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Stazione Kline era il frutto di una crescita durata trecento anni, e tuttavia Ethan fu colto di sorpresa dalla vastità delle sue dimensioni e dalla sua complessità. La stazione era stata costruita in una regione di spazio dove ben sei corridoi di transito facevano convergere altrettante rotte di balzo entro una distanza ragionevole a velocità sub-luce. La stella spenta a cui si doveva quell’anomalia nella Distorsione Galattica non aveva pianeti, e così l’immensa struttura discoidale ruotava da sola in un’orbita lenta, nella zona esterna del suo pozzo gravitazionale buio e freddo come lo Stige.
La Stazione Kline aveva già alle spalle cent’anni di storia quando il pianeta Athos era stato scoperto e colonizzato; aveva funto da base e punto di partenza per l’ultima fase del nobile esperimento dei Padri Fondatori. Valeva poco sotto l’aspetto militare per la difesa di quel nodo per le rotte da balzo, ma era un ottimo posto per gli scambi commerciali, e aveva cambiato proprietario un certo numero di volte quando l’uno o l’altro dei mondi più prossimi s’era assunto l’incarico di difendere i suoi corridoi di transito, nonché i suoi incassi. Attualmente manteneva una precaria indipendenza politica basata sugli intrighi militari dei vicini, sulla determinazione dei suoi abitanti, su una buona capacità nel fare affari con tutti, e sulla nascita di un sentimento nazionale che poteva senz’altro chiamarsi patriottismo. Circa centomila cittadini kliniani vivevano nel suo ramificato labirinto di sezioni, e nei periodi di maggior traffico la stazione poteva ospitare fino a ventimila turisti o viaggiatori di passaggio.
Queste notizie e altre ancora Ethan le aveva apprese dagli impiegati della nave del censimento. L’equipaggio era composto da otto membri tutti di sesso maschile, e questo particolare, aveva scoperto lui, non si doveva al loro rispetto per le leggi e le usanze di Athos, bensì alla scarsa propensione delle impiegate femmine dell’Ufficio Censimento a trascorrere lunghi mesi nello spazio senza la prospettiva di una vacanza al suolo su un pianeta che consentisse loro quel semplice diritto. Ciò aveva dato a Ethan un po’ di respiro prima di trovarsi immerso nella cultura galattica. L’equipaggio era stato cordiale con lui, ma non troppo desideroso di penetrare nel suo timido riserbo, così Ethan aveva trascorso la maggior parte di quei due mesi di viaggio nella sua cabina, studiando videolibri di medicina e preoccupandosi.
Come preparazione aveva deciso di leggere tutti gli articoli scritti da e sulle donne delle sue copie dei Giornale Betano di Biologia Riproduttiva. C’era la biblioteca della nave, naturalmente, ma il suo contenuto non era stato certo approvato dall’Ufficio della Censura Athosiano, e lui non sapeva esattamente quale livello di sicurezza gli fosse attribuito per quella missione. Meglio rispettare i precetti delia virtù che gli erano stati insegnati, s’era detto con cupa determinazione; sapeva che ne avrebbe avuto bisogno.
Femmine. Replicatori uterini con le gambe, ecco cos’erano. Lui non sapeva bene se la loro natura fosse quella di provocare l’uomo al peccato, o se il peccato fosse qualcosa di insito in loro come il succo in un’arancia, oppure se il peccato fosse un contagio che emanava da loro tipo un virus. Avrebbe dovuto studiare con più scrupolo durante l’educazione religiosa della sua infanzia, anche se l’argomento non era infine così proibito che non se ne parlasse in giro, se proprio uno aveva voglia di sviscerarlo. E tuttavia, quando lui leggeva gli articoli scientifici del Giornale, il loro contenuto non faceva affatto capire o supporre quale fosse il sesso dell’autore.
Questo non aveva senso. Che fossero le loro anime dunque, e non le loro menti, ad essere così diverse? Uno degli articoli del quale lui aveva creduto che l’autore fosse un uomo era risultato scritto da un ermafrodita betano, un sesso che non esisteva ancora quando i Padri Fondatori avevano colonizzato Athos. Ma che genere di sesso era? Per un poco lui s’era perso in fantasticherie immaginando i problemi dei funzionari dell’Ufficio Doganale Athosiano se una creatura simile avesse chiesto il visto d’ingresso, mentre i medici cercavano di capire se la sua mascolinità escludesse la sua femminilità o viceversa… probabilmente il dilemma sarebbe stato deferito a un comitato, che ci avrebbe ponderato sopra per tanto di quel tempo che l’ermafrodita avrebbe rischiato di morire di vecchiaia.
L’Ufficio Doganale di Stazione Kline si rivelò non meno burocratico e tedioso, a causa delle procedure di controllo e disinfestazione microbiologica più capillari che Ethan avesse mai visto. Ai kliniani, almeno in apparenza, non importava niente che uno contrabbandasse anni, droghe, o fosse un criminale evaso da qualche penitenziario, purché le suole delle sue scarpe non ospitassero spore misteriose o virus mutanti. Il preoccupato terrore di Ethan e, doveva ammetterlo, la sua famelica curiosità, erano giunti al culmine quando gli fu finalmente permesso d’incamminarsi nel corridoio tubolare che collegava l’astronave al resto dell’universo.
