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Il quarto buco che io e Zammis provammo, scaricava sotto l’entrata della caverna, sulla parete di roccia. Non era l’ideale, ma sempre meglio che soddisfare i bisogni naturali nel bel mezzo di una tempesta di neve. Attrezzammo il buco come scarico per la vasca da bagno e il water.
Dopo aver scaldato l’acqua per il nostro primo bagno, mi tolsi l’abito di pelli, provai l’acqua col piede ed entrai. — Fantastico! — Mi voltai verso Zammis, che era ancora mezzo vestito. — Vieni, Zammis, l’acqua è perfetta. — Zammis mi fissava con la bocca aperta. — Che c’è?
Il bambino indicò con la mano. — Zio… che cos’è quello?
Abbassai lo sguardo. — Oh. — Scossi la testa, e guardai il piccolo Drac. — Te l’ho già spiegato, Zammis, io sono un umano!
— Ma a che cosa serve?
Mi sedetti nella vasca togliendo alla vista l’oggetto della discussione. — Serve per eliminare i rifiuti liquidi… fra le altre cose. Adesso entra e lavati.
Zammis si tolse il vestito, guardò il proprio apparato, che era liscio, poi entrò nella vasca. Si immerse fino al collo, studiandomi coi suoi occhi gialli. — Zio?
— Sì?
— Quali altre cose?
Glielo dissi. Per la prima volta, mi sembrò che il Drac non fosse sicuro se gli stavo dicendo o no la verità. Anzi, mi convinsi che era giunto alla conclusione che gli mentivo… probabilmente perché era vero.
L’inverno cominciò con una spruzzata di neve accompagnata da una leggera brezza. Portai Zammis nel boschetto sopra la caverna. Giunti di fronte alla tomba di Jerry lo presi per mano. Zammis si strinse nella giacca per ripararsi dal vento, chinò la testa, poi si voltò a guardarmi in faccia. — Zio, questa è la tomba del mio genitore?
Annuii. — Sì.
Zammis guardò la tomba, poi scosse la testa. — Zio, come dovrei sentirmi?
— Non capisco, Zammis.
Il bambino fece un cenno verso la tomba. — Vedo che tu sei triste a essere qui. Credo che tu voglia che io mi sento allo stesso modo, è vero?
Aggrottai le ciglia, poi scossi la testa. — No. Non voglio che tu ti senta triste. Volevo solo che tu sapessi dov’è.
— Posso andare ora?
— Certo. La sai la strada per tornare alla caverna?
— Sì. Non vorrei che il sapone mi bruciasse un’altra volta.
Guardai il bambino correre fra gli alberi nudi, poi mi voltai verso la tomba. — Be’, Jerry, cosa ne pensi di tuo figlio? Zammis stava usando della cenere per pulire le conchiglie dal grasso, e ha messo una conchiglia sul fuoco con dell’acqua per togliere del cibo che si era bruciato. Grasso e cenere. E così abbiamo fatto il sapone. Il primo che Zammis ha preparato, per poco non mi ha scuoiato, ma sta migliorando… Guardai il cielo, poi il mare. Sull’orizzonte, si stavano accumulando nuvoloni neri e bassi. — Vedi? Sai cosa vuol dire, vero? La prima tempesta di neve. — Il vento cominciò a soffiare più forte. Mi accucciai vicino alla tomba per sistemare una pietra che era rotolata via dalla pila. — Zammis è un bravo bambino, Jerry. Volevo odiarlo… dopo che sei morto. Volevo odiarlo. — Rimisi a posto la pietra, e tornai a guardare il mare. — Non so come faremo ad andarcene da questo pianeta, Jerry… — Con la coda dell’occhio percepii un movimento. Mi girai e sopra le cime degli alberi, contro il cielo grigio, vidi un puntino nero che si allontanava. Lo seguii con lo sguardo finché non sparì fra le nuvole.
Ascoltai, sperando di sentire il rumore dei razzi, ma il cuore mi batteva così forte che tutto quello che riuscii a sentire fu il vento. Era una nave? Mi alzai, feci qualche passo nella direzione in cui era sparito il puntino, poi mi fermai. Girandomi, vidi che le pietre della tomba erano già ricoperte da un sottile strato di neve. Alzai le spalle, e mi avviai verso la caverna. — Probabilmente era solo un uccello.
