125675.fb2 Pianeta di caccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 10

Pianeta di caccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 10

10

Alle rovine, frate Mainoa spiegò a Rillibee quello che si sapeva sugli Arbai, passeggiando con lui per le strade riportate alla luce, tra le facciate e i portali delle case, splendidamente decorati con formelle a bassorilievo incorniciate da fregi con gli ornati a forma di viticci, che raffiguravano gli Arbai intenti a trastullarsi fra alberi da frutta e rampicanti.

— Suppongo che questi bassorilievi non ritraggano gli Arbai all’epoca in cui vivevano su Grass — osservò Rillibee. — Qui, infatti, non esistono rampicanti del genere.

Mainoa scosse la testa: — Nelle praterie no, ma nella foresta palustre sì. Quasi tutto quello che si vede scolpito su queste formelle si può trovare da qualche parte, su Grass: i veltri e gli Hippae, le rane e le volpi, gli alberi di varie specie, le frutta e le foglie, i festoni di rampicanti su cui si posano gli uccelli. In particolare, gli alberi sono raffigurati con una tale precisione che si possono identificare facilmente.

— Dove crescono gli alberi? — chiese subito frate Lourai.

— Nella foresta palustre, ragazzo. Ma vi sono anche boschetti sparsi nella prateria: posso mostrartene uno a meno di mezzo miglio da qui.

— Alberi! — sospirò frate Lourai.

— Migliaia e migliaia di formelle rappresentano gli Arbai intenti a compiere varie attività — proseguì frate Mainoa. — I rilievi delle facciate raffigurano i divertimenti, e quelli delle ante raffigurano le cerimonie. O almeno, così supponiamo noi, giacché nelle une gli Arbai sorridono, e nelle altre no.

— E quello sarebbe un sorriso? — chiese frate Lourai, dubbioso, fissando un volto alieno.

— Be’, si tratta della nostra interpretazione, tenendo conto del tipo di zanne che avevano gli Arbai. Gli studiosi più prestigiosi hanno tratto dagli archivi le immagini di creature di ogni genere ritratte nei momenti in cui esprimevano contentezza o gioia, le hanno comparate con le figure nei rilievi delle facciate, e sono giunti alla conclusione che sorridono. Invece, gli Arbai nelle formelle delle ante sono serissimi, come se fossero impegnati a compiere attività molto importanti.

Nell’osservare il bassorilievo di una processione arbai, incorniciato da un fregio a viticci e scolpito su una porzione di anta perfettamente conservata, frate Lourai non ebbe dubbi sulla solennità estrema di quei volti: — Non vedo iscrizioni di nessun genere.

— Sulle formelle, no. Però sono rimasti moltissimi libri.

Con un sospiro, frate Lourai pensò che sarebbe stato molto interessante studiare la lingua e la cultura degli Arbai, per paragonarle alla civiltà umana. D’un tratto, sentendo un rumore nel cielo, lontano, a sud-ovest, rizzò la testa a scrutare le nubi e fiutare, come aveva sempre fatto Joshua nell’ascoltare le voci del bosco, a imitazione degli orsi e dei cervi: — Mi sembra di sentire un aeromobile.

— Sarà la gente di Collina d’Opale — rispose frate Mainoa. — Mi chiedo perché vogliano visitare queste rovine.

