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Quando una persona prendeva le droghe che le erano state prescritte, sperimentare antiche e primitive emozioni come il senso di colpa le era impossibile. Anche facendo qualche sbaglio nell’interpretare la ricetta, reazioni emotive di quel genere le restavano sconosciute. Ma proprio perciò, esser libero di sentire quella colpa verso una ragazzina che aveva bisogno di lui era qualcosa di prezioso per Bill. Quella sera lui, in tutto il mondo, era certamente l’unico individuo che si prendeva il lusso di provare una di quelle antiche emozioni. La gente era libera di sentire la vergogna, ma non la colpa; la vanità, ma non l’orgoglio; il piacere fisico, ma non la trepida sofferenza del desiderio. Ora che aveva smesso di prenderle, Bill si rendeva conto che le droghe permettevano di provare solo una povera frazione dell’intero vivido spettro emozionale.
Ma per quanto eccitante fosse viverle, le antiche emozioni non sembravano essere un deterrente per i comportamenti illegali. Il senso di colpa di Bill non gli impediva di continuare a trascurare Mary. La sua paura d’essere preso non lo tratteneva dall’infrangere la legge per amare Clara, la moglie del suo ipoego.
Si vestì il più in fretta possibile e gettò l’abito da ego-rotazione in uno scarico per la riutilizzazione della stoffa. Poi cominciò a ritoccarsi il trucco, nel tentativo di eliminare alcune contrazioni muscolari facenti parte dell’inespressiva faccia di Conrad più che della sua.
Quel gesto gli fece ricordare la vergogna provata da Helen quando aveva saputo, pochi anni prima, che la sua ipoego, Clara, e l’ipoego di lui, Conrad, avevano ottenuto dalla Sorveglianza Medica l’inconsueto permesso di sposarsi. Matrimoni di quel genere, nei quali i due corpi umani vivevano insieme in entrambi i turni di ego-rotazione, erano abbastanza rari e davano origine a maligni pettegolezzi. In realtà erano pericolosamente sull’orlo dell’antisociale, e potevano essere concessi soltanto se dopo innumerevoli test la Sorveglianza Medica decideva di ritenersi soddisfatta.
Forse era stata proprio la sciocca intensità con cui Helen s’era vergognata di quel matrimonio, il nauseante conformismo così tipico di lei a dare a Bill l’idea di conoscere Clara, la quale aveva osato invece sfidare le convenzioni per gettarsi in un matrimonio così peculiare. E in quegli anni Helen non aveva mai smesso di dar la colpa di tutti i loro guai al fatto che i loro due alter-ego abitavano e vivevano insieme.
Così Bill aveva cominciato a prendere le sue droghe in dosi sempre minori, perché la curiosità era diventata per lui ormai un’ossessione. Chi era mai l’altra personalità che divideva il corpo con Helen: quella Clara abbastanza anticonvenzionale da voler sposare proprio l’ipoego di Bill a dispetto dei pettegolezzi e delle malignità altrui?
La prima volta in cui aveva potuto vedere il volto di Clara era stato sullo schermo del visifono, il giorno in cui s’era deciso a costringere Conrad a un’ego-rotazione anticipata. Era molto più dolce di quello di Helen. I suoi lineamenti morbidi rivelavano meno forza di carattere ma più gioia di vivere.
— Lei è Clara Manz? — le aveva chiesto Bill, e per qualche secondo non aveva potuto far altro che fissare lo schermo, incapace di parlare, mentre sul suo volto, ne era stato certo, si poteva leggere la paura che lei facesse immediatamente rapporto alla Sorveglianza Medica.
Guardandola aveva visto il sospetto, e poi la certezza, crescere nella tenera curva delle sue labbra e nella luce strana che lo sguardo di lei aveva assunto. Clara non aveva detto parola.
— Signora Manz — aveva infine osato lui, — vorrei che mi permettesse di parlarle. Nel parco che c’è vicino a casa sua.
Ed era stato il goffo imbarazzo del suo tono a dargli, per la prima volta, la gioia di sentire la risata di Clara. Una risata calda, franca, che l’aveva confuso come se d’un tratto si fosse trovato in mezzo a uno stormo di farfalle.
— Perché nel parco? Non vuole venire a casa mia per paura che mio marito possa sorprenderci insieme?
