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Solo pochi giorni prima a Stormgren non sarebbe mai venuto in mente di prendere in seria considerazione quel progetto. Il suo ridicolo, melodrammatico rapimento, che a ripensarci gli sembrava un originale televisivo di terza serie, doveva avere molto a che fare col suo nuovo punto di vista. Era stata la prima volta in vita sua che Stormgren si era trovato a subire una violenza fisica, esperienza assai diversa dagli scontri verbali della sala delle conferenze. Doveva esserne rimasto contagiato, a meno che non stesse semplicemente entrando nella seconda infanzia prima del previsto!
Una forte componente era data dalla curiosità e dalla decisione di vendicarsi in qualche modo del tiro che gli avevano giocato. Era evidente che Karellen l’aveva usato come specchietto per le allodole e anche se l’aveva fatto a buon fine, lui non si sentiva di perdonare tranquillamente il Supercontrollore. Pierre Duval non dimostrò sorpresa quando Stormgren entrò da lui senza farsi annunciare. Erano amici di vecchia data e non era insolito che il Segretario Generale facesse visita privatamente al capo del Dipartimento Scientifico. Anche Karellen non lo avrebbe trovato strano, se per caso lui, o qualcuno dei suoi, avesse puntato gli strumenti di sorveglianza su quella stanza.
Per qualche minuto i due uomini parlarono di lavoro e si scambiarono pettegolezzi politici, poi, un po’ esitante, Stormgren venne al punto. Mentre il Segretario Generale parlava, il vecchio francese si abbandonò a poco a poco contro la spalliera della poltrona e le sue sopracciglia s’inarcarono, millimetro per millimetro, fin quasi a congiungersi con la radice dei capelli. Un paio di volte parve voler dire qualcosa, ma poi cambiò idea. Quando Stormgren ebbe finito, lo scienziato si guardò intorno nervosamente.
«Non credi che ci stia ascoltando?» disse.
«Secondo me, non può farlo. Ha un rivelatore, come lo chiama lui, puntato su di me a scopo di protezione, ma non opera nel sottosuolo, ed è questa una delle ragioni per cui sono venuto a trovarti in questa tua tana. Qui le pareti sono schermate contro ogni tipo di radiazioni, no? Be’, Karellen non è un mago. Certo sa dove sono, ma niente di più.»
«Spero che sia come dici. Indipendentemente da questo, non ci saranno guai quando scoprirà quello che vuoi fare? Perché lo scoprirà, stai tranquillo.»
«È un rischio che devo correre. E poi ci comprendiamo piuttosto bene.»
Il fisico si mise a giocherellare con la matita, gli occhi persi nel vuoto.
«Il problema è dei più interessanti. Mi piace» disse poi, semplicemente, e tuffata una mano in un cassetto ne tirò fuori un taccuino enorme, il più grande che Stormgren avesse mai visto.
«Bene» cominciò, scrivendo furiosamente chissà che cosa in una specie di sua stenografia personale. «Vediamo se ho tutti gli elementi necessari. Dimmi tutto ciò che puoi del locale dove tenete i vostri incontri. Non omettere nessun particolare, per banale che ti sembri.»
«Non c’è molto da descrivere. Ha le pareti di metallo, una superficie di circa quattro metri quadrati per quattro di altezza. Lo schermo è di circa un metro di lato, e c’è una piccola scrivania sotto lo schermo… ecco qua, sarà più chiaro se ti faccio uno schizzo.»
Con pochi tratti di penna, Stormgren schizzò una pianta del locale che conosceva tanto bene e passò il disegno a Duval. In quell’attimo ricordò con un brivido l’ultima volta che aveva fatto lo stesso gesto e si domandò che fine avessero fatto il gallese e i suoi compagni, e come avessero reagito alla sua scomparsa. Duval studiò lo schizzo tormentandosi le labbra.
«È tutto quello che puoi darmi?»
«Già.»
Duval sbuffò, indignato.
«E l’illuminazione? Ve ne state lì al buio? E la ventilazione e il riscaldamento…»
Stormgren sorrise alla caratteristica sfuriata di Duval.
«L’intero soffitto è luminescente e a quanto ho potuto capire l’aria viene attraverso la griglia dell’altoparlante. Non so come avvenga il ricambio. Forse a intervalli il flusso si inverte, ma io non me ne sono accorto. Non c’è traccia d’impianto di riscaldamento, ma nel locale la temperatura è sempre normale.»
