli venne da pensare al figlio di Fratello Haas, il feto del gruppo JJY, felicemente impiantato nel replicatore uterino tre mesi addietro. Lui aveva già progettato di occuparsi personalmente del parto, così come s’era occupato della fertilizzazione dell’ovulo. L’alfa e l’omega, per assaporare anche se brevemente e attraverso gli occhi di un altro uomo il frutto gioioso del suo lavoro. Avrebbe fatto ritorno su Athos assai dopo la scadenza di quella data.

Mentre camminava verso la porta, nella penombra, inciampò sulla bicicletta elettrica di Janos stesa di traverso sul sentiero fra le aiuole. Per quanto Ethan si sforzasse di ammirare l’idealistica indifferenza del fratellastro verso le superficialità del benessere materiale, gli sarebbe piaciuto che fosse più ordinato con le sue cose… ma lui era fatto così.

Benché l’uso volesse che lo chiamasse "fratello", in realtà Janos non aveva con lui altro che una parentela legale, essendo figlio del CAD di suo padre. I due uomini avevano allevato insieme i loro cinque figli, così come erano stati insieme come partner nella vita privata e nella conduzione della loro ditta, un impianto dapprima sperimentale e poi di buon successo economico per l’allevamento del pesce, sulla costa della Provincia Meridionale. Nessuno dei due aveva mai fatto differenze fra i suoi figli e quelli del suo coniuge alternativo designato. Ethan, il più anziano dei tre figli di suo padre, studioso e analitico, era destinato fin dalla nascita a un’istruzione superiore e a un lavoro nel campo scientifico. Steve e Stanislaus, gli altri due, nati a una settimana uno dall’altro, provenivano invece dallo stesso gruppo di coltura ovarica del padre, ed erano positivi e portati agli affari. Degli altri due, Janos era energico e fatto per le attività fisiche, dotato di una personalità eclettica e spumeggiante. Bret, il "piccolo", che al momento faceva servizio di leva nell’Esercito, aveva invece chiare tendenze musicali; era a lui che Ethan si riferiva parlando col caposquadra dei meditec, quel mattino. Sentiva la loro mancanza da anni, prima nell’Esercito, poi all’università, e infine dopo aver accettato quel lavoro troppo-buono-per-poterlo-rifiutare lì nel Distretto di Sevarin.

Quando Janos aveva deciso di trasferirsi anch’egli a Sevarin. avido di lasciare la vita di campagna per quella di città, Ethan era stato ben lieto di prenderlo in casa con sé. Non gli importava che la presenza del fratellastro ostacolasse i suoi saltuari tentativi di socializzare con qualche aspirante partner. Ethan. che era sempre stato timido nei rapporti sentimentali, detestava gli approcci sessuali che ai giovanotti di città riuscivano spontanei, e che lui trovava invece troppo facili e artificiosi. Di conseguenza lui e Janos avevano ripreso senza problemi i rapporti sessuali della loro infanzia. E quella notte Ethan aveva bisogno di quel genere di conforto, perché nel suo intimo si sentiva molto più spaventato di quel che il suo sarcastico botta-e-risposta con Dcsroches avesse fatto pensare.

L’appartamento era buio e silenzioso. Ethan fece un rapido passaggio in tutte le stanze e poi, con un borbottio, andò a controllare nel garage.

La sua vettura antigravità non c’era. Ethan l’aveva acquistata solo due settimane prima, coi risparmi di un anno di lavoro e grazie anche al recente aumento di paga che gli spettava con la promozione a direttore del suo dipartimento: una Aerostar De Luxe ultimo modello, personalizzata su richiesta del cliente e con piastre antigravità che potevano sollevarla fino a un chilometro d’altezza in venti secondi. Ethan imprecò fra i denti, poi si diede dello sciocco e cercò di calmarsi; in realtà aveva già promesso a Janos che gliela avrebbe fatta provare, appena finito il rodaggio. Inutile mettersi a discutere con lui se l’aveva presa un po’ prima; sarebbe apparso stupidamente pignolo.

