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Ethan riprese i sensi in una camera d’albergo molto più vasta e più lussuosa della sua, o quantomeno l’aspetto non personalizzato di quell’arredamento a base di metalli argentei e dorati gli diede l’impressione che si trattasse di una camera d’albergo. La lucidità scese nella sua mente con la pesante lentezza di una colala di miele, riempiendone solo una parte. Il resto di lui continuò a fluttuare in una dolce, languida euforia. Nelle lontane profondità del suo cervello, o forse in fondo alla colonna vertebrale, qualcuno gemeva e urlava e si torceva freneticamente, come un animale in gabbia, ma non c’era alcuna possibilità che uscisse da quella trappola. La sua logica vischiosa notò con indifferenza che aveva i polsi legati ai braccioli di una scomodissima sedia di plastica, e che certi muscoli delle gambe, delle braccia e della schiena gli dolevano molto. Di questi fatti prese visione con indifferenza.
Assai più interessante fu la vista dell’uomo che uscì dalla stanza da bagno sfregandosi vigorosamente la faccia umida e arrossata con un asciugamano. Occhi grigi come pezzi di granito, corti capelli grigi. un corpo solido e avvezzo alla ginnastica, altezza media: non molto dissimile dall’individuo che aveva prelevato Ethan dal corridoio e che ora. seduto lì accanto su una sedia antigravità, sorvegliava con attenzione il prigioniero.
Il rapitore di Ethan era un tipo talmente qualsiasi che lui non aveva neppure captato la sua presenza prima di mettere a fuoco lo sguardo proprio sulla sua grigia figura. Ma Ethan era adesso fornito di una strana visione-interiore, come quella a raggi X, grazie a cui poteva vedere che le ossa di costui non contenevano midollo, bensì ghiaccio duro come la roccia e freddo quanto lo spazio fuori dalla stazione. Ethan si chiese come potesse fabbricare globuli rossi in quelle singolari condizioni biologiche. Forse nelle sue vene scorreva azoto liquido. Entrambi gli uomini avevano comunque molto sex-appeal, e lui avrebbe voluto poter alzarsi in piedi per baciarli.
— È pronto a rispondere, capitano? — domandò l’uomo con l’asciugamano, accennando a lui.
— Sì, colonnello Millisor — rispose l’altro. — Gliene ho fatta una dose intera.
L’uomo uscito dal bagno grugnì e gettò l’asciugamano sul letto, accanto al contenuto delle tasche di Ethan ed ai suoi vestiti, che si trovavano tutti quanti lì. Soltanto allora lui si rese conto d’essere completamente nudo. Sul letto c’erano alcune banconote di Stazione Kline, un pettine, un fazzoletto, il piccolo proiettore della mappa, la carta di credito contenente i fondi di cui Ethan disponeva per acquistare le culture, in dollari betani… a quella vista, l’animale in gabbia nel retro del suo cervello ululò e gemette. L’individuo toccò quei pochi oggetti con una smorfia di disgusto. — Questa roba è pulita?
— Ah. Adesso sì, ma prima non tanto — disse il capitano dalle ossa fredde. — Guardi questo. — Prese il proiettore olovideo, svitò la parte posteriore e collegò un visore elettronico sopra i suoi circuiti interni. — Gli abbiamo ripulito le tasche nella zona dei moli, prima di portarlo qui. Vede questa chiazza nera? È stata causata dall’acido contenuto in una membrana di lipidi polarizzati. Quando il raggio del mio scanner l’ha attraversato, la membrana si è depolarizzata e dissolta, e l’acido ha bruciato… qualunque cosa ci fosse qui. Una microtrasmittente, direi, forse unita a un registratore audio-video. Un ottimo lavoro, mascherato nei circuiti standard del proiettore di mappe, il quale fra l’altro nascondeva il rumore elettronico della microspia. È un agente, non c’è dubbio.
— Siete riusciti a rintracciare il collegamento con la sua base?
Il capitano freddo scosse il capo. — No, purtroppo. Come le ho detto, la microtrasmittente si è autodistrutta al momento della scoperta. Però quelli in ascolto non possono più riceverlo, visto che li abbiamo accecati. Adesso loro non sanno dove si trova.
— E questi "loro" chi sono? Terrence Cee?
— Così possiamo sperare.
L’uomo dagli occhi di granito, quello che il capitano freddo aveva chiamato colonnello Millisor, grugnì ancora. Venne di fronte a Ethan e si piegò a fissarlo negli occhi. — Qual è il tuo nome?
— Ethan — rispose serenamente lui. — E il tuo?
Millisor ignorò quell’aperto invito a socializzare. — Il tuo nome completo, e il tuo grado.
Questo colpì un ricordo non sgradevole del suo passato, ed Ethan raddrizzò fieramente le spalle: — Sergente maggiore Ethan CJB-8 Urquhart. Reparto Medico del Reggimento Blu. matricola U-221-767, signore! — esclamò guardando con un sorriso eccitato il suo interlocutore, che s’era ritratto con aria sbalordita. — In congedo, signore! — aggiunse nello stesso tono, dopo un momento.
— Tu non sei un medico?
— Oh, sì — disse orgogliosamente lui. — Dove ti fa male? Fammi vedere la lingua.
— Detesto il penta-rapido — grugnì Millisor al collega. — Li fa parlare troppo.
