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— Mi spiace.
— Sei anche ingegnoso. Sono sicuro che troverai qualche soluzione la prossima volta.
Martin fece un cenno d’assenso.
— E poi una cosa ancora, questi vecchi posti non avevano della segatura sparsa dappertutto?
— Mi pare.
— Ci starebbe proprio bene.
— Scacco.
Tlingel gettò freneticamente un’occhiata alla scacchiera.
— Volevo dire che sono d’accordo. «Scacco» significa che non ho scelta.
— Oh, capisco. Be’, intanto che siamo qui…
Tlingel fece avanzare il proprio pedone in d6.
Martin fissò la scacchiera. Non era quella la mossa che aveva fatto Grend. Per un istante pensò di continuare per conto suo la partita da quel punto. Fino a quel momento aveva cercato di pensare a Grend solo come un allenatore. Aveva cercato di allontanare il pensiero che quella in effetti era una lotta mortale di uno contro l’altro. Fino al pedone in d6. Poi si ricordò della partita che aveva perso contro il sasquatch.
— Mi fermo qui — disse, — e mi prenderò il mio mese.
— D’accordo. Beviamoci un’altra birra prima di darci la buona notte. D’accordo?
— Certo. Perché no?
Rimasero seduti per un po’ e Tlingel gli raccontò della terra del mattino, delle sue foreste primeve, dei pianori ondulati, delle alte montagne dalle cime frastagliate, dei mari purpurei, e dei suoi magici e mitici abitanti.
Martin scosse la testa.
— Non capisco proprio come mai siete così ansiosi di venire qui — disse, — quando abitate in un posto come quello.
Tlingel sospirò.
— Penso che sia solo questione di stare all’altezza dei grifoni. È la gran moda del momento. Be’… al mese prossimo…
Tlingel si alzò e si voltò.
— Adesso ho il controllo completo. Guarda!
La sagoma dell’unicorno sbiadì, perse la forma, divenne bianca, sbiadì ancora e sparì come un riflesso.
Martin si avvicinò al bancone e si riempì un altro boccale. Era un peccato sprecare tutta la birra rimasta. Al mattino però desiderò che l’unicorno fosse ancora lì. O almeno il suo corno guaritore.
La foresta era bigia e Martin teneva un ombrello aperto al di sopra della scacchiera posata sul sasso. Le goccioline cadevano dalle foglie e facevano plop plop quando cadevano sul tessuto. La scacchiera era già stata disposta coi pezzi fermi all’ultima mossa di Tlingel, il pedone in d6. Martin si chiese se Grend si fosse ricordato dell’appuntamento e avesse tenuto giusto il conto dei giorni…
— Salve — disse la voce nasale da un punto imprecisato dietro di lui, sulla sinistra.
Martin si voltò e vide Grend che girava da dietro l’albero calpestandone le enormi radici coi suoi piedoni.
— Non ti sei dimenticato — esclamò Grend. — Che bello! Immagino che ti sarai ricordato anche la birra, eh?
— Ne ho portato una cassa intera. Possiamo sistemare il bar qui a fianco.
— Cos’è un bar?
— Be’, un posto dove la gente va a bere, al riparo della pioggia, un po’ buio, per fare atmosfera, e si siede su degli sgabelli davanti a un grosso bancone, o davanti a dei tavolini, e poi tutti chiacchierano insieme, e c’è la musica… e naturalmente bevono.
— E noi avremo tutte queste cose qui?
— No, solo la penombra e la birra. A meno che tu non consideri musica la pioggia. Io parlavo in senso figurato.
— Oh, però direi che sarebbe proprio interessante visitare il posto che mi hai detto.
— Sì. Se vuoi tenere quest’ombrello sopra la scacchiera, io vedrò di fare del mio meglio per crearne un accettabile equivalente.
— Bene. Ehi, questa mi sembra una variante di quella partita che abbiamo giocato la volta scorsa.
— Infatti. Mi sono chiesto come sarebbe andata se la partita avesse preso questo corso invece di quello che ha avuto.
— Uhm, fammi vedere…
Martin tirò fuori quattro confezioni da sei lattine dallo zaino e aprì la prima.
— Eccoti servito.
— Grazie.
Grend accettò la birra, si accovacciò e restituì l’ombrello a Martin.
— Ho ancora il bianco io?
— Sì.
— Allora pedone in e6.
— Davvero?
— Sì.
— Allora a questo punto la miglior mossa che potrei fare io sarebbe di mangiarti il pedone con questo.
— Infatti. E io ti mangio il cavallo con questo.