Bill era stato messo subito a suo agio da quella battuta, e ancor più dal fatto che Clara sapeva chi era e non si tirava indietro da una situazione anomala e sconcertante. Ma letteralmente, l’unica persona al mondo che non avrebbe potuto sorprenderli insieme, come dicevano gli antichi, era il suo ipoego Conrad Manz.
Bill finì di ritoccarsi il make-up e s’avvio in fretta alla porta. Ma stavolta, mentre il suo sguardo tornava alla poco allegra cenetta di Mary, decise di scriverle qualcosa tanto per informarla che non s’era dimenticato di lei. La nota che lasciò sul tavolo diceva che usciva per un lavoro urgente alla biblioteca in cui lavorava.
Stava per andarsene quando il visifono squillò. E lui fu così distratto da premere il pulsante di ascolto prima di riflettere. Soltanto con un drammatico attimo di ritardo la sua mano si raggelò, mentre le implicazioni di quell’atto lo facevano rabbrividire di spavento: a quell’ora, e per un’ora ancora, lui non avrebbe dovuto essere di turno.
Ma la faccia che comparve sullo schermo non era quella di un sorvegliante medico. La donna si presentò come la signora Harris, una delle insegnanti di Mary.
Strano che la Harris avesse pensato di poterlo trovare a casa. Il turno di ego-rotazione dei bambini era anticipato di mezza giornata rispetto a quello degli adulti, in modo che i genitori avessero il resto del giorno libero. Quel pomeriggio era stato per Mary il primo giorno scolastico del suo turno, ma l’insegnante doveva aver intuito che nello schema di ego-rotazione della sua famiglia qualcosa non andava. O era stata Mary stessa a dirglielo?
La signora Harris gli spiegò con accenti drammatici che Mary si sentiva trascurata. Cos’avrebbe potuto dirle? Che era un criminale e che ignorava le droghe nel modo più flagrante? Che per lui nessuno, neppure la figlia, contava quanto la moglie del suo ipoego? Bill riabbassò l’interruttore mettendo fine a quella conversazione inutile e forse anche pericolosa, e uscì di casa.
Capiva adesso che per lui e Clara i momenti migliori erano stati i primi che avevano trascorso insieme. Il timore snervante della Sorveglianza Medica annichiliva il piacere che traevano dal reciproco contatto, ed ora si cercavano quasi per disperazione perché dopo avere assaporato l’inebriante anticonformismo di quell’intimità senza droghe per loro non esisteva nient’altro. Anche in quel momento, guidando nel traffico verso il luogo dove lei era solita aspettarlo, a preoccuparlo non era tanto il pensiero d’incontrare Clara in un presente ormai avvelenato dalla paura quanto il ricordo di ciò che erano stati i loro appuntamenti passati.
Gli tornò a mente la sera d’estate in cui s’erano sdraiati sull’erba del parco a contare le stelle che comparivano nel cielo ancora chiaro. Era stato nel periodo in cui Clara aveva cominciato a imitarlo nel prendere sempre meno droghe, e il nitido ricordo dei suoi sorrisi spensierati gli strinse il cuore al punto che per poco non tamponò un’altra auto pubblica.
Con l’immaginazione tornò a baciarla come aveva fatto allora, mentre l’odore dell’erba appena tagliata si mescolava all’eccitante profumo della sua pelle. Dopo il bacio avevano ripreso la discussione scherzosa che stavano facendo su quell’antica parola: peccato. Bill aveva cercato di spiegargliene il significato in modo buffo, talora con definizioni che li facevano ridere entrambi talaltra con l’esempio, smorzando le risate di lei con la sua bocca.
Gli sembrò di rivedere il modo in cui lei s’era poi voltata a fissarlo, parodiando un pruriginoso interesse. — Capisci che roba? — le aveva detto. — Secondo gli antichi noi non potremmo essere peccatori, perché nessuno di loro ammetterebbe mai che tu ed Helen siete due persone diverse, o che io e Conrad non siamo lo stesso individuo.
Clara l’aveva baciato in modo diverso, sperimentale. — Mmmh! No, non sarei d’accordo con la loro interpretazione.
— Dunque preferisci essere una peccatrice?
— Definitivamente sì.
— Be’, se gli antichi fossero d’accordò con la Sorveglianza Medica che noi siamo diversi dai nostri alter-ego, Helen e Conrad, anch’essi direbbero che viviamo nel peccato… ma non per la stessa ragione.