Il capitano freddo ebbe un sorrisetto. — Sì, ma se non altro può stare sicuro che non tengono nascosto nulla.
Millisor sospirò dal naso, a labbra strette, e si volse di nuovo a Ethan. — Rispondi. Sei qui per incontrare Terrence Cee?
Lui lo guardò un momento, confuso. Vedere Terrence, lì? L’unico Terrence che lui conoscesse era un tecnico elettronico del Centro di Riproduzione. — No. Loro non l’hanno mandato qui — spiegò.
— Loro chi? Chi è che non l’ha mandato? — chiese subito Millisor, protendendosi in avanti.
— Il Consiglio.
— All’inferno. — Il capitano scosse il capo, preoccupato. — Possibile che abbia trovato un nuovo finanziatore, così presto dopo il Gruppo Jackson? Non può aver avuto il tempo, né i contatti necessari! Io stesso ho controllato ogni…
Millisor gli chiese il silenzio alzando una mano e tornò a interrogare Ethan. — Dimmi tutto ciò che sai su Terrence Cee.
Doverosamente lui cominciò a farlo, cominciando dal giorno in cui Terrence era venuto per la prima volta nel suo laboratorio a riparare una centrifuga. Dopo cinque minuti Millisor, sulla cui faccia c’era una perplessità sempre più sfumata di rabbia, lo colpì con un ceffone. — Basta così!
— Evidentemente sta parlando di un altro individuo — ipotizzò il capitano freddo. Il suo capo lo guardò esasperato, e lui suggerì in tono ragionevole: — Provi a passare a un altro argomento. Gli domandi delle colture.
Millisor annuì. — Le colture ovariche umane spedite ad Athos dai laboratori biologici dei Bharaputra. Che cosa ne avete fatto?
Ethan cominciò a descrivere, nei più minuti particolari, tutti i test a cui aveva sottoposto il materiale quel memorabile pomeriggio. Con crescente disappunto notò che i suoi catturatori non sembravano molto compiaciuti da quella narrazione: erano disgustati, e stupefatti, e infine irritati, ma per nulla felici. E lui desiderava soltanto renderli felici…
— Altri discorsi senza senso — lo interruppe il capitano freddo. — Che significano queste scempiaggini?
— Possibile che riesca a resistere alla droga? — si domandò Millisor, scrutandolo con poca simpatia. — Gliene faccia un’altra dose.
— È pericoloso, se lei pensa ancora di rimandarlo in strada con un vuoto di memoria. E cominciamo a essere a corto di tempo per modificare questa parte del piano.
— Qualunque parte del piano può essere cambiata. Se quel carico è già arrivato su Athos ed è stato distribuito, potremmo non avere altra scelta che passare a un’operazione militare, a meno che non decidessimo di limitarci al raid di un commando per distruggere i loro Centri di Riproduzione. Un attacco militare vero e proprio ci costerebbe sei o sette mesi di preparativi… è chiaro che dovremmo sterilizzare l’intero dannato pianeta per essere sicuri di aver eliminato tutto quanto.
— Nessuno ne sentirebbe la mancanza. — Il capitano freddo scrollò le spalle.
— Sì, ma ci costerebbe molto. E non sarebbe facile mantenere l’operazione sotto silenzio.
— Nessun superstite, nessun testimone.
— Ci sono sempre superstiti ai massacri. Fra i vincitori, se non altro. — Gli occhi di granito fissarono il capitano freddo, che grugnì un riluttante assenso. — Gliene faccia un’altra dose.
Un fremito nel braccio sinistro di Ethan. Con metodica insistenza e senza dargli un attimo di requie, i due uomini continuarono a fargli domande sulla spedizione del materiale ovarico, sui suoi superiori, sull’organizzazione di cui faceva parte e sul lavoro che gli era stato affidato.
Ethan cominciò a balbettare. La stanza si espandeva e si restringeva, la testa gli girava come una trottola, i suoi occhi si torcevano nelle orbite come per fissarsi a vicenda. — Oh, io vi amo, vi amo tutti! — gemette, e vomitò con violenza quel poco liquido che aveva nello stomaco. Poi svenne.
Riprese i sensi sotto la doccia. Quando fu riportato sulla sedia gli iniettarono una droga diversa, che invece di renderlo espansivo come l’altra lo riempì di terrori senza nome, e facendo leva sul suo spavento i due lo interrogarono interminabilmente su Terrence Cee e sulla sua missione, sia insieme che uno alla volta.
Sempre più delusi dalle risposte che ottenevano i suoi catturatori gli diedero una terza droga, il cui effetto fu d’incrementare le percezioni sensorie di tutti i suoi nervi; poi gli applicarono alle palpebre e agli organi genitali degli strumenti che non lasciavano segni ma gli procurarono un’indescrivibile agonia. Lui disse loro tutto ciò che sapeva, rispose a ogni domanda (sarebbe stato lieto di dire ciò che volevano sentirsi dire, se solo avesse avuto un indizio di cos’era) ma i due erano spietatamente esperti, quasi chirurgici, nel mettere alla prova la sincerità delle sue risposte con serie di domande incrociate. Ethan divenne cera molle nelle loro mani, quasi frenetico nella sua ansia di accontentarli, finché i suoi sensi esplosero e cadde preda di un attacco di convulsioni così violento che per poco non gli bloccò il cuore. A questo punto i due decisero di rinunciare.
