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— Perché i Drac parlano e scrivono in una lingua, e gli uomini in un’altra?
Risi. — Zammis, gli uomini scrivono e parlano in molte lingue. L’inglese è solo una delle tante.
— E come fanno a capirsi fra di loro, gli uomini?
Alzai le spalle. — Non sempre ci riescono. Oppure usano degli interpreti, gente che sa due lingue.
— Tu ed io parliamo sia inglese sia Drac. Allora siamo interpreti.
— Potremmo esserlo, se si trovasse un uomo e un Drac che volessero parlarsi. Ricordati che c’è in corso una guerra.
— Ma come potrà finire la guerra, se non parlano?
— Immagino che alla fine parleranno.
Zammis sorrise. — Mi piacerebbe fare l’interprete, e aiutare a por fine alla guerra. — Il Drac mise da parte il lavoro di cucito e si allungò sul suo nuovo materasso. Quello vecchio adesso lo usava come cuscino. — Zio, credi che troveremo qualcuno oltre il bosco?
— Lo spero.
— Se sarà così, verrai con me su Draco?
— Ho promesso a tuo padre che l’avrei fatto.
— Voglio dire dopo. Dopo che avrò fatto la mia recitazione, cosa farai?
Guardai il fuoco. — Non lo so. — Alzai le spalle. — La guerra potrebbe impedirci di raggiungere Draco, per un po’.
— E dopo?
— Immagino che tornerò sotto le armi.
Zammis si alzò su un gomito. — Continuerai a fare il pilota da caccia?
— Certo. È la sola cosa che so fare.
— E ucciderai i Drac?
Misi giù il mio lavoro e guardai Zammis. Molte cose erano cambiate da quando io e Jerry ci eravamo presi a botte… più di quante avessi pensato. Scossi la testa. — No. Probabilmente non farò più il pilota… non nell’esercito. Forse troverò lavoro in una compagnia civile. Forse l’esercito non mi vorrà neanche.
Zammis si mise a sedere; restò immobile per un momento poi venne da me e si inginocchiò sulla sabbia. — Zio, non voglio lasciarti.
— Non fare lo sciocco. Tornerai fra quelli della tua razza. Tuo nonno, Gothig, i parenti di Shigan, i loro figli… ti dimenticherai di me.
— Tu ti dimenticherai di me?
Guardai quegli occhi gialli, poi allungai una mano e gli toccai la guancia. — No, non ti dimenticherò. Ma ricordati di questo, Zammis: tu sei un Drac e io sono un umano, ed è così che si divide questa parte dell’universo.
Zammis mi prese la mano, allargò le dita e la studiò. — Qualunque cosa succeda, zio, non ti dimenticherò mai.
Il ghiaccio si era sciolto. Io e il Drac, con gli zaini sulle spalle, stavamo di fronte alla tomba, sotto una pioggia rada, sferzata dal vento. Zammis era alto come me, cioè un po’ più alto di Jerry. Con mio grande sollievo, gli stivali gli andavano bene. Zammis si sistemò meglio lo zaino, poi voltò le spalle alla tomba e guardò il mare. Seguii il suo sguardo, e osservai i cavalloni infrangersi sulle rocce. Guardai il Drac. — A cosa stai pensando?
Zammis guardò a terra, poi guardò me. — Zio, non ci avevo mai pensato prima, ma… mi mancherà questo posto.
Mi misi a ridere. — Che sciocchezze! Questo posto? — Gli diedi una pacca sulle spalle. — E perché dovresti sentirne la mancanza?
Zammis guardò il mare. — Ho imparato molte cose qui. Tu mi hai insegnato molte cose qui, zio. Sono vissuto qui.
— È solo l’inizio della tua vita, Zammis. Ti aspettano moltissimi altri anni. — Feci un cenno verso la tomba. — Dì addio.
Zammis si voltò verso la tomba, si inginocchiò vicino e cominciò a togliere le pietre. Dopo qualche minuto, aveva portato alla luce la mano di uno scheletro con tre dita. Si mise a piangere. — Mi dispiace, zio, ma dovevo farlo. Finora per me non era stato altro che un cumulo di rocce. — Rimise a posto le pietre, poi si alzò.
