124338.fb2 Laia grande - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 7

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— Be’, c’erano tre grossi camion e portavano nello scantinato un mucchio di roba pesante. Due o tre grossi armadi e un sacco di altra roba. Poi, sai la televisione di Abbie? Be’, l’hanno portata via. Gli ho detto che non dovevano, ma l’hanno portata via lo stesso.

— Me n’ero dimenticato — disse Taine. — Henry aveva detto che mi avrebbe mandato il calcolatore e me ne sono dimenticato completamente.

Taine mangiò i panini dividendoli con Towser, che gliene fu fangosamente riconoscente. Quando ebbe finito, si alzò e raccolse la pala.

— Torniamo al lavoro — disse.

— Ma hai tutta quella roba giù nello scantinato.

— Può aspettare — replicò Taine. — Questo è il lavoro che dobbiamo terminare.

Quando ebbero finito era l’imbrunire.

Taine si appoggiò stanco alla pala.

Tre metri e mezzo per sei e profondo tre… e tutto quanto, in ogni sua parte, fatto di una cosa opalina che suonava come una campana quando lo si colpiva con la pala.

Dovevano essere piccoli, pensò, se ce n’erano molti a vivere in uno spazio di quelle dimensioni, specialmente se dovevano restarci molto a lungo. Il che corrispondeva, naturalmente, perché se non fossero stati piccoli non avrebbero potuto vivere nello spazio che c’era fra le travi del pavimento.

Se in effetti vivevano là, pensò Taine. Se non era soltanto un mucchio di supposizioni.

Forse, pensò, anche se avessero vissuto in casa, potevano non esserci più… perché Towser li aveva odorati, o sentiti, o percepiti in qualche modo la mattina, ma da quella sera stessa non aveva più prestato loro la minima attenzione.

Taine si mise la pala in spalla e raccolse il piccone.

— Su — disse — andiamo. Abbiamo avuto una giornata lunga e faticosa.

Raggiunsero la strada calpestando la boscaglia. Nell’oscurità del bosco tremolavano lucciole e i lampioni delle strade dondolavano alla brezza estiva. Le stelle erano dure e lucenti.

Forse erano ancora in casa, pensò Taine. Forse quando si erano accorti che Towser era contrario a loro si erano sistemati in modo che non fosse più consapevole della loro presenza.

Probabilmente erano molto adattabili. Era più che logico che dovessero esserlo: non c’era voluto tanto, si disse torvo, per adattarsi alla casa di un essere umano.

Entrò con Beasly nel ghiaioso vialetto d’ingresso nell’oscurità per riporre gli utensili in garage ed era successo qualcosa di molto strano, perché non c’era nessun garage.

Non c’erano affatto né garage, né veranda, né facciata della casa. Era come se qualcuno avesse preso gli angoli opposti della facciata e li avesse ripiegati fino a toccarsi, nascondendo l’intera facciata dell’edificio nella piega formatasi.

Adesso Taine aveva una casa con la facciata ricurva. Però in effetti non era neanche così semplice, perché la curvatura non era in proporzione con ciò che sarebbe accaduto con un’impresa del genere. La curva era lunga e aggraziata e in un certo qual modo non completamente apparente. Era come se fosse stata eliminata la facciata della casa e fosse stata messa insieme un’illusione di casa per mimetizzare la sparizione.

Taine lasciò cadere pala e piccone che risuonarono sul fondo ghiaioso. Alzò la mano sulla faccia e la strofinò sugli occhi quasi a ripulirsi da qualcosa impossibile da trovarvi.

E quando tolse la mano non era cambiata neanche un poco.

Non c’era affatto la facciata della casa.

Poi, rendendosi conto a malapena di correre, Taine corse dietro la casa, colmo di paura per quello che potesse esserle accaduto.

Ma il retro della casa era normale. Era esattamente quello che era sempre stato.

Corse ciabattando per il porticato, con Beasly e Towser che lo seguivano da presso. Spalancò la porta, si precipitò all’interno e si arrampicò su per le scale fino in cucina, che attraversò in tre passi per vedere che cosa era accaduto alla facciata della casa.

Si fermò alla porta che divideva la cucina dal soggiorno e con le mani che ne artigliavano lo stipite fissò incredulo le finestre del soggiorno.

Fuori era notte. Su questo non c’erano dubbi. Aveva visto brillare le lucciole nella boscaglia e fra l’erba quando era fuori, e i lampioni erano accesi, e c’erano le stelle.

Ma dalle finestre del soggiorno si riversava un’ondata di sole e al di là delle finestre si stendeva un paesaggio che non era quello di Willow Bend.

— Beasly — gridò con voce strozzata — guarda là di fronte!

Beasly guardò.

— Che razza di posto è? — chiese.

— È quello che mi piacerebbe sapere.

Towser intanto aveva trovato il suo piatto e lo stava spingendo con il naso in giro per il pavimento della cucina; la sua maniera di indicare a Taine che era ora di mangiare.

Taine attraversò il soggiorno e aprì la porta principale. Vide che il garage c’era; col muso contro la porta aperta c’era il camioncino e dentro c’era la macchina intatta.

Non c’era nulla che non andasse nella facciata della casa.

Ma questa era l’unica cosa giusta.

Il vialetto infatti era stato troncato un paio di metri dietro il camion e non c’era più aia, né boschi né strada. C’era solo un deserto… un ampio e sterminato deserto, piano come un pavimento, qua e là mucchi di roccia e casuali ammassi di vegetazione e il suolo del tutto coperto di sabbia e ciottoli. Su un orizzonte che sembrava troppo lontano brillava un grosso sole accecante con la particolarità strana di essere al nord, dove non sarebbe stato nessun sole onesto. Ed era anche particolarmente bianco.

Anche Beasly uscì nella veranda e Taine notò che tremava come un cane spaventato.

— Forse è meglio — gli disse con tono gentile — che rientri a fare un po’ di minestra.

— Ma, Hiram…

— Va tutto bene — disse Taine. — Ti assicuro che va tutto bene.

— Se lo dici tu, Hiram.

Rientrò sbattendosi dietro la porta a rete e subito dopo Taine lo udì affaccendarsi in cucina.

Non biasimava, ammise, il tremito di Beasly. Era un bel colpo uscire dalla porta principale e trovarsi in una landa sconosciuta. Uno alla fine avrebbe potuto anche prenderci l’abitudine, naturalmente, ma ci sarebbe voluto un po’ di tempo.

Scese dalla veranda, oltrepassò il camion, girò l’angolo del garage, e mentre girava l’angolo del garage era mezzo preparato a rientrare nella familiare Willow Bend… perché quando era andato alla porta del retro il paese era là.

Willow Bend non c’era. C’era dell’altro deserto, un’enorme quantità di altro deserto.

Girò intorno alla casa e il retro della casa non c’era. Il retro della casa ora era uguale a quello che era stata prima la facciata… la stessa morbida curva che teneva insieme gli angoli dell’edificio.

Fece il giro completo della casa finché tornò alla facciata, e dappertutto c’era deserto. E la facciata era ancora normale: non era cambiata affatto. Il camion era là sul vialetto interrotto e il garage era aperto con la macchina nell’interno.

Taine si inoltrò un poco nel deserto, si chinò e raccolse una manata di sassolini, e i sassolini erano soltanto sassolini.