Ethan giacque di traverso sulla sedia di plastica, nudo e bagnato di sudore gelido, sotto shock, fissandoli con pupille dilatate che non vedevano più molto bene.
Il colonnello Millisor lo guardò con un grugnito di disgusto. — Maledizione, Rau! Questo bastardo ci ha fatto perdere tempo e basta. Il carico che ha ricevuto su Athos non è affatto quello che era stato spedito dai laboratori Bharaputra. Terrence Cee è riuscito a metterci le mani sopra, in qualche modo. A quest’ora potrebbe essere in qualsiasi punto della galassia.
Il capitano mugolò un assenso. — E pensare che eravamo così vicini a chiudere la faccenda, sul Gruppo Jackson! Ma no, dannazione. Doveva essere Athos. Tutti siamo stati d’accordo: avrebbe dovuto essere Athos.
— Può ancora essere Athos. Un piano dentro il piano… dentro un altro piano. — Millisor si massaggiò stancamente il collo, e d’un tratto apparve molto più vecchio di quello che Ethan aveva dapprima creduto. — Il defunto Dr. Jahar ha fatto un lavoro troppo buono. Terrence Cee è tutto ciò che Jahar aveva promesso… fuorché leale. Be’, di questo tipo noi non ne abbiamo più bisogno. Lei è sicuro che la macchia scura in quei circuiti non fosse solo un po’ di untume?
Il capitano fece per dare una risposta indignata, poi guardò Ethan come se non fosse più un essere umano ma un pezzo di carne appeso a un gancio nel frigorifero di una macelleria.
— Non era untume. Ma a questo punto possiamo star certi che costui non è neppure un agente di Terrence Cee. Pensa che potremmo usarlo come specchietto per le allodole, tanto per dare loro un bersaglio?
— Se solo fosse un agente — disse Millisor con rammarico. — varrebbe la pena di fare un tentativo. Dato che evidentemente non lo è, a noi non serve. — Guardò il suo orologio da mignolo. — Mio Dio, ci abbiamo lavorato sette ore? Ormai è troppo tardi per cancellargli la memoria e lasciarlo andare. Consegnalo a Okita. che lo porti da qualche parte e organizzi la cosa in modo che sembri un incidente.
Il molo dove attraccavano le navi da carico era freddo e buio in quell’ora antelucana. Pochi lampioni spandevano luce gialla sulle paratie, delineando le sagome silenziose delle gru e dei carrelli trasportatori immobili nei vicoli accanto ai magazzini. Le passatoie metalliche s’inarcavano alte nel vuoto, emergendo fra i vapori che sfuggivano dalle tubature e incrociandosi nella penombra, fitte come ragnatele. Misteriosi oggetti meccanici pendevano qua e là fra i cavi, come vittime preservate da gelidi ragni d’acciaio.
— Qui dovrebbe essere abbastanza alto — grugnì l’uomo di nome Okita. Era d’aspetto anonimo quanto il capitano Rau, ma ancor più massiccio e muscoloso. Un gesto rude gli bastò per alzare Ethan in ginocchio sul pagliolato metallico. — Bevi ancora un po’ di questo, avanti.
L’individuo mise a forza un tubo nella bocca di Ethan e strizzò il bulbo, per l’ennesima volta. Gorgogliando semisoffocato lui fu costretto a inghiottire il brandy da poco prezzo, che in gola bruciava come il fuoco. Altro liquore gli fu versato sulla maglia e sui pantaloni. La robusta mano che lo sosteneva si aprì, lasciandolo afflosciare al suolo. — Digerisci anche quello, per un minuto — gli consigliò Okita, come se lui avesse possibilità di scelta in merito.
Ethan appoggiò le dita sui fori del pagliolato su cui giaceva, umido e sporco di grasso, e guardò attraverso di esso la pavimentazione plastica del molo, venti o ventidue metri più in basso. Sembrava ondeggiare e vibrare come una cosa viva, oltre il velo di vapore che usciva da qualche valvola difettosa sotto di lui. Nella sua mente stordita tornò l’immagine della sua Aerostar De Luxe che si schiantava al suolo, all’incirca dalla stessa altezza.
Il sicario e uomo di fatica del capitano Rau si appoggiò alla ringhiera di sicurezza, guardò anch’egli in basso e sospirò con aria poco soddisfatta. — Non mi è mai piaciuto ammazzare un uomo così, voglio dire buttandolo nel vuoto e basta — disse in tono discorsivo. — Non è una cosa sicura, capisci? Lasciandoti cadere a testa in giù, due metri dovrebbero essere abbastanza per spaccarti il cranio. Però ho sentito di un tipo che è caduto per trecento metri in una cava di ghiaia ed è rimasto vivo. Dipende da dove vai a colpire, immagino. — Il suo sguardo blando perlustrò il molo, verso le uscite e la strada centrale, come se sospettasse la presenza di un guardiano notturno. — Qui tengono la gravità artificiale più leggera, per via delle merci. Sembra strano, ma gli costa di più. Penso proprio che dovrò romperti il collo prima di buttarti giù — decise Okita, in tono ragionevole. — Mi spiace farti perdere il brivido del volo, ma lo faccio per te, credimi. Non ti piacerebbe restare ad agonizzare laggiù, soltanto ferito. Giusto?
