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Era un po’ di tempo che Stormgren dormiva male, strano, considerato che tra poco sarebbero finite per sempre le preoccupazioni inerenti alla sua carica. Serviva il genere umano da quarant’anni e i Superni da cinque, ed erano ben pochi gli uomini che, volgendosi come lui a guardare indietro, vedessero appagate tante ambizioni. Forse era proprio questo il guaio: negli anni, pochi o tanti, che gli restavano da vivere, non avrebbe avuto altri scopi da raggiungere che gli servissero da sprone. Da quando Martha era morta e i figli si erano formati la propria famiglia, i suoi legami col mondo si erano sempre più allentati. Forse perché aveva cominciato lui stesso a identificarsi con i Superni, staccandosi in tal modo gradatamente dall’umanità. Quella era un’altra notte agitata in cui il suo cervello continuava a girare come una ruota impazzita.
Visto che non riusciva a prendere sonno, si alzò, infilò la vestaglia e uscì sul terrazzo del modesto appartamento. Tra i suoi diretti subalterni non ce n’era uno che non abitasse in un appartamento più signorile, ma per Stormgren quello andava benissimo. Il Segretario Generale d’altronde aveva raggiunto una posizione per cui né le proprietà private né le cerimonie ufficiali potevano aggiungere qualcosa alla sua statura. La notte era calda, quasi afosa, ma il cielo era limpido e la luna brillava bassa a sud-ovest. A dieci chilometri, le luci di New York segnavano l’orizzonte simili a un’alba pietrificatasi nell’attimo della sua comparsa. Stormgren alzò lo sguardo sopra la metropoli addormentata, scalando ancora una volta le altitudini che lui solo, di tutti gli esseri umani, aveva affrontato. Per lontana che fosse, riusciva a distinguere lo scafo della nave di Karellen scintillante ai raggi della luna. Si chiese che cosa facesse in quel momento il Supercontrollore, dato che non credeva che i Superni dormissero.
Altissima, una meteora trafisse la volta del cielo come una lancia infuocata. La scia luminosa indugiò per qualche istante sempre più fioca sul manto nero della notte e infine si spense lentamente, lasciando solo le stelle. L’analogia nacque di colpo nella sua mente: fra cento anni, Karellen avrebbe ancora guidato il genere umano verso la meta che lui solo conosceva; ma fra quattro mesi un altro sarebbe stato Segretario Generale. Cosa che, di per sé, Stormgren era lungi dal rimpiangere, ma voleva dire che gli rimaneva poco tempo se sperava di scoprire che cosa si nascondesse dietro quello schermo spento.
Solo da qualche giorno aveva osato ammettere che il mistero dei Superni lo ossessionava. Fino a poco tempo prima, la sua fede in Karellen lo aveva salvato da ogni dubbio; ma ora le pretese della Lega della Libertà cominciavano a fare effetto anche su di lui. Era vero che la propaganda sull’asservimento dell’uomo era solo propaganda. Pochi ci credevano veramente o desideravano realmente tornare ai vecchi tempi. Gli uomini si erano abituati all’invisibile presenza di Karellen, ma cominciavano a diventare impazienti di sapere chi li guidava. E in realtà non si poteva dar loro torto. Sebbene fosse di gran lunga la più importante, la Lega della Libertà era soltanto una delle organizzazioni che si opponevano a Karellen e di conse-guenza a chi collaborava con i Superni. Ideologia e metodo di questi gruppi erano dei più svariati: alcuni basavano la loro opposizione su principi religiosi, mentre altri esprimevano soltanto un pensoso senso di inferiorità. Provavano, e a ragione, molto di quello che un indiano evoluto del secolo decimonono doveva aver sentito nei confronti del governatore britannico. Gli invasori avevano portato pace e prosperità alla Terra, ma chi poteva dire quale ne sarebbe stato il prezzo? La storia passata non era tranquillizzante al riguardo: anche i più pacifici contatti fra razze dal livello culturale diversissimo si erano spesso conclusi con l’annientamento della civiltà più arretrata. Le nazioni, esattamente come gli individui, potevano perdere il coraggio quando venivano chiamate a una sfida superiore alle loro forze. E la civiltà dei Superni, anche velata dal mistero, rappresentava la più grande sfida che fosse mai stata lanciata al genere umano.
Si udì il ticchettio della macchina che nella camera accanto batteva il notiziario trasmesso di ora in ora dalla «Central News». Stormgren entrò nella camera e si mise a sfogliare distrattamente gli ultimi fogli battuti. Sull’altro emisfero, la Lega della Libertà aveva ispirato un titolo non molto peregrino:
L’UMANITÀ È FORSE DOMINATA DA MOSTRI?
Dopo il titolo, la notizia: «In un discorso pronunciato oggi a un comizio, a Madras, il dottor C.V. Krishnan, Presidente della Sezione Orientale della Lega della Libertà, ha detto: ‘La ragione della condotta dei Superni è molto semplice. La loro forma fisica è così diversa dalla nostra e repellente che essi non osano mostrarsi all’umanità. Sfido il Supercontrollore a smentire questa mia affermazione’.» Stormgren gettò via il foglio con disgusto. Ammesso che l’accusa rispondesse a verità che importanza poteva avere? L’idea non era affatto nuova, ma non l’aveva mai preoccupato. Non credeva all’esistenza di una forma biologica che, per quanto insolita, lui non potesse accettare e forse trovare perfino bella. Era la mente, non il corpo, che in ultima analisi aveva importanza. Se almeno avesse potuto convincere Karellen di questo, forse i Superni avrebbero cambiato linea di condotta. Comunque fosse, non potevano essere creature ripugnanti come i disegni di fantasia che avevano riempito i giornali subito dopo la loro comparsa nel cielo della Terra. Eppure Stormgren sapeva che non soltanto per rispetto e generosità verso il suo successore lui era tanto ansioso di vedere la fine di quella storia. Era abbastanza onesto da ammettere che il motivo principale era semplice, umanissima curiosità. Se era abituato alla personalità di Karellen, ora non avrebbe più avuto pace finché non avesse scoperto com’era fatto fisicamente.