Al primo sguardo il resto dell’universo risultò deludente: un lungo molo, freddo e maleodorante, dove sfociavano le strutture di scarico e smistamento per le merci delle navi mercantili. L’incolore faccia meccanizzata di Stazione Kline, si disse, era evidentemente come il retro di un arazzo ricamato che senza dubbio avrebbe fatto un migliore effetto una volta visto dal giusto lato. Perplesso si domandò quale della dozzina di uscite visibili da lì conducevano verso i settori destinati ad abitazione e alle attività commerciali. L’equipaggio della nave aveva da fare a bordo, e i tre membri appena sbarcati erano già scomparsi; la squadra di disinfestazione della Dogana aveva fatto il suo lavoro e se n’era andata senza una parola, come se fosse attesa con urgenza su un’altra nave. Allo sbocco di un tunnel un’unica solitaria figura stava appoggiata con le spalle al muro, nell’universale atteggiamento pigro e casuale di chi osserva gli altri al lavoro o sta aspettando qualcuno. Ethan controllò la reazione dei suoi canali semicircolari alla gravità del molo, tenne stretti i manici della sua borsa da viaggio e si avviò a passi misurati in quella direzione.
L’elegante uniforme bianca e grigia che l’individuo indossava era sconosciuta a Ethan, ma evidentemente militare, dato che la completava un cinturone da cui pendeva la fondina di una pistola. Null’altro che uno storditore, il cui possesso era legale sulla stazione, anche se il calcio appariva lievemente consunto e la fondina — lui lo notò subito, fiero della sua perspicacia — non era di quelle chiuse che facevano perder tempo prima di estrarre l’arma.
Il soldato, giovane e snello, s’era girato nel sentire avvicinarsi i passi di Ethan, e dopo averlo esaminato da capo a piedi con aria distratta aveva continuato a guardarlo, accorgendosi che veniva verso di lui con l’intenzione di rivolgergli la parola. La sua bocca si curvò in un sorrisetto cortese, quando lo vide fermarsi lì.
— Mi scusi, signore, posso chiederle… — cominciò Ethan, ma subito s’interruppe, incerto. Fianchi troppo arcuati per una figura così snella, occhi troppo larghi e distanziati ai lati di un naso finemente cesellato, mascella sottile e delicata, un volto liscio senza barba come quello di un ragazzino… e avrebbe potuto essere un ragazzino assai avvenente e piuttosto alto per la sua età, ma…
La risata di lei (quello era il pronome che le si addiceva, non potevano esserci dubbi) suonò stranamente acuta agli orecchi di Ethan, che stava arrossendo. — Ehi… tu devi essere un athosiano, è così? — lo interpellò divertita quella voce un paio di ottave troppo alta. — Volevi chiedermi qualcosa?
Ethan fece un passo indietro, prima d’accorgersi che quello era il secondo passo indietro. Be’, cercò di giustificarsi, la persona che si vedeva davanti non aveva niente in comune con la foto della scienziata di mezz’età sul Giornale Betano. Era stato un errore più che comprensibile da parte sua. Comunque, s’era appena ripromesso che avrebbe evitato di parlare con le femmine, per quanto umanamente possibile, ed ecco che stava già… Si schiarì la voce. — Come si fa per uscire da qui? — mormorò, gettando occhiate a destra e a sinistra lungo il molo.
La femmina inarcò le sopracciglia. — Non ti hanno dato una mappa della stazione?
Ethan scosse il capo, nervosamente.
— Be’, è quasi un crimine mandare in giro uno straniero per Stazione Kline senza una mappa. Uno potrebbe avventurarsi alla ricerca urgente di un gabinetto, perdersi nei corridoi di servizio e morire di fame prima di trovare il modo di uscirne. Ah… ecco laggiù uno spaziale che conosco. Ehi, Dom! — gridò la femmina verso un membro dell’equipaggio della nave del censimento, ora vestito in eleganti abiti civili, che stava attraversando il molo. — Vieni qui un momento, per favore!
L’uomo dell’equipaggio cambiò strada, mentre la sua espressione seccata diventava compiaciuta nel vedere la persona che l’aveva chiamato, anche se appariva perplesso. Nel fermarsi accanto a loro si tenne eretto più di quanto Ethan l’avesse mai visto, petto in fuori e pancia in dentro. — Purtroppo non ricordo dove, ma… — e sorrise, — io la conosco, signora?
— Be’, dovresti… sei stato seduto accanto a me per due mesi, al corso di addestramento Emergenze Navali nello Spazio. Ammetto che è stato parecchio tempo fa. — Si passò una mano fra i corti capelli riccioluti. — Immaginami coi capelli più lunghi. Andiamo., la re-gen non può aver cambiato la mia faccia a questo punto. Io sono Elli!
La bocca dell’uomo si aprì in un O di stupore. — Per la Cometa Santa! Elli Quinn! Ma sei diversa… cosa ti è successo?
Lei si toccò uno zigomo liscio. — Completa rigenerazione facciale. Che te ne pare?
— Ti hanno fatto un lavoro fantastico!
— Chirurghi betani, sai… i migliori.
— Sì, ma… — Dom si accigliò. — Perché? Non si può certo dire che tu fossi sgradevole da guardare, prima di arruolarti coi mercenari. — La gratificò di un sorriso timido come un pugno nelle costole, mentre oscillava avanti e indietro sui talloni con l’espressione di un bambino davanti alla vetrina di una pasticceria. — Oppure sei diventata ricca con quel lavoro?
Lei si sfiorò ancora la mandibola, e il suo sorriso si spense. — No, non ho sposato un miliardario o svaligiato il suo yacht. È stata una necessità… mi sono presa un raggio al plasma nella testa durante un abbordaggio, in una battaglia su Tau Verde, qualche anno fa. Non avevo un aspetto molto attraente senza faccia, credimi. Così l’ammiraglio Naismith, che non fa le cose a metà, me ne ha comprata una nuova.
— Che mi possano… — mormorò Dom, colpito. — Be’, non si può dire che te ne abbia comprata una da quattro soldi.
