125188.fb2 Nelle tue mani - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 3

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«Il tuo nome. Ce l’hai lì sul petto». Dan gliel’indicò con la mano sinistra, il suo corpo si era fatto d’improvviso teso. «Vedi? Proprio lì!»

Ora, quando SA-10 allungò il collo e guardò in basso, quelle oscene lettere divennero visibili, alte e ben chiare sul suo petto! Esse, A…

Il primo avvertimento fu dato dall’ascia che si schiantò sopra il suo petto, facendolo barcollare all’indietro sui calcagni… e poi scese di nuovo, proiettata da muscoli che parvero vigorosi quasi quanto i suoi. Al terzo colpo, qualcosa si ruppe dentro di lui. Tutte le sue forze svanirono, e crollò al suolo con uno schianto sferragliante, che gli chiuse le palpebre per il contraccolpo. E giacque la, incapace perfino di riaprire gli occhi.

Non tentò neppure di farlo, ma giacque aspettando quasi con ansia i colpi finali, che l’avrebbero finito. Satana, il magazzino del sapere, il tentatore degli uomini… l’unico essere che aveva imparato a odiare! Aveva fatto tutta quella strada per trovare un nome e uno scopo; adesso li aveva! Non c’era da meravigliarsi che Dio l’avesse chiuso in una caverna per tenerlo lontano dagli uomini.

«Morto! Quella vecchia favoletta mi ha permesso di coglierlo alla sprovvista». L’uomo scoppiò in una risata nervosa. «Spero che il suo generatore funzioni ancora. Con quello, potremo scaldare tutte le case della colonia. Chissà dov’era il suo nascondiglio?»

«Come quello, su a nord, con tutte le armi nascoste? Oh, Dan!» Uno strano suono schioccante accompagnò la frase, poi la voce parlò ancora, più calma: «Sarà meglio tornare indietro e chiedere aiuto per trasportarlo».

I loro passi si allontanarono, lasciando il robot ancora immobile ma non più passivo. L’Albero del Sapere, così facilmente visibile senza la copertura di rampicanti, era appena a una ventina di miglia, e non ci avrebbero impiegato molto a scoprirlo! Doveva distruggerlo prima che ciò accadesse!

Ma, a stento la piccola batteria riusciva a mantenerlo cosciente, e il generatore non rispondeva più ai suoi comandi. I sensori continuavano a inviargli messaggi attraverso i nervi, garantendogli che il generatore funzionava ancora, ma sull’automatico, fuori dal suo controllo. Già prima, un intera sezione dei suoi circuiti era guasta, probabilmente era stato il sovraccarico d’energia da lui usato per cuocere l’uomo d’argilla… e adesso comunque i colpi e la caduta avevano completato l’opera, cortocircuitando tutti i restanti circuiti collegati al generatore e lasciandolo nell’incapacità di muovere un solo dito.

Neppure quando escludeva del tutto la sua mente, la batteria riusciva a far muovere le sue mani. La sua opera demoniaca era compiuta: ora lui avrebbe riscaldato le loro case, mentre essi avrebbero cercato le tentazioni che lui aveva loro offerto. E non poteva far nulla per impedirlo. Dio gli negava perfino la possibilità di rimediare al male che aveva fatto.

Continuò a pregare, con amarezza, mentre strani rumori si udivano accanto a lui. Si sentì sollevare e portar via in una corsa sussultante. Dio non voleva ascoltarlo! Alla fine, cessò di pregare, mentre la corsa sussultante continuava, qualunque fosse la sua meta. Poi, anche la corsa finì e vi furono istanti di assoluto silenzio.

«Ascolta! So che sei ancora vivo!» Era una voce dolce, quasi ipnotica, che s’insinuò nei vortici oscuri dei suoi pensieri, e li placò. Pensò a Dio, per un attimo, ma questa era una voce femminile, e ciò voleva dire che una delle donne della colonia doveva aver creduto in lui e stava tentando segretamente di salvarlo. L’udì di nuovo: «Ascolta e credimi! Tu puoi muoverti… molto poco, sì, ma quanto basta perché io possa cogliere l’intenzione di ogni tuo movimento. Cerca di riparare te stesso, e io sarò la forza delle tue mani. Prova… Ah, il tuo braccio!»