Il mattino seguente, Pieter van Ryberg fu sorpreso e un po’ sconcertato di non vedere arrivare Stormgren alla solita ora. Il Segretario Generale andava spesso in un posto o nell’altro prima di raggiungere l’ufficio, però, quando lo faceva, lo lasciava sempre detto. Quel mattino, per peggiorare le cose, arrivarono parecchi messaggi urgenti per Stormgren. Van Ryberg telefonò in sei o sette dipartimenti cercando di rintracciarlo, poi, seccato, si arrese.
A mezzogiorno, cominciò veramente a preoccuparsi e mandò una macchina a casa di Stormgren. Dieci minuti più tardi, l’urlo della sirena di un’auto della polizia che percorreva velocemente la Roosevelt Drive lo fece sussultare. Le agenzie di stampa erano evidentemente in buoni rapporti con i poliziotti di quell’autopattuglia perché, mentre ancora Van Ryberg stava guardando l’auto dalla finestra, la radio già annunciava al mondo la notizia che lui non era più semplicemente il Vice Segretario, ma il facente funzione di Segretario Generale delle Nazioni Unite.
Se Van Ryberg avesse avuto meno guai sulle spalle, avrebbe trovato interessante studiare le reazioni della stampa alla scomparsa di Stormgren. In quegli ultimi mesi, i giornali del mondo s’erano nettamente divisi in due fazioni. La stampa occidentale, in complesso, approvava il progetto di Karellen: rendere gli uomini cittadini del mondo. I Paesi orientali, d’altra parte, stavano vivendo violente crisi di orgoglio nazionale e pensavano di essere stati derubati dei loro vantaggi. Le critiche contro i Superni erano generali e violente, in questi Paesi. Dopo un periodo iniziale di estrema prudenza, la stampa si era accorta di potersi scagliare contro Karellen come e quanto voleva perché tanto non sarebbe successo niente. Ora stava superando se stessa. In massima parte, gli attacchi, anche se verbosissimi, non erano la voce della massa popolare. Lungo quelle frontiere che stavano per scomparire per sempre, le guardie confinarie erano state raddoppiate, ma ogni uomo di sentinella guardava gli altri con un’amicizia ancora inespressa. Politici e militari potevano andare su tutte le furie, ma i milioni di uomini che aspettavano in silenzio avevano la sensazione precisa che finalmente un lungo e cruento capitolo della storia umana stava per concludersi. E ora Stromgren era scomparso. E nessuno poteva dire dove. Il tumulto si placò di colpo, appena il mondo si rese conto di aver perduto il solo uomo mediante il quale i Superni, per chi sa quali loro strani motivi, parlavano alla Terra. Stampa e radio parvero colti da paralisi, ma nel silenzio si poteva sentire alta la voce della Lega della Libertà ansiosa di proclamare la sua innocenza.
Tutto era buio quando Stormgren si svegliò. Per un istante, intorpidito dal sonno, non ci fece caso. Poi, tornato perfettamente lucido, si levò a sedere di scatto e cercò l’interruttore accanto al letto. Nel buio, la sua mano sfiorò una parete di pietra, fredda al tatto. Stormgren si sentì gelare corpo e cervello paralizzati dall’inatteso. Quindi, non credendo ai suoi sensi, si mise in ginocchio sul letto e cominciò a esplorare con la punta delle dita la parete così penosamente sconosciuta. Era in quella posizione da qualche istante, quando udì uno scatto e tutta una sensazione di tenebra scivolò di lato. Stormgren vide la sagoma d’un uomo stagliarsi su uno sfondo vagamente luminoso. Poi l’apertura si richiuse e tornò il buio. Tutto era avvenuto con tale rapidità che lui non aveva avuto il tempo di vedere niente della camera in cui si trovava. Un istante più tardi, fu abbagliato dalla luce di una potente torcia elettrica. Il raggio indugiò sulla sua faccia per qualche secondo, quindi scese a illuminare il letto: un materasso sorretto da nude tavole, come poté vedere adesso.
Dalle tenebre uscì una voce cortese, che disse in inglese perfetto, ma con un accento che Stormgren non poté identificare subito: «Bene, signor Segretario… lieto di vedervi sveglio. Mi auguro che vi sentiate del tutto a posto.»
Qualcosa nell’ultima frase attirò l’attenzione di Stormgren e gli fece morire sulle labbra le domande che, furibondo, stava per fare. Guardò nel buio verso la voce, e disse, calmo: «Quanto tempo sono rimasto fuori conoscenza?»
L’altro rise.
«Alcuni giorni. Ci avevano garantito che non ci sarebbero stati postumi. Sono lieto di constatare che è vero.»
Un po’ per guadagnare tempo, un po’ per saggiare le proprie reazioni, Stormgren mise le gambe giù dal letto.
Indossava ancora il pigiama, stazzonato da far pietà e diventato incredibilmente sporco. Appena si mosse, ebbe un capogiro, non tale da preoccuparlo ma sufficiente a rivelargli che l’avevano drogato. Si voltò verso la luce.
«Dove sono?» chiese seccamente. «C’entra per caso Wainwright in que-sta storia?»
«Andiamo, non vi agitate» rispose la figura in ombra. «Non stiamo a parlare di questo, adesso. Immagino che abbiate fame. Vestitevi e venite a mangiare qualcosa.»
Il cono di luce si mosse per la camera, e per la prima volta Stormgren ebbe un’idea delle sue dimensioni. Non si poteva nemmeno definirla una camera, perché le pareti erano di roccia, levigata alla meglio. Doveva essere nel sottosuolo, forse a grande profondità e, se era rimasto svenuto per parecchi giorni, in chi sa quale regione del mondo.
La luce della torcia illuminò gli indumenti disposti alla meglio sopra una cassa da imballaggio.
«Mi auguro che vadano bene» disse la voce nell’ombra. «Quello della lavatura e stiratura è un grosso problema, qui, perciò abbiamo preso un paio dei vostri vestiti e una mezza dozzina di camicie.»
«Molto gentile da parte vostra» disse Stormgren senza ironia.
«Non sappiamo come scusarci per la mancanza di mobili e di luce elettrica. Questo posto offre molti vantaggi, ma purtroppo manca di comodità.»