Intanto, a bordo dell’aeromobile, Marjorie si stava ponendo la stessa domanda. L’idea di conoscere i Frati Verdi, nella speranza che potessero fornire informazioni utili, era stata di Rigo, ma dato che questi non aveva più tempo di far altro che cavalcare, Marjorie si era offerta di interpellarli. Allora l’inestimabile Persun Pollut le aveva suggerito di stare alla larga dal Monastero: — I monaci hanno un dipartimento, detto della Dottrina Accettabile, che si occupa soprattutto di quello che è legittimo credere, e in sostanza dirige le attività del Monastero. Se vi dovessero dire il contrario, non dovete assolutamente crederci. Quando l’evidenza è contraria al dogma, i funzionari del dipartimento non esitano a negarla spudoratamente. Se si cercano informazioni, non si vuoi avere a che fare con gente del genere, vero? Certo che no. Ecco perché, lady Westriding, vi consiglio di parlare con uno dei monaci più sensibili e ragionevoli: un certo frate Mainoa, che ho potuto conoscere perché di quando in quando si reca all’astroporto a sbrigare varie faccende. Vi assicuro che è una persona così semplice e concreta come noi plebei. Se i Frati Verdi hanno qualche problema di salute, lui ve lo dirà senz’altro.

— Come potrò incontrare frate Mainoa senza coinvolgere quel dipartimento? — aveva chiesto Marjorie.

— Potreste chiedere semplicemente di visitare le rovine arbai — aveva consigliato Persun. — Di solito, frate Mainoa si trova là, quindi vi sono nove probabilità su dieci che sia incaricato di farvi da guida, soprattutto perché nessun altro sarebbe disposto a prendersene la briga.

— Mi sembra una buona soluzione — aveva deciso Marjorie dopo breve meditazione, pensando che fosse anche una buona occasione per divertirsi. Fino a quel momento il soggiorno su Grass era stato ben poco divertente per tutta l’ambasciata.

Dopo aver preparato una sontuosa merenda, Marjorie aveva chiesto ai ragazzi: — Vi piacerebbe visitare le rovine arbai? — E Tony aveva subito accettato, mentre Stella aveva rifiutato, dichiarandosi stanca. Marjorie non riusciva ad immaginare perché mai fosse tanto stanca, ma soltanto perché ignorava che ogni notte, mentre tutti dormivano, Stella lasciava la propria camera per andare ad allenarsi al simulatore fino all’alba: soltanto il vigore e le straordinarie facoltà di recupero della giovinezza le consentivano di mantenere un’apparenza di normalità.

All’ultimo momento, padre Sandoval e padre James avevano chiesto di accompagnare Marjorie, perciò i passeggeri del lussuoso aeromobile che si stava avvicinando alle rovine arbai erano quattro, incluso Tony, che lo guidava con notevole perizia, tenuto conto della sua scarsa esperienza.

Sotto la pioggerella che da poco aveva cominciato a cadere, mutando i colori del paesaggio in innumerevoli sfumature di grigio, l’aeromobile atterrò. Subito si avvicinarono due frati in tonaca verde, l’uno anziano, grasso, con gli occhi sfavillanti di curiosità, e l’altro giovane e magro, con la chioma riccia, castana, e un viso sparuto, dall’espressione mesta.

Al cospetto di padre Sandoval, frate Mainoa trasalì, forse perché vide in lui un collega con cui pensava di aver molto in comune, inclusa l’età, o forse perché riconobbe un rivale: — Siete un religioso? — domandò, con un gesto quasi di supplica. — Siete uomini di fede, voi e il vostro compagno?

Curvando le magre spalle, Sandoval annuì fieramente, quasi con sdegno nei confronti di quello schiavo della Santità: — Siamo antichi cattolici. Questi è padre James, e io sono padre Sandoval.

— Guarda, frate Lourai! — esortò Mainoa. — Sono antichi cattolici! A differenza di noi, hanno scelto liberamente il loro modo di vivere. — Poi fece l’occhietto a Sandoval: — Dovete sapere, padre, che frate Lourai ed io siamo stati obbligati a vivere nel celibato, nel silenzio e nella noia, senza poter neppure protestare. E quando non siamo più riusciti a tollerare la condizione che ci era stata imposta, ci hanno mandati qua per punirci.

— Sua Eccellenza l’ambasciatore mi ha riferito qualcosa del genere — ammise padre Sandoval, non senza compassione.

