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— Trovare il vostro punto debole e influenzare gli eventi per sfruttarlo… affrettare il corso delle cose. Trasformare una possibilità in probabilità e poi…
— Tu vuoi distruggerci? Di persona?
— Questo è un modo sbagliato di considerare le cose. È quasi come una partita di scacchi. Si tratta di sfruttare contemporaneamente le debolezze dell’avversario e di esercitare la propria forza. Se voi non aveste già preparato il terreno, io non potrei fare nulla. Io posso solo influenzare ciò che già esiste.
— E cosa succederà? Ci sarà la III Guerra Mondiale? Un disastro ecologico? Una pestilenza provocata da mutazioni?
— Non lo so ancora di preciso, perciò preferirei che non mi rivolgessi domande del genere. Ti ripeto che al momento sto solo osservando la situazione. Io sono solo un agente…
— A me non pare proprio.
Tlingel rimase in silenzio. Martin cominciò a raccogliere i pezzi degli scacchi.
— Non vuoi rimettere i pezzi sulla scacchiera?
— Per sollazzare ancora il mio distruttore? No, grazie.
— Non è così che si deve considerare la faccenda…
— E poi quelle sono le ultime birre.
— Oh — Tlingel fissò con aria desiderosa i pezzi che venivano messi via, poi osservò: — Io sarei disposto a giocare ancora contro di te, anche senza altri rinfreschi…
— No, grazie.
— Sei arrabbiato.
— Non lo saresti anche tu, se le nostre situazioni fossero invertite?
— Tu stai antropomorfizzando la cosa.
— Be’?
— Oh, immagino che lo farei anch’io.
— Potresti offrirci una possibilità, almeno permettici di essere noi stessi a commettere i nostri errori.
— Voi non l’avete proprio fatto, però, con tutti gli esseri cui sono succeduti i miei simili.
Martin divenne rosso.
— Okay. Un punto a tuo vantaggio. Ma non sono obbligato a farmi piacere la situazione.
— Tu sei un bravo giocatore. Lo so…
— Tlingel, se fossi in grado di giocare di nuovo al meglio delle mie possibilità, credo che potrei batterti.
L’unicorno sbuffò, emettendo due nuvolette di fumo.
— Non sei così bravo — rispose.
— Immagino che non lo potrai mai sapere.
— Intravedo forse una proposta?
— Può darsi. Quanto varrebbe un’altra partita per te?
Tlingel fece un rumore che assomigliava a una risatina.
— Lasciami indovinare: tu stai per dirmi che se mi batterai, vorrai che ti prometta di non esercitare la mia volontà sull’anello più debole nell’esistenza dell’umanità e di non spezzarlo.
— Naturalmente.
— E cosa ci guadagno se vinco io?
— Il piacere del gioco. È questo che vuoi, no?
— Le condizioni mi sembrano un po’ unilaterali.
— Non lo sono se tanto sei destinato a vincere. Continui a insistere che non puoi perdere.
— D’accordo. Prepara la scacchiera.
— C’è un’altra cosa che devi sapere prima su di me.
— Sì?
— Io non riesco a giocare bene quando sono sotto tensione e questa partita mi procura una tensione terribile. Tu vuoi che io giochi al meglio, no?
— Sì, ma temo di non avere modo di adattare le tue reazioni psicofisiche alla partita.
— Sono convinto che riuscirei a farlo io se avessi una quantità di tempo maggiore di quella abituale tra una mossa e l’altra.
— Concesso.
— Voglio dire, un sacco di tempo.
— Cos’è che avresti in mente?
— Ho bisogno del tempo necessario per scaricare la mente, rilassarmi, tornare indietro sulle posizioni, come se fossero solo dei problemi teorici…
— Vuoi dire, allontanarti di qui tra una mossa e l’altra?
— Sì.
— Va bene. Per quanto?