— È qui che continuo a confondermi — aveva dichiarato Clara. — Se questa faccenda del peccato ha un qualche pregio, deve pur essere qualcosa che uno possa identificare chiaramente.
Bill uscì dalla corrente principale del traffico e svoltò verso il parco, senza interrompere quel flusso di ricordi.
— Be’, tesoro — aveva detto, — non voglio confonderti. Ma la Sorveglianza Medica direbbe che siamo peccatori solo perché tu sei l’ipoego di mia moglie e io l’iperego di tuo marito… in altre parole proprio per la ragione che gli antichi userebbero per affermare che non siamo peccatori. Se invece tu ed io facessimo l’amore con chiunque altro, la Sorveglianza Medica ci darebbe la sua benedizione, e così Conrad e Helen. A patto, naturalmente, che io mi mettessi con una iperego e tu solo con un ipoego.
— Naturalmente — aveva detto Clara, e lui aveva ignorato il suo sospiro malinconico.
— Gli antichi, d’altra parte, direbbero che facciamo all’amore in modo peccaminoso perché non siamo sposati fra noi.
— E che c’è di male in questo? Tutti lo fanno.
— Gli antichi Moderni non lo facevano. Ovvero, talvolta lo facevano, però…
Clara gli aveva mordicchiato un labbro. — Caro, credo proprio che l’idea degli antichi Moderni fosse buona; anche se non capisco come ci fossero arrivati.
Bill aveva sogghignato: — Era solo una delle loro invenzioni, come la ruota e l’energia atomica.
Il tramonto era passato da un pezzo quando Bill fermò la piccola auto pubblica presso il parco e la lasciò lì per chi altro avrebbe voluto usarla. Poi s’incamminò sul prato verso la statua sotto la quale lui e Clara erano soliti incontrarsi. Il solo pensiero d’entrare nella casa del suo ipoego gli riusciva ancora così intollerabile che dopo il primo appuntamento gli sembrava d’essere libero soltanto lì nel parco. Ma procedendo fra gli alberi non fu capace di trovare nulla dell’atmosfera che avevano respirato in quelle sere lontane. La Sorveglianza Medica incombeva su di loro: impossibile ormai riderci sopra.
Quando Bill arrivò sotto la statua Clara non c’era. Impaziente si aggirò avanti e indietro, mentre fra i rami degli alberi annosi si coaugulavano gli ultimi lividi grigiori del crepuscolo. Clara avrebbe dovuto essere lì da un pezzo. La cosa era più facile per lei, visto che quello era il suo turno e non aveva necessità d’anticipare la rotazione.
Appartato dalla confusione del traffico serale, il parco era un’oasi d’oscurità e di quiete al centro della città. Ma le luci dei viali facevano sentire Bill esposto e vulnerabile. E soprattutto provava un nuovo genere di solitudine, un brivido freddo che, ne era certo, colpiva anche Clara. E più che mai, ora che la paura li faceva sentire disperati e in pericolo, avevano bisogno l’uno dell’altra.
Nessuno dei due prendeva le droghe obbligatorie: un reato per cui sarebbero stati terribilmente puniti. Era questo l’imperdonabile supremo peccato del loro mondo. E nel compiere un atto che aveva mostrato loro cosa poteva essere la vera vita, avevano corso il rischio di perderla del tutto. Le emozioni forti che avevano scoperto in abbondanza semplicemente rifiutando le droghe erano divenute ancor più intense nei loro brevi incontri quando, a intervalli di cinque giorni, assaporavano il pericolo rompendo tutte le convenzioni. E più aumentava la terribile consapevolezza che sarebbero stati smascherati, più avevano bisogno anche della loro stessa paura, del brivido che li teneva in vita. Ma la dolcezza dei loro primi incontri era un’emozione che non esisteva più.
Un volatile notturno telegrafò i suoi pigolii attraversando il fosco pallore del cielo verso la statua, e svolazzò qua e là intorno al basamento. I suoi versi raddoppiarono d’intensità e poi tacquero, mentre evitava Bill con una spericolata deviazione. Dopo un poco, dall’altra parte del parco gli indirizzò uno squittio di protesta.