— Vi chiedo soltanto di rammentarlo durante la visita, padre. — Frate Mainoa annuì, ridacchiando, poi s’incamminò, lasciando orme scure nel prato di erba vellutata, imperlato di gocce sfavillanti.

Mentre spioveva, padre Sandoval gettò un’occhiata interrogativa a Marjorie, la quale scrollò le spalle, poiché non aveva affatto compreso che cosa avesse voluto dire il vecchio frate. Le sembrava che questi non considerasse gli scavi archeologici come una penitenza, ma forse era soltanto una impressione errata. Quanto alle presentazioni incomplete, non si poteva escludere che i due monaci conoscessero già l’identità degli Yrarier. Personalmente, Marjorie non dubitava che il vecchio monaco fosse frate Mainoa: per cominciare, bastava. Con un gesto, invitò i due preti ad avviarsi e li seguì, a sua volta seguita da Tony, che guardava attorno in continuazione, con estremo interesse.

Le rovine erano situate in una prateria di erba viola simile a una morbida pelliccia. Una scala di erbe ebano intrecciate vi scendeva, scricchiolando sotto i passi come se rimbrottasse: — Toglietevi le scarpe! Rispettate i defunti! — E infatti i visitatori ebbero la netta sensazione di udire queste parole: Tony si curvò suo malgrado, proprio come per togliersi le scarpe, e subito si rialzò, trasalendo di vergogna; padre Sandoval si fece il segno della croce, allarmato, nonché sorpreso ed irato; padre James allargò le braccia come per frenare una caduta; e Marjorie pensò, perplessa e sbalordita: Ehi! Ho le allucinazioni, adesso?

Guardandoli, frate Mainoa ridacchiò: — Avete sentito la voce? La sento sempre anch’io, come pure frate Lourai. Invece, il priore Fuasoi non la sente, o almeno così dice. Siete arrabbiato, padre Sandoval? Credete forse che sia uno scherzo? Ebbene, sappiate che io stesso mi sono recato nella prateria a cercare l’erba adatta, l’ho falciata, l’ho legata in fasci, e ho costruito la scala. Perciò posso garantirvi che non c’è nessun trucco. Nondimeno sento la voce, ogni volta che qualcuno percorre la scala. Anche voi l’avete sentita, mentre altri non la sentono. Ebbene, chiedo a tutti voi di rammentarlo.

In fondo alla scala, sulla strada lastricata, i visitatori si chiesero dove mai gli Arbai avessero trovato la pietra. Eppure il lastrico antichissimo era lì, lucido e scintillante di pioggia.

— Qui crescevano gli alberi — spiegò frate Mainoa, indicando le file regolari di cordonate rotonde ai lati della strada. Poi, con un gesto dal basso verso l’alto, indusse tutti i visitatori ad alzare lo sguardo.

Allora Marjorie sentì la frescura dell’ombra e lo stormire delle fronde, sgranò gli occhi e vide i tronchi, pur sapendo che vi erano soltanto cordonate vuote: — Che genere di alberi? — domandò.

Con entusiasmo, frate Lourai riferì quello che gli era stato spiegato da Mainoa: — Alberi che crescono soltanto nella foresta palustre! Quando la città fu scoperta, si trovarono fra l’altro resti lignei ben conservati: esaminandoli, si stabilì che non appartenevano a nessuno degli alberi che crescono qui, nelle praterie. Si pensò che fossero alberi da frutta.

Quando frate Mainoa spiegò, indicandone una, che le formelle delle ante dei portali raffiguravano la vita religiosa degli Arbai, padre Sandoval chiese, troppo rispettoso per sogghignare beffardamente, ma senza celare il proprio dubbio: — Vita religiosa?

Anziché replicare, frate Mainoa si limitò a scrollar le spalle e sorrise, come per sfidare il prete ad obiettare.