«Quali vantaggi?» volle sapere Stormgren, mentre s’infilava una camicia. Il contatto familiare della stoffa fu stranamente rassicurante.
«Be’… vantaggi» disse la voce. «A proposito, giacché dovremo con ogni probabilità passare parecchio tempo assieme farete bene a chiamarmi Joe.»
«Nonostante la vostra nazionalità… siete polacco, non è vero?» ribatté Stormgren «credo di saper pronunciare il vostro nome vero: non sarà certo più difficile di certi nomi finnici.»
Ci fu una breve pausa, e la luce vacillò per un secondo. «Avrei dovuto aspettarmelo» disse Joe in tono rassegnato. «Dovete avere una gran pratica di queste cose.»
«È un passatempo utile per un uomo nella mia posizione. A occhio e croce direi che siete stato allevato negli Stati Uniti, ma non avete lasciato la Polonia prima di…»
«Credo che possa bastare» lo interruppe Joe in tono fermo. «Vedo che avete finito di vestirvi… perciò, se volete…»
La porta si aprì mentre Stormgren vi si avvicinava, lievemente sollevato dalla sua piccola vittoria. Joe si scostò per lasciarlo passare, e Stormgren si chiese se il suo carceriere fosse armato. Ma lo era quasi sicuramente. Comunque, lì attorno dovevano esserci altri della banda. Il corridoio era scarsamente illuminato da lampade a olio sistemate a lunghi intervalli, e per la prima volta Stormgren poté vedere Joe bene in faccia. Era sulla cinquantina e doveva pesare almeno cento chili. Tutto in lui era sproporzionatamente massiccio, smisurato, dalla divisa mimetizzata che poteva provenire da una mezza dozzina di eserciti, all’anello enorme, col sigillo, all’anulare della sinistra. Un uomo di quelle proporzioni probabilmente non aveva bisogno di portare la rivoltella. Non doveva essere difficile identificarlo, pensò Stormgren, qualora fosse uscito da quel sotterraneo. Si sentì depresso, però, all’idea che anche Joe doveva esserne perfettamente consapevole. Le muraglie intorno, anche se qua e là ricoperte di intonaco, erano soprattutto roccia viva. Evidentemente si trovavano in qualche miniera abbandonata, un posto ideale come prigione. Fino a quel momento, Stormgren non si era molto preoccupato per la sua sorte. Aveva pensato che, qualunque cosa fosse accaduta, i Superni lo avrebbero trovato e salvato grazie alle loro immense risorse. Ma adesso non ne era più tanto sicuro. Era scomparso ormai da parecchi giorni e non era successo niente. Doveva esserci un limite anche al potere di Karellen, e se lui ora si trovava sepolto nel sottosuolo in una lontana parte del mondo, forse nemmeno la scienza dei Superni poteva rintracciarlo. Due altri uomini erano seduti a tavola, in un locale spoglio, scarsamente illuminato. Quando Stormgren entrò, Io guardarono con interesse e addirittura con rispetto. Uno di loro spinse un piatto di panini imbottiti verso il Segretario che accettò con avidità. Per quanto affamato, avrebbe preferito un pranzo meno frugale, ma era chiaro che nemmeno i suoi carcerieri avevano mangiato meglio. Mentre mangiava, osservò con rapide occhiate i tre uomini che gli sedevano intorno. Joe era di gran lunga il tipo più interessante, e non soltanto per la corporatura. Era chiaro che gli altri erano dei subalterni, individui insignificanti, la cui origine Stormgren avrebbe identificato appena si fossero messi a parlare. Comparve del vino versato in un bicchiere non esattamente pulito, e Stormgren lo bevve per buttar giù l’ultimo panino. Ora che aveva mangiato, sentiva di tenere in mano la situazione. Si rivolse al gigantesco polacco.
«Bene» disse, in tono affabile «ora forse sarete disposto a dirmi che cosa significa tutto questo e che cosa sperate di trarne.»
Joe tossicchiò.
«Innanzi tutto, vorrei mettere in chiaro una cosa» disse. «Wainwright non c’entra per niente e sarà rimasto sorpreso come gli altri.»
Stormgren si era quasi aspettato una risposta del genere, sebbene si chiedesse ora perché mai Joe confermasse i suoi sospetti. Già da tempo subodorava l’esistenza di un movimento estremista in seno, o ai margini, della Lega della Libertà.
«Per pura curiosità» disse «come avete fatto a rapirmi?»
Non si aspettava una risposta, perciò fu colto di sorpresa dalla prontezza e dalla disinvoltura con cui l’altro rispose.
«È filato tutto liscio come in un film giallo» disse Joe allegramente.
«Non sapevamo se Karellen vigilasse su di voi, quindi siamo stati costretti a prendere delle precauzioni alquanto complicate. Innanzi tutto, vi abbiamo fatto perdere i sensi con un gas immesso nell’impianto dell’aria condizionata: è stato facile. Poi, vi abbiamo portato sulla macchina, cosa facilissima anche questa. Non è stato uno qualunque dei nostri a fare il lavoro. Abbiamo assunto… dei professionisti, per così dire. Karellen potrà anche catturarli, riteniamo anzi che lo farà, ma non arriverà oltre. Lasciata la vostra casa, la macchina ha imboccato un lungo tunnel ed è uscita in perfetto orario all’altra estremità. A bordo c’era ancora un uomo svenuto che assomigliava straordinariamente al Segretario Generale. Parecchio tempo dopo, un grosso autotreno carico di casse metalliche è emerso dalla parte opposta e si è diretto verso un certo campo d’aviazione, dove le casse sono state caricate su un aereo da trasporto in base a una normale e legalissima esigenza commerciale. Sono certo che i proprietari di quelle casse inorridirebbero nel sapere a cosa ci sono servite. Intanto l’automobile, finita la prima parte del suo lavoro, proseguiva nell’azione diversiva filando verso la frontiera canadese. Forse, quelli di Karellen l’hanno catturata, a quest’ora. Non lo so, e non me ne importa. Come vedete, e spero che apprezzerete la mia franchezza, tutto il nostro piano si basava su una sola cosa: sappiamo che Karellen può vedere e sentire tutto quello che succede sulla superficie della Terra, ma a meno che non ricorra alla magia, anziché alla scienza, non può vedere sotto di essa. Così non saprà del trasferimento avvenuto nel tunnel se non quando sarà troppo tardi. Naturalmente è stato lo stesso un rischio, ma avevamo studiato altre due o tre cosette per andare sul sicuro. Non vi dico, però, di cosa si tratta, perché potrebbero ancora tornarci utili e sarebbe un peccato sprecarle così per niente.»
