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Nella guerra contro Sterret, però, Shrick quasi incontrò il disastro. I pochi sopravvissuti al massacro dell’esercito di Tekka si erano rifugiati dall’astuto vecchio. Le guardie di frontiera li avevano ammazzati quasi tutti, quando infine uno o due riuscirono a convincere i loro catturatori di portar notizie di grande importanza.
Sterret li ascoltò.
Ordinò che i superstiti fossero nutriti e trattati come membri del suo Popolo, poiché si era subito reso conto che avrebbe avuto bisogno anche dell’ultima briciola di forza combattente che avrebbe potuto raccogliere intorno a sé.
A lungo e profondamente meditò sulle loro parole, e poi mandò i suoi maschi più giovani a compiere tutta una serie d’incursioni nel Luogo-della-Vita-che-Non-é-Vita. Non si curò della possibilità che i giganti li scoprissero. Forse avrebbero agito contro di lui, forse no, ma si era convinto che, malgrado le loro dimensioni, essi fossero relativamente stupidi e innocui. Certo, in quel frangente, non costituivano una minaccia paragonabile a quella di Shrick, che già si era autonominato Signore dell’Esterno.
E così, il suo magazzino di frammenti acuminanti di metallo crebbe, mentre i suoi armaioli lavoravano senza sosta per legarli solidamente ai manici fatti col materiale di cui era formata la Barriera. E anche lui era in grado d’immaginare cose nuove ed efficaci. Alcuni frammenti metallici, ad esempio, erano inutili come punte di lancia, essendo tozzi, smussati e irregolari. Ma, legati anch’essi all’estremità di un’asta, consentivano di sferrare colpi di estrema violenza, in grado di schiantare ossa e maciullare teste. Di ciò Sterret si sentiva sicuro dopo qualche esperimento compiuto su alcuni membri vecchi e indesiderati della tribù.
Cosa forse ancora più importante, la sua mente, ricca d’esperienza, ma non priva, ancora, d’un giovanile vigore, si diede da fare coi problemi strategici. Nella galleria principale, in un tratto che aveva fatto parte del paese di Tekka, le sue femmine tagliarono e strapparono via grossi pezzi dalle pareti spugnose, e il materiale così rimosso fu pressato dentro un’altra galleria più piccola che veniva usata assai di rado.
Alla fine, i suoi esploratori portarono la notizia che le forze di Shrick erano in movimento. Incurante, perché convinto del peso schiacciante della sua forza militare, Shrick disdegnava ogni soluzione che non comportasse un attacco frontale. Forse avrebbe dovuto esser messo sul chi vive dal fatto che tutti gli orifizi che avevano fatto trasparire la luce dall’Interno erano stati tappati, e la galleria lungo la quale stava avanzando era immersa nell’oscurità più totale.
Tuttavia, ciò l’ostacolava assai poco. Il corpo di lancieri scelti che avanzò per primo a contrastarlo, combatteva in maniera convenzionale: furono inesorabilmente respinti, lasciando dietro di sé morti e feriti. Ognuna delle due parti si affidava, molto più che alla vista, all’odore e all’udito e a una sorta di percezione extrasensoriale posseduta da molti, se non da tutti, i membri del Popolo. E a distanza ravvicinata, ciò era più che sufficiente.
Shrick non era fra quelli dell’avanguardia — quell’onore era stato riservato a Grosse-Orecchie, il suo generale sul campo. Se fosse toccato a lui decidere, si sarebbe trovato in prima linea, ma Wesel asseriva che il capo era molto più importante di un semplice lanciere, e doveva venir protetto da inutili rischi. Shrick era stato più che disposto a lasciarsi convincere.
Circondato dalla sua guardia, con Wesel al fianco, il capo seguiva a distanza le fasi della fragorosa battaglia. Fu piuttosto sorpreso, quando gli fu riferito il numero apparente dei nemici, ma suppose che quella fosse soltanto un’azione per guadagnar tempo e che Sterret avrebbe opposto la sua ultima resistenza nel Luogo-d’Incontro. Nella sua arroganza, non gli venne mai in mente che anche altri, come lui, potessero portare innovazioni alla guerra.