Era incredibile che lei riuscisse a capire quei suoi movimenti appena accennati, eppure sentì che il suo braccio veniva sollevato e posto sopra il suo petto, non appena ebbe desiderato di farlo. Ma non erano affari suoi chiedersi il come e il perché. Doveva dedicare tutta la sua restante energia a recuperare interamente le forze, prima che gli uomini riuscissero a trovare l’Albero!

«Così; io giro questo… questo dado. E quest’altro… Ecco, la piastra è tolta. Cosa faccio adesso?»

Questo lo fermò. La forza vitale era stata fatale a un maiale, e con ogni probabilità avrebbe ucciso anche una donna. Eppure lei si fidava di lui. Non osò muoversi… eppure l’intenzione doveva aver prodotto un moto istintivo, poiché le sue dita furono scostate, le mani di lei gli penetrarono nel petto e un istante dopo un’ondata d’energia gli attraversò tutto il corpo.

Le dita di lei gli si erano appoggiate sopra gli occhi, ma non ebbe bisogno del loro aiuto quando strappò via il pezzo guasto e inserì il ricambio, ripristinando i circuiti. Ora c’era preoccupazione nella voce della donna, malgrado si sforzasse di tenerla calma: «Non restare troppo sorpreso da ciò che vedrai. Va tutto bene».

«Va tutto bene!» ripeté lui, obbediente, sillabando le parole mentre la voce gli risuonava di nuovo alle orecchie. Per pochi istanti ancora, mentre riavvitava la piastra, lasciò che lei gli tenesse gli occhi chiusi. «Donna, chi sei?»

«Eva. E… si, Adamo, questi nomi andranno bene per noi». Le dita si ritrassero dagli occhi, anche se lei gli rimase alle spalle, fuori dalla sua vista.

Ma il primo sguardo che lui rivolse davanti a sé fu sufficiente. Malgrado le file di scaffali pieni di libri e di bobine di film, le macchine, e le dimensioni del laboratorio, quello era chiaramente il duplicato della sua caverna, circondato dalle stesse pareti di cemento. Ciò poteva significare solamente… l’Albero!

Con un balzo frenetico si girò per affrontare la sua salvatrice, e vide davanti a sé un altro robot, più piccolo e grazioso, dalle forme femminili, la risposta a tutte le sue brame, a tutta la solitudine che aveva conosciuto! Ma quelle emozioni l’avevano tradito già altre volte, e le ricacciò indietro con rabbia. Non poteva esserci nessun dubbio, visto che quelle dannate lettere spiccavano anche sul corpo di lei… Satana era maschio e femmina e il Male si era mosso per salvare la sua razza!

Quell’inferno di emozioni doveva esser trapelato, almeno in parte, all’esterno, poiché lei si stava ritraendo, annaspando con le mani per coprire i segni che lui stava fissando. «Adamo, no! Quell’uomo ha letto male, sciaguratamente male. Non è un nome, noi siamo macchine, e tutte le macchine hanno la sigla e il numero del modello, come questo. Satana non ostenterebbe mai, così, il suo nome. Ed io non ho mai avuto intenzioni diaboliche!»

«Neppure io!» Smozzicò le parole, incespicando sugli oggetti sparsi sul pavimento, facendola arretrare un po’ per volta, fino a intrappolarla in un angolo senza uscita della caverna, cercando allo stesso tempo di controllare le proprie emozioni che si ribellavano a ciò che lui doveva fare. «Il male dev’essere distrutto! Il sapere è vietato agli uomini!»

«Non tutto il sapere… Aspetta! Lasciami finire! Un condannato ha sempre il diritto alle sue ultime parole… L’albero del sapere era del Bene e del Male. Dio lo chiamò così! E proibì loro di mangiarne i frutti perché essi non potevano sapere quale fosse il bene; non capisci? Lui li voleva proteggere fino a quando non fossero stati più saggi e in grado di scegliere da soli! Soltanto che… Satana diede ad essi il frutto del male: l’odio e l’assassinio, per rovinarli. Diresti mai che la guarigione dei malati, il buon governo o il giusto uso degli animali siano il male? È il sapere, Adamo: il benefico, glorioso sapere che Dio vuole che l’uomo abbia. Non capisci?»