Ethan non riuscì ad infilare le dita nei fori per aggrapparsi al pagliolato, per quanto ci provasse. In un momento di follia pensò che forse avrebbe potuto comprare la pietà del suo killer con il contenuto in dollari betani della carta di credito, che gli era stata rimessa in tasca con tutto il resto prima che il muscoloso individuo lo prendesse a braccetto e lo portasse via, come due amanti in cerca di un posto buio per le loro effusioni. Come un ubriaco e il suo fedele amico che lo riportava a casa per impedirgli di perdersi nei labirinti della stazione. Ethan puzzava d’alcool, e i mugolii con cui aveva cercato d’invocare aiuto nei corridoi erano risultati incomprensibili per i numerosi passanti, che s’erano limitati a guardarli fra divertiti e sprezzanti. Adesso la sua lingua era meno rigida, ma quel posto era poco illuminato e ancor meno frequentato da gente in grado di soccorrerlo.
Un impeto di lealtà verso il Consiglio lo fece rantolare come un conato di vomito. No. Sarebbe morto senza lasciarsi derubare dei soldi dei suoi concittadini. Del resto, Okita non appariva propenso a lasciarsi corrompere. Ethan non pensava che fosse interessato all’unica altra moneta che lui poteva offrire a un uomo, visto che i normali rapporti sessuali athosiani non sembravano troppo popolari nelle regioni retrograde della galassia. Be’, se non altro quel denaro sarebbe stato prelevato dal suo cadavere e rispedito a chi l’aveva faticosamente guadagnato su Athos…
Athos. No, lui non doveva morire, non poteva permettersi di morire. Il terrificante frammento di conversazione che aveva udito da quei due individui gli era penetrato nella mente come un acido corrosivo. Distruggere i Centri di Riproduzione? Lunghe file di inermi bambini in crescita nei replicatori uterini, decine di migliaia, schiacciati fra le macerie e uccisi nei laboratori in fiamme… Ethan fremette d’orrore e ansimò, ma non riuscì a costringere i muscoli rigidi, semi paralizzati, ad ubbidire alla sua volontà. Quel piano vile e disumano… discusso con tanta calma, organizzato con tanta indifferenza… possibile che fuori dal suo mondo ci fosse tanta pazzia in agguato?
Okita mugolò fra sé, si massaggiò una spalla, controllò i dintorni, e per la terza volta guardò il suo orologio. — Va bene — diagnosticò infine. — Dovrebbe esserti penetrato nel sangue, come ha ordinato il capo. Ora sei pronto per l’autopsia. Passiamo alla lezione di volo.
L’individuo afferrò Ethan per il colletto della maglia e la cintura dei pantaloni, lo tirò in ginocchio e lo puntellò con la nuca contro la ringhiera.
— Perché mi stai facendo questo? — squittì Ethan, in un ultimo disperato tentativo di comunicare con lui. — Io sono un essere umano come te.
— In questo caso sai anche tu cosa significa avere degli ordini. Giusto? — grugnì l’altro. Ethan guardò i suoi occhi inespressivi e si rassegnò a quel destino: stava per essere giustiziato perché era colpevole d’essere innocente.
Okita lo afferrò per i capelli e gli rovesciò la testa all’indietro, premendogli il collo sul tubolare. Il fuligginoso soffitto dei moli, sotto il quale s’incrociavano altri camminamenti e scalette, si confuse negli occhi di Ethan. Il freddo metallo gli morse la carne dolorosamente.
Okita studiò la sua posizione ad occhi socchiusi e gli fece ruotare la testa di qualche grado. — Così va bene. — Tenendo bloccato con un ginocchio il corpo di Ethan contro la ringhiera, alzò la mano destra per abbatterla in un poderoso colpo di taglio su un lato del suo collo.
La passatoia si alzò di qualche centimetro con un un cigolio secco, sobbalzando sotto il peso piombato giù dall’alto. L’ansante figura femminile che vacillava in cerca dell’equilibrio sollevando a due mani lo storditore non perse tempo a gridare avvertimenti, ma si limitò a sparare. Il suo arrivo era stato silenzioso come quello di un fiocco di neve dal cielo, e l’unico rumore dopo il cigolio metallico fu quello dell’arma. La scarica d’energia che lo sfiorò, intorpidendo i suoi sensi, fece poca differenza nelle sconfortevoli condizioni di Ethan. Ma Okita, colpito in pieno, seguendo il momento d’inerzia del suo robusto braccio che si alzava cadde indietro contro l’altra ringhiera. I suoi piedi balzarono verso l’alto in semicerchio, sfiorando la faccia di Ethan.
— Oh, merda! — imprecò la comandante Quinn, e corse avanti a braccia tese. Lo storditore cadde sulla passerella, rotolò via sotto la ringhiera e volò nell’aria, rimbalzando rumorosamente su qualcosa più in basso. Il suo generoso tentativo di agguantare Okita in tempo s’infranse quando le sue mani urtarono contro le suole delle scarpe dell’individuo, e il colpo le spezzò un’unghia. Okita seguì lo storditore, a testa in giù.