D’un tratto, Wesel gli strinse il braccio.
«Shrick! Pericolo… dal fianco!»
«Dal fianco? Ma…».
Vi fu uno strillo acuto, e un’enorme sezione della galleria crollò verso l’interno. Quel materiale spugnoso era in fogli sottili, e galleggiò in mezzo alle guardie, ostacolandone i movimenti. Poi, guidati da Sterret in persona, i difensori sciamarono fuori. Come montanari, erano legati insieme da corde, poiché in quel combattimento al buio la loro migliore speranza era quella di mantenere uno schieramento ordinato e compatto. Separati, sarebbero facilmente caduti preda del numero straripante dell’orda di Shrick.
Con lance e mazze colpivano tutt’intorno a sé, gagliardamente. Già al primo battito di cuore quello scontro avrebbe visto la morte di Shrick, e fu soltanto la pelliccia non lavorata di Trillo, rigida e puzzolente di sangue rappreso, che gli salvò la vita. Ma anche così, la lama di Sterret penetrò in quella rozza armatura e, ferito in modo assai doloroso, Shrick si ritirò vacillando dalla battaglia.
In testa allo schieramento, Grosse-Orecchie vedeva le cose prendere una piega del tutto diversa da quella da lui desiderata. I rinforzi di Sterret si erano ormai riversati in tutta la galleria, e lui non osò tornare indietro a dar man forte al suo capo. E le mazze di Sterret stavano avendo il loro effetto. Sfregi, graffi e lacerazioni, quelli il Popolo riusciva a capirli… ma un colpo schiantante era qualcosa di nuovo e orribile.
Fu Wesel a salvare quella giornata campale. Aveva portato con sé il congegno che creava la piccola fiamma. Era stata sua intenzione provarne gli effetti su quei pochi prigionieri che si sarebbero fatti in quella guerra… era troppo astuta per sperimentare su qualcuno del Nuovo Popolo, gente, ad esempio, che avesse provocato lo scontento suo o del suo compagno.
Quasi senza sapere ciò che stava facendo, premette la levetta.
Con abbacinante repentinità, la scena della carneficina comparve vividamente illuminata agli occhi di tutti. Da ogni parte si levarono grida di paura.
«Indietro!» gridò Wesel. «Indietro! Liberate lo spazio!»
La gente del Nuovo Popolo si ritirò prontamente.
Sbattendo gli occhi, abbagliati, i soldati di Sterret tentarono di seguirli, sforzandosi di trasformare quella che era più o meno una ritirata in bell’ordine in una rotta catastrofica. Ma le corde, che fino a poco prima erano egregiamente servite, ora si rivelarono un motivo di disfatta. Alcuni cercarono d’inseguire i nemici diretti al Luogo-d’Incontro, altri la gente del Nuovo Popolo che si stava ritirando verso il proprio territorio.
Ringhiando ferocemente, il sangue che gli scorreva fuori da una dozzina di ferite superficiali, Sterret riuscì infine a recuperare il controllo delle sue forze e a spronarle, restituendo loro una parvenza di ordine. Cercò di guidare una carica proprio là dove Wesel, col congegno della piccola fiamma ancora in funzione, stava retrocedendo, circondata dalle amazzoni che erano la sua guardia personale.
Ma ancora una volta le corde — quelle corde troppo efficienti — frustrarono il suo scopo. Non pochi, infatti, erano i cadaveri rimasti appesi alle corde, che ostacolavano qualunque rapida manovra, e quasi nessuno dei suoi combattenti ebbe l’intelligenza di liberarsi dall’impaccio tagliando la corda che lo legava agli altri.
Così, i lancieri di Shrick, portatisi in prima fila, ebbero facile gioco nell’inchiodare uno ad uno i soldati di Sterret alle pareti della gallerìa, trafiggendoli con le sottili, micidiali aste. Non tutti rimasero uccisi sul colpo, qualcuno, più sfortunato, si divincolò a lungo, uggiolando, cercando di strappar via dalle carni martoriate le lance, ma senza riuscirci.
Fra questi c’era lo stesso Sterret.