Ethan, che aveva trovato un po’ esagerato il suo entusiasmo per l’estetica facciale della femmina, fu costretto ad ammettere che aveva ragione. Una bruciatura da plasma era orrenda, c’era anzi da sorprendersi che non l’avesse uccisa. Osservò la faccia di lei con interesse medico.
— Se non ricordo male te n’eri andata coi mercenari dell’ammiraglio Oser. — disse Dom. — Quella che indossi è ancora la sua uniforme, no?
— Ah, permettimi di presentarmi col mio grado, amico: comandante Elli Quinn, della Flotta dei Liberi Mercenari Dendarii, al tuo servizio. — E gli rivolse uno scherzoso inchino. — I Dendarii si sono annessi Oser, le sue uniformi, e me… ed è stato un bel passo avanti nella mia carriera, lascia che te lo dica. Ma questa è la prima vera vacanza che mi prendo da quando me ne andai da casa, dieci anni fa, e intendo godermela. Capitare come per caso davanti ai vecchi compagni di scuola e sbalordirli con la mia nuova faccia… sventolare le mie ricche carte di credito davanti agli occhi della gente che diceva che avrei fatto una brutta fine… ma, a proposito di fare una brutta fine, sembra che abbiate spedito in esplorazione il vostro passeggero, qui, privo delle necessarie informazioni. Ed essendo un athosiano, senza una mappa qui non è in grado di trovarsi neanche… il naso. -
Dom guardò sospettosamente l’ufficialessa mercenaria. — Non è che stai facendo giochi di parole, eh? Ne ho sentiti altri su quelli che si fermano su Athos, e dopo quattro anni nello spazio ti assicuro che quelle battute possono diventare drammaticamente vere.
La risata della femmina mercenaria echeggiò fra i carrelli trasportatori parcheggiati sul molo. — Ecco rivelato il segreto motivo per cui tutti ti hanno abbandonato, signor athosiano — disse a Ethan. Si rivolse all’altro: — Posso occuparmi io di lui, allora, essendo in virtù del mio sesso esente dal sospetto di, uh, desideri lascivi contronatura?
— Per quel che riguarda me, puoi — concesse Dom con una scrollata di spalle. — Io ho una moglie che mi aspetta a casa. — E s’avviò intorno a Ethan, evitandolo con attenzione.
— Bene. Ci vediamo più tardi, d’accordo? — disse la femmina.
L’uomo della nave del censimento annuì e dopo un ultimo sguardo, fra ammirato e rammaricato di doverla lasciare, sparì lungo la rampa d’uscita. Rimasto solo con la femmina Ethan soppresse l’impulso di corrergli dietro in cerca di protezione. Ripensando vagamente che la servitù economica era uno dei marchi dei dannati, all’improvviso ebbe l’orribile sospetto che la femmina mirasse ad alleggerirlo del suo denaro… e lui aveva con sé tutto il denaro che quell’anno Athos aveva destinato alle spese all’estero. Il suo sguardo corse con repentina preoccupazione all’arma che lei aveva al fianco.
Sulla strana faccia della femmina ci fu un’espressione divertita.
— Non guardarmi così. Non ho intenzione di mangiarti. Né di fare del sesso con te. — Ebbe una smorfia. — La terapia di conversione non è fra le mie specialità.
— Fare del… — Ethan deglutì saliva. — Io sono un uomo fedele al mio p-partner — balbettò. — Si chiama Janos. Ho qui una sua foto… vuole vederla? Così capirà…
— Ti credo sulla parola — disse lei. alzando una mano. L’ironia che c’era nella sua voce si smorzò in un tono più comprensivo. — Ti ho davvero spaventato, è così? Santo cielo, non sarò la prima donna che tu abbia mai incontrato, per caso?
Ethan annuì. Dodici uscite da cui poteva andarsene, e aveva voluto venire a domandare proprio a lei…
La femmina sospirò. — Ti credo. — Si mordicchiò pensosamente un labbro. — Potresti assumere una guida indigena, anche se Stazione Kline ha fama di non derubare troppo i turisti. È un buon posto per gli affari… una giungla, in altre parole. Io comunque sono un cannibale amico, e se vuoi posso offrirti mezzora del mio tempo.
Ethan scosse il capo, con un sorriso paralizzato sul volto.
Lei scrollò le spalle. — Be’, forse quando avrai superato il tuo shock culturale ci incontreremo ancora. Se cerchi un distributore puoi procurarti uno di questi… — Tolse di tasca un oggetto, un piccolo proiettore olovideo. — Non costano poco, ma te ne regalano uno quando scendi da una nave passeggeri come si deve… io del mio non ne ho bisogno. — Premette il pulsante e nell’aria apparve un’immagine larga un metro, che ondeggiò quando lei mosse l’altra mano per indicare la zona periferica. — Noi siamo qui. Ti consiglio di dirigerti in questa sezione, la Passeggiata del Viaggiatore, dove potrai trovare negozi, una camera d’albergo, ristoranti… in effetti nella zona commerciale puoi trovare tutto, ma immagino che tu voglia attenerti alle cose normali. Passa da questa parte. Prendi questa rampa e gira qui, al secondo incrocio. Sai come far funzionare quest’affare? Bene. Buon divertimento… — La femmina gli mise in mano il proiettore olovideo, lo salutò con un ultimo sorriso e se ne andò da un’altra uscita.