«Il che significa che il vapore acqueo si congela e viene così eliminato, ma non l’anidride carbonica.»
Stormgren tentò di ridere per la vecchia battuta scherzosa.
«Credo con questo di averti detto tutto» concluse. «Quanto alla macchina volante che mi trasporta su fino all’astronave, la cabina in cui entro è anonima come quella di un ascensore. Se non ci fossero la poltrona e il tavolo potrebbe proprio essere un ascensore.»
Seguirono alcuni minuti di silenzio, mentre lo scienziato disegnava complicati e microscopici ghirigori sul suo immenso taccuino. Guardandolo, Stormgren si chiese come mai un uomo dell’intelligenza di Duval, un’intelligenza assai più brillante della sua, non si fosse affermato maggiormente nel mondo scientifico. Ricordava l’ingegnoso e probabilmente ingiusto commento di un amico della delegazione americana: «Il francese è il miglior pensatore di second’ordine che esista». Duval era esattamente il tipo che suggeriva simili affermazioni.
A un tratto il francese alzò la testa e, puntandogli contro la matita, disse:
«Che cosa ti fa credere, Rikki, che lo schermo visore di Karellen sia proprio uno schermo?»
«Ho sempre dato per scontato che lo fosse. È in tutto e per tutto simile a uno schermo di televisore. Del resto cos’altro potrebbe essere?»
«Quando affermi che sembra lo schermo di un televisore, vuoi dire che assomiglia a uno dei «nostri» schermi, vero?»
«Certo.»
«È proprio questo che mi insospettisce. Sono sicuro che i Superni non usano niente di così primitivo come un teleschermo vero e proprio. Probabilmente sanno come materializzare le immagini direttamente nello spazio. E poi, perché Karellen dovrebbe prendersi la briga di usare un sistema TV?
La soluzione più semplice è sempre la migliore: non sembra anche a te molto più probabile che il tuo «schermo televisivo» sia una lastra di vetro polarizzato?»
Seccato con se stesso, Stormgren rimase zitto, a ricostruire nella memoria i passati incontri con Karellen. Fin dall’inizio non aveva mai messo in dubbio le affermazioni del Supercontrollore, questo era vero, però, ripensandoci, Karellen non gli aveva mai detto che si serviva del sistema televisivo. Era stato lui a darlo per scontato. Risultato di un capolavoro di inganno attuato psicologicamente e in cui era caduto in pieno. Sempre che la teoria di Duval fosse esatta. Doveva stare attento a non saltare di nuovo alle conclusioni, perché non era ancora stato dimostrato niente.
«Se è così, basterà che io sfondi quella lastra di vetro…»
Duval sospirò.
«Questi profani! E credi proprio che sia fatto di sostanze che tu possa mandare in frantumi senza l’aiuto di esplosivi? E anche ammesso che tu riuscissi nell’intento, credi che Karellen possa respirare la nostra stessa aria? Sai che bello per tutti e due se lui respirasse cloro?»
Stormgren si sentì ridicolo; ecco un’altra cosa che avrebbe dovuto pensare da solo.
«Insomma, che cosa mi consigli?» domandò, con una punta d’esasperazione.
«Bisogna che ci pensi: innanzitutto dobbiamo controllare l’esattezza della mia teoria» e, in caso positivo, scoprire di che cosa è fatto lo schermo. Affiderò le ricerche a un paio dei miei ragazzi. A proposito, immagino che tu abbia con te una cartella di pelle o qualcosa del genere quando vai dal Supercontrollore. È quella che hai adesso?»
«Sì.»
«Mi pare grande abbastanza. Sarà meglio non attirare l’attenzione sostituendola con un’altra, soprattutto se Karellen è abituato a vederla.»
«Insomma, che cosa devo fare? Nascondere nella cartella un apparecchio a raggi X?»
Il fisico sorrise.
«Non lo so ancora, ma escogiteremo qualcosa. Saprai cosa sarà fra una quindicina di giorni.» Rise, e aggiunse: «Sai che cosa mi ricorda tutto questo?»
«Sì» disse subito Stormgren «l’epoca in cui costruivi illegalmente apparecchi radio durante l’occupazione tedesca.»