Joe aveva raccontato tutta la storia con una tale soddisfazione che Stormgren frenò a stento un sorriso. Ma era preoccupato. Il piano era stato indubbiamente ingegnoso ed era possibilissimo che Karellen fosse caduto nella trappola. Stormgren dubitava perfino che i Superni lo sorvegliassero a scopo protettivo. E Joe non ne sapeva più di lui. Forse era per questo che aveva parlato con franchezza, per vedere le sue reazioni. Bene, gli conveniva mostrarsi fiducioso, qualunque fossero i suoi sentimenti.
«Dovete essere matti» disse «se v’illudete di ingannare Karellen e i Superni così facilmente. Comunque, che cosa sperate di ottenere?»
Joe gli offrì una sigaretta, che Stormgren rifiutò, quindi ne accese una per sé e si sedette sull’angolo del tavolo. Si udì uno scricchiolio di cattivo augurio, e lui si affrettò ad alzarsi.
«Il nostro scopo» cominciò «è evidente. Ci siamo accorti che le discussioni sono inutili e che bisognava ricorrere ad altre misure. Sono già esistiti movimenti clandestini prima di ora, e lo stesso Karellen, per grande che sia il suo potere, si accorgerà che siamo un osso duro. Noi ci battiamo per la nostra indipendenza. Non fraintendetemi. Non useremo la violenza, in un primo tempo, almeno, ma i Superni devono servirsi di agenti umani, e noi possiamo rendere il loro compito estremamente difficile.»
«Cominciando da me, suppongo» pensò Stormgren. Si chiese quanto, di tutta la storia, gli avesse raccontato il polacco. Quella gente credeva davvero che i sistemi da gangster avrebbero fatto vacillare Karellen? D’altro canto, però, non si poteva negare che un ben organizzato movimento di resistenza poteva rendere la vita difficile. Joe aveva messo il dito sul solo punto debole del dominio dei Superni. Tutti i loro ordini erano trasmessi mediante agenti umani: se questi fossero stati indotti dal terrore a disobbedire, l’intero sistema sarebbe potuto crollare. Non era che una vaga possibilità, tuttavia, e Stormgren non dubitava che Karellen avrebbe trovato la soluzione.
«E con me, che cosa contate di fare?» domandò Stormgren alla fine delle sue riflessioni. «Sono un ostaggio o cosa?»
«Non preoccupatevi. Vigileremo su di voi e vi proteggeremo. Aspettiamo delle visite, nei prossimi giorni, e nell’attesa faremo del nostro meglio per intrattenervi.» Aggiunse alcune parole nella sua lingua, e uno dei suoi accoliti fece saltar fuori un mazzo di carte nuove fiammanti. «Ce le siamo procurate apposta per voi» riprese. «Ho letto su un giornale, giorni fa, che siete un eccellente giocatore di poker.» La sua voce si fece d’un tratto grave. «Spero che il vostro portafoglio sia ben rifornito» disse ansiosamente.
«Non abbiamo pensato ad accertarcene. Capite bene che, data la situazione, non possiamo accettare assegni.»
Sconcertato, Stormgren fissò con gli occhi sbarrati, senza parole, i suoi carcerieri. Poi, afferrato appieno l’umorismo della situazione, si sentì sol-levato di colpo da tutte le preoccupazioni e gli impegni della sua carica. Da quel momento tutto ricadeva sulle spalle di Van Ryberg, e qualunque cosa succedesse, lui non poteva farci niente… E quegli straordinari criminali erano ansiosi di giocare a poker con lui.
Non c’era dubbio, pensò Van Ryberg di malumore, che Wainwright dicesse la verità. Forse aveva dei sospetti, ma non sapeva chi avesse rapito il Segretario Generale e non approvava il rapimento. Van Ryberg aveva una mezza convinzione che gli estremisti della Lega della Libertà avessero esercitato pressioni su Wainwright perché adottasse una politica più attiva e, alla fine, avessero preso in mano le redini dell’organizzazione. Il rapimento era stato organizzato alla perfezione, di questo non c’era dubbio: Stormgren poteva essere nascosto in qualunque angolo della Terra, e c’erano poche speranze di poterlo scovare. Eppure bisognava fare qualcosa al più presto, pensò Van Ryberg. Nonostante le battute di spirito, provava per Karellen una specie di timore riverenziale. L’idea di avvicinare il Supercontrollore direttamente lo sgomentava, ma non c’era alternativa. I servizi di comunicazione occupavano tutto l’ultimo piano del grosso palazzo. File e file di macchine e telescriventi, alcune silenziose, altre che ticchettavano freneticamente, si allungavano in distanza. Dalle macchine fluivano senza posa elenchi di cifre, risultati di censimenti, dati statistici, tutto il materiale indispensabile al sistema economico di un mondo. E in un punto dell’astronave di Karellen doveva esserci un duplicato di quella sala immensa. Con un brivido, Van Ryberg si domandò com’erano le figure che si muovevano tra quelle macchine per raccogliere i messaggi che la Terra mandava ai Superni.
Van Ryberg entrò nel piccolo studio privato dove solo Stormgren aveva diritto a entrare. Ne aveva fatto forzare la serratura, e il capo dei servizi di comunicazione lo stava aspettando là dentro.
«È una comune telescrivente, con la normale tastiera da macchina per scrivere» disse il funzionario. «C’è anche un trasmettitore di immagini, qualora voleste inviare disegni o diagrammi, ma avete detto che questo non vi serviva…»
Van Ryberg approvò con un cenno distratto. «Non mi serve altro, grazie» disse. «Non credo che mi fermerò molto. Quando sarò uscito, fate richiudere e poi consegnatemi tutte le chiavi.»