Lui raccolse la sua borsa da viaggio, s’incamminò su per la rampa e alla fine, dopo aver sbagliato strada solo tre o quattro volte, trovò la zona commerciale. Durante il tragitto aveva incrociato molte altre femmine a piedi, che sembravano infestare i corridoi, i tubolari delle auto a bolla, i marciapiedi, i pozzi degli ascensori e le scale, ma grazie a Dio il Padre nessuna di loro l’aveva accostato. Sembrava che quelle creature fossero ovunque. Una teneva un infante inerme fra le braccia; Ethan aveva dovuto sforzarsi per reprimere l’eroico impulso di strappare il poverino al pericolo e portarselo via. Con un bambino a cui badare non sarebbe riuscito a condurre a termine facilmente la sua missione, e del resto non poteva salvarli tutti. Gli venne anche da pensare, comunque, mentre un gruppo di ragazzini gli roteavano attorno in un ascensore antigravità come uno stormo di passeri, che c’era il cinquanta per cento di probabilità che quell’infante fosse femmina. Questo placò un poco la sua coscienza.
Ethan trovò un albergo dove il personale, almeno nell’atrio, sembrava tutto mascolino, e scelse una camera basandosi sul prezzo. Ciò avvenne solo al termine di una lunga e complicata tele-conferenza — fra l’impiegato al banco, il computer centrale di Stazione Kline, la vice-direttrice dell’Ufficio Turisti, e dopo di lei ben quattro funzionari di una banca o del governo della stazione l’oggetto della quale era il valore di cambio da assegnare alle sterline athosiane in possesso di Ethan.
I funzionari furono gentili e fecero il possibile per calcolare il cambio più favorevole, trasformando le sterline in dollari betani attraverso il passaggio preliminare in due monete che lui non aveva mai sentito nominare. I dollari betani, gli fu spiegato, erano una delle monete più solide e universalmente accettate. Tuttavia lui si ritrovò con molti meno dollari di quant’erano state le sue sterline, e con rammarico dell’impiegato dovette declinare la proposta della Suite Imperiale in favore di una Camera Turistica Economica. Il fattorino attese che lui avesse raccolto la sua borsa e lo accompagnò all’ingresso del seminterrato, dove si separò da lui dopo avergli indicato la strada con un cenno.
Il cubicolo in cui Ethan si ritrovò quand’ebbe aperto la porta era economico, e probabilmente era anche turistico, ma che fosse una camera qualcuno avrebbe potuto dubitarne. Quando fosse stato addormentato, si disse Ethan, la ristrettezza del locale non lo avrebbe disturbato. Adesso tuttavia era sveglio. Premette la valvola che gonfiava il letto, si sdraiò (in fretta, poiché non rimaneva molto spazio per stare in piedi) e ripassò mentalmente le istruzioni che aveva avuto prima della partenza, cercando d’ignorare la noiosa impressione che le pareti si muovessero verso l’interno per schiacciarlo.
Quando il Consiglio della Popolazione aveva finalmente trovato dieci minuti per fare il calcolo, durante una seduta, il costo per rispedire al mittente il materiale biologico ricevuto era risultato maggiore della cifra che Casa Bharaputra avrebbe dovuto restituire al governo di Athos, cosicché l’ipotesi di rivolgersi di nuovo al Gruppo Jackson era stata cancellata. Dopo un irritante dibattito Ethan era riuscito ad avere carta bianca nella scelta di un altro fornitore, ciò sulla base di informazioni attendibili che sarebbe stato suo compito trovare a Stazione Kline.
Il Consiglio gli aveva elencato alcune istruzioni ben precise. Non spendere più dei denari che aveva (ovvero non firmare impegni di pagamento per conto di Athos). Procurarsi il materiale biologico migliore disponibile. Andare lontano quanto avrebbe dovuto (ovvero non lamentarsi scioccamente dei sacrifici personali). Non sprecare denari in viaggi non necessari (ovvero andare a piedi piuttosto che su mezzi pubblici, finché possibile). Evitare i contatti personali coi galattici (questa gli era stata data come norma di comportamento morale). Non dire ai galattici niente di Athos (l’Ufficio della Difesa aveva parlato di spionaggio militare). Approfittare dei momenti liberi per coltivare possibili emigranti (scelti fra coloro che potevano portare su Athos un po’ di valuta pregiata). Spargere la voce che Athos era: A) un paradiso per gli uomini dalla mente libera che volessero salvarsi da loro, e B) di nessun valore dal punto di vista strategico e militare. Non mettersi nei guai. Non lasciarsi imbrogliare. Tenere gli occhi aperti per eventuali altre opportunità commerciali favorevoli. Non dimenticare che l’uso personale di fondi di proprietà del Consiglio era considerato un reato, e punito come tale.
Per fortuna di Ethan. tuttavia, il presidente del Consiglio lo aveva preso da parte nel suo ullìcìo, dopo la seduta, dicendogli che voleva parlare con lui in privato.
— Questi sono gli appunti che ha preso in aula? — aveva chiesto, indicando i fogli e i dischetti che lui aveva in mano. — Li dia a me.
E li aveva gettati nel cestino della carta straccia.
— Si procuri quella roba e torni indietro — era stato il suo unico ordine. — Tutto il resto sono chiacchiere.
Il cuore di Ethan si gonfiò a quel ricordo. Sorrise fra sé, si alzò dal letto, gettò in aria il proiettore olovideo riprendendolo destramente al volo, poi se lo mise in tasca e uscì dall’albergo con l’idea di fare quattro passi.
Sulla Passeggiata dei Viaggiatori Ethan trovò alfine l’altra faccia dell’arazzo, quella ricamata, col semplice espediente di prendere un’auto a bolla, farsi portare al molo d’attracco delle più lussuose navi passeggeri e incamminarsi da lì verso il centro di Stazione Kline. Racchiuse nel cristallo e in cornici cromate c’erano vedute della notte galattica, di altre sezioni della stazione scintillanti di luci colorate, e dei piani centrali a forma di ruota che tuttora continuavano a girare per mantenere la loro ormai sorpassata gravità centrifuga. Non erano stati abbandonati — niente veniva mai scartato in quella società legata alle magre risorse dello spazio — ma alcuni erano adibiti ad usi meno importanti, e altri venivano pian piano smantellati per fornire materiale alle sezioni in crescita, come se Stazione Kline fosse un serpente che si mangiava la coda.