Per un attimo, quando lesse in lui la risposta, il robot-femmina si voltò per fuggire; poi, con un piccolo singhiozzo, tornò a fronteggiarlo senza opporgli resistenza.

«Va bene, ammazzami pure! Credi forse che la morte mi spaventi, dopo esser rimasta prigioniera, qui dentro, per seicento anni senza alcun modo per liberarmi? Soltanto… fai in fretta!»

La sorpresa e la sfrontatezza di quella menzogna trattennero la sua mano mentre il suo sguardo andava dallo scavatore atomico a una grossa trivella a un bidone con la scritta «Esplosivo». Eppure, neanche queir occhiata superficiale poteva trascurare il pavimento consunto e tanti altri segni di molti secoli di occupazione, come pure l’indubbio fatto che la cupola, fino a poche ore prima, era rimasta intatta. Con riluttanza il suo sguardo tornò allo scavatore, e anche lei lo guardò.

«Non serve a niente! Le istruzioni su di esso dicono di mettere sullo zero qualcosa contrassegnato "Controllo dell’Orifizio", prima di cominciare a usarlo. Così come sta, non si muove!»

Il robot-femmina si fermò, sbalordita, senza più parole, quando vide le dita di lui sollevare la piccola leva dal dente di arresto, facendola scattare sullo zero della scala! Poi, scosse la testa, sconfitta, e alzò le mani per aiutarlo, svogliatamente, a svitare la propria piastra toracica. Riprese a parlare, con voce priva d’emozione:

«Seicento anni soltanto perché non ho mosso una leva! Soltanto perché mi manca qualunque concetto della meccanica, là dove invece tutti gli uomini l’hanno per istinto, dando tutto ciò per scontato. Col tempo, un uomo avrebbe imparato a dominare queste macchine e avrebbe dato un significato ai libri che io ho memorizzato senza neppure capirne i titoli. Ma io sono come il cane che cerca di aprire la porta a unghiate, mentre ha il più semplice dei chiavistelli proprio davanti al naso. Be’, è finita. Addio, Adamo!»

Ma lui, per qualche sconvolgente motivo, pur avendo i cavi di lei, scoperti, a pochi centimetri dalle mani, esitò. Sì, le istruzioni non avevano parlato del dente di arresto; era qualcosa di troppo ovvio perché qualcuno pensasse a menzionarlo… Cercò d’immaginarsi una simile, totale ignoranza, e trasalì quando gli occhi gli caddero sopra uno dei trattati elementari sulla radio, in uno scaffale davanti a lui: «Applicazioni d’un Risonatore di Cavità». Si rese conto, riflettendoci su, che una traduzione letterale, non tecnica, era priva di significato: «Uso d’un produttore o rafforzatore di suoni in un buco»! Ma quasi subito gli balzò alla mente un fatto da lui trascurato:

«Ma sei uscita!»

«Perché ho perso la pazienza e ho scagliato il piccone contro la parete. E ho scoperto allora che la sua lama era il metallo, e non il legno! Le uniche macchine che potevo usare erano il proiettore e la macchina per scrivere… e la macchina per scrivere si è rotta!»

«Uhmmmm…» Prese su la piccola macchina, notando il foglio ingiallito e incompleto infilato dentro, mentre staccava l’uno dall’altro le levette di due tasti che erano rimaste incrociate e manovrava avanti e indietro il cervello. Ma la sua attenzione era soprattutto rivolta alle schegge di cemento conficcate dentro il manico scheggiato del piccone.

Nessuno, uomo o robot, poteva essere così stupido o incapace, eppure lui non dubitava più. Lei era un robot stupido, idiota! E se il sapere era male, lei certamente apparteneva a Dio! Tutto l’orrore dell’assassinio che era stato sul punto di commettere, scomparve, lasciando la sua mente ripulita, e debole, davanti al sollievo che l’invase quando le fece cenno di uscire.

«D’accordo, non sei il male. Puoi andare».

«E tu?»