Rientrò in casa e considerò doverosamente l’idea di andarsene subito a letto. Era tardi, ma… dannazione, il nervosismo gli avrebbe impedito di dormire. Controllò la consolle di comunicazioni. Nessun messaggio, naturalmente. Senza dubbio ciò significava che Janos era uscito con l’idea di tornare a casa prima di lui, cercò di dirsi. Ethan fece il numero di videotelefono della vettura antigravità; nessuna risposta. Be’, dato che a bordo non c’era nessuno questo gli dava modo di effettuare la ricerca col sistema antifurto, senza che Janos se ne offendesse. Chiamò a schermo la carta della città e batté un codice che lo collegava col satellite. Uno degli accessori extra da lui chiesti era un costoso trasmettitore incorporato nel telaio stesso della Aerostar De Luxe, che avrebbe costretto un ladro a fare a pezzi il motore per smontarlo. Il segnale che il satellite gli mandò sulla carta rivelò che la vettura si trovava in città: a neppure due chilometri di distanza da lì, nel Parco dei Padri Fondatori. Senza dubbio Janos è a una festicciola in casa di qualche amico, pensò, grattandosi la mandibola. Be’, decise infine, allora tanto valeva andarsene da quelle stanze vuote e deprimenti, e raggiungerlo per un’ora o due; così si sarebbe preso la soddisfazione di stupirlo non mostrandosi arrabbiato perché lui era uscito con la sua vettura senza permesso.

L’aria della notte gli scompigliò i capelli e gli schiarì la mente quando sfrecciò per le strade silenziose sulla ronzante bicicletta elettrica. Era freddo, ma fu la vista delle luci gialle dei veicoli del soccorso stradale che gli gelò le ossa, appena ebbe svoltato nel vasto Parco dei Padri Fondatori. Che Dio il Padre non voglia… Ma no, no, era affrettato pensare al peggio solo perché Janos e il soccorso stradale si trovavano nello stesso luogo. Sicuramente si trattava di una vicinanza casuale e senza rapporto.

Nessuna ambulanza, niente polizia municipale; soltanto un paio di veicoli di servizio mandati da qualche garage. Ma se non c’era sangue sull’asfalto, perché quella piccola folla affascinata? Fermò la bicicletta presso le querce allineate sul lato sud del parco, si accorse che gli spettatori stavano guardando all’insù e alzò la testa, seguendo il raggio dei fari puntati fra il fogliame scuro.

La sua Aerostar De Luxe. Parcheggiata sulla cima di una quercia alta 25 metri.

No… incastrata sulla cima di una quercia alta 25 metri. Il propulsore sfondato dai rami, le ali semi-retrattili accartocciate, gli sportelli aperti. Il cuore di Ethan si fermò alla vista della cintura di sicurezza del posto di pilotaggio che penzolava fuori. Il vento aumentò, i rami oscillarono con allarmanti crepitii e la folla fece prudentemente qualche passo indietro. Lui s’incamminò in mezzo alla gente per vedere meglio. Fra i pezzi di plastica e i detriti vegetali piovuti sull’asfalto non c’erano tracce di sangue…

— Ehi, signore, meglio che lei non stia qui sotto. È pericoloso.

— Quella lassù sembra la mia vettura… è una Aerostar De Luxe rosso fiamma, no? — disse Ethan. — In cima a un dannato albero, maledizione. — Accorgendosi di avere la voce stupidamente stridula per la tensione tacque, e si schiarì la gola. Abbassò gli occhi e lo irritò vedere che alcuni dei presenti ridacchiavano. Cosa trovavano di divertente nella vista di una vettura nuova di zecca ridotta in quelle condizioni? Fece qualche passo indietro, poi si girò ad afferrare per una manica l’uomo del garage che gli aveva rivolto la parola.

— Senta, il giovanotto che guidava quella Aerostar, dove…

— È andato via da un pezzo. L’ho visto salire sull’ambulanza.

— L’hanno portato all’ospedale? È ferito?

— No, non mi è parso. Lui no, almeno. Il suo amico aveva un brutto taglio nella testa, invece. Comunque, mi sembra di aver sentito che gli agenti li avrebbero accompagnati al pronto soccorso e poi portati alla stazione della Polizia Municipale, dove suppongo che passeranno qualche guaio. Il conducente stava cantando.

— Ah. Era… ubriaco, vuol dire? — domandò Ethan.

— Ehi lei, ha detto che quella vettura là in cima è sua? — lo interpellò un uomo con la divisa della Protezione Ambientale, avvicinandosi.

— Credo di sì. Io sono il Dr. Urquhart. Perché?

L’uomo della Protezione Ambientale tirò fuori un minicom tascabile sul cui schermo c’era un modulo compilato a mezzo. — Lei si rende conto che questo albero ha quasi duecento anni? È stato piantato dagli stessi Padri Fondatori, e ha un valore storico incalcolabile. Guardi adesso quella crepatura sul tronco, spaccato quasi da cima a fondo…

— La tengo, Fred! — gridò una voce dall’alto. — Abbassa, ora. Piano… ho detto piano!

— Toglietevi di mezzo, laggiù! Via, via!