Attese che il funzionario fosse uscito, poi si sedette stancamente davanti alla macchina. Veniva usata molto di rado, dato che quasi tutte le transa-zioni fra Stormgren e Karellen erano sbrigate durante i loro incontri settimanali. Trattandosi di un mezzo per comunicazioni d’emergenza, Van Ryberg si aspettava una risposta entro brevissimo tempo. Dopo un attimo d’esitazione, cominciò a battere il messaggio con dita inesperte. La macchina brontolava sommessa, e le parole apparivano scintillanti per qualche secondo sullo schermo nero. Infine, Van Ryberg si appoggiò allo schienale della sedia e attese la risposta. Non era passato un minuto, che la macchina riprese a vibrare. Era proprio vero: il Supercontrollore non dormiva mai. Il messaggio fu breve e poco consolante:
MANCHIAMO INFORMAZIONI. LASCIAMO RICERCHE INTERAMENTE VOSTRA DISCREZIONE. K.
Con amarezza, e senza provare la minima soddisfazione, Van Ryberg si rese conto della gravità dei compiti che lo sovrastavano.
Negli ultimi tre giorni, Stormgren aveva studiato attentamente i suoi rapitori. Joe era il solo di qualche rilievo: gli altri erano nullità, il ciarpame che sempre si raccoglie ai margini d’ogni movimento clandestino. Gli ideali della Lega della Libertà non significavano niente per loro, preoccupati di un’unica cosa: guadagnarsi da vivere col minimo di fatica. Joe era un individuo infinitamente più complesso, sebbene talvolta facesse pensare a un bambino di dimensioni eccezionali. Le loro interminabili partite di poker erano contraddistinte da violente discussioni politiche, e Stormgren non ci mise molto a capire che il massiccio polacco non aveva mai riflettuto seriamente sulla causa per cui si batteva. Emozione ed eccessivo spirito conservatore annebbiavano ogni suo giudizio. La lunga lotta per l’indipendenza sostenuta dal suo Paese lo aveva completamente condizionato, e lui viveva ancora in quegli anni ormai passati. Era un rudere pittoresco, uno di quegli uomini che non sanno adattarsi a un sistema ordinato di vita. Il giorno che i tipi come lui dovessero scomparire, ammesso che sia possibile, il mondo sarà forse un posto più tranquillo, ma sicuramente meno interessante. Per quanto riguardava Stormgren, pareva proprio che Karellen non fosse riuscito a localizzarlo. Il Segretario Generale aveva cercato di bluffare, ma i suoi guardiani non si erano lasciati convincere. Era pronto a scommettere che l’avevano tenuto lì per vedere se Karellen sarebbe intervenuto, che adesso, visto che non era successo niente, avrebbero attuato i loro piani. Alcuni giorni più tardi, Joe gli annunciò visite. Non fu una sorpresa per Stormgren: da un paio di giorni i tre carcerieri erano agitati, e lui ne aveva dedotto che i capì del movimento, visto che tutto procedeva per il meglio, avevano deciso di venire finalmente a prelevarlo.
Erano già raccolti attorno alla tavola traballante, quando Joe con un cenno cortese lo invitò a entrare nella sala comune. Stormgren notò divertito che il suo custode ostentava un’enorme pistola, per la prima volta. I due accoliti erano scomparsi, e Joe sembrava intimidito. Stormgren capì subito che si trovava di fronte a uomini di ben maggiore levatura. Il gruppo di fronte a lui gli ricordò una fotografia vista una volta: Lenin e i suoi collaboratori ritratti nei primi giorni della rivoluzione russa. In quei sei uomini era evidente la stessa intelligenza, la stessa decisione ferrea, la stessa razionale freddezza dei capi russi. Joe e quelli come lui erano innocui: ma gli altri erano i veri cervelli che davano vita al movimento. Con un breve cenno di saluto, Stormgren si diresse verso la sola sedia libera, cercando di mostrarsi disinvolto e padrone di sé. Mentre si avvicinava, l’uomo anziano e robusto, seduto al lato più lontano della tavola, si protese in avanti e lo fissò con grigi occhi penetranti. Quegli occhi misero in tale disagio Stormgren che, contrariamente a ciò che aveva deciso di fare, parlò per primo.
«Immagino che siate venuti per porre le vostre condizioni. Quale sarebbe il mio riscatto?»
Osservò che in fondo alla stanza qualcuno stava stenografando le sue parole. Tutto aveva l’aria molto burocratica. Il capo rispose con spiccato accento gallese.
«Potete anche metterla così, signor Segretario Generale. Ma noi vogliamo informazioni, non denaro.»
Era così, dunque, pensò Stormgren. Era prigioniero di guerra, e quello era il suo interrogatorio.
«Voi conoscete i nostri scopi» riprese l’altro, con la sua voce cantilenante. «Chiamateci un movimento di resistenza, se preferite. Siamo convinti che, prima o poi, la Terra dovrà battersi per la sua indipendenza, ma la lotta può essere condotta solo col sistema del sabotaggio e della disobbedienza civile. Vi abbiamo rapito, in parte per dimostrare a Karellen che facciamo sul serio e siamo ben organizzati, ma soprattutto perché voi siete un uomo ragionevole, signor Stormgren. Assicurateci la vostra collaborazione e sarete rimesso in libertà.»
«Che cosa volete sapere esattamente?» domandò Stormgren, cauto. Quegli occhi straordinari sembravano frugargli fino in fondo al cervello. Erano occhi diversi da quanti ne avesse mai visti. La voce cantilenante ri-prese: «Sapete chi o che cosa sono realmente i Superni?»
Stormgren sorrise. «Credetemi» disse «sono desideroso quanto voi di scoprirlo.»
«Risponderete, dunque, alle nostre domande?»
Si udì un lieve sospiro di sollievo da parte di Joe, e un mormorio di attesa si diffuse per la saletta.
«Noi abbiamo un’idea generica» riprese l’altro «delle circostanze in cui incontrate Karellen. Ma sarà meglio che ci descriviate i vostri incontri senza omettere niente d’importante.»