Duval parve deluso. «Forse te l’avevo già raccontato… Ma c’è un’altra cosa che voglio dirti.»
«Sentiamo.»
«Se ti scoprono, ricordati che io non ho mai saputo per quale motivo mi hai chiesto l’apparecchio, o quello che sarà.»
«E hai il coraggio di dirmelo dopo tutto il chiasso che ti ho sentito fare una volta sulle responsabilità degli scienziati per le loro invenzioni? Pierre, mi vergogno di te!»
Stormgren depose il grosso dattiloscritto con un sospiro di sollievo.
«Grazie al cielo anche questo è sistemato, finalmente!» esclamò. «È strano pensare che in queste poche centinaia di pagine c’è il futuro del genere umano: lo Stato Mondiale. Non avrei mai creduto di vederlo realizzato!»
Mise il plico nella cartella appoggiata ritta sulla scrivania col retro a non più di dieci centimetri dallo scuro rettangolo dello schermo. Ogni tanto le sue dita si gingillavano con i fermagli, per una reazione nervosa seminconscia, ma non intendeva premere l’interruttore nascosto prima che il colloquio fosse finito.
«Avete detto di avere notizie per me» disse con malcelato interesse. «Si tratta forse…»
«Sì» disse Karellen. «Ho ricevuto una risposta qualche ora fa. Non credo che la Lega della Libertà e i suoi associati saranno molto soddisfatti, ma la decisione dovrebbe contribuire a ridurre lo scontento. Mi avete detto, spesso, che indipendentemente dal grado di differenza fisica tra noi e voi, la razza umana si avvezzerebbe presto alla nostra vista. Ciò rivela mancanza d’immaginazione da parte vostra. Sarebbe probabilmente vero nel vostro caso personale, ma dovete ricordare che il mondo non si è ancora evoluto ed è tuttora gravato da superstizioni e pregiudizi che ci vorrebbero decenni a sradicare. Ammetterete che ne sappiamo qualcosa di psicologia umana. Sappiamo con precisione che cosa accadrebbe se ci rivelassimo oggi al mondo. Non posso entrare in particolari, nemmeno con voi, per cui vi prego di accettare la mia analisi in piena fiducia. Possiamo tuttavia fare questa promessa che dovrebbe darvi qualche soddisfazione: fra cinquant’anni, vale a dire tra due generazioni, noi scenderemo dalle nostre astronavi, e l’umanità allora ci vedrà come siamo.»
Stormgren rimase a lungo in silenzio, assimilando le parole del Supercontrollore. Una volta se ne sarebbe sentito soddisfatto, ma ora… Era anzi confuso del suo parziale successo, e per un attimo la sua risoluzione vacillò. La verità sarebbe venuta a galla col passare del tempo: tutto il suo complotto era inutile e forse avventato. Se non desistette dal suo proposito, fu unicamente per l’egoistica ragione che di lì a cinquant’anni lui non ci sarebbe stato più. Karellen doveva avere avvertito la sua indecisione, perché aggiunse:
«Dolente se la mia risposta vi delude, ma per lo meno i problemi politici del prossimo futuro non saranno di vostra responsabilità. Forse continuate a pensare che i nostri timori siano infondati, ma, credetemi, abbiamo avuto prove convincenti del pericolo che si corre prendendo qualunque altra via.»
Stormgren si protese in avanti, respirando a fatica.
«Ma allora voi siete già stati visti dall’uomo!»
«Non ho detto questo» si affrettò a rispondere Karellen. «Il vostro mondo non è il solo pianeta di cui abbiamo preso il controllo.»
Ma Stormgren non era tipo da lasciarsi fuorviare tanto facilmente.
«Esistono molte leggende relative a visite che sarebbero state fatte alla Terra in passato, da altre forme di vita.»
«Lo so. Ho letto il rapporto dell’Istituto di Ricerche Storiche. Secondo quella relazione, la Terra parrebbe il crocicchio più frequentato di tutto l’universo!»
«Possono esserci state visite di cui voi non sapete niente» ribatté Stormgren, continuando speranzoso nella sua tattica aggirante. «Anche se l’eventualità di un fatto simile non sembra molto probabile, dato che voi ci state osservando da millenni.»
«Appunto» disse Karellen, nel tono meno incoraggiante possibile. E in quell’istante Stormgren si decise.
