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— E allora?
— Guarda. — Mi prese la mano e mi fece allargare le dita. — Uno, due, tre, quattro, cinque!
Annuii. — Bravo, sai contare fino a cinque.
Il Drac aggrottò le ciglia e fece un gesto di impazienza con i piccoli pugni. — Guarda. — Mi prese la mano e vi mise sopra la sua. Con l’altra, indicò prima una delle sue dita, poi una delle mie. — Uno, uno. — I suoi occhi gialli mi fissarono per vedere se capivo.
— Sì.
Il bambino indicò ancora. — Due, due. — Mi guardò, poi tornò a indicare sulla mano. — Tre, tre. — Afferrò le due dita che mi rimanevano. — Quattro, cinque! — Lasciò cadere la mia mano, e indicò il fianco della sua. — Quattro cinque?
Scossi la testa. Zammis, a meno di quattro mesi, aveva individuato una delle differenze fra i Drac e gli uomini. Un bambino umano ci avrebbe messe cinque, sei, forse sette anni prima di cominciare a fare domande del genere. Sospirai. — Zammis.
— Sì, zio?
— Zammis, tu sei un Drac. I Drac hanno solo tre dita per mano. — Alzai la mano e mossi le dita. — Io sono umano, e ne ho cinque.
Giuro che mi sembrò di vedere i suoi occhi riempirsi di lacrime. Alzò le mani, le guardò, poi scosse la testa. — Crescono quattro e cinque?
Mi alzai e fissai il bambino. — Vedi, Zammis, io e te siamo diversi… esseri di tipo diverso, capisci?
Zammis scosse la testa. — Crescono quattro e cinque?
— No. Tu sei un Drac. — Mi puntai un dito contro il petto. — Io sono un uomo. — In quel modo non sarei approdato a molto. — Il tuo genitore, quello da cui sei nato, era un Drac, capisci?
Zammis aggrottò le ciglia. — Quale Drac?
Sentii la tentazione di ricorrere al vecchio espediente di dire: Capirai quando sarai più grande. Scossi la testa. — I Drac hanno tre dita per mano. Il tuo genitore aveva tre dita per mano. — Mi fregai la barba. — Il mio genitore era un uomo e aveva cinque dita per mano. Ecco perché io ho cinque dita.
Zammis si inginocchiò sulla sabbia e si studiò le dita. Mi guardò, poi si guardò le dita, poi mi guardò ancora. — Quale genitore?
Mi resi conto che Zammis doveva avere una specie di crisi di identità. Io ero la sola persona che avesse mai conosciuto, e avevo cinque dita per mano. — Un genitore è… quello che… — Mi grattai ancora una volta la barba. — Senti, noi tutti veniamo da qualche parte. Io avevo una madre e un padre… sono due tipi diversi di umani… che mi hanno dato la vita; mi hanno fatto, capisci?
Zammis mi diede un’occhiata che sembrava voler dire: Questo ha qualche rotella fuori posto. Alzai le spalle. — È difficile da spiegare.
Zammis si indicò il petto. — Mio padre? Mia madre?
Allargai le braccia, me le misi in grembo, mi morsicchiai le labbra, mi grattai la barba, insomma, cercai di prendere tempo. Zammis non mi staccò un attimo gli occhi di dosso. — Senti, Zammis, tu non hai un padre e una madre. Io sono un uomo e ce li ho. Tu sei un Drac e hai un solo genitore… capito?
Zammis scosse la testa. Mi guardò, poi si indicò il petto. — Drac.
— Giusto.
Zammis indicò me. — Umano.
— Bravo.
Zammis abbassò la mano. — Da dove vengono i Drac?
Buon Dio! Adesso mi toccava spiegare la riproduzione ermafroditica a un bambino di quattro mesi! — Zammis… — Alzai le braccia, poi le lasciai cadere. — Senti, lo vedi che io sono molto più grande di te?
— Sì, zio.
