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Zammis montò la tenda dentro la caverna, e cominciò a strofinare del grasso contro la pelle per renderla impermeabile. Era cresciuto ancora, e io avevo deciso di aspettare a fargli gli stivali finché non fossi stato sicuro della misura. Cercai di fare una previsione, misurandogli i piedi ogni dieci giorni, e calcolando la misura che avrebbero dovuto avere in primavera. Secondo i miei calcoli, avrebbe raggiunto le dimensioni di un’astronave da trasporto. Era chiaro che prima della fine dell’inverno, avrebbe completato la crescita. Gli stivali di Jerry erano andati a pezzi prima che Zammis nascesse, ma avevo conservato i pezzi. Utilizzai le vecchie suole per prendere le misure, e sperai il meglio.
Ero occupato a fabbricare i nuovi stivali, Zammis lavorava alla tenda. Il Drac mi guardò.
— Zio?
— Sì?
— L’esistenza è il dato primario?
Alzai le spalle. — Così dice Shizumaat. Io non ho nessuna obiezione.
— Ma zio, come facciamo a sapere se l’esistenza è reale?
Interruppi il lavoro, lo guardai, scossi la testa, tornai a occuparmi degli stivali. — Credimi sulla parola.
Il Drac fece una smorfia. — Ma zio, questa non è conoscenza, è fede.
Sospirai, pensando al mio primo anno all’Università delle Nazioni: un gruppetto di adolescenti, in un appartamento ammobiliato, che passavano il loro tempo a fare esperimenti con l’alcol, le polveri e la filosofia. Zammis aveva meno di un anno terrestre, e stava già diventando il tipo dell’intellettuale noioso. — Cosa c’è che non va nella fede?
Zammis fece una risatina di scherno. — Andiamo, zio, la fede?
— Qualche volta è di aiuto, in questa spirale di neve e di gelo.
— Spirale?
Mi grattai la testa. — Questa spirale mortale: la vita. Shakespeare, credo.
Zammis aggrottò le ciglia. — Non c’è nel Talman.
— Era un umano.
Zammis si alzò, e si venne a sedere dall’altra parte del fuoco, di fronte a me. — Era un filosofo, come Mistan e Shizumaat?
— No. Scriveva opere teatrali… delle storie recitate.
Zammis si fregò il mento. — Ricordi qualcos’altro di Shakespeare?
Alzai un dito. — «Essere o non essere, questo è il dilemma».
Il Drac spalancò la bocca, poi annuì energicamente. — Sì, sì! Essere o non essere; questo è il dilemma! — Allargò le braccia. — Come facciamo a sapere se il vento soffia, fuori dalla caverna, se non lo vediamo? Il mare è sempre in tempesta quando noi non siamo lì a guardarlo?
Annuii. — Sì.
— Ma zio, come facciamo a saperlo?
Lo guardai. — Zammis, ho una domanda da farti: è vera o falsa la seguente affermazione: Quello che dico in questo momento è falso.
Zammis sbatté le palpebre. — Se è falso, allora l’affermazione è vera. Ma… se è vera… l’affermazione è falsa, ma… — Sbatté ancora le palpebre, poi tornò a fregare grasso nella tenda. — Ci penserò, zio.
— Fallo, Zammis, fallo.
Il Drac ci pensò per una decina di minuti, poi si voltò. — L’affermazione è falsa.
Sorrisi. — Ma questo è quanto dice l’affermazione, quindi è vera, ma… — Lasciai la frase in sospeso, sentendomi molto compiaciuto.
— No, zio. L’affermazione è priva di significato, nel suo contesto. — Alzai le spalle. — Vedi, zio, l’affermazione presuppone l’esistenza di una verità che non può esprimere un giudizio su se stessa, in mancanza di altri punti di riferimento. La logica di Lurrvena è molto chiara su questo punto, nel Talman, e se equipariamo mancanza di significato con falsità…
Sospirai. — Già, certo…
— Vedi, zio, per prima cosa è necessario stabilire un contesto nel quale un’affermazione abbia un senso.
Mi chinai in avanti, aggrottai le ciglia e mi grattai la barba. — Capisco. Vuoi dire che stavo mettendo Cartesio davanti ai buoi?
Zammis mi diede una occhiata perplessa, che si fece ancora più perplessa quando mi vide rotolare sul materasso ridendo come un matto.
— Zio, perché la famiglia Jeriba ha solo cinque nomi? Tu hai detto che le famiglie umane hanno molti nomi.
Annuii. — I cinque nomi della famiglia Jeriba sono etichette a cui coloro che le portano devono aggiungere fatti. I fatti sono importanti, non i nomi.
— Gothig è il parente di Shigan, come Shigan è mio parente.
— Naturalmente. L’hai imparato dalla recitazione.
Zammis aggrottò le ciglia. — Allora dovrò chiamare mio figlio Ty, quando diventerò genitore.
— Sì. E Ty dovrà chiamare suo figlio Haesni. C’è qualcosa che non va?
— A me piacerebbe chiamare mio figlio Davidge.
Scossi, e scossi la testa. — Il nome di Ty è stato portato da grandi banchieri, mercanti, inventori e… be’, la sai la recitazione. Il nome Davidge non è stato portato da nessuno di importante. Pensa a quello che ci perderebbe Ty a non essere Ty.
Zammis ci pensò un po’, poi annuì. — Zio, credi che Gothig sia vivo?
— Per quel che ne so io, sì.
— Com’è Gothig?
Ripensai a quello che mi aveva detto Jerry del suo genitore. — Insegnava musica, ed è molto forte. Jerry… Shigan diceva che il suo genitore poteva piegare delle sbarre di ferro con le dita. Gothig è anche una persona molto onorata. Immagino che in questo momento sia anche molto triste. Penserà che la famiglia Jeriba sia finita.
Zammis aggrottò le ciglia. — Zio, dobbiamo arrivare a Draco. Dobbiamo dire a Gothig che la famiglia continua.
— Ci arriveremo.
Il ghiaccio dell’inverno cominciò ad assottigliarsi. La tenda, gli zaini e gli stivali erano pronti. Stavamo dando il tocco finale ai nostri nuovi abiti. Come Jerry mi aveva dato il Talman perché lo studiassi, così ora il cubo d’oro era appeso al collo di Zammis. Il Drac tirava fuori il piccolo libro e lo studiava per ore.
— Zio?