I bassorilievi erano misteriosi, forse mistici. Comunque, non era possibile aver la certezza di interpretarli correttamente. Cosa significavano quelle processioni di individui che si scambiavano scrigni, o cubi? Cosa significavano quelle creature inginocchiate che sembravano osservare con timore reverenziale una rana, raffigurata dall’ignoto artista in forma quasi sferica, fra due veltri col muso levato al cielo? E perché gli ornati di tutte le cornici delle formelle erano a forma di rampicani fronzuti?

A sua volta, padre Sandoval sorrise, senza pronunciarsi, mentre padre James guardava con evidente irritazione dall’uno all’altro.

Un’altra formella raffigurava alcuni Arbai intenti ad osservare solennemente due Hippae che, mostrandosi la groppa, si scagliavano a vicenda quelle che sembravano zolle, oppure le scagliavano contro uno strano oggetto, che si trovava fra loro e poteva essere una scultura, o un apparecchio. Cosa significava questa scena? Quali dettagli erano stati cancellati dal tempo e dalla distruzione? Infatti il portale, al pari di tutti gli altri, era stato sfondato, e le ante erano scheggiate, schiantate.

Le case erano semplici e basse. Nelle pareti di materiale polimero si aprivano ampie finestre affacciate alla prateria. Le stanze, lastricate come le strade, contenevano i resti mummificati degli Arbai che un tempo le avevano abitate: ossa e scaglie, membra sparse e corpi di forma quasi umana. Non poteva non suscitare profonda commozione la vista del dolore enorme espresso da quelle bocche spalancate come per urlare e da quelle occhiaie vuote fisse nell’orrore. Una mano con tre dita e due pollici era protesa verso un braccio staccato dal busto come per reclamarlo, e riprenderne possesso, e almeno consegnare la salma integra alla morte, in opposizione allo scempio. I corpi di alcuni adulti che stringevano al petto i corpi smembrati dei bambini erano perfettamente conservati, mentre altri cadaveri erano ridotti a mucchi d’ossa e di scaglie lucenti.

Ovunque, in ogni casa di ogni strada, era lo stesso.

Per alcuni istanti Marjorie chiuse gli occhi, ascoltando voci che sembravano giungere da una strada parallela: una conversazione in un linguaggio sibilante, a tratti interrotta da risa molto umane. Poi chiese: — Altri frati lavorano qui agli scavi archeologici?

— Nessuno, oggi — sorrise frate Mainoa, osservandola con curiosità. — Ma, a proposito di quello che state ascoltando. Sono forse i rumori e le voci della città, oppure è soltanto il vento? Io stesso mi sono posto tante volte la stessa domanda: «Che sia soltanto il vento?» Ma potrebbero anche essere le voci di questo antico popolo. Voi cosa ne pensate, lady Westriding?

Dunque conosce già il mio nome, pensò Marjorie.

Tony intervenne: — Ho l’impressione che questa città sia, be’, volutamente strana. Per questo mondo, intendo.

Frate Mainoa lo guardò con approvazione: — Anch’io ho avuto la stessa sensazione, giovanotto. Forse queste povere creature cercarono di ricostruire qui, per quanto possibile, il loro mondo.

— Vi sono molte stranezze, su Grass — convenne Marjorie, distogliendo lo sguardo da un volto urlante. — La dottoressa Bergrem, della Città Plebea, ha scritto alcune opere sulle caratteristiche che rendono unico il pianeta. Fra l’altro, ha studiato un composto organico, utilizzato dalle nostre cellule, che esiste in una certa forma soltanto qua su Grass: ricordo che ha un nome lungo, ma ho dimenticato quale sia.

— Su qualsiasi altro mondo, la dottoressa godrebbe di grande fama — commentò frate Mainoa. — In effetti, il suo prestigio è molto maggiore di quanto creda la popolazione di Grass.