— Come responsabile dei danni, lei dovrà…

Uno schianto di legno che si spezzava, un violento fruscio sulla chioma dell’albero, un: — Aaah! — della folla, e il gemito acuto di un veicolo antigravità le cui piastre stavano andando all’improvviso fuori fase.

— Oh, merda! — imprecò una voce alla sommità della quercia. La folla si disperse di corsa, fra imprecazioni e grida d’avvertimento.

Cinque metri al secondo, fu il pensiero isterico di Ethan. 25 metri d’altezza per… quanti chili pesava una Aerostar De Luxe?

L’impatto a muso in giù sull’asfalto fece schizzare via il parabrezza e irretì di pieghe orizzontali simili a onde la scintillante carrozzeria rossa, da cima a fondo. Alcuni frammenti rotolarono o volarono fin dall’altra parte della strada. Nel breve intervallo di assoluto silenzio che seguì lo schianto Ethan poté udire lo sfrigolio della costosa elettronica interna che andava in corto circuito. La batteria era rimasta intatta, evidentemente; ne ebbe la prova quando alcune scintille appiccarono il fuoco al quadro dei comandi.

La testa bionda di Janos si volse quando il giovanotto sentì la voce di Ethan, alla Stazione della Polizia Municipale di Sevarin. Parve stupito di vederlo lì.

— Oh, Ethan — lo salutò con calma. — Già di ritorno dalla capitale? Spero che tu abbia fatto buon viaggio. Io ho avuto una giornataccia, temo. — Fece una pausa, poi schioccò le dita. — A proposito… uh, hai trovato la tua Aerostar?

— L’ho trovata.

— Non ci saranno problemi, stai tranquillo. Tu lascia fare a me. Ho chiamato il garage. Forse l’hanno già tirata giù.

Il barbuto sergente di polizia con cui Janos stava parlando, seduto dall’altra parte della scrivania, fece udire un grugnito. — Certa gente non la lascerei andar fuori neanche su un triciclo a pedali, se volete sapere la mia opinione.

— L’hanno tirata giù — annuì seccamente Ethan. — Ho pagato il conto del garage. E ho pagato i danni per l’albero.

— L’albero?

— Monumento storico, dovrei chiamarlo. Questo è il nominativo della pianta sul modulo che mi ha rilasciato la Protezione Ambientale.

— Oh, capisco. Che pignoleria, per qualche rametto spezzato.

— Come hai fatto? — lo interrogò Ethan. — A incastrarti su quella quercia, voglio dire.

— Gli uccelli, Ethan — spiegò Janos. — Sono stati loro.

— Gli uccelli. Ti hanno costretto a scendere di quota, intendi?

— Non proprio. — Janos ridacchiò, a disagio. La popolazione avicola di Sevarin, tutta discendente da fagiani e galli selvatici fuggiti dai primi insediamenti, era attualmente lasciata libera nelle zone più abitate dove trovava da mangiare fra i rifiuti, ma non era formata da specie molto capaci di volare. I grossi pennuti venivano tenuti sotto controllo dalla Sorveglianza Ambientale, che li considerava una noia. Ethan gettò uno sguardo alla faccia del sergente e constatò che non sembrava preoccupato della sorte degli uccelli. Era un sollievo; la vista di un altro modulo per danni da pagare gli avrebbe fatto venire una crisi di nervi.

— Vedi — continuò Janos, — abbiamo scoperto che quegli stupidi uccelli potevano essere abbattuti, con un po’ di vera abilità… passandogli molto vicino, voglio dire, quelli vanno in stallo e precipitano a vite, proprio come gli aerei antichi. È come la guerra nell’aria, capisci, uno dirige addosso al nemico e… bang! lo butta giù. — Le mani di Janos saettarono qua e là, evocando le eroiche picchiate dell’aereo da caccia. — Waaam… e giù un altro. È un utile esercizio di volo, no?

Athos non aveva avuto nemici né guerre nei suoi duecento anni di storia. Ethan digrignò i denti, ma conservò la calma. — E l’ultima picchiata si è conclusa sull’albero. Colpa del buio, suppongo. Sì, ora capisco come sia potuto accadere.

— No, questo è successo prima del tramonto. Era giorno.

Ethan fece un rapido calcolo. — Prima delle sei. Posso chiederti come mai non eri al lavoro?

— Be’, questo è colpa tua, mi spiace ma devo proprio dirtelo. Se tu non te ne fossi andato all’alba per accompagnare quel rompiscatole alla capitale, io non avrei dormito fino a tardi.

— Ho rimesso la sveglia. Non ha suonato alle otto meno dieci?

— Sai benissimo che non riesco a svegliarmi con quell’affare.