Ethan si afflosciò come privo d’ossatura e giacque con la faccia sul pagliolato. Gli stivali della femmina, visti dal livello del suolo, si alzarono sulle punte quando lei si sporse sopra la ringhiera per guardare giù. — Signore Iddio, questo mi dispiace, sul serio — disse, succhiandosi il dito ferito. — Non ho mai ucciso nessuno per disgrazia, prima d’ora. Non è professionale.
— Ancora lei — gorgogliò Ethan.
La femmina ebbe un sogghigno felino. — Che coincidenza, eh?
Ethan si girò a guardare in basso. Il corpo incastrato fra un carrello e un nastro trasportatore smise di sussultare. — Io sono un medico. Forse dovremmo scendere e… uh…
— E cosa? Senti, io non ho neanche un’aspirina da dargli. Purtroppo Okita ha fatto un brutto atterraggio — disse la comandante Quinn. — Ma io non spargerei fiumi di lacrime sulla dipartita di quel gentiluomo. A parte ciò che stava facendo a te, cinque mesi fa ha collaborato all’assassinio di undici persone, sul Gruppo Jackson, per proteggere il segreto che io sto cercando di scoprire.
La sua logica alla melassa suggerì un commento a Ethan: — Se è un segreto che la gente uccide per tenere nascosto, non sarebbe più prudente evitare di scoprirlo? — E per dimenticare i dolori che aveva addosso mugolò ancora: — Comunque lei chi è, in realtà? Perché mi sta seguendo?
— Tecnicamente, io non sto affatto seguendo te. Io sto seguendo il Ghem-colonnello Luyst Millisor, il suo non meno affascinante capitano Rau e i loro due sicofanti… ah, un sicofante. Millisor è interessato a te, e di conseguenza lo sono anch’io. Q.E.D. (Quinn Erat Demostrandum).
— Interessato a me. Perché? — gemette stancamente lui.
La femmina sospirò. — Se fossi arrivata sul Gruppo Jackson due giorni prima di loro, invece che due giorni dopo, saprei dirtelo. In quanto al resto, io sono una comandante dei Mercenari Dendarii, e tutto quello che ti ho detto è vero, salvo che non sono qui per una vacanza a casa. Sono in missione. Pensa a me come una militare provvisoriamente addetta a compiti di spionaggio. L’ammiraglio Naismith sta diversificando le nostre attività.
La femmina si accovacciò accanto a lui, controllò le sue pulsazioni, la dilatazione delle pupille e i riflessi. — Hai l’aria sana come se fossi morto due giorni fa, dottore.
— Lo devo a lei. Quella gente ha trovato la sua microtrasmittente, e ha deciso che io ero una spia. Mi hanno interrogato… — Tacque, accorgendosi che tremiti incontrollabili lo scuotevano.
La femmina si mordicchiò le labbra. — Lo so. Mi dispiace. Comunque, spero che tu abbia notato che giusto poco fa ti ho salvato la vita. Temporaneamente.
— Temporaneamente?
Lei annuì, guardando la lontana pavimentazione dei moli. — Dopo questa faccenda, il colonnello Millisor capirà che qualcuno vuole tenerti in vita. Ciò lo rafforzerà nel proposito diametralmente opposto. È un uomo fatto così.
— Mi rivolgerò alle autorità della stazione e…
— Scusa, ma avrei sperato che tu pensassi qualcosa di meglio. In primo luogo, secondo me la polizia non sarà in grado di proteggerti ventiquattr’ore al giorno. In secondo luogo, così faresti saltare la mia copertura. Finora credo che il colonnello Millisor non sospetti neppure la mia esistenza. Questo potrebbe continuare così, dato che qui attorno io ho una gran quantità di amici e di parenti… ed essendo Millisor e Rau ciò che sono, in effetti preferisco che le cose continuino così. Capisci il mio punto di vista?
Ethan sapeva che avrebbe dovuto rifiutare quel punto di vista e rivolgersi alle autorità, ma era troppo debole e dolorante per opporsi e (gli venne da pensare a un tratto) troppo alto nell’aria. Il brivido della vertigine gli mozzò il fiato. Se quella femmina avesse decìso di mandarlo dietro a Okita…
— Va bene — mugolò. — Uh, lei cosa… cosa vuol fare con me?
La comandante Quinn si piantò le mani sui fianchi e abbassò su di lui uno sguardo accigliato. — Ancora non ne ho idea, Non so se sei un asso o un jolly. Credo che ti terrò nella manica per un po’, finché non avrò capito come mi conviene giocarti. Col tuo permesso — aggiunse dopo un momento, come concessione.
— Uno specchietto per le allodole — mormorò Ethan.
Lei lo guardò pensosamente. — Forse. Se ti viene un’idea migliore, fammela sapere.
Ethan scosse il capo, movimento che mandò ondate di dolore a sciabordare nell’interno del suo cranio e gli fece apparire lampi gialli davanti agli occhi. Se non altro quella femmina non sembrava dalla stessa parte dei suoi recenti catturatori. La nemica dei miei nemici è… mia alleata?
La comandante Quinn lo aiutò a tirarsi in piedi e lo sostenne quando si avviarono giù per le scalette metalliche, fino al suolo. Ethan notò per la prima volta che era diversi centimetri più bassa di lui e più delicata di un uomo anche come muscolatura, cosa che peraltro in teoria avrebbe dovuto sapere, ma a cui non aveva mai pensato. In quel momento, però, non se la sentiva di mettere alla prova la sua superiorità fisica cercando di sfuggirle.