Indicai con la testa il bosco. — Vai avanti. Ti raggiungerò fra un minuto.
— Sì zio.
Zammis si allontanò verso gli alberi nudi. Io guardai la tomba. — Cosa te ne pare di Zammis, Jerry? È diventato più alto di te. Immagino che la carne di serpente gli faccia bene. — Mi chinai, presi un sasso e lo aggiunsi al cumulo. — Ormai ci siamo. O arriveremo su Draco, o moriremo. — Mi alzai e guardai il mare. — Penso di avere imparato anch’io qualcosa, qui. Mancherà anche a me questo posto, in un certo senso. — Mi sistemai lo zaino sulle spalle, e guardai per l’ultima volta la tomba. — Ehdevva sahn, Jeriba Shigan. Addio, Jerry.
Mi voltai, e seguii Zammis nel bosco.
I giorni che seguirono furono pieni di scoperte meravigliose per Zammis. Per me, il cielo era sempre lo stesso, grigio cupo, e le poche varianti che incontravamo nella flora e nella fauna, non erano niente di straordinario. Una volta superato il bosco, ci trovammo di fronte un lieve pendio, che continuò a salire per una giornata di marcia; poi davanti a noi apparve una distesa piatta, senza fine. Era coperta da un’erba color porpora, che ci arrivava alle caviglie e che lasciava il colore sugli stivali. Di notte faceva ancora troppo freddo per camminare, e ce ne stavamo chiusi nella tenda. Le pelli ingrassate e i vestiti funzionavano a dovere, e ci riparavano adeguatamente dalla pioggia che non smetteva quasi mai di cadere.
Eravamo in viaggio da quasi due delle lunghe settimane di Fyrine IV, quando sentimmo un boato sopra le nostre teste. In un attimo la nave era già sparita dietro l’orizzonte. Ma non ebbi nessun dubbio sul fatto che stesse atterrando.
— Zio! Ci avrà visti?
Scossi la testa. — Non credo proprio. Ma stava atterrando. Non hai sentito? Il campo dev’essere da qualche parte, davanti a noi.
— Zio?
— Muoviamoci! Cosa c’è?
— Era una nave umana o Drac?
Mi fermai di colpo. Non ci avevo neanche pensato. — Su, andiamo. Non importa. In qualsiasi modo, tu arriverai su Draco. Sei un civile, e l’esercito terrestre non potrà farti niente; se invece sono Drac, sei a posto.
Cominciammo a camminare. — Ma zio, se è una nave Drac, cosa succederà di te?
Alzai le spalle. — Mi faranno prigioniero. I Drac dicono di attenersi alle leggi di guerra interplanetarie, perciò non devo preoccuparmi. — Bella consolazione. Il problema era di sapere se preferivo essere prigioniero di guerra dei Drac, o un abitante permanente di Fyrine IV. Ma a questo avevo dato una risposta da un pezzo. — Avanti, mettiamoci di buon passo. Non sappiamo quanto manchi ancora.
Alzare il piede; abbassarlo. Tranne che per mangiare e riposarci, non ci fermavamo mai, neanche di notte. Lo sforzo di camminare ci teneva caldi. L’orizzonte sembrava sempre lontanissimo. Parecchi giorni dopo, con i piedi intorpiditi e la mente intontita, caddi attraverso l’erba purpurea in una buca. Immediatamente, si fece buio, e avvertii un dolore acuto nella gamba destra. Sentii che stavo per svenire, e accolsi con gioia il calore e la pace dell’incoscienza.
— Zio? zio? Svegliati, ti prego, svegliati!
Sentii degli schiaffi sulla faccia, ma parevano stranamente lontani. Fu il dolore lancinante a farmi svegliare. Dovevo essermi rotto la gamba. Guardai in alto e vidi gli orli erbosi del buco. Ero seduto sull’acqua, con Zammis vicino.
— Cosa è successo?