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Sulla soglia, Cal aveva un’aria così dolce e così giovane nel vestito verde, con i capelli pettinati a coda di cavallo, che Franz avrebbe voluto abbracciarla e baciarla. Ma si accorse che aveva ancora la sua aria distaccata e pensierosa del tipo “mi conservo intatta per Bach”, e si fermò.
Cal disse: — Ciao, caro. Ho dormito proprio dodici ore, come avevo minacciato orgogliosamente. Dio è misericordioso. Ti vanno, anche oggi, le uova? Per la verità è quasi ora di pranzo. Versati da solo il caffè.
— Non fai più esercizi, oggi? — chiese Franz, lanciando un’occhiata all’organo elettronico.
— Sì, ma non con quello. Nel pomeriggio suonerò tre o quattro ore con il clavicembalo del concerto.
Franz bevve il caffè con la panna e seguì la poesia del movimento di Cal, che, con aria sognante, rompeva le uova: un inconsapevole balletto di ovali bianchi e di polpastrelli sottili, un po’ appiattiti dai tasti. Si scoprì a paragonarla a Daisy e perfino alla sua Amante dello Studioso. Quest’ultima e Cal erano entrambe snelle, intellettuali, piuttosto taciturne, chiaramente toccate dalla Dea Bianca, sognanti ma disciplinate. Anche Daisy aveva avuto un tocco della Dea Bianca: poetessa, disciplinata anche lei, si era conservata altrettanto intatta… per un tumore al cervello. Franz si affrettò ad allontanare dalla mente il pensiero.
Ma l’aggettivo che si addiceva a Cal era sicuramente Bianca. Non era una Signora delle Tenebre, ma una Signora della Luce, e in eterna opposizione con l’altra: come lo Yang contro lo Yin, come Ormuzd contro Ahriman… Sì, nel nome di Robert Ingersoll!
E aveva davvero l’aria di una scolaretta, e la sua faccia era una maschera di gaia innocenza e di buon comportamento. Ma poi Franz ricordò la sua reazione al primo brano di un concerto. Lui le stava seduto vicino, un po’ da una parte, e così aveva potuto osservarla di profilo. Come per una magìa improvvisa, Cal era diventata una persona che prima lui non aveva mai visto, e che per un momento, non avrebbe più voluto rivedere. Aveva chinato il mento contro il collo, aveva dilatato le narici, il suo occhio era diventato onniveggente e spietato, le labbra si erano strette piegandosi quasi malignamente agli angoli, verso il basso, come una spietata maestra di scuola, ed era stato come se dicesse: “Adesso, statemi bene a sentire, voi archi e anche lei, signor Chopin. Cercate di suonare perfettamente, altrimenti io…!” Era la sua aria della giovane professionista.
— Mangiale finché sono calde — mormorò Cal, mettendogli davanti il piatto. — Ecco il toast. È già imburrato.
Dopo un po’, gli chiese: — Come hai dormito?
Lui le parlò delle stelle.
Cal commentò: — Sono lieta che tu creda in qualcosa.
— Sì, è vero, in un certo senso — dovette ammettere Franz. — San Copernico, almeno, e Isaac Newton.
— Mio padre imprecava anche su di loro — gli disse Cal. — Una volta, mi ricordo, addirittura su Einstein. Anch’io avevo incominciato a farlo, ma mia madre mi aveva dissuasa gentilmente. Secondo lei, era troppo da maschiaccio.
Franz sorrise. Non parlò delle letture di quel mattino né degli eventi del giorno prima: non gli sembravano argomenti adatti, per il momento.
Fu Cal a dire: — Mi è sembrato che Saul sia stato molto carino, ieri sera. Mi piace come flirta con Dorotea.
— Gli piace fingere di scandalizzarla.
— E a lei piace fingersi scandalizzata — confermò Cal. — Credo che le regalerò un ventaglio, per Natale, solo per avere la gioia di vedere come l’adopera. Però non so se mi fiderei di lasciare Saul da solo con Bonita.
— Chi, il nostro Saul? — chiese Franz, con uno stupore simulato solo in parte. Gli riaffiorò il ricordo, nitido e fastidioso, della risata che gli era parso di udire sulle scale, la mattina precedente: una risata viva, pruriginosa, con un sottinteso di sesso e di contatti fisici.
— La gente rivela sfumature di comportamento inaspettate — osservò lei, placida. — Tu sei pieno d’energia, questa mattina. Quasi invadente, ma ti fermi in considerazione del mio umore. Però, sotto sotto, sei pensieroso. Che progetti hai, per oggi?
Franz glieli disse.
— Mi sembra un buon programma. Ho sentito dire che la casa di Byers è una roba spaventosa. O forse intendevano dire che è esotica. E mi piacerebbe davvero sapere qualcosa di Rodi 607. Sai, sbirciare da dietro la spalla dell’“intrepido Cortez” e vedere la cosa, quello che è, “silenziosa su una vetta del Darien”. E scoprire la storia di questo palazzo, come si chiedeva Gunnar. Sarebbe affascinante. Bene, adesso dovrei prepararmi.
— Ci vediamo, prima del concerto? Ti accompagno io? — domandò Franz, alzandosi.
— No, non prima del concerto, credo — disse Cal, pensierosa. — Dopo. — Gli sorrise. — È un sollievo sapere che ci sarai. Fa’ attenzione, Franz.
— Fa’ attenzione anche tu, Cal.
— Quando ho un concerto, mi avvolgo tutta nella bambagia. No, aspetta.
Andò verso di lui, a testa alta, continuando a sorridere. Franz l’abbracciò, prima di baciarla. Cal aveva le labbra morbide e fresche.