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La situazione divenne tesa quando Paul espresse dei dubbi su come si sarebbe sentito se sua madre avesse deciso di diventare un uomo. Jules si rabbuiò e non le rivolse la parola per giorni interi. Quando riprese a parlare, cosa che spesso avveniva nel cuore della notte, quando nessuno dei due riusciva a dormire, lo fece aggredendola verbalmente, con un tono violento che non aveva mai usato prima d’ora.
Lei era spaventata, perché non era per niente sicura di come Paul avrebbe reagito. Lo avrebbe sconvolto? Jules parlava di crisi di identità a livello sessuale, della necessità di precisi modelli di ruolo e, in tutta sincerità, della paura che suo figlio potesse crescere in modo meno mascolino.
Cleo non lo sapeva, ma vi rifletté per parecchie notti, piangendo fino ad addormentarsi. Avevano letto degli articoli sull’argomento, e scoprirono che gli psicologi erano divisi. I tradizionalisti insistevano molto sull’importanza dei ruoli sessuali, mentre i changer ritenevano che tali ruoli fossero importanti solo per coloro che ne erano prigionieri; infrangendo la barriera del sesso, il concetto di ruolo era inutile.
E infine venne il giorno in cui il clone fu pronto. Cleo non sapeva ancora cos’avrebbe dovuto fare.
— Va meglio, ora? Faccia un cenno con la testa se non può parlare.
— Cos…
— Si rilassi. È tutto finito. Sarà in grado di camminare entro pochi minuti. La accompagneremo a casa. Si sentirà come ubriaca per qualche istante, ma nel suo organismo non ci sono droghe.
— Cos’è… successo?
— È tutto a posto. Si tranquillizzi.
Cleo obbedì, raggomitolandosi. Alla fine, cominciò a ridere.
Ubriaca non era la parola giusta. Si sdraiò sul letto e provò ad esercitarsi coi pronomi. Lui era disteso sulla schiena, lui teneva le mani in grembo. Ridacchiò e cominciò a rotolarsi sul letto, finché alla fine cadde sul pavimento in preda a una crisi isterica.
Sollevò la testa.
— Sei tu, Jules?
— Sì, sono io. — Aiutò Cleo a rimettersi sul letto, poi si sedette sul bordo, non troppo vicino ma neppure lontano dalla portata di Cleo. — Come ti senti?
Sbuffò. — Ubriaco fradicio. — Socchiuse gli occhi e si sforzò di mettere a fuoco Jules. — Ora mi dovrai chiamare Leo. Cleo è un nome da donna. Non avresti dovuto chiamarmi Cleo.
— D’accordo. Comunque non ti ho chiamato Cleo.
— No? Sei sicuro?
— Sicurissimo che non l’avrei mai detto.
— Oh. Va bene. — Sollevò la testa ed ebbe un istante di smarrimento. — Vuoi saperlo? Sto per vomitare.
Un’ora dopo Leo stava molto meglio. Sedeva con Jules in soggiorno, entrambi accomodati sui grandi cuscini che costituivano l’unico arredo.
Per un po’ conversarono del più e del meno, alternando lunghi silenzi. Leo non era ancora abituato al suono della sua nuova voce, più di quanto lo fosse Jules.
— Bene — fece infine Jules, battendo le mani sulle ginocchia e alzandosi in piedi. — A questo punto non riesco proprio a immaginare quali siano i tuoi progetti. Questa sera vuoi uscire? Sai cosa vuol dire trovarsi una donna?
Leo scosse il capo. — L’ho provato non appena sono tornato a casa — disse. — L’orgasmo maschile, intendo.
— Come ti è sembrato?
Rise. — Dovresti saperlo ormai.
— No, intendevo dire dopo essere stata donna.
— So che vuoi dire. — Scrollò le spalle. — L’erezione è interessante. Di dimensioni molto maggiori di quella a cui ero abituata. D’altra parte… — si accigliò per un attimo. — Parecchie somiglianze. Alcune differenze. È più localizzata. Più confusa.