Entro le lunghissime paratie della Passeggiata dei Viaggiatori fioriva una gran quantità di rampicanti, di alberi in grandi vasi, di piante aerofage, di orchidee, di aiuole colme d’erbe mutanti. C’erano bizzarre fontane dove l’acqua scorreva al contrario, altre capovolte, altre ancora i cui getti di liquido spiraleggiavano intorno alle scale e alle passerelle, il tutto animato di strana vita grazie ai trucchi realizzati con la gravità artificiale. Ethan si fermò a guardare affascinato, per un intero quarto d’ora, la sfoglia d’acqua emessa da una di quelle fontane che, magicamente sospesa nell’aria, scivolava nel percorso ad otto di un Nastro di Moebius, senza inizio e senza fine. Un passo più indietro, oltre la barriera trasparente di una vetrata che dava sullo spazio, regnava la gelida notte che avrebbe potuto pietrificare in eterno tutta quella vita. Il contrasto artistico era sopraffacente, ed Ethan non era il solo turista fermo lì davanti con aria trasognata.
Lungo il bordo esterno della sezione adibita a parco c’erano caffè e ristoranti dove, calcolò Ethan ormai più aggiornato sui prezzi, se lui si fosse recato lì per i suoi pasti avrebbe dovuto accontentarsi di mangiare una volta alla settimana. E alberghi dove alloggiavano i clienti che potevano permettersi quattro pasti al giorno in quei ristoranti. E teatri, e negozi dove si vendevano sogni proibiti, e chiese che, a dar retta alle loro insegne opalescenti, potevano offrire la consolazione spirituale di ben ottantasei religioni ufficialmente riconosciute. Quella di Athos, ovviamente, non era fra esse. Mettendo la testa in una delle chiesette Ethan vide che c’era in corso la cerimonia funebre di una persona la quale doveva aver rifiutato l’immagazzinamento nel cimitero sottovuoto fuori dalla stazione in favore della cremazione, che stava avvenendo grazie a un impianto a onde corte. Ethan, con gli occhi ancora pieni del vuoto spaziale che incombeva oltre le fontane, si disse che anche lui avrebbe preferito il fuoco al ghiaccio. Dalla porta aperta di una chiesa vicina vide che si stava svolgendo un rito misterioso, officiato da un vecchio con un libro in mano, davanti a cui una femmina in un vaporoso abito bianco e un uomo in nero si tenevano per mano. I due si misero a vicenda un anello e poi uscirono a braccetto, accompagnati da una musica di bell’effetto, fra due ali di amici allegri e festosi alcuni dei quali gettavano sulla coppia manciate di chicchi di riso.
Mentre Ethan proseguiva verso il centro, i suoi pensieri si fecero più pratici. Lì c’erano le ambasciate, i consolati, le sedi di numerose ditte e gli uffici degli agenti commerciali di una quantità di pianeti che spedivano le loro merci attraverso il nodo di rotte di balzo al cui centro c’era Stazione Kline. Lì, presumibilmente, avrebbe ottenuto informazioni sulle ditte produttrici di materiale biologico che potevano soddisfare le necessità di Athos. Poi avrebbe acquistato un biglietto per il pianeta prescelto, e quindi… ma per il momento Stazione Kline era già un sovraccarico sufficiente per i suoi sensi.
Doverosamente Ethan entrò nell’atrio dell’ambasciata betana, con l’idea di cominciare a informarsi da lì. Per sua sfortuna l’interfaccia computerizzato dietro il banco della portineria era manovrato da un’impiegata femmina. Lui si ritrasse in fretta, senza rivolgerle la parola. Forse ci avrebbe riprovato più tardi, si disse, la prossima volta che sarebbe passato da quelle parti. Poi ignorò con una smorfia le targhe degli uffici commerciali delle grandi Case del Gruppo Jackson. Prima di partire, decise, avrebbe spedito una lettera al rappresentante locale di Casa Bharaputra per lamentarsi aspramente della loro disonestà.
Al confronto degli edifici davanti a cui passava, l’albergo in cui aveva preso alloggio gli sembrava ora alquanto modesto. Ethan calcolava di aver percorso oltre due chilometri, attraverso vari livelli, fino alla zona più lussuosa; ma una curiosità che ad ogni cosa nuova si rinfocolava invece di placarsi lo indusse a uscire dalla Passeggiata dei Viaggiatori, per proseguire nei quartieri interni dove abitavano i cittadini della stazione. Qui l’aspetto degli edifici passava da sgargiante a utilitaristico.
Gli odori di un piccolo locale pubblico, stretto fra una fabbrica di contenitori plastici e un’officina per la riparazione di tute pressurizzate, ricordarono a Ethan che non aveva mangiato da prima di sbarcare dalla nave. Ma guardando nell’interno vide che c’erano molte femmine sedute ai tavoli. Represse gli impulsi dello stomaco e proseguì il cammino, sentendosi sempre più affamato. Un giro a caso in quella zona lo portò, dopo esser sceso in due pozzi antigravità, in una piccola sezione poco pulita e d’aspetto modesto. Un cartello lo informò che distava poco dal molo d’ormeggio dal quale era entrato a Stazione Kline. Il suo vagabondare fu arrestato dall’odore intenso di grasso fritto che usciva dalla porta di un locale. Lui sbirciò nell’interno poco illuminato.