— Probabilmente, lei saprebbe spiegare queste voci — osservò Marjorie, lottando per placare un terrore e una disperazione che minacciavano di sopraffarla, e sforzandosi di persuadere se stessa di non aver affatto udito una conversazione mormorata da voci assolutamente inumane, in un linguaggio liquido, gorgogliante, musicale. — Ne avete parlato con la dottoressa Bergrem?

— Ne ho riferito ai miei superiori, i quali però sembrano credere che le voci siano soltanto frutto della mia immaginazione — spiegò frate Mainoa. — Finora, nessuno si è preso la briga di venire a verificare.

Intanto, padre Sandoval si era accorto dell’angoscia di lady Westriding: — Dobbiamo guardarci dai timori superstiziosi che sono facilmente suscitati in noi da luoghi di tal fatta, Marjorie. Queste creature, ormai estinte, non erano affatto umane. Senza dubbio dovevano avere altrove un centro per il commercio e per l’industria, dato che queste rovine sembrano più quelle di un villaggio di campagna, che quelle di una vera e propria città.

— Tutte le città arbai sono così — spiegò frate Mainoa. — In base alle ricerche compiute, sappiamo che gli Arbai viaggiavano nello spazio, forse a bordo di astronavi, come facciamo noi, o forse con altri mezzi. Inoltre sappiamo che avevano scelto di non vivere in aggregazioni urbane molto vaste, come facciamo spesso noi umani. Infatti non abbiamo trovato nessuna città arbai in grado di ospitare più di alcune migliaia di abitanti. In parecchi mondi esistono alcune città di queste dimensioni, ma sono sempre poche.

— E qui? — chiese Marjorie.

— Su Grass è stata trovata soltanto questa città.

— Su questo argomento possiedo scarse conoscenze — ammise padre Sandoval, aggrondato. — Si sa quale fu il pianeta di origine degli Arbai?

Frate Mainoa scosse la testa: — Alcuni studiosi propendono per Pentimento, giacché vi sono state trovate molte città. Tuttavia nessuno lo sa per certo, a quanto mi risulta.

— Quindi non si può escludere che gli Arbai siano sopravvissuti su qualche altro mondo? — domandò padre James in tono meditativo, calciando un sasso che sporgeva dal suolo.

Mainoa scrollò le spalle: — Altri studiosi ritengono che quelle che sono state trovate siano soltanto le rovine degli avamposti arbai, perciò sostengono che le città vere e proprie saranno trovate prima o poi altrove. A tale proposito, non sono in grado di pronunciarmi. Comunque, poco fa avete accennato al commercio e all’industria. Ebbene, si presume che il mercato di questa città fosse in fondo a questa strada, sulla sinistra. Almeno, sembra che i fabbricati che vi si trovano non fossero abitazioni.

— Erano negozi e magazzini? — chiese padre Sandoval.

Di nuovo, frate Mainoa scrollò le spalle: — Vi sono fabbricati che forse erano botteghe: uno è pieno di vasi di varie forme e dimensioni, un altro è pieno di ceste. Questi edifici circondano una piazza, al centro della quale è collocato su un basamento un oggetto che potrebbe essere un apparecchio, una scultura, o un monumento. Forse era un altare, o semplicemente un grande sedile su cui stare ad ammirar le stelle, o magari un attrezzo per esercizi acrobatici. Chissà? Chi può dirlo? Un altro fabbricato è pieno di libri che assomigliano molto a quelli terrestri di circa un secolo fa, prima che si diffondesse l’uso di scanner, deck e video.

— Volumi rilegati? — domandò Marjorie.

— Sì. Ho incaricato alcuni penitenti di prendere immagini di ogni pagina. Io sono quasi sempre qui, ma i miei assistenti lavorano solo di tanto in tanto, quando non hanno di meglio da fare. Benché monotono e solitario, copiar libri è un lavoro essenziale. Alla fine, la Santità e alcune delle principali università, come quella di Semling, potranno disporre delle copie di tutti i libri arbai.