«Karellen» disse bruscamente «metterò per iscritto la vostra dichiarazione e ve la manderò per l’approvazione, ma mi riservo di continuare a tormentarvi e, qualora mi si offrisse l’occasione di scoprire il vostro segreto, non me lo lascerò sfuggire.»
«Lo so benissimo» rispose il Supercontrollore con una risata.
«E non ve la prendete?»
«No, metto solo il veto alle armi nucleari, ai gas tossici, o qualsiasi cosa che rischi di rovinare la nostra amicizia.»
Stormgren si chiese se Karellen non avesse intuito il suo piano. Sotto il tono scherzoso del Supercontrollore aveva sentito una nota di comprensione, forse — chi avrebbe potuto dirlo con certezza? — anche di incoraggiamento.
«Avete fatto bene a dirmelo» ribatté Stormgren col tono più tranquillo e indifferente che poté. Si alzò chiudendo la busta di pelle. Il suo pollice indugiò sul bottone.
«Preparo immediatamente il testo della dichiarazione» ripeté «e ve lo farò avere in giornata per telescrivente.»
Così dicendo, premette il bottone… e seppe che tutti i suoi timori non avevano avuto fondamento. I sensi di Karellen non erano più sviluppati di quelli umani. Il Supercontrollore non doveva avere scoperto niente, perché non ci fu nessun cambiamento nella sua voce, quando, salutato Stormgren, pronunciò le parole in codice che comandavano l’apertura della porta. Pure Stormgren si sentiva come un taccheggiatore al momento di uscire da un grande magazzino quando passa sotto gli occhi del poliziotto di guardia, e trasse un sospiro di sollievo non appena la liscia parete si richiuse alle sue spalle.
«Ammetto che un paio delle mie teorie non hanno avuto successo» disse Van Ryberg «ma ditemi che cosa ve ne pare di questa.»
«Devo proprio?» sospirò Stormgren. Pieter non rilevò il tono annoiato del Segretario Generale. «Per la verità, non è un’idea mia» riprese, con modestia. «L’ho tratta da un racconto di Chesterton. Supponete che i Superni cerchino di tenere nascosto il fatto che non hanno niente da nascondere…»
«Mi sembra una premessa un po’ complicata» disse Stormgren cominciando a interessarsi.
«Cercherò di spiegarmi» continuò Van Ryberg con entusiasmo. «Io credo che fisicamente siano degli esseri umani come noi. Il punto è questo: essi si rendono conto che gli uomini potrebbero sopportare di essere governati da creature che immaginano, come dire… diverse e di intelligenza superiore, ma che, essendo l’uomo com’è, rifiuterebbe di obbedire a esseri della stessa specie.»
«Ingegnosa come tutte le vostre teorie» disse Stormgren. «Mi piacerebbe che le enumeraste. Sarebbe più comodo per i riferimenti, non vi pare? La mia obiezione alla vostra ultima trovata…»
Venne interrotto dall’arrivo di Alexander Wainwright. Stormgren si chiese che cosa passava per la testa del capo della Lega della Libertà. Si chiese anche se Wainwright si fosse messo in contatto con quelli che l’avevano rapito. Personalmente ne dubitava perché considerava autentica, genuina, la riprovazione di Wrinwright per ogni forma di violenza. Gli estremisti del suo movimento si erano screditati troppo e sarebbe passato del tempo prima che potessero tornare alla ribalta. Il capo della Lega ascoltò attentamente la lettura del comunicato, e Stormgren si augurò che apprezzasse quel gesto dovuto a un’idea di Karellen. Il resto del mondo avrebbe conosciuto solo fra dodici ore la promessa che i Superni avevano fatto ai figli dei figli.
«Cinquant’anni» disse Wainwright, pensoso. «Un’attesa molto lunga.»
«Per la razza umana, forse, ma non per Karellen» rispose Stormgren. Soltanto adesso il Segretario Generale cominciava a comprendere l’elegante soluzione dei Superni: quella promessa concedeva loro il respiro di cui avevano bisogno e tagliava le gambe alla Lega della Libertà. Stormgren non credeva che la Lega si sarebbe arresa, ma la sua posizione era sicuramente indebolita. Anche Wainwright doveva essersene reso conto.