Quando la femmina lo lasciò. Ethan ebbe appena la forza di mettersi a sedere sulla consunta pavimentazione di plastica. Lei andò a chinarsi sul corpo di Okita e lo tastò per sentire le pulsazioni. — Uhu. Collo spezzato e altre brutte fratture. — Si rialzò, fece un sospiro e rimase lì, esaminando sia Ethan che il cadavere con lo stesso sguardo calcolatore.
— Potremmo lasciarlo qui, e la sua faccia apparirebbe in uno dei notiziari mattutini della stazione — disse. — Ma io preferirei dare al colonnello Millisor un pìccolo mistero da risolvere. Sono stanca di seguire le iniziative altrui, stando sempre dietro le quinte e sempre indietro di una mossa. Hai mai pensato alla difficoltà di far sparire un cadavere in una stazione spaziale? Io scommetto che Millisor sa tutto in merito. I cadaveri non ti danno fastidio, no? Voglio dire, tu sei un medico e tutto quanto, giusto?
Lo sguardo di Okita era vitreo come quello di un pesce morto, ma sulla sua faccia c’era un’espressione di rimprovero. Ethan deglutì saliva. — In realtà non mi è mai piaciuta molto quell’estremità del ciclo vitale — spiegò. — La patologia, l’anatomia e via dicendo. Suppongo che sia per questo se mi sono dedicato alla riproduzione. Era più… di buon augurio. — Fece una pausa. Il suo intelletto stava ricominciando a funzionare, a dispetto di tutto. — È davvero difficile liberarsi di un cadavere su una stazione spaziale? Non può buttarlo fuori dal portello più vicino, o giù per un pozzo antigravità poco usato, o qualcosa del genere?
Gli occhi di lei brillavano come pieni di ipotesi. — I portelli che danno all’esterno sono tutti monitorati. È possibile aprirli per certe operazioni d’emergenza, ma non senza far scattare sensori collegati ai computer che registrano tutto. Inoltre, là fuori un cadavere resterebbe a orbitare per sempre intorno alla stazione, anche se lo spingessi via con tutta la tua forza. Analoga obiezione per gli eliminatori di rifiuti; se fai a pezzi e getti nel cesso novanta chili di sostanze proteiche ancora utilizzabili, questo lascia un grosso blip nelle registrazioni. Le hanno già tentate tutte, credimi. Anni fa c’è stato un famoso caso di omicidio; una donna cercò di eliminare il cadavere del marito mangiandolo un po’ per volta, e questo sarebbe forse un buon sistema. Comunque io non me la sento di mangiare Okita. È un tipo che non stimola molto il mio appetito, se capisci quel che voglio dire.
La femmina si mise a sedere accanto a lui, con le ginocchia sollevate e le braccia strette intorno alle gambe, non tanto per riposarsi quanto per trattenere l’energia nervosa e l’impulso di muoversi. — In quanto a nasconderlo da qualche parte nell’interno della stazione… be’, la polizia non è niente a paragone dei controlli maniacali della squadra ecologica. Non esiste un centimetro cubo di Stazione Kline che non compaia su un programma di analisi biologica, e il governo usa a turno tutti i cittadini al di sopra dei dodici anni come personale volontario addetto a ogni tipo di controllo. Potresti continuare a spostare il cadavere qua e là, in qualche contenitore, ma…
Ethan la ascoltava distrattamente, immerso in pensieri spiacevoli quanto le sue sensazioni fisiche.
— Però credo di avere un’idea — continuò lei. — Sì… perché no? Visto che ho commesso un delitto, mi conviene tentare di farne un delitto perfetto. Ogni cosa fatta merita d’essere fatta bene, direbbe l’ammiraglio Naismith.
La comandante Quinn si alzò e prese ad aggirarsi per il molo deserto, cercando e scegliendo attrezzi con l’aria distratta di una casalinga che prelevasse oggetti dai banconi di un supermercato.
Seduto miseramente sulla pavimentazione umida Ethan invidiava Okita, le cui disgrazie terrene erano se non altro terminate. Lui si trovava su Stazione Kline da circa ventiquattr’ore standard, e non aveva ancora mangiato il suo primo pasto né fatto un’ora di sonno. Picchiato, rapito, drogato, quasi-assassinato, e ora divenuto a tutti gli effetti complice di un omicidio che se non era stato esattamente un delitto era comunque la cosa più vicina. La vita in quelle zone incivili della galassia era molto peggiore di quel che aveva immaginato. E adesso era anche caduto nelle mani di una femmina, come se non bastasse. I Padri Fondatori avevano avuto buoni motivi per lasciarsi alle spalle quella società… — Voglio tornare a casa mia — mugolò.
— Via, via — lo blandì la comandante Quinn, arrivando accanto al cadavere di Okita a bordo di un forklift. La bruna femmina saltò giù e trascinò al suolo un contenitore cilindrico lungo un paio di metri, del tipo usato per le spedizioni di merci sfuse. Aveva con sé anche quella che risultò essere una barella antigravità. — Non è questo il modo di abbattersi, proprio quando il mio incarico mostra finalmente qualche apertura. Tu hai soltanto bisogno di un buon pasto caldo… — si voltò a guardarlo. — e forse di una settimana in un letto di ospedale. Questo penso però di dovertelo sconsigliare, dato che ti costerebbe un occhio della testa, ma appena ho finito di sistemare questa faccenda ti porterò in un posto dove potrai riposare un po’, intanto che io mi occupo della prossima fase. D’accordo?
