125204.fb2
— …stanno bombardando Potrero Point. Ci sono navi cariche di truppe, forse intendono sbarcare…
La mente di Danielis vagò precedendo le parole. Era come se l’ESP non fosse stato un inganno, come se stesse vedendo di persona quella città tanto amata e sentisse le ferite sulla propria pelle. Non doveva esserci la nebbia sul Golden Gate, altrimenti non sarebbe stato possibile dare una descrizione tanto ricca di particolari. Magari alcuni tentacoli di nebbia giungevano sotto i resti arrugginiti del ponte, candidi come neve contro l’acqua verdeazzurra e il cielo splendente. La maggior parte della Baia doveva essere illuminata dal sole. Sul lato opposto sorgevano le colline dell’Eastbay, verdeggianti di giardini e costellate di ville. Oltre lo stretto, Marin si ergeva contro il cielo guardando i tetti e i muri che formavano San Francisco. Il convoglio era riuscito a passare attraverso quelle difese costiere che in condizioni normali l’avrebbero annientato. E per giunta era un convoglio molto ingombrante e fuori orario: ma era simile alle chiglie panciute con le vele bianche e i fumaioli che da tanto tempo portavano i rifornimenti alla città. Si era parlato di un piccolo scontro con i vascelli dei nemici, poi alla flotta era stato concesso di entrare nella baia, dove San Francisco non aveva mura di protezione. Solo allora i cannoni erano stati scoperti e dalle stive erano usciti uomini armati.
È vero, le golette pirata si sono impossessate di un convoglio. Hanno sfruttato le interferenze radio per soffocare ogni avvertimento. Hanno buttato a mare i nostri rifornimenti e hanno portato a bordo i soldati dei padroni. Qualche traditore gli ha rivelato i segnali di riconoscimento e le porte della città gli si sono spalancate davanti. Con pochissimi uomini in difesa e con la Centrale Espista quasi priva di adepti… e mentre le truppe del Comando della Sierra premono da Nord… Laura è senza di me.
— Stiamo arrivando! — urlò Danielis. I suoi uomini si misero in marcia dietro di lui. Con una feroce disperazione penetrarono tra le file nemiche e si dispersero in piccoli gruppi. Nella nebbia si combatteva con le sciabole e i coltelli, ma Danielis era già stato colpito al petto da una granata.
Nella zona portuale e tra i ruderi del muro della penisola permaneva qualche combattimento sporadico. Dirigendosi a cavallo verso un punto più elevato Mackenzie osservò che quelle zone erano rese quasi invisibili dal fumo: solo il vento permetteva di intravvedere le macerie che un tempo erano state case. Gli arrivava ancora il crepitare degli spari. Per il resto la città era intatta, con i suoi tetti e i suoi muri bianchi incastrati in una ragnatela di strade, con i campanili che si stagliavano nel cielo come alberi di una nave, con il Palazzo Federale e la Torre di Guardia. Tutto era come nei suoi ricordi da bambino. La bellezza della baia era addirittura insolente.
Ma lui non aveva tempo per ammirarla, né tantomeno per pensare a Laura. L’attacco ai Twin Peaks si doveva svolgere in fretta, perché certamente la Centrale degli Espisti si sarebbe difesa.
Sul versante opposto alle due grosse gobbe, Speyer avanzava alla testa di metà dei Sassi Rotolanti. Yamaguchi giaceva sulla spiaggia trivellata dalle esplosioni e Mackenzie guidava di persona la rimanente metà. Attraversarono Portola, che presentava alla loro vista tutte le ville e le finestre sbarrate. I cavalli scalpitavano, i cannoni rombavano e cigolavano e si poteva sentire il battito degli stivali sull’asfalto e il tintinnio delle armi, nonché il respiro pesante dei soldati. I Corpi Antimalocchio fischiettavano contro i demoni. Ma su tutto quel frastuono imperava il silenzio. A Mackenzie venne da pensare a quella volta in cui si era trovato in un corridoio senza uscita. Anche se non si difenderanno, dobbiamo fare in fretta a prendere la Centrale, per evitare che i nostri nervi crollino, pensò stordito.
La strada prese a salire tortuosamente sulla destra e le case terminarono. Le colline erano coperte solo dall’erba incolta fino alla cima sulla quale sorgevano le costruzioni vietate ai non iniziati. Erano due grattacieli altissimi e iridescenti, simili a zampilli di fontane. Erano stati costruiti di notte, nel giro di poche settimane. Mackenzie sentì un suono simile a un gemito alle sue spalle.