— Però senza traduzione — commentò Marjorie, addolorata per la scomparsa della civiltà arbai, guardando, attraverso una porta sfondata, le salme di cui era piena una stanza.

— Infatti. La scrittura arbai è composta da ideogrammi formati da linee curve intrecciate. Se avessimo trovato un edificio identificabile come una chiesa, avremmo potuto cercare un segno ricorrente, sperando che significasse «Dio». Se avessimo trovato un trono, avremmo potuto cercare invece quello che significa «re». Se le formelle recassero iscrizioni, potremmo inserirle nei computer, assieme alle descrizioni delle raffigurazioni come contesto, e ricavarne un senso. Lo stesso si potrebbe fare, se i libri contenessero illustrazioni. Ma prima che ve ne andiate, vi mostrerò qualche libro. — E manufatti? — chiese padre James.

— Ceste, ceramica, vasellame. Crediamo che gli Arbai non usassero tessuti, però abbiamo trovato cinture, o meglio fusciacche di erbe intrecciate, larghe quindici centimetri e lunghe quasi un paio di metri, adorne di bei disegni a colori: secondo gli esperti, assomigliano al lino. Comunque sembra che gli Arbai usassero pochi oggetti, scelti con estrema cura in base alla forma e al colore, secondo una estetica che certo non corrisponde alla nostra, specie per quanto riguarda il vasellame. Ma forse dovrei parlare soltanto per me: può darsi che per voi i manufatti siano belli. In seguito ve ne mostrerò alcuni, lady Westriding. Tutti gli oggetti sono di produzione artigianale, ma privi di iscrizioni: non abbiamo trovato nulla che si possa tradurre come «Prodotto da John Brown». La produzione industriale è del tutto assente. Non sono state rinvenute macchine di nessun genere. L’oggetto che sorge al centro della piazza e quelli che sono comunemente chiamati «impianti di smaltimento dei rifiuti», sono gli unici possibili macchinari che siano stati scoperti, benché ciò sia tutt’altro che sicuro. Sappiamo che gli Arbai viaggiavano, e che quindi dovevano disporre della tecnologia necessaria e possedere astronavi, tuttavia non abbiamo trovato nulla del genere.

— Le città sono tutte così? — chiese Tony, accarezzando il viso alieno di un bassorilievo consunto dal tempo.

— Si differenziano per il materiale con cui sono state costruite — spiegò frate Mainoa. — A seconda delle risorse del pianeta, gli Arbai usavano terra polimera per le pareti, e anche le volte, che talora potevano essere però sostituite da tetti di paglia. Oppure usavano legno, o pietra. Qua su Grass, la pietra proviene da una cava non molto lontana, ormai coperta dall’erba, dove tuttavia sono ancora riconoscibili i segni degli scavi. Su un pianeta, gli Arbai costruirono addirittura una città arborica.

— Dove, esattamente?

Allora frate Mainoa fissò Marjorie come se non la riconoscesse più, assorto nello sforzo di ricordare: — Ehm. Purtroppo, non lo rammento. Ma so che hanno costruito una città del genere.

— Quante città arbai avete visitato? — domandò Marjorie.

Ritornando in sé, frate Mainoa ridacchiò: — Soltanto questa, lady: soltanto questa. Però ho visto tutte le altre in fotografia, giacché le copie di tutti i rapporti sono inviate a tutti coloro che sono condannati a compiere queste ricerche, nell’eventualità che su un pianeta avvenga una scoperta tale da gettar nuova luce sugli altri ritrovamenti. È una vana speranza, tuttavia non la abbandoniamo.

— Dunque tutte le città sono così, e tutti gli abitanti sono periti — concluse Tony.

— Forse. Oppure si sono trasferiti altrove.