La femmina aprì il coperchio del contenitore e, non senza qualche difficoltà, sistemò il corpo di Okita dentro di esso. Poi usò il forklift per sollevare il contenitore sopra la barella. — Ecco fatto. Non ha neppure troppo l’aspetto di una bara, no? — Tirò giù dal forklift un aspira-rifiuti elettrostatico, diede una rapida ma scrupolosa ripulita alla zona dell’impatto fatale, gettò insieme al cadavere il sacchetto di plastica tolto dall’aspira-rifiuti, quindi risalì sul veicolo e lo portò via, rimettendo poi ogni cosa dove l’aveva trovata. Da ultimo, e con espressione molto più luttuosa di quando s’era occupata di Okita, andò a raccogliere i pezzi del suo storditole.
— Siamo a posto. Questo dà al progetto la sua prima scadenza. La barella e il contenitore dovranno essere riportati qui entro otto ore. prima che le squadre dei moli vengano qui a fare qualche lavoro, altrimenti qualcuno potrebbe accorgersi della loro mancanza.
— Chi sono quegli uomini? — le domandò Ethan mentre lei lo aiutava a salire a cavalcioni del contenitore, sulla barella antigravità spenta e poggiata al suolo. — Sono dei pazzoidi. Voglio dire, tutti quelli che ho incontrato qui sono pazzi, ma quelli… quelli parlavano di assalire e distruggere i Centri di Riproduzione su Athos! Uccidere i bambini e… forse uccidere tutti!
— Sì? — disse lei. — Questo è un risvolto nuovo. Non avevo ancora sentito parlare di questo aspetto dei loro piani. È una vera sfortuna che io mi sia perduto l’interrogatorio, però mi auguro che tu sarai così gentile da farmi un resoconto. Da tre settimane sto cercando di piazzare delle microspie nell’alloggio di Millisor. ma purtroppo il loro equipaggiamento anti-intercettazioni è di prima qualità.
— Lei si è perduta soprattutto molte grida di dolore. Le mie — disse Ethan in tono ostile.
La femmina parve un po’ imbarazzata. — Ah… già. Temo di non aver pensato che avrebbero usato anche sistemi più brutali del penta-rapido.
— Uno specchietto per le allodole — grugnì lui.
La comandante Quinn si schiarì la gola, accovacciata al suo fianco. Prese il telecomando della barella e la accese. Con un ronzio le piastre antigravità sollevarono Ethan e il contenitore a due metri dal suolo, come su un magico tappeto volante.
— Non… non così in alto! — balbettò Ethan, annaspando alla ricerca di una maniglia inesistente. Lei fece abbassare la barella a un palmo d’altezza dal suolo e la mise in movimento, incamminandosi accanto a lui.
La femmina rispose alla sua domanda parlando lentamente e scegliendo le parole con cura. — Il Ghem-colonnello Luyst Millisor è un ufficiale del controspionaggio cetagandano. Il capitano Rau, il defunto Okita e un altro gentiluomo di nome Setti sono la sua squadra.
— Cetaganda! Ma quel pianeta non è troppo lontano da qui per essere interessato a, uhm… — Ethan guardò la femmina — a noi? Voglio dire a questo incrocio di rotte di balzo?
— Non troppo lontano, evidentemente.
— Ma perché, nel nome di Dio il Padre, dovrebbero voler distruggere Athos? Cetaganda è forse… controllato dalle femmine, o qualcosa del genere?
Una risata sfuggì dalla bocca di lei. — Difficile. Io lo definirei anzi un tipico stato totalitario dominato dagli uomini, anche se questo è mitigato da certi aspetti artistici e creativi della loro società. No, Millisor non è interessato al pianeta Athos in se stesso o al "mozzo" di Stazione Kline. Lui sta dando la caccia… a qualcos’altro. Al Grande Segreto. Quello che io sono stata incaricata di scoprire.
La femmina fece una pausa per dirigere la barella intorno a un angolo, in salita e particolarmente difficoltoso.
— A quanto sono venuta a sapere, su Cetaganda esisteva un progetto genetico, sponsorizzato dai militari e con obiettivi a lungo raggio sia nello spazio che nel tempo. Fino a tre anni fa, il colonnello Millisor era il capo della sicurezza di quel progetto. E la sicurezza, ovvero il loro apparato di controspionaggio, era ferrea. Nei venticinque anni della sua esistenza nessuno era mai riuscito a scoprire nulla di esso, salvo captare voci abbastanza vaghe sul fatto che i militari di quel pianeta si stavano occupando di genetica. Si era saputo soltanto che il suo uomo-chiave era un certo Dr. Faz Jahar, uno scienziato cetagandano specializzato in genetica e considerato di modeste capacità, il quale era scomparso dalla circolazione al tempo in cui quel progetto aveva preso inizio. Tu hai un’idea di quanto sia difficoltoso mantenere un segreto per venticinque anni, quando decine di pianeti investono forti somme nello spionaggio industriale e militare? Questo progetto rappresenta il lavoro di una vita intera per il colonnello Millisor. e così è stato per il Dr. Jahar.