Vero. Tirare Janos già dal letto, fargli ingoiare la colazione e spedirlo fuori dalla porta, vestito e in orario per andare al lavoro, era il primo duro lavoro della giornata di Ethan.

— Però io ci sono andato lo stesso, dato che non ero in ritardo neanche di tre quarti d’ora — continuò Janos. — Ma in corridoio ho trovato il capo, invelenito per chissà quale motivo suo. Insomma, non ha voluto sentire ragioni e… be’. mi ha licenziato. — Abbassò lo sguardo sugli stivaletti e li inclinò da una parte e dall’altra, accigliandosi, come se si accorgesse soltanto allora di quant’erano impolverati.

— Licenziato per essere arrivato una volta in ritardo? Ma questa è un’ingiustizia. Sentì, parlerò io a quel signore domattina stessa, e… se tu vuoi, insomma, vedrai che in qualche modo…

— Uh, no, non preoccuparti. Meglio lasciar perdere.

Ethan esaminò con più attenzione l’attraente faccia di Janos, incorniciata dai capelli d’oro. Nessun graffio, nessuna contusione sulla sua pelle liscia. Ma sull’avambraccio destro aveva dei lividi che dalla forma sembravano lasciati da dita umane, e le nocche delle dita della mano destra erano spellate. Lui aveva già visto spellature simili. Insospettito chiese: — Cos’è successo al tuo braccio?

— Il capo e quel presuntuoso idiota del suo amante sono diventati un po’ rudi, e mi hanno buttato fuori dalla porta.

— Cosa? Dannazione, come si sono permessi! Io li denuncio…

Janos alzò una mano per placarlo e scosse la testa. — Questo è stato dopo che io gli ho fatto un occhio nero — spiegò, riluttante.

Ethan contò fino a dieci e ricominciò a respirare. Non era il momento di pensarci. Non c’era tempo, ecco il suo problema. — Così hai passato il pomeriggio a consolarti con la birra, finché ti sei ubriacato. Con chi eri? Non con quel tale, spero…

— Ero con Nick — annuì Janos, e incassò la testa nelle spalle, in attesa dell’esplosione.

— Mmh. Suppongo che questo spieghi il massacro degli uccelli. — Nick era il compagno di giochi di Janos in un certo numero di attività competitive che lasciavano freddo Ethan. Ogni tanto gli veniva il sospetto che Janos facesse anche attività d’altro genere con lui. Ora non è il momento di pensarci. Janos inarcò un sopracciglio, sorpreso, quando l’esplosione non venne.

Ethan tirò fuori il portafogli e si rivolse al sergente di polizia, in tono cortese: — Agente, c’è una multa per il tamponamento di volatili in corsia di sorpasso o qualcosa del genere?

— Be’, signore, non direi. Ma se vuole aggiungerne una nuova a quelle già addebitate alla sua vettura…

Ethan scosse il capo.

— Il giudice del tribunale si è già occupato di tutto, nell’ultima seduta pomeridiana. Il suo amico è libero di andarsene.

Ethan ne fu sollevato, ma l’accenno al tribunale l’aveva fatto accigliare. — Vuol dire che non ci sono state accuse a suo carico? Neppure quella per…

— Oh, le accuse ci sono state, signore: guida di un veicolo aereo in stato di ubriachezza, pericolo per la sicurezza pubblica, danni alle proprietà comunali… la spesa per l’intervento dell’ambulanza… — Il sergente enumerò tutte le voci della lista.

— Hanno prelevato la somma dai tuoi CDS in banca, allora? — domandò Ethan a Janos, cercando di richiamare alla mente l’ultimo bilancio a lui noto delle finanze del fratellastro.

— Uh, non proprio. Avanti, andiamocene a casa. Ho un mal di capo infernale.

Il sergente restituì a Janos le sue proprietà personali. Lui firmò la ricevuta senza neanche guardarla e augurò il buongiorno a tutti; erano le tre del mattino passate.

Seduto sulla canna della bicicletta elettrica. Janos usò la scusa del rumore del motore per non dover fare conversazione durante il tragitto fino a casa. Quello fu un errore strategico, perché diede tempo a Ethan di riesaminare la cosa alla luce di un’aritmetica mentale più stretta.

— Janos. dove hai trovato i soldi per pagare la cifra che ti è stata chiesta dal giudice, in tribunale? — gli domandò quando furono entrati, chiudendo la porta. Si girò a guardare l’orologio digitale dell’ingresso. Da lì a tre ore avrebbe dovuto essere al lavoro.

— Non tormentarti con questi pensieri — consigliò il fratellastro. Si tolse gli stivaletti gettandoli sotto il divano con un calcio e andò in cucina. — Stavolta non escono dalle tue tasche.