«In cinquant’anni il danno sarà fatto» disse amareggiato il capo della Lega. «Tutti quelli che hanno conosciuto i giorni della nostra indipendenza saranno ormai morti, e la razza umana avrà dimenticato il suo retaggio.»
Parole… parole vuote, pensò Stormgren. Parole per le quali un tempo gli uomini combattevano e morivano, e per le quali non avrebbero combattuto mai più. E per il mondo era meglio così.
Guardando Wainwright andar via, Stormgren si domandò quanti altri guai avrebbe causato la Lega nel futuro. Ma questo, pensò con animo leggero, era un problema di cui si sarebbe occupato il suo successore. E poi, certi mali solo il tempo poteva guarirli. Importante era non deludere gli uomini retti. Gli altri si poteva distruggerli.
«Eccoti la tua busta di pelle» disse Duval. «Te la rendo come nuova.»
«Grazie» disse Stormgren, esaminando ugualmente la borsa con molta attenzione. «Ora forse mi dirai il risultato e quale sarà la prossima mossa.»
Ma il fisico sembrava immerso nei suoi pensieri.
«Quello che non riesco a capire» disse «è la facilità con cui abbiamo raggiunto l’intento. Ora, se io fossi stato Karellen…»
«Ma tu non sei Karellen. Avanti, vieni al punto, Duval! Si può sapere che cosa abbiamo scoperto?»
«Ah, queste razze nordiche, ipertese, sovreccitabili!» sospirò il francese.
«Quello che abbiamo inserito nella tua borsa era un radar di minima potenza, che sfrutta radioonde di altissima frequenza e l’estremo infrarosso, o per meglio dire tutte le onde che nessuna creatura vivente potrebbe vedere, avesse anche occhi soprannaturali.»
«Come fai a esserne sicuro?» domandò Stormgren.
«Non sono sicuro al cento per cento» ammise Duval, riluttante «ma Karellen ti riceve in un locale illuminato normalmente, no? Quindi i suoi occhi devono essere più o meno analoghi ai nostri, quanto a estensione spettrale. A ogni modo, il radar ha funzionato. Abbiamo avuto la prova dell’esistenza di una sala molto grande al di là del famoso schermo. Lo schermo ha uno spessore di tre centimetri, e lo spazio al di là si estende per almeno una decina di metri. Non abbiamo potuto ricevere nessuna eco della parete più lontana, ma non ci illudevamo con un radar di potenza minima. Comunque, ecco cos’abbiamo ottenuto.» Il francese spinse verso Stormgren una specie di fotografia che rappresentava un’unica linea alquanto larga. In un punto c’era come un nodo. Pareva il grafico indicante un leggero moto sismico. «Lo vedi quel segno?» domandò Duval.
«Sì. Che cos’è?»
«Karellen.»
«Oh, Dio! Ne sei sicuro?»
«È un’ipotesi ragionevolmente certa. Se ne sta in piedi o seduto, o chissà come, a due metri circa dallo schermo. Se il negativo fosse stato più chiaro, avremmo potuto calcolare le sue dimensioni.»
Stormgren guardava la leggera traccia sul foglio provando sentimenti diversi e molto vaghi. Fino a un attimo prima non esistevano prove che Karellen possedesse un corpo fisico. Ora la prova era ancora indiretta, ma lui l’accettava senza obiezioni.
«Inoltre» riprese Duval «abbiamo dovuto calcolare la penetrabilità dello schermo alla luce normale, e ora ne abbiamo un’idea abbastanza precisa. E anche se non è precisa al cento per cento, non importa. Tu capisci, naturalmente, che non esiste in realtà un vetro che lasci passare la luce in una sola direzione: si tratta soltanto di far cadere la luce secondo la giusta inclinazione. Karellen siede in una camera buia, tu sei in piena luce, e la cosa è fatta.» Duval ridacchiò. «Ma ora noi disporremo tutto in altro modo!»
Con l’aria di un negromante che si accinga a evocare un demonio, si mise a frugare in un cassetto, da cui trasse infine un grosso flash. Un’estremità della lampada si dilatava in una specie di canna sfiatatoio così che tutto il congegno ricordava un vecchio trombone da briganti. Duval sorrise compiaciuto.