— Bene. — Mi passai le dita fra i capelli, cercando di guadagnare tempo e di trovare l’ispirazione. — Il tuo genitore era grande, come me. Si chiamava… Jeriba Shigan. — Era strano come fosse doloroso solo pronunciare quel nome. — Jeriba Shigan era come te. Aveva solo tre dita per mano. Tu sei cresciuto nella pancia. — Gli battei col dito sulla pancia. — Capito?
Zammis rise, tenendosi lo stomaco. — Zio, come crescono qui i Drac?
Rimisi le gambe sul materasso e mi distesi. Come nascono i piccoli Drac? Guardai il piccolo, e vidi che pendeva dalle mie labbra. Feci una smorfia e gli dissi la verità. — Che mi venga un accidente se lo so. — Trenta secondi dopo, Zammis era tornato a giocare con le sue pietre.
Per l’estate, avevo insegnato a Zammis come catturare i lunghi serpenti grigi, e come affumicare la carne. Si sedeva ai bordi di una pozza di fango, con gli occhi gialli fissi sui buchi nel terreno, aspettando che uno degli occupanti delle tane mettesse fuori la testa. Il vento poteva soffiare, ma Zammis non si muoveva. Poi appariva una testa piatta, triangolare, con gli occhietti blu. Il serpente controllava la pozza, si girava, controllava la riva, poi il cielo. Usciva ancora un po’ dal buco, e ricontrollava da capo. Spesso il serpente fissava Zammis direttamente negli occhi, ma il Drac pareva scolpito nella pietra. Zammis non si muoveva finché il serpente non era uscito tanto da non poter rientrare per la coda. Allora con una mossa fulminea lo afferrava con tutt’e due le mani appena sotto la testa. I serpenti non avevano denti, e non erano velenosi, ma erano così grossi e vigorosi che Zammis certe volte finiva nella pozza di fango.
Le pelli venivano poi stese a seccare sui tronchi d’albero, messi in uno spiazzo vicino all’entrata della caverna, sotto una sporgenza al riparo dai venti marini. Circa due terzi delle pelli si conservavano; le altre marcivano.
Vicino alla conceria, c’era la camera per affumicare la carne: una caverna a cui appendevamo i pezzi di carne; poi, in un pozzo scavato nel pavimento, accendevamo un fuoco di rami verdi e chiudevamo l’ingresso con pietre e fango.
— Zio, perché la carne non va a male dopo essere stata affumicata? Ci pensai su. — Non so bene, però so che si conserva.
— Com’è che lo sai?
Alzai le spalle. — Lo so e basta. Forse l’ho letto da qualche parte.
— Cos’è letto?
— Leggere. Come quando mi siedo e leggo il Talman.
— Il Talman dice perché la carne non va a male?
— No. Volevo dire che devo averlo letto su qualche altro libro.
— Noi abbiamo altri libri?
Scossi la testa. — Volevo dire, prima di venire su questo pianeta.
— Perché sei venuto su questo pianeta?
— Te l’ho già detto. Il tuo genitore ed io siamo naufragati qui durante una battaglia.
— Perché gli uomini e i Drac combattono?
— È una faccenda complicata. — Feci dei gesti vaghi con le mani. La tesi umana era che i Drac avevano invaso il nostro spazio. La tesi dei Drac era che gli umani avevano invaso il loro spazio. La verità? — Vedi, Zammis, è tutto per avere nuovi pianeti da colonizzare. Tutt’e due le razze stanno espandendosi, e tutt’e due hanno la tradizione di colonizzare. Immagino che abbiamo colonizzato a vicenda lo spazio degli altri. Capito?
Zammis annuì, poi per fortuna non chiese altro, immerso nei propri pensieri. La cosa che soprattutto imparai da lui, era che c’erano moltissime domande per cui non avevo risposta. Però mi sentivo soddisfatto per aver spiegato a Zammis la guerra, superando in questo modo l’ostacolo della carne affumicata. — Zio?
— Sì, Zammis?
— Cos’è un pianeta?