— Um. — Jules distolse lo sguardo, studiando il caminetto elettrico come se lo vedesse per la prima volta. — Hai intenzione di cambiare camera? Sai che non è necessario. Potremmo fare qualche spostamento. Io posso mettermi con Paul, oppure possiamo sistemarlo nella mia… nella nostra vecchia camera. Tu potresti metterti nella sua. — Si allontanò da Leo e si coprì il volto con una mano.
Leo avrebbe voluto alzarsi per confortarlo, ma capì che sarebbe stato veramente uno sbaglio. Lasciò che Jules riprendesse da solo il controllo.
— Mi piacerebbe continuare a dormire con te, se me lo permetterai.
Jules non disse nulla e non si voltò.
— Jules, io sono assolutamente disposto a fare qualunque cosa possa metterti a tuo agio. Ma non deve trattarsi del sesso. Altrimenti sarò felice di fare come nell’ultimo periodo della gravidanza. Tu non dovresti fare assolutamente nulla.
— Niente sesso — disse.
— Benissimo. Jules, mi sento terribilmente stanco. Sei pronto per andare a letto?
Ci fu un lungo silenzio, poi Jules si voltò ed annuì.
Erano tranquillamente sdraiati fianco a fianco, senza toccarsi. Le luci erano spente; Leo poteva scorgere a stento la sagoma di Jules.
Parecchio tempo dopo Jules si girò dalla sua parte.
— Cleo, sei lì? Mi ami ancora?
— Sono qui — disse. — Ti amo. Ti amerò sempre.
Jules ebbe un sobbalzo quando Leo lo sfiorò, ma non si oppose. Cominciò a piangere, e Leo lo tenne stretto. Si addormentarono l’uno nelle braccia dell’altro.
L’Oophythe era affollato e rumoroso come sempre. A Leo fece venire il mal di testa.
Il posto non gli piaceva più di quanto fosse piaciuto a Cleo, ma era l’unico locale nel quale si potevano trovare subito e con facilità dei partner per fare l’amore, senza complicazioni sentimentali o lunghi processi di seduzione. Lì ognuno era disponibile; bastava solo chiedere. Si offrivano a vicenda per prestazioni sessuali che sfioravano la masturbazione, e ne erano consapevoli, ma l’atteggiamento era molto semplice, o lo accettavi o era perfettamente inutile venire qui. C’erano molti altri posti per le avventure sentimentali e le relazioni serie.
Di solito Leo non approvava tutto ciò, almeno per ciò che lo riguardava, perché non gli importava niente di come gli altri volessero divertirsi. Preferiva conoscere le persone che si portava a letto.
Ma quella sera era lì per imparare. Sentiva di aver bisogno di esperienza. Non si accontentava di sapere come avrebbe dovuto fare solo perché prima era stato una donna e quindi sapeva che cosa piaceva loro. Voleva sapere come la gente si comportava con lui, adesso che era un maschio.
Andò bene. Avvicinò tre donne, e per tre volte non fu respinto. Con la prima fu un disastro — ecco cosa significa «troppo presto!» — e lei si mostrò piuttosto indignata finché non gli spiegò la sua situazione. Dopodiché lei si dimostrò disponibile e comprensiva.
Era sul punto di andarsene quando venne abbordato da una donna che disse di chiamarsi Lynx. Era stanco, ma decise di andare con lei.
Dopo dieci, frustranti minuti lei si mise a sedere sul letto e si scostò da lui. — Che cosa sei venuto a fare qui, se questo è tutto l’interesse che riesci a dimostrare? E non dire che è colpa mia.
— Mi dispiace — disse. — Mi sono dimenticato. Credevo che… non mi rendevo conto di dover veramente provare un desiderio, prima della prestazione.
— Prestazione? È una definizione davvero originale.