Una ventina di clienti, quasi tutti con le tute d’ogni colore degli operai addetti ai moli, sedevano ai tavoli o stavano appoggiati al banco di mescita in atteggiamenti rilassati. Evidentemente si trattava di una sala di riposo frequentata dai lavoratori del posto durante le pause nell’orario quotidiano, e non di una trappola per turisti. Inoltre non c’erano donne, neppure una. Il morale di Ethan si risollevò. Qui sarebbe riuscito a rilassarsi un poco, e magari a rifocillarsi lo stomaco senza spendere troppo. Forse avrebbe anche potuto attaccare utilmente discorso con qualcuno. In effetti, viste le istruzioni che gli erano state date dall’Ufficio Immigrazione Athosiano. aveva il dovere di farlo. Perché non cominciare da lì?
Ignorando una sensazione di disagio a livello subliminale — non era il momento di lasciarsi dominare dalla sua timidezza — Ethan entrò, socchiudendo gli occhi per adattarli a quella penombra. Era qualcosa di più di una sala di riposo. A giudicare dall’odore alcolico di quelle bevande, i clienti dovevano considerare conclusa la loro giornata di lavoro. Era una specie di locale di ricreazione, dunque, anche se non aveva alcuna somiglianza con un club athosiano. Ethan si chiese speranzosamente se lì non vendessero anche la birra di carciofi. Ma su una stazione spaziale era molto più probabile che avessero birra di alghe coltivate o qualcosa del genere. Soppresse un fremito di nostalgia, si umettò le labbra, e s’avviò a passi fermi verso la mezza dozzina di uomini in tuta da lavoro che stavano al banco. I cittadini locali dovevano essere abituati a vedere turisti con abiti assai più bizzarri dei suoi, in stile athosiano: maglia a maniche traforate, pantaloni gialli col risvolto e morbidi mocassini bianchi, ma per un momento lui provò il bisogno d’essere in completo bianco da medico come al Centro di Riproduzione, con la sua medaglia d’identità sul petto, abbigliamento questo che gli aveva sempre dato sicurezza e personalità nel trattare con i clienti e specialmente coi lavoratori come costoro.
— Buongiorno, signori. Come state? — li interpellò educatamente. — Io sono un delegato dell’Ufficio Immigrazione e Naturalizzazione del pianeta Athos. Se posso avere per qualche minuto il piacere della vostra attenzione, vorrei parlarvi delle possibilità di lavoro e di inserimento che il mio mondo apre agli immigrati nelle zone appena terraformate…
Il poco promettente silenzio che quelle parole avevano fatto calare sui presenti fu interrotto da un operaio corpulento in tuta verde. — Athos? Il pianeta dei finocchi? Tu sei uno di loro?
— Non può essere — disse un altro, in tuta azzurra. — Quella gente non mette mai il naso fuori dal suo buco.
Un tipo seduto a un tavolo lì accanto, in tuta gialla, disse una cosa estremamente volgare che fece ridere qualcuno.
Ethan trasse un lungo respiro e decise di insistere, anche se non gli sembrava che quegli uomini fossero molto recettivi. — Io vengo da Athos, ve l’assicuro. Sono un athosiano in tutto e per tutto. Il mio nome è Ethan Urquhart, e sono uno specialista in biologia della riproduzione. Mi trovo qui perché recentemente c’è stato un calo nella nostra percentuale delle nascite…
Tuta Verde esplose in una risata. — Posso crederci, ragazzo! Lascia che ti dica una cosa, tesoruccio. qui sei capitato nel posto sbagliato…
L’individuo volgare seduto al tavolo, dalla cui bocca esalavano vapori alcolici ad alta concentrazione, berciò un commento ancor più grossolano del primo e sollevò un dito in quello che sembrava un gesto offensivo. Tuta Verde ridacchiò e batté un indice sul petto di Ethan. — Kline non è il posto giusto per te, athosiano. È su Colonia Beta che devi andare, se vuoi farti operare per cambiare sesso. Poi, quando hai fatto, torna pure qui e magari possiamo organizzare qualcosa insieme… tieni presente che a me piacciono le poppe belle grosse.
— Vedendolo così da dietro, magari questo signorino mi sta bene anche subito! — gracidò Tuta Gialla.
Ethan si girò verso il tavolo, mentre i suoi sentimenti confusi e offesi lasciavano il posto a una freddezza formale. — Signore, lei sembra avere dei pregiudizi dolorosamente ristretti circa il mio pianeta. Le relazioni sentimentali sono questione di preferenze personali, e del tutto private. In realtà vi sono alcuni che per interpretare rigidamente i precetti dei Padri Fondatori fanno voto di castità. Essi sono i più rispettati…
— Yaaak! — gridò Tuta Verde, accanto a lui. — Questo è ancora peggio! — Il suo commento scatenò un coro di risate e di fischi fra gli altri lavoratori.
Ethan sentì un afflusso di rossore al volto. — Scusatemi. Io sono uno straniero, qui. Questo è il solo posto privo di femmine che ho visto finora su Stazione Kline. e così ho pensato che vi avrei trovato persone capaci di apprezzare un discorso razionale. La possibilità che si apre per voi su un pianeta civile…
— Apri questa possibilità! — latrò Tuta Gialla, e si alzò in piedi afferrandosi con gesto osceno la cerniera dei pantaloni.
Ethan girò su se stesso e lo colpì con un pugno alla mascella.
Subito dopo l’orrore e la vergogna per aver perso il controllo fino a quel punto lo paralizzarono. Non era quello il comportamento adatto a un rappresentante dell’Ufficio Immigrazione di Athos… doveva subito scusarsi e…
— Un posto senza femmine, eh? — grugnì Tuta Gialla tirandosi in piedi. I suoi occhi arrossati, pieni d’alcool, mandavano lampi d’ira. — È per questo che sei entrato qui… alla ricerca di pervertiti come te. Ora ti faccio vedere io!