Zammis era seduto sul suo materasso, intento a cucire pelli di serpente con un ago di osso. Mi distesi sul mio letto, osservando il fumo che saliva per la fessura. Era un uccello? O una nave? Accidenti, non riuscivo a togliermelo dalla mente. Avevo rimossa dai miei pensieri la possibilità di andarmene da quel pianeta, l’avevo sotterrata e nascosta per tutta l’estate. Ed ecco che era tornata. Camminare sotto il sole, indossare vestiti decenti, avere il riscaldamento centrale e mangiare cibi preparati da un cuoco, trovarsi di nuovo… fra la gente.
Mi girai su un fianco e guardai la parete vicino al materasso. Gente. Gente umana. Chiusi gli occhi e inghiottii. Ragazze umane. Donne. Delle immagini mi passarono davanti agli occhi: facce, corpi, coppie che ridevano, il ballo dopo l’addestramento., come si chiamava? Dolora? Dora?
Scossi la testa, mi girai di nuovo e mi misi a sedere, di fronte al fuoco. Perché avevo visto quella cosa? Ero riuscito a seppellirle, tutti quei ricordi, a dimenticarle…
— Zio?
Alzai gli occhi. Pelle gialla, occhi gialli, faccia di rospo senza naso.
— Cosa?
— C’è qualcosa che non va?
Qualcosa che non va! — No. Mi sembrava di aver visto una cosa, oggi. Ma probabilmente non era niente. — Presi un pezzo di carne dalla griglia sul fuoco. Ci soffiai sopra per raffreddarla e cominciai a masticare.
— Che aspetto aveva?
— Non so. Da come si muoveva, ho creduto che fosse una nave. Ma è sparita così in fretta, che non ho potuto vedere bene. Forse era un uccello.
— Uccello?
Lo guardai. Zammis non aveva mai visto un uccello. E neanch’io, su Fyrine IV. — Un animale che vola.
Zammis annuì. — Zio, quando raccoglievamo legna nel bosco, ho visto anch’io qualcosa volare.
— Eh? Perché non me lo hai detto?
— Volevo dirtelo, ma me ne sono dimenticato.
— Dimenticato! Da che parte andava?
Zammis indicò verso il fondo della caverna. — Da quella parte, in direzione opposta al mare. — Zammis mise giù il suo lavoro di cucito.
— Perché non andiamo a vedere dov’è andato?
Scossi la testa. — L’inverno sta per cominciare. Tu non sai com’è. Moriremmo in pochi giorni.
Zammis riprese il suo lavoro. Fare il viaggio in inverno ci avrebbe ucciso. Ma in primavera sarebbe stato diverso. Potevamo sopravvivere, con una doppia imbottitura nei vestiti, e una tenda. Dovevamo fabbricare una tenda. Zammis e io potevamo passare l’inverno a prepararla, e a fare degli zaini. Poi ci servivano degli stivali robusti. Dovevo pensarci…
È straordinario come una scintilla di speranza possa accendere un fuoco che consuma tutta la disperazione. Era una nave? Non lo sapevo. E se lo era, stava decollando o atterrando? Non lo sapevo. Se stava decollando, avremmo preso la direzione sbagliata. Ma quella opposta, significava attraversare il mare. Non importa. All’arrivo della primavera, avremmo attraversato il bosco, poi si sarebbe visto…
L’inverno sembrò passare in fretta con Zammis impegnato a fabbricare la tenda, e io che cercavo di riscoprire l’arte del calzolaio. Tracciai i contorni dei miei piedi e di quelli di Zammis su della pelle di serpente. Dopo qualche esperimento, scoprii che facendola bollire insieme a un certo frutto, la pelle diventava morbida ed elastica. Mettendone parecchi strati l’uno sopra l’altro con un peso, e facendoli seccare, si otteneva una suola dura e flessibile. Quando ebbi finito gli stivali di Zammis, lui ne aveva bisogno di un paio nuovi.
— Sono troppo piccoli, zio.
— Come sarebbe a dire troppo piccoli?
— Mi fanno male. Ho le dita piegate.
Mi chinai e tastai la punta degli stivali. — Non capisco. Ho preso le misure solo venti, venticinque giorni fa. Sei sicuro di non esserti mosso mentre le prendevo?
Zammis scosse la testa.
— No che non mi sono mosso — disse.