«Non è così pericolosa come sembra. Non dovrai fare altro che puntare la bocca contro lo schermo e tirare il grilletto. La lampada emana un lampo fortissimo che dura una decina di secondi, durante i quali tu avrai tutto il tempo di spazzare in cerchio la stanza dietro lo schermo e goderti il panorama. Tutta la luce passerà attraverso lo schermo centrando il tuo amico come il fascio luminoso di un faro.»
«Non rischierò di ferirlo?»
«Basterà che tu tenga la canna un po’ abbassata prima di puntargliela contro, ciò darà tempo ai suoi occhi di adattarsi. Suppongo che abbia riflessi simili ai nostri… del resto non abbiamo nessuna intenzione di acce-carlo.»
Stormgren guardò l’arma con aria dubbiosa, soppesandola tra le mani. Da qualche settimana la coscienza gli rimordeva. Karellen lo aveva sempre trattato con simpatia evidente, addirittura con affetto nonostante la sua franchezza a volte spietata, e Stormgren non voleva rovinare la loro amicizia ora che i loro rapporti ufficiali stavano per finire. Ma il Supercontrollore aveva ricevuto delle istruzioni precise, mentre Stormgren era convinto che, se Karellen fosse stato libero di decidere, si sarebbe mostrato agli uomini già da molto tempo. Ora avrebbe deciso lui per Karellen e, alla fine dell’ultimo incontro, Stormgren avrebbe visto la faccia del Superno. Ammesso che Karellen avesse una faccia.
Il nervosismo che aveva colto Stormgren durante i primi istanti era passato. Quasi tutto il colloquio venne sostenuto da Karellen, intento a tessere le frasi complicate di cui ogni tanto mostrava di compiacersi. Un tempo questa particolarità era sembrata a Stormgren la più straordinaria e inattesa delle qualità di Karellen, ma ora non gli sembrava più tanto meravigliosa perché sapeva che, come quasi tutte le capacità del Supercontrollore, era l’effetto della forza intellettiva più che di un particolare talento.
«Non vedo la necessità per voi, o il vostro successo, di preoccuparvi oltre misura per la Lega, nemmeno quando si sarà ripresa dal suo attuale stato di depressione. In questi ultimi mesi se n’è stata tranquilla e, anche se rinascesse, non rappresenterà pericolo per chissà quanti anni. Inoltre, dato che è sempre bene sapere quello che fa l’opposizione, la Lega della Libertà è un’istituzione assai utile. Anzi, qualora si trovasse in difficoltà finanziarie, potrei anche decidere di sovvenzionarla.»
Più di una volta Stormgren si era accorto di non capire quando Karellen scherzava. Rimanendo impassibile, continuò ad ascoltare.
«Tra breve la Lega perderà un altro degli argomenti ai quali si appoggiava. Molte critiche sono state mosse, e tutte alquanto puerili, all’incarico da voi svolto in questi ultimi anni. Per me il vostro lavoro è stato utile nei primi tempi della nostra amministrazione, ma ora che il mondo ha cominciato a muoversi lungo la linea di condotta segnata da me, il vostro intervento non è più necessario. In futuro tutti i miei rapporti con la Terra saranno indiretti, e l’ufficio del Segretario Generale può tornare alle sue funzioni di una volta. Nei prossimi cinquant’anni ci saranno molte crisi, ma si risolveranno tutte. Il futuro della Terra si presenta sereno, e un giorno tutte queste difficoltà saranno dimenticate, anche da una razza dalla memo-ria tenace come la vostra.»
Le ultime parole furono dette in tono tanto significativo, che Stormgren si sentì gelare. Karellen non parlava mai a caso, e anche le sue indiscrezioni erano calcolate al decimillesimo. Ma non ci fu il tempo di far domande (a cui certamente sarebbe stato risposto) prima che il Supercontrollore cambiasse ancora argomento.
«Mi avete spesso rivolto domande sui nostri piani a lunga scadenza» riprese Karellen. «La costituzione dello Stato Mondiale non è, naturalmente, che il primo passo. Prima che la vostra vita volga alla fine, ne vedrete il compimento, ma i cambiamenti saranno talmente impercettibili che pochi se ne accorgeranno. Poi seguirà un periodo di graduale consolidamento, mentre la vostra razza si preparerà all’incontro con la mia. E infine, verrà il giorno promesso. Mi dispiace che quel giorno voi non ci sarete.»