Shrick avanzò, con la lancia in mano, per dargli il colpo di grazia. Il vecchio capo lo fissò con gli occhi fuori della testa, poi: «Il glabro di Weena!» gridò.
Per colmo d’ironia fu la sua stessa lancia, quella che, a turno, era appartenuta a Weena e a Tekka, a tagliargli la gola.
Adesso che era Signore dell’Esterno, Shrick aveva tutto il tempo per riflettere e sognare. Sempre di più la sua mene andava alla profezia di Tre-Occhi. Non dubitò mai, neppure per un attimo, d’esser lui l’Uccisore-di-Giganti, anche se scartava dalla sua mente la visione della Fine, giudicandola l’allucinazione d’una femmina mezzo impazzita.
Così, mandò le sue spie all’Interno, a osservare i giganti nei loro misteriosi andirivieni, facendo ogni sforzo per scoprire un qualche schema nel loro incomprensibile comportamento. Molto spesso lui stesso accompagnava queste spie — e cupidamente osservò la grande ricchezza di cose belle e risplendenti di cui disponevano i giganti. Più d’ogni altra cosa, bramava un’altra di quelle piccole fiammelle calde, poiché la sua aveva cessato di funzionare, e tutti i goffi e ignoranti armeggii suoi e di Wesel non erano riusciti a produrre più di qualche fioca scintilla quasi del tutto priva di calore.
Ora, sembrava che anche i giganti fossero consci del brulicare di vita che li circondava. Le trappole erano chiaramente cresciute di numero e ingegnosità. E il cibo-che-uccide era comparso in una nuova e terrificante guisa. Non soltanto morivano quelli che ne avevano mangiato, ma anche i loro compagni e… si, tutti quelli che erano venuti a contatto con loro. Tutto ciò sapeva di stregoneria, ma Shrick aveva ormai imparato ad associare cause ed effetti. Fece in modo che i colpiti trasportassero quelli già morti in una piccola galleria. Uno o due cercarono di ribellarsi — ma i lancieri subito li circondarono, e li convinsero a obbedire puntando le loro leggere e micidiali lance. Quelli che tentavano di scavalcare il cordone di guardie venivano trafitti più volte, impedendo così che potessero toccare con le loro mani impure e contaminare qualcun altro del Popolo non colpito dal male.
Grosse-Orecchie si trovò tra i sofferenti. Non fece nessun tentativo di ribellarsi al suo destino. Prima di entrare nella galleria che sarebbe stata la sua tomba, si voltò e guardò il suo capo. Shrick fece per richiamarlo al suo fianco — anche se ben sapeva che la vita del suo amico non poteva esser salvata e che, accettando che gli si avvicinasse troppo, avrebbe seguito il suo stesso destino…
Ma Wesel vigilava al suo fianco.
Fece un cenno ai lancieri scelti, e due intere mani di dardi trafissero l’afflitto Grosse-Orecchie.
«È stato meno crudele in questo modo», mentì Wesel.
Ma, in qualche modo, l’ultima occhiata del suo più fedele sostenitore aveva ricordato a Shrick la sua antica compagna, Senza-Coda. Pieno di malinconia, ordinò al suo Popolo di chiudere ermeticamente quella galleria. Furono portate grandi strisce di materiale spugnoso, che furono pressate dentro l’imboccatura finché la riempirono del tutto. Le grida di quelli ancora vivi, là dentro, si fecero sempre più fioche. Poi seguì il silenzio. Shrick ordinò che si ponessero guardie in tutti quei punti dove si potesse temere che i prigionieri condannati riuscissero ad aprirsi una via di fuga. Shrick fece ritorno alla propria caverna. Wesel, che gli leggeva dentro, lo lasciò andare: non si preoccupò, come avrebbe fatto un’altra femmina priva del suo dono. Sapeva che presto Shrick l’avrebbe voluta di nuovo.
Wesel da tempo era convinta che, se ne avesse avuto l’occasione, sarebbe riuscita a penetrare nella mente dei giganti proprio come poteva fare con quelli del Popolo. E se avesse potuto farlo… chi mai poteva anche soltanto immaginare quali e quanti benefici ne avrebbe ricavato?
