124413.fb2 Le Guide del Tramonto - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 25

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20

Jean aveva pianto in quegli ultimi giorni, ma adesso non piangeva. L’isola si stendeva tutta di oro nella spietata luce insensibile, mentre l’astronave giungeva lentamente in vista al di sopra dei picchi gemelli di Sparta. Su quell’isola rocciosa, non molto tempo prima suo figlio era sfuggito alla morte grazie a un miracolo che ora Jean comprendeva anche troppo. Alle volte, si era perfino chiesta se non sarebbe stato meglio che i Superni se ne fossero rimasti in disparte, abbandonando Jeff al suo destino. Non un suono, non il minimo gesto da parte dei fanciulli. Se ne stavano in gruppi sparsi lungo tutta la spiaggia, non rivelando un maggior interesse l’uno per l’altro di quello che mostravano per le cose che stavano abbandonando per sempre. Molti avevano in collo bimbi troppo piccoli ancora per camminare, o che non volevano esercitare quei poteri che rendevano inutile la necessità di camminare. Perché, pensò George, se potevano muovere la materia inanimata, potevano ben muovere i propri corpi. Perché infatti i Superni si prendevano addirittura la briga di raccoglierli sulle loro astronavi?

Ma tutto ciò non aveva importanza. I loro figli se ne andavano ed era co-sì che avevano deciso di andarsene. E in quel momento George ricordò, di colpo, quello che gli aveva tormentato la memoria. Molto tempo prima, non ricordava più dove, aveva visto un documentario vecchio di un secolo. Il documentario di un esodo simile. Doveva essere all’inizio della prima guerra mondiale, o forse della seconda. Vi erano lunghe file di treni, tutti affollati di bambini, che uscivano lentamente dalle stazioni delle grandi città minacciate dalla guerra, lasciando là i genitori che molti di quei bambini non avrebbero più rivisto. Alcuni piangevano, altri erano disorientati e trafficavano, confusi, con i loro bagagli. Ma i più sembravano guardare al domani come a una grande avventura da vivere.

Però l’analogia aveva qualcosa di stonato. La storia non si ripete mai. Quelli che stavano partendo adesso non erano più bambini. E questa volta non ci sarebbe stato ritorno. L’astronave era atterrata là dove le onde morivano, affondando profondamente nella sabbia inzuppata di acqua. In perfetto sincronismo, i grandi pannelli ricurvi si sollevarono e le passerelle scattarono verso la spiaggia come lingue metalliche. Le sparse figurette, Dio quanto tristi e solitarie! cominciarono a convergere per raccogliersi in una turba che si pose ad avanzare, esattamente come farebbe una turba umana.

Tristi e solitarie? Perché un simile pensiero? si domandò George. Questa era la sola cosa che essi non sarebbero stati mai più. Soltanto degli individui possono essere tristi, soltanto degli esseri umani. Senti la mano di Jean accrescere la stretta sulla sua in un brusco spasimo di commozione.

«Guarda» sussurrò Jean. «Io riesco a vedere Jeff. Vicino a quel secondo portello.»

La distanza era molta, e non si poteva essere sicuri, e poi George aveva un velo davanti agli occhi che gli impediva di vedere bene. Ma sì… era Jeff, adesso ne era certo. George adesso poteva riconoscere suo figlio che aveva già posato un piede sul piano metallico.

E Jeff si volse a guardare indietro. La sua faccia era solo una chiazza bianca: a quella distanza era impossibile dire se esprimeva qualche sentimento, se li riconosceva, se ricordava tutto ciò che stava abbandonando. Né George avrebbe mai saputo se Jeff si era voltato verso di loro per puro caso, e se, in quegli ultimi istanti in cui era ancora il loro figlio, sapeva che lo stavano guardando passare in un mondo dove loro non sarebbero mai entrati.

I grandi portelli cominciarono a chiudersi. E in quell’istante Fey levò in alto il muso e lanciò un lungo lamento, desolato, sommesso. Volse poi i begli occhi limpidi verso George, e lui capì che in quel momento Fey aveva perduto il suo padroncino. George non aveva più rivali ora. Per quelli che erano rimasti c’erano molte strade ma una sola destinazione. Qualcuno disse: «Il mondo è ancora bello! Un giorno dovremo lasciarlo, ma perché anticipare la partenza?»

Ma altri, che avevano puntato più sul futuro che sul presente e che avevano perso tutto quello che rendeva la loro vita meritevole di essere vissuta, non desideravano più vivere. Questi decisero di andarsene dal mondo e lo fecero, o soli o coi loro amici, a seconda del carattere. Fu così anche per Nuova Atene. L’isola era nata dal fuoco e scelse di morire nel fuoco. Coloro che preferirono andarsene se ne andarono, ma molti rimasero e finirono in mezzo ai resti dei loro sogni spezzati.

Nessuno poteva sapere quando sarebbe venuto il momento, eppure Jean si svegliò nel silenzio della notte e rimase un momento immobile a guardare la chiara macchia spettrale del soffitto. Poi allungò un braccio per afferrare la mano di George. Lui di solito aveva il sonno pesante, ma questa volta si svegliò subito. Non parlarono perché non esistevano parole per esprimere ciò che avrebbero voluto dire.

Jean non aveva più paura, non era nemmeno triste. Era giunta finalmente, attraverso la tempesta, ad acque calme, e l’emozione non aveva ormai più presa alcuna su di lei. Ma restava una cosa da fare e lei sapeva che c’era appena tempo. Sempre in silenzio, George la seguì per la casa in cui regnava una pace solenne. Attraversarono il fascio di luce lunare che pioveva dal lucernario dello studio, movendosi lentamente insieme con le loro ombre, ed entrarono nella camera che era appartenuta ai loro cari bambini. Non era cambiato niente. Alle pareti luccicavano ancora i quadri fluorescenti che George aveva dipinto con tanta cura. E il sonaglio, che era appartenuto a Jennifer, stava ancora sul pavimento dove lei lo aveva lasciato cadere quando la sua mente si era rivolta alle inconoscibili lontananze dove viveva adesso. Lei, s’è lasciata dietro i suoi balocchi, pensò George, ma i nostri camminano con noi. Pensò ai bambini dei Faraoni, che cinquemila anni prima venivano sepolti con le loro bambole e i loro monili. Sarebbe stato ancora così. Nessun altro dovrà amare i nostri tesori, si disse, noi ce li porteremo via e non ci separeremo mai da loro.

Lentamente Jean si voltò verso di lui e gli posò la testa su una spalla. Lui la strinse fra le braccia, forte, e l’amore di un tempo tornò a colmarlo, attutito dalla distanza ma limpido, come un’eco rimandata da una lontana catena di montagne. Era troppo tardi, adesso, per dirle tutto quello che sarebbe stato giusto dirle, e George provò più rimorso per la sua passata indifferenza che per i suoi tradimenti. E Jean disse con voce tranquilla: «Addio, caro» e accentuò la stretta delle sue braccia. Non ci fu tempo per la risposta di George, ma anche in quell’istante supremo lui ebbe una sensazione fuggevole di stupore nell’accorgersi che Jean sapeva che il grande momento era giunto. E l’isola salì incontro all’aurora.