— Va bene.
Tornò a letto e si avvolse nelle coperte, voltandogli la schiena. Non voleva che si accorgesse di quanto fosse vicina alle lacrime.
Ma quella sensazione passò. La tensione svanì, e lei si sentì meglio. Pensò di avere vinto una battaglia, e ne era valsa la pena. Jules non le avrebbe tenuto il broncio.
Si addormentò facilmente, ma durante la notte si alzò parecchie volte quando Jules si rivoltava nel letto.
Jules dovette adattarsi. Gli fu impossibile ammetterlo subito, ma dopo una settimana senza fare l’amore riconobbe con riluttanza che lei aveva un bell’aspetto. Ricominciò a toccarla la mattina e quando si baciavano al ritorno dal lavoro. Jules aveva sempre ammirato il suo corpo longilineo, le braccia e le gambe da atleta. Il torace snello le stava così bene, era talmente in armonia col resto del suo corpo che lui cominciò a chiedersi perché avesse fatto tante storie.
Una sera, mentre lavavano i piatti della cena, per la prima volta dopo una settimana Jules le sfiorò i capezzoli. Le chiese se avvertiva qualche differenza.
— Nessuna sensazione particolare, tranne che ai capezzoli — fece notare, — non importa quanto una donna sia grassa. Lo sai.
— Sì, credo di sì.
Sapeva che quella notte avrebbe fatto l’amore, ed era decisa a farlo alle sue condizioni.
Rimase in bagno a lungo, lasciando che Jules terminasse di leggere, poi uscì e mise il libro da una parte. In un attimo fu sopra di lui, premendo delicatamente con il suo corpo, baciandolo e solleticandogli i capezzoli con le dita.
Era aggressiva ed insistente. Sulle prime lui parve riluttante, ma ben presto cominciò a rispondere alle effusioni, quando lei premette le labbra sulle sue, facendogli affondare la testa nel cuscino.
— Ti amo — disse Jules, sollevando la testa per baciarle il naso. — Sei pronta?
— Sì. — La abbracciò e la tenne stretta, poi si girò passando sopra di lei.
— Jules. Jules. Fermati. — Si divincolò verso il suo lato del letto, le gambe serrate.
— Che c’è che non va?
— Questa notte voglio stare io sopra.
— Oh. D’accordo. — Si girò di nuovo e si distese passivamente mentre lei si rimise in posizione. Il cuore le batteva forte. Non c’era stato alcun motivo di credere che lui si sarebbe rifiutato… Avevano fatto l’amore in tutte le posizioni ma, in sostanza, le più esotiche costituivano una variazione di quella «naturale», cioè con lei distesa sulla schiena. Quella sera lei voleva assumere il controllo.
— Apri le gambe, tesoro — disse con un sorriso. Lui obbedì, ma non le restituì il sorriso. Si sollevò sulle mani e sulle ginocchia e si preparò per l’elaborata penetrazione.
— Cleo.
— Che c’è? Sarà un po’ più impegnativo, ma credo che non ti darò motivo di pentirtene, perciò se tu soltanto…
— Cleo, vuoi spiegarmene la ragione? — Lei si fermò improvvisamente, abbassando la testa con un sospiro.
— Quale è il problema? Ti senti stupido con le gambe in aria?
— Può darsi. È questo che vuoi?
— Jules, l’ultima cosa che desidero è proprio quella di umiliarti.
— Che cosa avevi in mente allora? Le altre volte non l’abbiamo mai fatto in questo modo. È…
— Solo quando tu decidi di farlo così. Dipende sempre da te.
— Non è umiliante stare sotto.
— E allora perché ti senti stupido?
Lui non rispose. Cleo si sollevò da lui e si inginocchiò ai suoi piedi. Rimase in attesa, ma non sembrava che lui volesse parlarne.
— Non mi sono mai lamentata di quella posizione — azzardò. — Non ho nessuna critica. Funziona piuttosto bene. — Jules rimase in silenzio. — E va bene. Volevo vedere come si sta di sopra. Ero stufa di guardare il soffitto. Ero curiosa.
— Ecco perché mi sono sentito stupido. Non mi è mai importato che tu stessi sopra, no? Ma prima… non sussistevano le circostanze di queste ultime due settimane. Io so cosa ti passa per la testa.
— E tu ne sei spaventato. Perché il cambiamento mi incuriosisce, perché voglio sapere che cosa significa prendere l’iniziativa. Sai che non posso costringerti a cambiare, e non lo farei neppure se potessi.
— Ma la tua curiosità sta mettendo in pericolo il nostro matrimonio.
Fu di nuovo sul punto di piangere, ma non lo diede a vedere, se non attraverso il tremolio del labbro inferiore. Non voleva che lui ci provasse e la tranquillizzasse; sarebbe stato fin troppo facile, e avrebbe finito per trovarsi distesa sulla schiena e con le gambe in aria. Guardò il letto e annuì lentamente, quindi si alzò. Andò davanti allo specchio, e cominciò a passare la spazzola tra i capelli.
— Che stai facendo ora? Non possiamo discuterne?
— Adesso non me la sento proprio di parlarne. — Continuando a pettinarsi, si chinò in avanti e si osservò il viso, quindi si passò un fazzolettino agli angoli degli occhi. — Io esco. Sono ancora curiosa.
Jules non disse nulla mentre lei si diresse verso la porta.
— Potrei fare un po’ tardi.
Il posto si chiamava Oophyte. Sotto la «O» maiuscola era tracciato un più, mentre in alto sul lato destro, c’era una freccia. L’insegna era disposta in modo che i simboli ruotassero su se stessi; il più e la freccia si alternavano all’interno della «O».
Cleo attraversò l’affollata sala da ballo immersa in una piacevole nebbiolina, fermandosi ogni tanto ad aspirare una boccata di fumo dal suo spinello. L’aria della sala era appesantita dal fumo di lavanda, illuminata da lampeggianti luci blu. Quando si sentì dell’umore adatto, cominciò a ballare. La musica era così assordante che non le costò alcuna fatica. Il rumore le penetrò nelle ossa e animò spontaneamente le gambe e le braccia. Scivolò attraverso una foresta di pelle nuda, avvertendo ogni tanto la ruvidità di un abito di carta e, più raramente, di costosi indumenti di cotone. Era come muoversi sott’acqua, come avanzare nella melassa.
Lo vide dall’altra parte della pedana di ballo e cominciò a muoversi nella sua direzione. Per un po’ lui fece finta di niente, anche se lei gli ballava proprio di fronte. Pochi di quelli che ballavano avevano un partner che non fosse occasionale. Alcuni esprimevano gioia di vivere, altri si mettevano in mostra, ma tutti erano in cerca di un partner: così alla fine lui si accorse che quella donna gli stava vicino da troppo tempo. Lui rimase colpito quanto lei.
Lei gli disse ciò che desiderava.
— Certo. Dove vuoi andare? Da te?
Passando per la sala da ballo lo condusse sul retro e col suo braccialetto di credito sfiorò la serratura di una delle porte. La stanza era modesta, ma pulita.
Una parte della sua mente pensò che l’uomo sembrava il suo fantasmatico gemello riflesso nello specchio. Forse era quello il motivo per cui l’aveva scelto. Lo abbracciò e lo spinse gentilmente sul letto.
— Vuoi che ci presentiamo? — chiese lui. Il largo sorriso sul suo volto si fece più sciocco mentre lei cominciò a prendere l’iniziativa.
— Non m’importa. Voglio soprattutto servirmi di te.
— Fai pure, allora. Mi chiamo Zafferano.
— Io sono Cleopatra. Ti vuoi sdraiare, per favore?