Sentiva, più di quanto volesse ammetterlo, la mancanza di Shrick, ancora inavvicinabile e immerso in un profondo dolore per la morte del suo amico. L’ultimo dei prigionieri catturato nell’ultima guerra era stato ucciso, in modo assai ingegnoso, ormai da molti nutrimenti. Malgrado Wesel non avesse alcun modo di misurare il passaggio del tempo, questo cominciava a gravarle addosso.
Così, accompagnata da due delle sue guardie personali, vagava per quelle gallerie che correvano subito all’interno della Barriera. Sbirciò da uno spioncino dopo l’altro, contemplando con una meraviglia che nessuna consuetudine avrebbe potuto smorzare la ricca e varia vita che si svolgeva nell’Interno.
Alla fine, trovò quello che stava cercando: un gigante solo e addormentato. La sua lunga esperienza con la gente del Popolo le aveva insegnato che era più facile leggere i pensieri più riposti in una mente addormentata.
Per un battito di cuore, esitò. Poi: «Quattro-Braccia, Testa-Piccola, aspettatemi qui. State ferme e osservate».
Testa-Piccola assentì con un grugnito, ma Quattro-Braccia si mostrò dubbiosa. «Signora Wesel», osò obbiettare, «e se il gigante dovesse svegliarsi? Cosa mai…?»
«Cosa mai succederebbe se tu dovessi tornare dal Signore dell’Esterno senza di me? Allora lui, senza alcun dubbio, ti toglierebbe la pelliccia. Quella che ha adesso è vecchia, e il pelo comincia a cadere. Fai come ti dico, dunque».
In questo punto della Barriera c’era una porta che veniva usata raramente. Era, però, aperta, e Wesel vi s’infilò. Con la facilità che tutta la gente del Popolo stava acquisendo, grazie alle loro sempre più frequenti missioni nell’Interno, Wesel si spinse galleggiando verso l’alto, verso il gigante addormentato. C’erano dai legacci che lo tenevano stretto a una sorta di telaio, e Wesel si chiese se non fosse stato imprigionato, per qualche colpa specifica, da quelli della sua stessa razza. Presto l’avrebbe saputo.
E poi, un oggetto luccicante attirò il suo sguardo. Era una delle piccole fiamme calde, la custodia lucida apparve agli occhi bramosi di Wesel come la cosa più bella del mondo. Subito prese la sua decisione. Avrebbe potuto impadronirsi subito di quell’affascinante oggetto, consegnarlo alle sue due guardie, e poi tornar qui a compiere quello che era stato il suo obbiettivo originario.
Ma, nella sua frenesia, non si avvide che l’oggetto era sospeso in mezzo a sottili fili metallici intrecciati fra loro… o anche se lo vide, non gliene importò. E quando le sue mani afferrarono l’esca, qualcosa, non molto lontano, cominciò a produrre un suono acuto, una pulsazione metallica che aveva un che di musicale. Il gigante si mosse… e si svegliò. Quelli che Wesel aveva preso per legacci caddero dal suo corpo, lasciandolo immediatamente libero. Colta da un panico cieco, si voltò per fuggire nel suo mondo. Ma, in qualche modo, altri fili metallici erano caduti giù, e lei era prigioniera.
Cominciò a gridare.
Cosa stupefacente, Quattro-Braccia e Testa-Piccola accorsero in suo aiuto. Sarebbe stato bello e glorificante poter mettere agli atti l’affermazione che erano state spinte dalla grande devozione verso la loro padrona… ma in realtà Quattro-Braccia aveva subito capito che la sua stessa vita era perduta. E aveva visto troppi, di quelli che avevano scontentato Shrick o Wesel, venir scuoiati vivi. Testa-Piccola seguì ciecamente la sua compagna. Non stava a lei chiedersi le ragioni…
Vibrando selvaggiamente le loro lance, assalirono il gigante. Lui scoppiò a ridere — o almeno, Wesel interpretò come una risata il rombo profondo che uscì dalla sua gola. Agguantò per prima Quattro-Braccia. Con una mano le strinse il corpo, con l’altra la testa. E la torse. E quella fu la fine di Quattro-Braccia.