Ethan stava per alzare un dito ammonitore quando s’accorse che non poteva. Due robusti amici di Tuta Gialla l’avevano afferrato da dietro per le braccia. S’irrigidì, lottando contro il terrorizzato impulso di divincolarsi da quella presa e liberarsi. Se fosse rimasto fermo esibendo un’espressione pacata, forse avrebbe potuto…
— Ehi, ragazzi, prendetevela con calma — intervenne Tuta Verde, in tono improvvisamente ansioso. — Dopotutto è un turista ignorante, pensate a cosa… aspetta!
Il primo pugno colpì Ethan al plesso solare e lo fece piegare in due, mentre il fiato gli scaturiva dalla gola con un ansito rauco. I due uomini lo fecero raddrizzare senza complimenti. Tuta Gialla non era un tipo sportivo. — Ecco cosa gli facciamo qui dentro… — whaam, un altro pugno. — … a quelli come te!
Ethan scoprì che non riusciva a trovare il fiato per chiedere scusa Disperatamente pregò che Tuta Gialla facesse un discorso un po’ più lungo per dargli il tempo di respirare. Ma Tuta Gialla continuò la sua opera demolitrice, di destro e di sinistro, colpendolo metodicamente.
— E questo… per aver insinuato… che qui dentro siamo… tutti come te…
Una voce di contralto, fredda e sarcastica, interruppe il pestaggio: — Evidentemente qualcuno non ha ancora capito che alla polizia non piace che i turisti vengano picchiati. È pessima pubblicità. Cosa succederebbe se costui sporgesse denuncia per aggressione?
— Ehi, un momento! — esclamò l’uomo dietro il bancone.
Ethan girò la testa. Era la femmina mercenaria, la comandante Elli Quinn. Possibile che l’avesse seguito fin lì? Stava in piedi qualche passo all’interno del locale, con le braccia lungo i fianchi e la testa leggermente inclinata, lo sguardo attento.
Tuta Verde mormorò qualcosa fra i denti, in tono preoccupato. Tuta Gialla imprecò con rabbia. I due che reggevano Ethan lo lasciarono, e lui cadde pesantemente in ginocchio. Uno di loro, Tuta Azzurra, prese l’ubriaco per un braccio. — Avanti, Zed — disse, senza distogliere lo sguardo dalla faccia della femmina. — Così può bastare, adesso diamoci un taglio.
Tuta Gialla si liberò con uno strattone. — Guarda, guarda. E cos’è per te questo finocchietto, eh, dolcezza? — sbottò.
Un angolo della bocca della femmina si curvò. — Supponiamo che io dica che non sono affari tuoi, eh?
— Le donne che vanno coi finocchi — ringhiò Tuta Gialla, — sono peggio dei finocchi… — E continuò a sbraitare osservazioni grossolane, mentre Ethan, in ginocchio sul pavimento, si massaggiava lo stomaco indolenzito.
— Zed — gli disse Tuta Azzurra. — Falla finita. Questa non è una tecnica. È una mercenaria. Una veterana, anche… guarda i suoi gradi. — Nel locale c’era intanto uno scalpiccio e un movimento generale; parecchi clienti a cui non piaceva come s’erano messe le cose stavano prudentemente raggiungendo l’uscita.
— Tutti gli ubriachi sono uno spettacolo penoso — disse la femmina. — Ma gli ubriachi aggressivi possono essere pericolosi.
Tuta Gialla si mosse verso di lei, senza smettere di grugnire imprecazioni fra i denti. La femmina attese che avesse oltrepassato un confine invisibile, a due passi di distanza da lei. Poi ci fu un improvviso ronzio e nell’aria balenò un lampo azzurrino. Ethan vide l’arma comparsa nella mano di lei rientrare silenziosamente nella fondina ancor prima che Tuta Gialla rotolasse al suolo. Tutti gli altri erano rimasti fuori dal raggio d’azione dello storditore, e intoccati.
— Fatti un sonnellino — sospirò lei. Guardò i due uomini rimasti presso il bancone poco più indietro. — Costui è vostro amico? — domandò, accennando col capo a Tuta Gialla. — Dovreste scegliere meglio i vostri amici. Se io avessi avuto una pistola al plasma potevate andarci di mezzo anche voi… non mi è piaciuto il modo in cui tenevate quest’uomo per farlo picchiare.
Tuta Azzurra e l’altro si scambiarono un’occhiata e uscirono subito dal locale, girandole rispettosamente alla larga. Ethan era ancora in ginocchio; aveva un forte dolore alle costole. La femmina mercenaria lo aiutò a tirarsi in piedi. — Andiamo, athosiano. Sarà meglio che io ti accompagni in un posto più sicuro.
— Avrei dovuto dirgli: "Perché, anche tu hai gusti normali come i miei?" — brontolò cupamente Ethan. — Ecco cos’avrei dovuto dirgli. Oppure…
Le labbra della comandante Quinn s’incurvarono. Irritato Ethan si domandò perché mai tutti quanti sembravano trovar così divertenti gli athosiani. salvo quelli che si comportavano come se temessero d’essere contagiati da un lebbroso.
Ma d’un tratto una nuova paura lo fece arrestare così all’improvviso che quasi perse l’equilibrio, e si appoggiò a una spalla della mercenaria. — Oh, Dio il Padre! Quelli non sono poliziotti? Che abbiano avuto notizia della rissa?