Cosa, questa, abbastanza innocua, pensò Stormgren. L’aveva già fatto molte volte e avrebbe avuto l’apparenza di una collaborazione. Erano cervelli acuti quelli che aveva davanti a sé e chissà che non scoprissero qualcosa di nuovo. I sei uomini avrebbero fatto tesoro di qualsiasi cosa lui avesse detto, e tra quello che Stormgren poteva dire non c’era assolutamente niente che potesse danneggiare in qualche modo Karellen. Si frugò in tasca e ne tolse una matita e una vecchia busta gualcita. Schizzando rapidamente un disegno, cominciò a parlare. «Saprete, naturalmente, che un piccolo ordigno volante, senza mezzi manifesti di propulsione, viene a prendermi a intervalli regolari per trasportarmi a bordo dell’astronave di Karellen. Esso penetra nel ventre della nave, e voi avete senza dubbio visto i film che sono stati ripresi sull’operazione. La porta si riapre — ammesso che si voglia proprio chiamarla porta — e io entro in una saletta dove ci sono un tavolo, una sedia e uno schermo televisivo. Più o meno è così.»
Spinse il disegno verso il vecchio gallese, ma gli strani occhi non si volsero al foglio. Erano sempre fissi sulla faccia di Stormgren e, mentre questi li guardava, parve che qualcosa mutasse nelle loro profondità. La stanza si era fatta a un tratto silenziosa, e Stormgren sentì alle sue spalle il respiro rauco di Joe.
Perplesso e seccato, il Segretario Generale si voltò a guardare e cominciò a capire. Confuso, appallottolò la busta, la lasciò cadere e ci mise sopra un piede.
Adesso sapeva perché quegli occhi grigi lo avevano colpito così bizzarramente. L’uomo seduto davanti a lui era cieco.
Van Ryberg non fece altri tentativi di mettersi in contatto con Karellen. La maggior parte del lavoro del suo dipartimento, il raggruppamento di dati statistici, lo spoglio della stampa mondiale e altre cose del genere, anda-va avanti automaticamente. A Parigi i legislatori stavano ancora discutendo sulla proposta Costituzione Mondiale, ma per il momento la cosa non lo riguardava. Mancavano due settimane al giorno fissato per sottoporre a Karellen la bozza della nuova Costituzione, e se non fosse stata pronta per il momento stabilito certamente Karellen avrebbe agito nel modo che riteneva opportuno. E ancora nessuna notizia di Stormgren.
Van Ryberg stava dettando la corrispondenza, quando suonò il telefono collegato con la linea di emergenza. Sollevò il ricevitore e ascoltò con crescente sbalordimento, poi lo rimise giù di colpo e corse alla finestra aperta. Da lontano venivano grida di stupore e nella strada il traffico si stava bloccando. Era vero: l’astronave di Karellen, immutato simbolo dei Superni per tutti quegli anni, non era più nel cielo. Van Ryberg scrutò in alto fin dove gli era possibile spingere lo sguardo e non la vide. Poi, di colpo, parve che facesse notte. L’immensa astronave calò da nord rasente ai grattacieli di New York oscurando tutto con la sua sagoma immensa, scura, vista così senza il riflesso del sole, come una nube temporalesca. Involontariamente Van Ryberg si ritrasse per sfuggire alla gigantesca ombra in corsa. Sapeva che le astronavi dei Superni erano di dimensioni gigantesche, incredibili, ma un conto era vederle alte nello spazio e un altro guardarle passare appena sopra la città, paurose come nubi cavalcate da demoni. Nel buio dell’eclissi parziale, guardò l’astronave e la sua ombra allontanarsi e svanire a sud. Non sentì alcun rumore, nemmeno il sibilo dell’aria, e capì che, per quanto fosse sembrata tanto vicina, la nave spaziale era passata almeno a mille metri di quota. Poi il palazzo vibrò colpito dallo spostamento d’aria, e si sentì un rumore di vetri da una stanza la cui finestra si era spalancata sotto l’onda d’urto.
Nell’ufficio tutti i telefoni si misero a suonare, ma Van Ryberg non si mosse. Rimase lì, appoggiato allo stipite della finestra, lo sguardo fisso a sud, paralizzato da quella visione di potenza illimitata.
A Stormgren pareva di avere il cervello su due piani diversi contemporaneamente. Da una parte, cercava di sfidare l’uomo che lo aveva catturato, dall’altra sperava che esso potesse aiutarlo a scoprire il segreto di Karellen. Gioco pericoloso, ma che con la sua notevole sorpresa lo divertiva. Il cieco gallese aveva condotto quasi tutto l’interrogatorio. Era affascinante vedere quell’agilissima mente tentare un varco dopo l’altro, valu-tando e respingendo tutte le storie che Stormgren stesso aveva abbandonato già da molto tempo. Alla fine si abbandonò contro la spalliera della sedia con un sospiro.
«Non si conclude niente» disse, in tono rassegnato. «Abbiamo bisogno di altri fatti, e questo significa azione, non discussioni.» Gli occhi ciechi parvero fissare pensosi Stormgren, e per qualche istante l’uomo batté nervosamente le dita sul tavolo: il primo segno d’incertezza che Stormgren notava in lui. Infine riprese. «Mi stupisce non poco, signor Segretario, che non abbiate fatto nessun sforzo per saperne di più sui Superni.»
«Che cosa proporreste, voi?» domandò Stormgren freddamente, cercando di nascondere il suo interesse. «Come vi ho detto, non c’è che una via d’uscita dal locale in cui si svolgono i miei colloqui con Karellen: quella che riporta direttamente sulla Terra.»
«Si potrebbero escogitare strumenti capaci di rivelarci qualche cosa» congetturò l’altro. «Non sono uno scienziato, ma si può vedere che cosa si potrebbe fare in merito. Se vi rendiamo la libertà, sareste disposto a collaborare a un piano del genere?»
«Una volta per tutte» disse Stormgren «lasciate che chiarisca bene la mia posizione. Karellen si adopera per la creazione di un mondo unito, e io non farò niente per aiutare i suoi nemici. Non so quali siano i suoi piani definitivi, ma credo fermamente che siano buoni.»
«Quali prove ne avete?»
