124338.fb2 Laia grande - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 9

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Inamovibile, il sole continuava a restare a nord e questo era certo strano. Forse, si disse Taine, questo mondo ruotava sul proprio asse più lentamente della Terra e le giornate erano più lunghe. Dal modo in cui sembrava che il sole restasse fermo, dovevano essere lunghe un bel po’.

Mentre curvo sul volante fissava la distesa senza fine del deserto, fu colpito per la prima volta dalla stranezza dell’insieme in tutto il suo significato.

Questo era un altro mondo, e su ciò non c’erano dubbi, un altro pianeta orbitante intorno a un’altra stella e nessuno sulla Terra poteva avere la minima idea della sua effettiva posizione nello spazio. E d’altra parte, mediante una diavoleria di quegli strani esseri che marciavano in fila indiana, si trovava proprio davanti alla facciata di casa sua.

Dall’uniformità del deserto davanti a lui si stagliò una collina un po’ più grande. Man mano che si avvicinava cominciò a distinguere una fila di oggetti brillanti in fila sulla sua cresta. Dopo un poco fermò il camion e si mise a guardare col binocolo.

Attraverso le lenti vide che le cose brillanti erano macchinari opalini dello stesso tipo di quello dei boschi. Ne contò otto che brillavano al sole e si ergevano su rampe grigio roccia. E c’erano altre rampe vuote.

Allontanò dagli occhi il binocolo e rimase un momento a considerare l’opportunità di arrampicarsi per la collina e investigare più da vicino. Ma scosse la testa. Per questo ci sarebbe stato tempo in seguito. Era meglio continuare a muoversi. Non si trattava di una vera esplorazione, ma di una rapida ricognizione.

Risalì nel camion e ripartì, tenendo d’occhio l’indicatore del carburante. Quando si fosse avvicinato alla metà, avrebbe dovuto voltare e tornare a casa.

Sopra una confusa linea dell’orizzonte vide davanti a sé un debole biancore e l’osservò con attenzione. Di tanto in tanto svaniva per poi tornare, ma qualunque cosa fosse era troppo lontano perché potesse capirci qualcosa.

Scoccò un’occhiata all’indicatore del carburante: era vicino al “mezzo pieno”. Fermò il camion e tirò fuori il binocolo.

Mentre si portava davanti alla macchina si meravigliò di avere le gambe tanto deboli e tanto lente, poi ricordò che si doveva essere alzato dal letto ormai da moltissime ore. Guardò l’orologio: erano le due, il che voleva dire che sulla Terra erano le due di notte. Era sveglio da più di venti ore e la maggior parte del tempo era stata spesa a rompersi la schiena nel disseppellire la strana cosa nel bosco.

Puntò il binocolo e la bianca linea elusiva che aveva visto si cambiò in una catena di montagne. La grande massa scoscesa e azzurra torreggiava sul deserto col brillare delle nevi sui picchi e sulle creste. Erano a grande distanza e perfino le potenti lenti le ingrandivano a poco di più che un azzurro e nebbioso baluginare.

Spazzò l’orizzonte a destra e a sinistra con le lenti e le montagne occupavano una grande porzione della sua linea.

Puntando le lenti più in basso esaminò il deserto che si stendeva davanti a lui. Era più o meno lo stesso che aveva visto, la stessa uniformità da pavimento, le stesse collinette sparse, la stessa vegetazione irregolare.

E una casa!

Abbassò il binocolo con le mani tremanti, poi lo rialzò con un’altra occhiata. Era vero, era una casa. Una casa dall’aria buffa che si ergeva ai piedi di una collinetta, ancora nell’ombra di questa, così che non si poteva notarla a occhio nudo.

Sembrava una casa piccola. Il tetto somigliava a un cono spuntato e la casa giaceva contro il suolo come se ne fosse trattenuta per amore o per forza. C’era un’apertura ovale, che probabilmente era una porta, ma non c’era segno di finestre.

Riabbassò il binocolo e fissò la collinetta. Sette od otto chilometri, pensò. La benzina sarebbe bastata fino a quel punto, anche se egli avesse dovuto percorrere a piedi gli ultimi chilometri per Willow Bend.

Era strano, pensò, che una casa dovesse stare lì tutta sola. Per tutti i chilometri di deserto non aveva veduto alcun segno di vita, eccettuati i sedici piccoli esseri dalla faccia di topo che marciavano in fila indiana e nessun segno di costruzione artificiale, tranne le otto macchine opaline che riposavano sulle loro rampe.

Salì sul camion e lo mise in marcia. Dieci minuti dopo era di fronte alla casa, che giaceva ancora all’ombra della collinetta.

Scese dal camion e si portò dietro il fucile. Towser balzò al suolo e rimase immobile con il pelo ritto e un basso ringhio in gola.

— Che c’è che non va, Towser? — chiese Taine.

Towser ringhiò ancora.

La casa rimaneva silenziosa. Sembrava deserta.

Taine vide che le pareti erano fatte di rozza muratura malamente messa insieme, con una sostanza sgretolata simile a fango come intonaco. Il tetto era originariamente stato fatto con zolle, il che era davvero strano, perché in quella parte di deserto non c’era nulla che potesse assomigliare a una zolla. Ora però, per quanto si potessero vedere connessure dove le zolle erano state messe insieme, non c’era nient’altro che terra cotta dal sole del deserto.