Due uomini stavano venendo dalla loro parte, nel poco frequentato corridoio periferico. Indossavano uniformi verde-pino con una striscia blu, e dai loro cinturoni pendeva una quantità di piccole apparecchiature fra cui anche delle armi. Ethan provò un repentino senso di colpa. — Forse dovrei confessare che ho commesso un reato. Dopotutto ho percosso un cittadino di questa stazione…
Negli occhi della comandante Quinn ci fu una luce divertita. — Non è il caso, a meno che tu non lo abbia contagiato con qualche raro virus che incubavi sotto le unghie. Questi sono del Bio-controllo. La squadra ecologica. Li troverai dappertutto, su Stazione Kline. — Fece una pausa per scambiare un cortese cenno del capo coi due uomini, che passarono oltre, e sottovoce commentò: — Sono una banda di rompiscatole, maniaci della pulizia. — Dopo averci pensato su un momento aggiunse: — Tu non attraversargli la strada, però. Hanno poteri assai ampi, possono perquisire e arrestare chiunque… se ti rifiuti di ubbidirgli, ti ritrovi dietro le sbarre in men che non si dica.
Ethan rifletté sulla cosa. — Suppongo che l’ambiente ecologico di una stazione sia molto più delicato di quello planetario.
— Il suo equilibrio è sempre appeso a un filo, fra il fuoco e il ghiaccio — annuì lei. — In certi posti c’è una dottrina politica, in altri c’è la religione. Qui noi abbiamo le misure di sicurezza contro gli — incidenti spaziali. Le epidemie e gli incendi sono i più temuti. Comunque, se tu vedessi formarsi strati di ghiaccio o di muffa da qualche parte dai subito l’allarme.
All’incrocio successivo girarono sulla Passeggiata dei Viaggiatori. Gli occhi della femmina che camminava al suo fianco erano troppo penetranti, troppo attenti e seri, per andare d’accordo con quella bocca facile al sorriso, e ciò metteva a disagio Ethan, che continuava a farsi domande preoccupanti su di lei. Gli sembrava di aver capito che fosse nativa di quella stazione, anche se sembrava aver viaggiato molto, e ciò che disse poi glielo confermò: — Spero che quel piccolo incidente non ti abbia fatto credere che tutti i kliniani siano così. Che ne diresti se ti offrissi la cena, per fare ammenda delle brutte maniere dei miei concittadini?
Era una sorta di proposta equivoca? Un complotto per averlo da solo e inerme, in balia delle donne che segretamente governavano dietro le quinte? Possibile che avesse messo gli occhi su di lui fin dall’inizio? Si scostò di un passo dalla femmina, che gli camminava accanto con l’andatura di un felino in caccia della preda.
— Io… non voglio mostrarmi ingrato — disse, con voce un po’ acuta per l’improvvisa tensione, — ma il fatto è che ho mal di stomaco. — Era la verità, dopo quei pugni. — Comunque grazie lo stesso. — Lì vicino c’era un pozzo antigravità trasparente che portava al livello superiore, quello in cui si trovava il suo albergo. — Arrivederci!
Ethan le volse le spalle, attraversò il marciapiede di corsa e balzò dentro il pozzo. Il salto non lo aiutò ad accelerare la sua velocità di ascesa, e l’ultimo barlume di dignità lo trattenne dall’agitare le braccia come un volatile. Voltandosi a osservare la Passeggiata attraverso la parete di cristallo vide che la femmina era rimasta là a guardarlo, con aria perplessa e accigliata. Ethan le rivolse un sorrisetto melenso e mosse una mano in segno di saluto mentre, con lentezza da sogno, l’antigravità lo portava al livello superiore.
Alla prima uscita si spinse fuori e poi corse via, aggirando una specie di scultura futurista larga qualche metro e poi una siepe di piante in vaso sul fondo dell’atrio. Qui si nascose, fermandosi a sbirciare fra le foglie. La femmina non apparve dall’ascensore. Quando fu sicuro che aveva rinunciato a dargli la caccia si gettò a sedere su una panchina e restò lì a riprendere fiato per qualche minuto. Finalmente in salvo.
Appena si fu riposato e orizzontato lasciò la panchina e s’avviò nel corridoio, a passi lenti. All’improvviso il suo cubicolo gli appariva pieno di attrattive. Qualcosa da mangiare ordinato al distributore automatico collegato con la dispensa dell’albergo, una doccia, e poi a letto. Basta con le esplorazioni avventurose. Il giorno dopo si sarebbe occupato solo del lavoro per cui era lì. Trovare le informazioni, scegliere il fornitore, acquistare un biglietto sulla prima nave in partenza…
Sul marciapiede a poca distanza dall’albergo, un uomo vestito con anonimi pantaloni grigi e una giacca sportiva dello stesso colore vide arrivare Ethan e gli andò incontro con un sorriso cordiale. — Buongiorno, signore. Lei è il dottor Urquhart? — disse. E mentre lui annuiva, lo sconosciuto lo prese per un polso.
Per educazione Ethan rispose al suo sorriso, ma quei modi strani lo stupirono. Poi s’irrigidì con un sussulto, e aprì la bocca in un grido d’indignazione e di protesta quando l’hypospray che l’altro aveva estratto di tasca gli fu sparato nel braccio. Il tempo di un battito di cuore e la sua bocca si rilassò, il grido gli morì in gola. L’uomo lo guidò dolcemente verso l’auto a bolla in attesa all’ingresso di un corridoio tubolare.
Ethan si sentiva i piedi leggeri come palloncini di gas. Sperò che l’uomo non lo lasciasse andare, altrimenti sarebbe volato su fino al soffitto e sarebbe rimasto là. a testa in giù, e tutto ciò che aveva in tasca sarebbe caduto sul marciapiede. La superficie a specchio dello sportello scivolò in basso, richiudendosi davanti al suo sguardo vacuo come la membrana nittitante sugli occhi di un pipistrello insonnolito.