«Tutte le sue azioni, fin dal primo istante in cui le astronavi sono apparse nel cielo del nostro pianeta. Vi sfido a citarmi una sola azione di Karellen che in ultima analisi non si sia rivelata benefica.» Stormgren fece una pausa, riandando col pensiero agli ultimi anni. Poi sorrise. «Come prova della… come chiamarla?… benevolenza dei Superni, basterebbe ricordare l’ordine in merito alle crudeltà contro gli animali emanato entro un mese dal loro arrivo. Qualsiasi dubbio avessi avuto su Karellen, quell’ordine lo fece svanire, anche se mi causò più noie di qualunque altra sua azione!»
Non era una esagerazione, pensò Stormgren. Quell’incidente straordinario era stato la prima rivelazione che i Superni non tolleravano la crudeltà. Dovendoli giudicare dalle loro azioni, bisognava dire che questa intolleranza e la passione per la giustizia e per l’ordine erano le loro prerogative dominanti. Fu la sola volta che Karellen si fosse mostrato furioso. «Potete uccidervi l’un l’altro, se volete» aveva detto il messaggio «ciò riguarda voi e le vostre leggi. Ma se uccidete gli animali che dividono con voi il vostro pianeta, a meno che non sia per procurarvi cibo o per difesa personale, dovrete risponderne direttamente a me». Nessuno aveva idea esattamente dei limiti entro cui l’ordinanza era valida, o che cosa avrebbe fatto Karellen per farla osservare. Ma non dovettero aspettare molto per saperlo.
La Plaza de Toros era gremita quando i toreri coi loro aiutanti avevano fatto l’ingresso nell’arena per il saluto pubblico. Tutto sembrava normale, il sole sfolgorava sui costumi tradizionali, la folla acclamava i suoi favoriti come aveva già fatto centinaia di volte. Pure, qua e là, delle facce si alzavano ansiose al cielo, verso la solitaria e superba sagoma argentea sospesa a cinquanta chilometri d’altezza su Madrid.
Poi i picadores presero posto, e il toro uscì sbuffando dal recinto. I cavalli, le froge dilatate dal terrore, si erano messi a fare evoluzioni nel sole, mentre i cavalieri li spronavano incontro al nemico. La prima lancia saettò e colpì. In quell’istante si udì un urlo quale mai era echeggiato sulla Terra. Era l’urlo di dolore di diecimila persone tormentate dalla stessa ferita, diecimila esseri umani che, quando si furono ripresi, si ritrovarono del tutto illesi. Ma fu la fine della corrida, anzi, fu la fine di tutte le corride, perché la notizia si sparse rapidamente. Vale la pena di ricordare che gli spettatori erano rimasti così scossi che soltanto uno su dieci chiese la restituzione del denaro e che il giornale inglese «Daily Mirror» peggiorò la situazione proponendo che gli spagnoli adottassero il cricket come nuovo sport nazionale.
«Può darsi che abbiate ragione» rispose il vecchio gallese. «È probabile che i motivi dei Superni siano buoni… secondo i loro punti di vista che qualche volta possono coincidere con i nostri. Ma i Superni sono degli intrusi, noi non abbiamo mai chiesto loro di venire a sconvolgere il nostro mondo, distruggendo ideali… sì, ideali, e nazioni… per i quali generazioni di uomini avevano combattuto con lo scopo di difendere e di proteggere.»
«Io provengo da una piccola nazione che ha dovuto combattere per la sua libertà» ribatté Stormgren. «Eppure sono per Karellen. Lo si potrà ostacolare, potrete perfino ritardare il conseguimento dei suoi scopi, ma alla fine sarà lui a vincere. Sono convinto che siete in buona fede e posso capire il vostro timore che le tradizioni e la cultura di piccoli Stati vengano travolte dalla fondazione di uno Stato Mondiale, ma vi sbagliate: è inutile restare attaccati al passato. Ancora prima che i Superni arrivassero sulla Terra, lo stato sovrano era in agonia. Loro ne hanno accelerato la fine. Nessuno può salvarlo ora e nessuno dovrà tentare di farlo.»
Non ci fu risposta. L’uomo che gli sedeva davanti non si muoveva, non parlava. Stava immobile, con le labbra socchiuse, gli occhi veramente spenti, ora, veramente gli occhi di un cieco. Anche gli altri erano immobili, impietriti in pose tese, innaturali. Con un’esclamazione soffocata Stormgren si alzò e indietreggiò verso la porta. In quell’istante, bruscamente, qualcuno parlò.
«Simpatico discorso quello che avete fatto, Rikki, grazie! E ora, possiamo andare.»
Stormgren si girò di scatto a scrutare nell’ombra del corridoio. Vide galleggiare nell’aria, all’altezza d’uomo, una piccola sfera; la fonte senza dubbio della forza misteriosa che i Superni avevano liberato. Stormgren non ne era sicuro, ma gli pareva di sentire un debole ronzio simile a quello di uno sciame d’api in un sonnacchioso pomeriggio d’estate.
«Karellen! Dio sia lodato! Ma che cosa avete fatto?»
«Non vi preoccupate, stanno benissimo. Sono in uno stato assai simile alla paralisi, ma in realtà è qualcosa di più… si dice subdolo? Stanno vivendo migliaia di volte più lentamente del normale. Noi ce ne andremo, e loro non sapranno mai che cosa sia accaduto.»
«Resteranno così fino all’arrivo della polizia?»
«No. Ho un piano migliore: li lascio liberi.»
Stormgren provò un senso di sollievo. Lanciò un’ultima occhiata di commiato alla stanza e ai suoi occupanti impietriti. Joe stava ritto su un piede, fissando il vuoto con espressione stupita. Improvvisamente Stormgren scoppiò a ridere e si frugò in tasca.
«Grazie dell’ospitalità, Joe» disse. «Voglio lasciarvi un ricordo.» Fece passare tra le dita i vari foglietti finché non ebbe trovato quel che cercava. Quindi, su un pezzetto di carta abbastanza pulito, scrisse con grande attenzione. «Alla Banca di Manhattan — Pagate per me a Joe la somma di centotrentacinque dollari e cinquanta cents (135,50). - R. Stormgren». Mentre deponeva il foglio sul tavolo davanti al polacco, udì la voce di Karellen chiedere: «Che cosa state facendo?»
«Noi Stormgren paghiamo sempre i nostri debiti. Gli altri due baravano, ma Joe giocava onestamente. Almeno, non l’ho mai sorpreso in flagrante.»