— Da quelle di chi. allora? Non avrai chiesto denaro in prestito a Nick, eh? — insisté lui. seguendolo.

— Diavolo, no. Lui è più al verde di me. — Janos prese un bulbo di birra dal distributore, estrasse il tubetto refrigerante e bevve un sorso. — Ottimo sciacquabudella. Ne vuoi una? — offrì, esitante.

Ethan rifiutò di lasciarsi attirare in una critica delle preferenze del fratellastro in fatto di bevande, visto che il suo intento era evidentemente quello di distrarlo. — Sì, grazie.

Janos inarcò un sopracciglio, sorpreso, e gli gettò un bulbo. Ethan lo prese e si lasciò cadere su una poltrona, allungando le gambe davanti a sé. Mettersi a sedere fu un errore; tutta la stanchezza emotiva della giornata gli piombò sulle spalle. — I particolari. Janos.

Lui scrollò le spalle. — Hanno detratto i CDS dal conto che avevo in banca, naturalmente, come hai detto tu; il guadagno dei miei due anni di servizio militare. Temo che non ci sia rimasto più niente.

— Oh, Dio! — esclamò stancamente Ethan. — Quel conto non ha fatto che rimpicciolire, da quando sei uscito dall’Esercito. Chiunque alla tua età avrebbe ormai abbastanza crediti da doveri sociali per essere un buon CAD per qualcuno, senza doversi offrire volontario per niente. — Il furioso impulso di afferrare Janos e sbattergli la testa nel muro per ammorbidirgliela un poco fu smorzato solo dal pensiero dello sforzo che gli sarebbe costato alzarsi. — Se avessi un figlio, un bambino piccolo, con che animo potrei lasciarlo con te per andare a lavorare, sapendo che aspetti solo l’occasione, di uscire a divertirti?

— Diavolo, Ethan. chi ti sta chiedendo di farlo? Io non ho tempo da sprecare cambiando i pannolini a quelle fabbriche di cacca. È una cosa che va bene per quelli come te. Cioè… io apprezzo gli uomini come te. Ma quello portato alla paternità sei tu, non io. Lavorare in quel Centro tutto il giorno ti ha rovinato, credimi. Una volta eri un tipo a posto. — Accorgendosi di aver superato il confine della già fin troppo stupefacente tolleranza del fratellastro. Janos assunse un’espressione di scusa e si avviò verso il bagno.

— I centri di riproduzione sono il cuore di Athos — replicò seccamente Ethan. — Lì c’è il nostro futuro. Ma a te non importa niente di Athos, no? A te non importa niente di nessuno, salvo della persona che c’è dentro la tua pelle.

— Ti dirò… — A giudicare dal suo sogghigno, Janos stava per commentare la rabbia del fratellastro con una battuta oscena, ma poi vide la sua faccia scura e decise che non sarebbe stato prudente.

All’improvviso quella discussione fu troppo per Ethan. Aprì le dita e lasciò cadere il bulbo di birra sul pavimento. Nel vederlo rimbalzare mollemente la sua bocca di piegò in un sorriso sardonico, aspro e rassegnato come una smorfia. — Puoi tenerti la mia Aerostar De Luxe, quando me ne sarò andato.

Janos si voltò, improvvisamente allarmato. — Andato? Ethan, io non volevo…

— Oh, no, non me ne vado per quel motivo. La cosa non ha niente a che fare coi nostri rapporti. Finora non ho avuto il tempo di dirtelo… il Consiglio della Popolazione mi ha incaricato di una missione urgente per conto del governo. Riservata. Top secret. Sul Gruppo Jackson. Resterò assente almeno un anno.

— Ora chi è quello a cui non importa niente di nessuno? — disse Janos. irosamente. — Andartene così, per un anno, come nulla fosse. Non pensi a cosa ne sarà di me? Secondo te, io che dovrei fare intanto che tu sei a… — La sua bocca restò scioccamente aperta su quella vocale. — Ethan, il Gruppo Jackson è… un pianeta, no? Un mondo straniero, dove ci sono… ci sono loro. È così?

Ethan annuì. — Partirò fra quattro… no, fra tre giorni, con la nave del censimento galattico. Tu puoi tenere tutte le mie cose. Io non so… non posso prevedere cosa succederà, là fuori.

La bella faccia di Janos era diventata seria, pallida. Con voce sottile, improvvisamente mite, disse: — Vado a farmi una doccia. Tu mi aspetti sul letto?

Un po’ di conforto, finalmente. Ma Ethan s’era già addormentato, sulla poltrona, prima che Janos uscisse dalla stanza da bagno.