Gli occhi di Stormgren erano bene aperti, con lo sguardo fisso su un punto oltre la opaca barriera dello schermo. Guardava il futuro, cercando d’immaginare il giorno che lui non avrebbe mai veduto, quando le grandi astronavi dei Superni sarebbero finalmente calate sulla Terra per spalancare i portelli al mondo in attesa.
«Quel giorno» continuò Karellen «la razza umana conoscerà quella che si può definire una soluzione di continuità psicologica. Ma non gliene verrà alcun male: l’uomo di quel tempo sarà molto più saldo dei suoi padri. Noi saremo sempre stati parte della sua vita e quando ci vedrà non gli appariremo così… strani… come appariremmo a voi.»
Stormgren non aveva mai sentito Karellen in una vena così pensosa e trasognata, ma non si stupì. Sapeva di non aver conosciuto che poche sfaccettature della personalità del Supercontrollore: il vero Karellen era sconosciuto, e forse inconoscibile, al genere umano. Ancora, Stormgren ebbe la sensazione che i veri interessi del Superno fossero altrove e che egli governasse la Terra soltanto con una frazione della sua mente, senza bisogno di concentrarsi, con la stessa facilità con cui un campione di scacchi tridimensionali gioca una partita a dama.
«E poi?» domandò Stormgren dolcemente.
«Potremo cominciare il nostro vero lavoro.»
«Mi sono spesso domandato in che cosa consista. Mettere ordine nel nostro mondo e incivilire la razza umana è soltanto un mezzo. Avrete pure un fine. Noi non saremo mai in grado di emergere nello spazio cosmico e vedere il vostro universo… di aiutarvi nei vostri compiti?»
«Potrebbe anche andare così» disse Karellen, e ora aveva nella voce una sfumatura chiarissima, se pure inesplicabile, di tristezza, che lasciò Stormgren stranamente turbato.
«Ma se il vostro esperimento col genere umano fallisse? Noi abbiamo conosciuto questo genere di cose trattando con le razze umane primitive. Immagino che anche voi abbiate conosciuto delle sconfitte, no?»
«Sì» disse Karellen, con voce talmente sommessa che Stormgren poté appena udirlo. «Anche noi abbiamo avuto le nostre sconfitte.»
«E che cosa fate in questi casi?»
«Aspettiamo, e poi ritentiamo.»
Ci fu una pausa che durò forse cinque secondi. Quando Karellen parlò di nuovo, le sue parole furono così inattese che per un istante Stormgren non rispose.
«Arrivederci, Rikki!»
Karellen lo aveva raggirato abilmente ancora una volta., forse era già troppo tardi. La paralisi di Stormgren durò solo un attimo. Poi, con un sol gesto, rapido, preciso, trasse di tasca la pistola a lampo e la puntò contro il vetro.
I pini arrivavano fin quasi sulle sponde del lago, lasciando libera soltanto una striscia erbosa, non più larga di qualche metro. Ogni sera, quando la stagione era sufficientemente calda, Stormgren, nonostante i suoi novant’anni, faceva una passeggiata su quella striscia erbosa fino all’imbarcadero, ad ammirare il sole al tramonto, per poi tornare a casa prima che il gelido vento notturno cominciasse a soffiare dalla foresta. Quella specie di rito gli dava soddisfazione, e lui intendeva continuarlo fino a quando avesse avuto la forza di reggersi.
Basso sul lago, un aereo avanzava veloce da ponente. A parte i grandi apparecchi delle linee transpolari che volavano a quote altissime, non capitava spesso di vedere aerei da quelle partì. Il velivolo era un piccolo elicottero e puntava deciso nella sua direzione. Stormgren lanciò un’occhiata lungo la spiaggia e non vide possibilità di fuga. Con un’alzata di spalle, si sedette allora su una panchina all’estremità del molo.
Il giornalista si dimostrò così deferente che Stormgren rimase sbalordito. Si era quasi dimenticato di essere non solamente un vecchio statista a riposo ma, oltre i confini del suo Paese, una figura quasi leggendaria.
«Signor Stormgren» cominciò il giornalista «sono desolato di disturbarvi, ma sareste disposto a fare qualche commento a proposito di una cosa che abbiamo appena saputo a proposito dei Superni?»