Si sentiva allegro e sollevato, di almeno quarant’anni più giovane, mentre si dirigeva verso la porta. La sfera di metallo sballonzolò da una parte per lasciarlo passare. Stormgren immaginò che fosse una qualche specie di robot, e la presenza della macchina spiegava come Karellen fosse riuscito a raggiungerlo attraverso gli sconosciuti corridoi scavati nello spesso strato di roccia che sovrastava il nascondiglio.
«Andate diritto per un centinaio di metri» disse la sfera, sempre con la voce di Karellen «poi voltate a sinistra e proseguite finché non avrete altre indicazioni.»
Stormgren si incamminò svelto, pur sapendo che non c’era nessuna necessità di correre. La sfera rimase a mezz’aria nel corridoio, probabilmente per coprire la sua fuga.
Un minuto più tardi, Stormgren si trovò davanti a una seconda sfera, che lo aspettava a una biforcazione del corridoio.
«Ora avete mezzo chilometro da percorrere» disse. «Piegate sempre a sinistra fin quando non ci ritroveremo.»
Incontrò sei sfere lungo il suo percorso verso l’aria aperta. Dapprima si disse che forse l’automa riusciva a superarlo, poi pensò che doveva esserci tutta una catena di sfere, così da formare un circuito completo nella profondità della miniera. All’ingresso, un gruppo di uomini di guardia formavano un insieme scultoreo di dubbio effetto sotto la sorveglianza di un’altra delle sfere onnipresenti. Sul fianco dell’altura, a pochi metri di distanza, stava in attesa la navicella a bordo della quale Stormgren aveva fatto tutte le sue ascensioni verso l’astronave di Karellen.
Per qualche secondo il Segretario Generale sbatté le palpebre, abbagliato dalla luce del sole. Poi vide le vecchie macchine e l’attrezzatura da miniera e oltre il macchinario, le rotaie in disuso che scendevano lungo il fianco del monte. A tre o quattro chilometri, una fitta foresta cingeva la base della montagna, e ancora più lontano Stormgren vide il luccichio dell’acqua di un grande lago. Immaginò di essere in qualche punto del Sud America ma non avrebbe saputo dire da cosa gli veniva questa impressione. Mentre saliva nella piccola macchina volante, Stormgren ebbe un’ultima fuggevole visione dell’imbocco della miniera e degli uomini impietriti davanti all’ingresso. Quindi lo sportello si chiuse, sigillandosi ermeticamente alle sue spalle, e con un sospiro di sollievo lui si sedette sulla familiare poltroncina imbottita.
Per qualche istante attese di riprendere fiato, infine disse una sola parola, ma densa di significato.
«Allora?»
«Mi dispiace di non avervi potuto liberare prima. Ma avrete capito che era importante attendere che tutti i capi fossero riuniti.»
«Volete dire» balbettò Stormgren «che avete sempre saputo dov’ero? Se avessi…»
«Non siate tanto precipitoso» interruppe Karellen. «Almeno lasciate che finisca di spiegarvi.»
«D’accordo» disse Stormgren, cupo. «Vi ascolto.» Cominciava a sospettare di essere stato l’esca di una trappola molto complicata.
«Ho tenuto un… credo che si dica «rivelatore», puntato su di voi in questi ultimi tempi» cominciò Karellen. «Sebbene i vostri nuovi amici avessero ragione di credere che io non potevo seguire i vostri movimenti nel sottosuolo, vi ho comunque seguito fino alla miniera. Il passaggio dall’auto al camion sotto il tunnel è stata una trovata ingegnosa, ma quando la macchina non ha più risposto agli impulsi del rivelatore tutto è diventato chiaro, e in breve ho potuto ritrovarvi. Dopo, si è trattato soltanto di aspettare. Sapevo che, appena avessero avuto la certezza che avevo perso le vostre tracce, i capi sarebbero corsi alla miniera, così avrei potuto prenderli in trappola.»
«Ma se mi avete detto che li lasciate in libertà!»
«Fino a poco fa non potevo sapere quali fra i due miliardi e mezzo di abitanti del pianeta fossero i veri capi dell’organizzazione. Ora che sono stati identificati, posso rintracciarli in qualunque punto della Terra e, volendo, seguire ogni loro azione nei minimi particolari. Molto meglio che non chiuderli in una prigione. A ogni nuova mossa, tradiranno altri compagni. Sono praticamente neutralizzati, e lo sanno. La vostra scomparsa dalla miniera sarà del tutto inesplicabile per loro, perché avranno la sensazione di avervi visto scomparire sotto gli occhi.»
La vibrante risata ben nota echeggiò nella cabina.
«In un certo senso tutta questa storia è stata una buffonata, ma aveva un suo scopo molto serio. Non mi preoccupo semplicemente dei pochi uomini di questa organizzazione, devo anche pensare agli effetti che la notizia può avere sul morale degli altri gruppi esistenti in altre parti del mondo.»
Stormgren rimase in silenzio a lungo.
«Peccato che questo sia accaduto proprio nei miei ultimi giorni di carica» disse alla fine. «Ma d’ora in poi farò mettere una guardia alla mia casa. La prossima volta potrebbe essere rapito Pieter. Come se l’è cavata, a proposito?»
«L’ho osservato con la massima attenzione in quest’ultima settimana e ho deliberatamente evitato di dargli il minimo aiuto. In complesso ha lavorato bene, ma non è l’uomo adatto a prendere il vostro posto.»
«Meglio per lui. E, a proposito, avete avuto una risposta dai vostri superiori? Avete il permesso di rivelarvi a noi? Sono sicuro che questo è il più forte argomento a cui si attaccano i vostri nemici. Continuano a ripetere:
«Non possiamo aver fiducia nei Superni finché non li vedremo in faccia».»
Karellen sospirò.
«No. Non ho avuto risposta. Ma so già quale sarà.»
Stormgren non insistette. Una volta, forse, l’avrebbe fatto, ma ora la prima vaga ombra di un piano si andava delineando nella sua mente. Le parole del gallese cieco gli risuonavano nel cervello. Sì, forse si potevano ideare strumenti…
Quello che aveva rifiutato di fare sotto costrizione, poteva tentarlo liberamente, di sua iniziativa.