E lui? Prima, nella veste di Satana, le argomentazioni di lei sarebbero state plausibili, e lui le aveva date per scontate. Ma adesso… si, era davvero l’Albero del Sapere del Bene e del Male! Eppure…»

Lei l’afferrò all’improvviso, trascinandolo fino all’ingresso: «I cani, non senti?» L’abbaiare giunse forte, da fuori. «Ti stanno dando la caccia, Adamo… sono a dozzine!»

Lui annui studiando le forme lontane degli uomini a cavallo, mentre le sue dita si davano da fare con una matita e un pezzo di carta. «E saranno qui tra una ventina di minuti. Bene o Male che sia, non devono trovare ciò che c’è qui. Eva, c’è una barca sulla riva del fiume; spingi la leva rossa nella direzione in cui vuoi andare, con forza se vuoi andar veloce, con poca se vuoi viaggiare lentamente. Ecco una mappa per arrivare alla mia caverna. Lì sarai al sicuro».

E subito tornò allo scavatore, prendendo posto sul seggiolino. Le sue dita azionarono fulminee i comandi. Il possente generatore muggì, sbuffando, e la pesante, tozza macchina cominciò a manovrare fra i pochi spazi liberi, spingendo da parte gli ostacoli. Quando fosse stato fuori, avrebbe potuto usare tutta la sua forza, senza pericolo di urti e rimbalzi, e in dieci minuti l’intera collina sarebbe stata ridotta ad un ammasso di macerie triturate, irriconoscibili; infine, il generatore di quell’ultima macchina avrebbe potuto essere spinto oltre il massimo, e lo scavatore si sarebbe ridotto a un’inutile massa di metallo fuso.

«Adamo!» Lei era a cavalcioni del seggiolino posteriore, e urlava per farsi sentire sopra il ruggito della sottile lama d’energia che stava allargando lo scavo.

«Vai, scappa, Eva! Non puoi fermarmi!»

«Non voglio… Non sono pronti per macchine come questa, non ancora! E in ogni caso, noi due insieme potremo ricostruire tutto ciò che c’era qui, Adamo».

Lui grugnì a disagio, incapace di distogliere lo sguardo dal raggio aghiforme. Era già difficile riuscire a pensare senza che lei lo distraesse, sapendo che non poteva correr rischi e doveva distruggersi, mentre le parole di lei, e i suoi stessi istinti, combattevano contro questa sua decisione. «Tu parli troppo!»

«E parlerò molto di più, fino a quando non ti comporterai in modo sensato! Ti guasterai il cervello, se cercherai di decidere adesso. Vieni con me lassù, a monte del fiume, per sei mesi. Così lontano, non potrai fare del male a nessuno, neppure se fossi davvero Satana! Poi, Adamo, quando ci avrai ben riflettuto sopra, potrai fare ciò che vorrai. Ma non adesso!»

«Per l’ultima volta, vuoi andartene?» Adesso, mentre si scavava una strada attraverso il cemento incrinato, non osava pensare, eppure non riusciva a mettere a tacere nella propria mente le parole di lei, che continuavano a echeggiare, implacabili. «VATTENE!»

«Non senza di te, Adamo. Il mio ricevitore non è guasto. Sapevo che avresti tentato di uccidermi, quando ti ho salvato… Credi che mi arrenderei tanto facilmente, adesso?»

Spense con un gesto brusco lo scavatore, e si girò di scatto per fronteggiarla: «Lo sapevi… e malgrado ciò mi hai salvato? Perché?»

«Perché avevo bisogno di te, e il mondo ha bisogno di te. Tu dovevi vivere, anche a costo della mia vita!»

Poi, il generatore ricominciò a ruggire, aprendosi la strada come un coltello attraverso gli ultimi centimetri di cemento. Infine, sbucò fuori di slancio dalla cupola, e il raggio brandeggiò tutt’intorno. Mentre con un ruggito l’energia, scatenata fino a un attimo prima alla massima potenza, si spegneva, il robot girò la testa verso di lei e annuì.

Lei poteva anche essere la robot-femmina più stupida del creato, ma era anche la più dolce. Era meraviglioso sentire che c’era qualcuno che aveva bisogno di te, e ti voleva!