«Comunque sia, accadde qualcosa d’imprevisto. Il progetto andò in fumo… letteralmente. Una notte l’edificio che ospitava i laboratori saltò in aria e tutto il suo contenuto cessò di esistere, compreso il Dr. Jahar. Da allora, il colonnello Millisor e la sua squadra hanno cominciato ad agire all’estero, come se fossero alla caccia di qualcosa nelle regioni colonizzate della galassia. Indagano e si sbarazzano degli ostacoli con la feroce decisione di criminali professionisti… o di uomini spinti da una paura folle. Tuttavia, anche se non metterei la mano sul fuoco per il capitano Rau, il Ghem-colonnello Millisor non è un pazzo né un criminale.
— Di questo lei non riuscirà a convincermene — disse cupamente Ethan. Nei suoi occhi c’era sempre qualcosa che non funzionava, e il tremito muscolare andava e veniva.
Poco più avanti si fermarono di fronte a un largo portello nella parete del corridoio. LAVORI DI RISTRUTTURAZIONE diceva un cartello su di esso. E un altro, in lettere rosse: SOTTO SEQUESTRO — VIETATO L’INGRESSO AL PERSONALE NON AUTORIZZATO.
La comandante Quinn fece qualcosa che Ethan non vide sulla serratura a combinazione, e il portello si aprì scivolando di lato. Prese la barella per i manici e la spinse dentro. Dal corridoio che avevano appena lasciato giunsero delle voci e delle risate. Lei si affrettò a chiudere, e per qualche momento rimasero nel buio più completo.
— Ah, eccola qui — mormorò la femmina, facendo scattare l’interruttore di una torcia elettrica. — Nessuno ci ha visto. La Dea Bendata mi vuole ancora bene. Questo sarebbe un brutto momento per cominciare a fare a meno dei suoi favori.
Ethan sbatté le palpebre e si girò a guardare l’ambiente in cui erano entrati. Una specie di lunga piscina rettangolare, vuota, occupava il centro di una vasta area piena di colonne, statue di marmo alcune delle quali prive della testa o di un braccio, mosaici ed archi elaborati.
— Questa dovrebbe essere la copia esatta di una famosa residenza della Terra — spiegò la comandante Quinn. — Il palazzo Elhamburger o qualcosa del genere. Un ricco armatore della stazione aveva speso un sacco di soldi per farlo costruire (e in effetti è finito) quando i suoi soci hanno improvvisamente cominciato a litigare. Il processo è in corso ormai da quattro mesi, e questa e altre proprietà sono per il momento sotto sequestro. Puoi restare qui a vegliare la salma del nostro amico fino al mio ritorno — disse, tamburellando con le dita sul contenitore.
Ethan si disse che per completare quella sgradevole giornata non gli mancava che una veglia funebre, e per di più in un luogo sconosciuto dove avrebbe continuato ad essere alla mercè di gente sconosciuta. Ma la femmina aveva fatto abbassare la barella al suolo e stava tirando fuori dei larghi cuscini di spugna da una malridotta scatola da imballaggio. — Niente coperte, purtroppo — borbottò. — Io ho la mia blusa imbottita. Ma tu puoi usare questi per coprirti; penso che ti terranno abbastanza caldo.
Distendersi su quella roba fu come sprofondare in una nuvola. — Coprirmi — mormorò Ethan, — stare al caldo…
Lei si frugò in una tasca della blusa. — Devo avere una… ah. — Tirò fuori una confezione sigillata e la aprì. — Questa è cioccolata alla menta, con le noccioline. Ti farà bene.
Ethan la divorò in pochi bocconi e si ritrovò più affamato di prima.
— Ah, un’altra cosa. Non puoi usare il cesso, qui. Il passaggio di rifiuti sarebbe registrato dal computer del servizio fognature, e qualche solerte funzionario potrebbe informarne il tribunale. So che sembra orribile, ma… se hai una necessità, falla dentro il contenitore. — Si strinse nelle spalle. — Non si può dire che Okita non lo meriti, tutto sommato.
— Preferirei morire — farfugliò Ethan, frugandosi in bocca con un dito per togliersi un frammento di nocciolina rimasto incastrato fra i denti. — Uh… lei pensa di stare via molto tempo?
— Non più di un’ora, per adesso. Almeno, spero che un’ora mi basti. Tu faresti meglio a dormire un po’.
Ethan riaprì gli occhi con uno sforzo. — Grazie del consiglio.
— E ora… — La femmina si sfregò le mani, annuendo fra sé. — Diamo inizio alla fase due della ricerca di L-X-10 Terran-C.
— Che cosa?
— Questo era il nome in codice del progetto di cui faceva parte il colonnello Millisor. Terran-C, più in breve. Forse una parte della cosa a cui stavano lavorando aveva avuto origine sulla Terra.
— Ma Terrence Cee è un uomo — disse Ethan. — Quei due non hanno fatto altro che continuare a chiedermi se è stato qui che io l’ho incontrato.
Lei rimase immobile per qualche momento. — Ah… sul serio? Strano. Veramente strano. Questa notizia è del tutto nuova per me. — I suoi occhi brillavano come specchi. Pochi istanti dopo era già uscita.