— Trombettiere, suona la carica, immediatamente.
Come lo sberleffo di un bimbo, le note si persero subito nell’aria. Gli occhi di Mackenzie bruciavano per il sudore. Se avesse fallito… se fosse stato ucciso, non gli sarebbe importato… dopo tutto quello che era successo… ma i suoi uomini, i suoi uomini…
La strada venne inghiottita da una fiamma infernale. Un sibilo e un ruggito squassarono l’aria e l’asfalto comparve fuso e fumante. Mackenzie dovette forzare per far fermare il cavallo. È solo un modo per avvisarci. Ma se fossero in numero sufficiente si limiterebbero a questo?
— Artiglieria, sparate!
Gli obici e i ’75 motorizzati recuperati ad Alemany Gate risuonarono all’unisono e i proiettili, sibilando nell’aria come locomotive, andarono a colpire le mura. Il boato tornò indietro tuonando nel vento.
Mackenzie era in attesa dell’esplosione psi, ma non successe nulla. Possibile che avevano liquidato in così poco tempo l’ultimo baluardo di difesa? Quando il fumo si diradò, il colonnello poté vedere che i colori del grattacielo erano scomparsi e dagli squarci apertisi apparve un’intelaiatura incredibilmente debole.
Occorreva muoversi in fretta. Diede una serie di ordini e portò in avanti i fanti e i cavalleggeri. La batteria restò dove si trovava e continuò a sparare con una furia cieca. Quando le schegge in fiamme si propagarono all’intorno, l’erba inaridita prese fuoco. Mackenzie vide l’edificio disintegrarsi tra gli scoppi. Strisce intere della facciata rovesciarono a terra. La trama dell’edificio vibrò e, dopo l’ennesimo colpo, emise un suono metallico nell’agonia.
Ma cosa c’era all’interno?
Non c’erano locali separati, né piani. Solo macchine incomprensibili e qua e là una palla ardente come un piccolo sole. Una colonna lucente e pinnata, alta quasi come il palazzo, si ergeva assurdamente enorme e assurdamente bella.
È la loro astronave, pensò Mackenzie in quel fragore assordante. Certo, gli antichi avevano iniziato a costruire delle astronavi e siamo sempre stati convinti che un domani anche noi ci riusciremo. Ma questa…
Gli arcieri innalzarono un grido tribale che i fucilieri e i cavalleggeri riecheggiarono ebbri di gioia: era l’ululato di una belva inferocita. Per Satana, abbiamo vinto le stelle! Quando comparvero sulla cima della collina, gli artiglieri cessarono il fuoco e si misero anch’essi a gridare nel vento. Il fumo, pungente, aveva l’odore del sangue.
In mezzo alle macerie apparvero dei cadaveri vestiti d’azzurro, mentre una mezza dozzina di sopravvissuti si slanciò verso l’astronave. Una freccia li costrinse a fermarsi e diversi soldati si fecero avanti per farli prigionieri.
Mackenzie tirò le redini. Vicino a una macchina c’era qualcosa che non era un uomo. Aveva il sangue viola scuro. Quando lo vedranno gli altri per l’Ordine sarà la fine. Non riusciva a esultare. A St. Helena aveva capito che gli Espisti erano fondamentalmente buoni.
Ma non c’era tempo per i rimpianti, né per interrogarsi sulle difficoltà del futuro: gli uomini oramai si erano scatenati completamente. L’altro grattacielo era ancora illeso. Doveva rafforzare la sua posizione e in caso di necessità correre in aiuto di Phil.
Ma il minicom lo chiamò: — Raggiungimi, Jimbo. È finita. — Mackenzie non portò a termine il suo compito. Mentre cavalcava alla volta di Speyer una bandiera degli Stati del Pacifico venne issata sul pennone in cima al grattacielo.
All’entrata, le sentinelle erano agitate e impaurite. Mackenzie scese dal cavallo ed entrò. L’ingresso era una fantasmagoria di colori e di arcate, fra le quali gli uomini parevano goffi. Venne condotto da un caporale lungo un corridoio. Probabilmente quel palazzo era stato costruito per accogliere gli alloggi, gli uffici, i magazzini e altre cose meno comprensibili… Entrarono in un locale la cui porta era stata fatta saltare con la dinamite. Gli affreschi alle pareti erano ricoperti di fuliggine. Quattro soldati laceri tenevano sotto tiro i due esseri che Speyer cercava di interrogare.