Stormgren aggrottò la fronte. Dopo tanti anni, condivideva ancora l’avversione di Karellen per quella parola pomposa e inadeguata.
«Non credo» rispose «che io possa aggiungere altro a quanto è già stato scritto.»
Il giornalista lo osservava con intensa curiosità.
«Credo che possiate, invece. Ci è giunta una notizia alquanto curiosa. Sembra che quasi trent’anni fa, uno dei fisici del Dipartimento Scientifico abbia costruito per voi alcuni strumenti complicati. Vorremmo saperne qualche cosa.»
Per un istante Stormgren non rispose, riandando con la memoria al passato. Non lo sorprendeva che il segreto fosse stato scoperto. Anzi, era sorprendente che fosse stato mantenuto per tanti anni. Cominciò a camminare lungo il molo, col giornalista che lo seguiva a due o tre passi di distanza.
«La notizia» disse «contiene una parte di verità. In occasione della mia ultima visita sull’astronave di Karellen portai con me un congegno nella speranza che mi consentisse di vedere il Supercontrollore. Fu un gesto molto sciocco da parte mia, ma… be’, avevo solo sessant’anni, a quel tempo!» Ridacchiò per conto suo, e riprese: «Non valeva la pena di trasvolare il lago. Perché, vedete, il congegno non funzionò.»
«Non avete visto niente?»
«Niente nel modo più assoluto. Temo che dovrete aspettare ancora… dopo tutto, mancano solo vent’anni!»
Ancora vent’anni d’attesa! Sì, Karellen aveva avuto ragione. Allo scadere di quei cinquant’anni il mondo sarebbe stato preparato, come non lo era ancora quando Stormgren aveva detto a Duval, quasi un trentennio prima, la stessa bugia che aveva detto ora al giornalista.
Karellen s’era fidato di lui, e Stormgren non aveva tradito la sua fiducia. Era certo più d’ogni altra cosa al mondo che il Supercontrollore aveva saputo del suo piano fin dal primo momento e previsto ogni mossa della fase conclusiva.
Diversamente, perché mai avrebbe dovuto già essere vuota l’enorme poltrona quando il cerchio di luce l’aveva illuminata? Immediatamente Stormgren aveva fatto roteare il raggio luminoso, temendo che fosse ormai troppo tardi. La porta metallica, altissima, si stava chiudendo rapidamente, ma non tanto rapidamente quanto sarebbe stato necessario. Sì, Karellen aveva avuto fiducia in lui e non aveva voluto che si allonta-nasse per la lunga sera della sua vita ossessionato da un mistero che non avrebbe mai potuto risolvere. Pur non osando sfidare gli ignoti poteri a cui doveva obbedienza (erano essi pure della stessa razza?), Karellen aveva fatto tutto quello che aveva potuto. Aveva disobbedito, ma loro non ne avrebbero mai avuto la prova. E quella era stata la dimostrazione definitiva dell’affetto che Karellen nutriva per Stormgren. Anche se si poteva paragonarlo all’affetto di un uomo per un cane intelligente e fedele, non era per questo un affetto meno sincero, e Stormgren aveva avuto poche soddisfazioni più grandi in tutta la sua vita.
«Abbiamo avuto anche noi le nostre sconfitte». Sì, Karellen, era vero, ed eravate voi quello che fu sconfitto avanti l’alba della storia umana? Deve essere stata una grande sconfitta davvero, pensava Stormgren, se l’eco era rotolata giù per tutti gli evi, a ossessionare l’infanzia d’ogni razza umana. Sarebbero bastati cinquant’anni per vincere il potere di tutti i miti e le leggende del mondo?
Eppure Stormgren sapeva che non ci sarebbe stata una seconda sconfitta. Quando le due razze si fossero incontrate di nuovo, i Superni si sarebbero conquistata la fiducia e l’amicizia del genere umano e nemmeno il colpo della rivelazione avrebbe potuto distruggere la loro opera. Sarebbero andati insieme incontro al futuro, e la tragedia che aveva incupito il passato con la sua ombra si sarebbe perduta per sempre in fondo agli oscuri meandri della preistoria.
E Stormgren sperò che, quando fosse stato libero di porre ancora una volta il piede sulla Terra, Karellen sarebbe venuto un giorno tra le foreste della Finlandia boreale a sostare un poco presso la tomba del primo uomo che mai gli fosse stato amico.