La statua che torreggiava su Bill era quella del grande Alfred Morris, nera contro il firmamento. I vuoti occhi di granito abbassavano verso di lui uno sguardo tenebroso e indecifrabile… l’antica e implacabile faccia della Sorveglianza Medica. Come a sottolineare una sentenza che gli arrivava da secoli di distanza, l’ombra di un ramo fronzuto danzava sulla targa metallica da cui un lontano lampione strappava riflessi aurei.
In questo luogo, nell’anno gregoriano 1996, Alfred Morris annunciò a coloro che erano sopravvissuti alla guerra la scoperta del Talamblok. Le sue parole furono: «La nuova droga blocca all’altezza del talamo gli stimoli inconsci in entrata e le motivazioni inconscie in uscite. Agisce come uno schermo fra il cervello ed il meccanismo di catarsi psicosomatica. Usando il Talamblok noi non agiremo più emotivamente: le nostre azioni saranno soltanto la risposta logica alle necessità della situazione».
Questo annuncio e la successiva marcia armata dei Sostenitori della Pace condussero all’uso obbligatorio del Talamblok. Esso mise termine al terribile potere nocivo dell’Inconscio sulle azioni pubbliche e private del mondo antico. Le grandi guerre paranoiche ebbero così termine, e l’umanità fu salva.
Negli strani giochi d’ombra dei lampioni quelle lettere sembravano prendere vita: una condanna vecchia di secoli ma sempre pronta ad abbattersi su coloro che avessero voluto riportare il mondo agli antichi giorni pre-droghe. Ma naturalmente tornare indietro era impossibile: senza le droghe, gli individui e l’intera società sarebbero andati in pezzi.
Gli antichi avevano dapprima imparato a tenere in vita chi, come i diabetici, aveva un’anomala attività endocrina. Più tardi avevano scoperto altre droghe con cui curare la malattia più comune, la schizofrenia, che stava riempiendo i loro ospedali. Il vero mutamento era però avvenuto quando avevano usato quelle stesse droghe su tutti, per mettere freno al comportamento irrazionale pubblico e privato dei loro tempi ed eliminare le guerre.
In quel mondo nuovo lo schizofrenico aveva dunque cominciato a vivere meglio, finché la società s’era regolata del tutto sulle sue necessità. Ma, così come il diabetico restava sempre un diabetico, lo schizofrenico era sempre uno schizofrenico, più le sue droghe. E pian piano tutti avevano dimenticato che le sostanze chimiche avevano anche un altro effetto: le esperienze emozionali erano blande e annacquate, e la consapevolezza di sé esisteva solo a livello razionale, perché nessuno provava più vere sensazioni viscerali e brucianti.
Quanto sarebbe stato inconcepibile, per Helen e l’altra gente di quel mondo, dare un taglio alle droghe… sperimentare i conflitti emotivi, le battaglie fra la passione e la logica che spezzavano l’anima di un individuo! Sobrietà, la chiamavano gli antichi, e anch’essi vìvevano sobri per la più parte del tempo, lasciandosi occasionalmente andare agli stordimenti dell’alcol o dei narcotici per attenuare le loro croniche angosce.
Riducendo al minimo le loro dosi di Talamblok lui e Clara riuscivano a desiderare il loro fantastico rapporto, a goderselo anche, in una situazione del tutto illogica mai sperimentata nella loro società. Ma la società avrebbe condannato il loro rifiuto del Talamblok in ogni senso. E quale peso avrebbe assunto quella condanna lui poteva leggerlo dietro quella frase: Le grandi guerre paranoiche ebbero così termine, e l’umanità fu salva.
Quando finalmente vide Clara, la giovane donna si stava guardando attorno con aria un po’ stordita sull’altro lato della statua. Non la chiamò subito, lasciando che la vista di lei placasse le tensioni e i conflitti che lo attanagliavano. L’incertezza del suo procedere, il modo in cui lo cercava con lo sguardo avanzando come una tragica bambola su un palcoscenico di tenebra ostile avevano qualcosa di toccante. D’improvviso Bill capì cos’erano lui e Clara: due marionette. Appesi ai fili della loro nuova vita emozionale correvano qua e là, sbattendo contro le quinte di un palcoscenico spietato e senza fuga, finché non sarebbe rimasto loro altro che abbattersi al suolo e tornare a essere inerti pezzi di legno e stoffa.