Tutta la casa era senza caratteristiche, priva completamente di ornamenti, senza alcun tentativo di addolcire la sua rude utilità di semplice rifugio. Era il tipo di casa che può edificare un popolo di pastori. Aveva i segni dell’età: la pietra era sgretolata e sfaldata dal tempo.

Taine vi si diresse con il fucile a tracolla, raggiunse la porta e scoccò un’occhiata all’interno. Vide solo oscurità e nessun movimento.

Si voltò a guardare Towser e vide che il cane era strisciato sotto il camion e sbirciava ringhiando.

— Resta qui in giro — disse Taine. — Non scappartene.

Col fucile proteso Taine attraversò la porta entrando nell’oscurità. Rimase fermo un istante, per permettere ai propri occhi di abituarsi alla penombra.

Finalmente poté rendersi conto della stanza in cui stava. Era semplice e rozza, con un nudo sedile di pietra lungo un muro e strane nicchie poco funzionali scavate in un altro. In un angolo stava un traballante mobile di legno, ma Taine non riuscì a capire a quale uso potesse servire.

Un vecchio posto deserto, pensò, abbandonato tanto tempo fa. Forse poteva essere vissuto lì, in un’epoca trascorsa da un pezzo, un popolo di pastori, quando il deserto era stato una pianura fertile ed erbosa.

C’era una porta che dava in un’altra stanza, e come l’attraversò udì un rombo smorzato e lontano e qualcosa d’altro tale e quale… al suono della pioggia! Dalla porta aperta che conduceva sul retro lo colpì una zaffata d’aria di mare ed egli rimase immobile nella stanza come se fosse stato congelato.

Un’altra!

Un’altra casa che conduceva a un altro mondo!

Avanzò lentamente, attratto dalla porta che dava sull’esterno, ed entrò in un giorno scuro e nuvoloso, con la pioggia che precipitava fumando da nubi che si rincorrevano selvaggiamente. Un chilometro più in là, oltre un campo di pietre grigio ferro confusamente spezzate, c’era un mare in tempesta che infuriava sulla costa, lanciando in aria grandi getti di spuma e spruzzi rabbiosi.

Uscì dalla porta, guardò il cielo e le gocce di pioggia gli colpirono la faccia con furia pungente. Nell’aria c’era freddo e umidità, e il luogo era soprannaturale… un mondo uscito da qualche antica leggenda gotica di fantasmi e di spiriti.

Diede un’occhiata in giro, e non c’era nulla da vedere, perché la pioggia cancellava il mondo al di là di quella parte di costa, ma al di là della pioggia sentì o gli sembrò di sentire la presenza di qualcosa che gli fece correre brividi per la spina dorsale. Deglutendo per il terrore, Taine si girò verso la porta e si precipitò in casa.

Un mondo estraneo, pensò, era già abbastanza; due mondi estranei erano più di quanto uno potesse sopportare. Fu scosso da un tremito per la sensazione di completa solitudine che gli era nata in mente; all’improvviso questa casa dimenticata da tanto tempo gli divenne insopportabile e si precipitò fuori.

Fuori brillava il sole e c’era un gradito calore. Taine aveva gli abiti inzuppati di pioggia e piccole gocce di umidità si stagliavano sulla canna del fucile.

Guardò in giro in cerca di Towser, e non c’era nessuna traccia del cane. Sotto il camion non c’era: non era da nessuna parte.

Taine emise un richiamo, ma non ci fu risposta. Il suono della sua voce era vuoto e solitario nel deserto e nel silenzio.

In cerca del cane andò dietro la casa, e sul retro della casa non c’era nessuna porta. Le rozze mura della casa erano piegate in quella buffa curva e la casa non aveva affatto il retro.

Ma Taine non provava interesse: se l’era immaginato che sarebbe stata così. Adesso cercava il suo cane e sentiva il panico sorgergli dentro. In un certo modo si sentiva molto lontano da casa.

Passò tre ore a cercarlo. Tornò dentro la casa, ma Towser non c’era. Rientrò nell’altro mondo e cercò tra le rocce ammassate, ma Towser non c’era. Ritornò nel deserto, fece il giro della collina, poi si arrampicò sulla cima e adoperò il binocolo per vedere nient’altro che un deserto senza vita che si stendeva in tutte le direzioni.

Morto di stanchezza, inciampando, mezzo addormentato anche se camminava, ritornò al camion.

Vi si appoggiò contro e cercò di rimettere insieme i pensieri.

Continuare come aveva fatto fino a quel momento sarebbe stato uno sforzo inutile. Doveva dormire un po’. Doveva tornare a Willow Bend, riempire il serbatoio, procurarsi della benzina di scorta in modo d’avere un campo di azione più ampio nella ricerca di Towser.

Non poteva lasciare lì il cane, questa era una cosa impensabile. Però doveva fare un programma, agire con intelligenza. Non avrebbe per nulla giovato a Towser andare in giro inciampando nella forma attuale.

Si spinse nel camion e si diresse a Willow Bend, seguendo ogni tanto la debole impressione che i pneumatici toccassero posti sabbiosi, combattendo una mortale sonnolenza che gli sigillava gli occhi.

Passando vicino alle colline su cui aveva visto ergersi le cose opaline, si fermò a camminare un poco per non cadere addormentato sul volante. E vide che ora sulle rampe c’erano soltanto sette di quelle cose.