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Erba!
Milioni di miglia quadrate di erba; innumerevoli ondate immani di erbe sferzate dal vento, mille mari di erba soleggiata, cento oceani ondeggianti, e ogni onda uno scintillio scarlatto o ambrato, smeraldino o turchese; e striature e chiazze multicolori tremanti sulle praterie come arcobaleni. Alte o basse, lanceolate o pennate, le erbe compongono geografie sempre mutevoli: torreggianti colline d’erbe più alte di dieci uomini; valli d’erba dove i prati sono morbidi come muschio sotto i piedi, e le ragazze posano il capo pensando ai loro innamorati, e i mariti giacciono a pensare alle loro amanti; boschi d’erbe dove i vecchi siedono in silenzio sul finir del giorno a sognare di tutto quello che potrebbe essere, o di quello che forse un tempo è stato. Ma soltanto i plebei, naturalmente: nessun aristocratico siederebbe mai nell’erba selvatica a sognare: per questo, ammesso che talvolta sognino, gli aristocratici hanno i loro giardini.
Erba.
Colli rubino, monti sanguigni, radure dalle infinite sfumature; e mari d’erba di zaffiro con cupe isole d’erba sormontate da grandi pennacchi verdi che sembrano alberi e sono invece erbe; e prati sconfinati di fieno argenteo in cui vagano i grandi erbivori lasciando, come mietitrici, scie di corte stoppie, dove presto ricrescono i flutti argentei di una selvaggia vegetazione lussureggiante, priva di sentieri.
E ancora monti arancioni che ardono nel tramonto, distese color albicocca splendenti nell’alba, stami sfavillanti come stelle di lustrini, fiori simili ai fragili pizzi che le vecchie prendono dai bauli per mostrarli alle nipoti:
— Ecco un pizzo fatto dalle monache tanto tempo fa.
— Cosa sono le monache, nonna?
I villaggi, cinti di mura per non essere sommersi dalle erbe, sono sparsi ed isolati nelle praterie sterminate, con case piccole, dalle mura spesse, le porte robuste, le imposte solide. Nei piccoli campi e negli orti minuscoli, cereali, ortaggi e frutta crescono rigogliosi, mentre l’erba ondeggia fuori dalle mura, simile ad un uccello che batte le ali, immenso, tanto grande quanto il pianeta, pronto a curvarsi a divorare tutto, fino all’ultima mela, l’ultima rapa, e persino l’ultima vecchia che attinge acqua al pozzo; insieme ai suoi nipoti.
— Questa, bambina mia, è una pastinaca di molto tempo fa.
— Quanto tempo fa, nonna?
Le estancia degli aristocratici sono sparse ed isolate come i villaggi: quella dei bon Damfels, quella dei bon Maukerden, e quelle di tutti gli altri bon: alte case dai tetti d’erba, in giardini d’erba, tra fontane d’erba e cortili d’erba, cinte da alte mura in cui si aprono i cancelli per i quali i cacciatori escono e rientrano. Quelli che tornano.
E sparsi ad annusare fra l’erba arriveranno i veltri, arricciando i musi, con le orecchie pendule, a passo lento, per stanare la creatura, la belva inevitabile, l’orrore notturno, la divoratrice di cuccioli. E poi, al seguito dei veltri, sulle alte cavalcature, giungeranno i cavalieri in giacca rossa, silenziosi come ombre, cavalcando, cavalcando nell’erba: il capocaccia col corno; i bracchieri con le fruste; e la comitiva dei cacciatori, alcuni in giacca rossa, altri in giacca nera, coi cappelli neri ben calcati, e gli occhi fissi innanzi, verso i veltri, cavalcando, cavalcando.
Con loro, oggi, correrà la giovane Diamante bon Damfels, detta Dimity, con gli occhi serrati per non vedere i veltri, le mani così strette intorno alle redini da sbiancare le nocche, il collo esile come uno stelo nel bianco fiocco da caccia, i lustri stivali neri, la giacca nera ben spazzolata, il cappello nero sulla testa piccola: così, per la prima volta nella sua vita, cavalcherà al seguito della muta.
E lontano, chissà dove, nella direzione seguita dai cacciatori, e forse tra i rami di un albero, giacché vi sono boschetti sparsi nelle vaste praterie, si nasconderà la volpe, la possente volpe implacabile: la volpe, la quale sa che i cacciatori arriveranno.