Uno di essi era appoggiato a una specie di scrivania. Il volto da uccello era nascosto dalle mani a sette dita e le sue ali rudimentali erano squassate dai singhiozzi. Piangono anche loro?, si stupì Mackenzie. Improvvisamente ebbe l’impulso di stringere quell’essere tra le braccia e consolarlo.
Il suo compagno se ne stava in piedi in un abito di metallo filato e tessuto. Fissava Speyer con due enormi occhi di topazio da oltre due metri di altezza e parlava un inglese estremamente musicale.
— …una stella del gruppo G. È a circa cinquanta anni luce dalla Terra e da questo emisfero non è possibile vederla.
Il volto scarno e non rasato del maggiore si tese in avanti.
— Aspettate dei rinforzi?
— Non arriveranno navi per quasi un secolo, e comunque avranno a bordo solo personale. Siamo isolati da tutto e solo in pochi possono venire qui a lavorare, per creare un collegamento delle menti nell’universo…
— Già — accondiscese Speyer prosaicamente. — La velocità della luce. L’avevo immaginato… sempre che tu stia dicendo la verità.
L’essere rabbrividì.
— Cos’altro possiamo fare se non dire la verità e sperare nella vostra comprensione e nel vostro aiuto? Non sono neppure concepibili la vendetta e la violenza a distanze tanto immense. Noi operiamo sulla mente e sul cuore e siamo ancora in tempo. Gli elementi più importanti si possono ancora nascondere… oh, ascoltate, per amore delle generazioni future!
Speyer si voltò verso Mackenzie.
— Tutto bene? — domandò. — Qui ce ne sono molti, una ventina circa, e sono vivi. Questo è il loro capo. A quanto sembra sono gli unici su tutta la Terra.
— Era facile capire che non erano in tanti — rispose il colonnello, cinereo. — Quando tu e io ne abbiamo parlato e cercavamo di interpretare gli indizi a nostra disposizione. Se non fossero stati in pochi, sarebbero venuti allo scoperto.
— Ascoltatemi, vi prego — supplicò l’essere. — Siamo venuti guidati dall’amore. Volevamo solo orientarvi verso la pace e la piena realizzazione… È vero, ce ne saremmo avvantaggiati: avremmo acquisito un’altra razza con cui comunicare fraternamente. Ma non siete gli unici dell’universo, perciò lo facevamo soprattutto per voi, per alleggerirvi le sofferenze future.
— L’idea di programmare la storia non è vostra. L’abbiamo creata noi qui sulla Terra — grugnì Speyer. — L’ultima volta che abbiamo cercato di metterla in pratica siamo arrivati alle Bombe Infernali. Grazie, ma non ci interessa!
— Ma la Grande Scienza programma le cose con una certezza assoluta…
— Aveva previsto anche questo? — chiese Speyer mostrando con la mano la stanza annerita dal fumo.
— Vi possono essere delle fluttuazioni. Siamo troppo pochi per tenere d’occhio tanti selvaggi in ogni minimo particolare. Ma non è la vostra massima aspirazione quella di far finire per sempre la guerra? Ecco cosa vi offriamo in cambio del vostro aiuto.
— Eppure voi stessi avete scatenato una guerra terribile — commentò Speyer.
L’essere intrecciò le dita.
— È stato uno sbaglio, ma il piano non cambia, perché è l’unico modo per portarvi verso la pace. Io che ho girato vari soli mi prostrerò ai vostri piedi e vi scongiurerò…
— Fermo! — scattò Speyer. — Se vi foste presentati onestamente avremmo anche potuto darvi ascolto. Molti di noi lo avrebbero fatto. Ma avete cercato di fare il bene agendo con l’astuzia. Voi avevate deciso per il nostro meglio senza neppure interpellarci. Non ho mai visto una maggiore prepotenza!
L’essere sollevò il capo.
— Dite sempre tutta la verità ai vostri figli?
— Tutta quella che possono comprendere.
— La vostra cultura è tanto infantile, ancora, che non è in grado di ascoltare questa verità.