Così discorrendo, attraversarono la piazza e giunsero al basamento centrale, su cui s’innalzava un ovale di materiale ritorto, attraverso il quale avrebbe potuto camminare un uomo di alta statura. Percuotendolo con le nocche, Tony lo fece risuonare: il materiale era metallo, ma non sembrava affatto tale. Sia l’ovale sia il basamento avevano gli orli decorati a strani disegni che parevano le impronte di dita misteriose. Numerose bandierine sparse per la piazza indicavano i punti in cui erano state rinvenute altrettante salme, poi rimosse a scopo di studio: alcune erano piantate accanto al basamento, come se alcuni arbai fossero stati massacrati in gruppo, mentre un’altra si trovava all’interno dell’ovale.

— Chi sterminò questo popolo? — chiese Tony.

— Le volpi, secondo alcuni. Ma io non lo credo affatto.

— Per quale ragione? — intervenne padre James, indotto dalla curiosità, suscitata in lui dalle strane rovine, a vincere la propria consueta riservatezza.

Allora frate Mainoa guardò attorno con estrema attenzione. Sapeva che quel giorno nessuno stava scavando, ma sapeva anche che i Frati Verdi si recavano di quando in quando alle rovine per vari motivi, come consegnare provviste o ritirare copie di libri arbai. Indubbiamente, alcuni erano mandati a spiare per conto della Dottrina Accettabile. Quando si fu persuaso che nessuno fosse in ascolto, rispose: — Noi Frati Verdi siamo qui da molti anni, e intendo dire anni di Grass. Trascorriamo qua l’inverno, come tanti chicchi di grano in una giara, e passiamo nelle praterie la primavera, l’estate e l’autunno. Ma in tutto questo tempo, nessuno di noi, neppure uno, è mai stato aggredito dalle volpi. — E pronunciò queste parole in tono di assoluta certezza.

— Ah — commentò Marjorie. — È così, dunque.

— Sì, lady Westriding — annuì il vecchio monaco, scrutandola negli occhi. — È così.

— Volete dire che sono stati gli Hippae? — esclamò Tony, inorridito. — Certo che no!

— Tony! — redarguì Marjorie, con voce risoluta. — Lascialo parlare.

— Non ho nulla da dire. — Frate Mainoa scosse la testa. — Proprio nulla. Non voglio offendere chi non desidera ascoltarmi, giovanotto.

— Ebbene, offendete chi desidera ascoltarvi — esortò Marjorie.

Con un’occhiata, frate Mainoa fece arrossire Tony, quindi si rivolse a Marjorie: — Ebbene, lady, ecco cosa posso dirvi. Osservate queste povere creature morte da secoli. Esaminate le loro ferite, poi pensate alle mani, alle braccia e alle gambe artificiali degli aristocratici che non partecipano più alla Caccia. Infine ditemi se non vi sembra che gli Arbai e i bon siano stati vittime delle medesime creature.

— Ma gli Hippae sono erbivori! — protestò Tony, pensando a Rigo. — Sono enormi, ma innocui! Perché mai.

— Chi sa cosa fanno gli Hippae, o cosa sono? — interruppe frate Mainoa. — Non si avvicinano mai a noi, tranne che per osservarci. E quando ci osservano…

— Leggiamo disprezzo nei loro occhi — sussurrò Marjorie, così piano che Tony non fu sicuro di aver compreso esattamente. — Leggiamo malignità nei loro occhi.

— Sì, malignità — convenne frate Mainoa. — Come minimo, malignità.

— Oh, suvvia! — obiettò padre Sandoval, dubbioso, quasi rabbioso. — Sei sicura di quello che dici, Marjorie?

— Ho visto malignità nei loro occhi — confermò Marjorie, passando un braccio intorno alle spalle snelle di Tony. — Era malignità, padre: ne sono assolutamente sicura. — Con occhi fieri, sostenne lo sguardo ardente di padre Sandoval, il quale aveva sempre asserito la supremazia spirituale dell’uomo, e rifiutava persino di ipotizzare che altre creature fossero dotate di intelligenza.

— Malignità? — chiese padre James. — In un animale?

— Perché credete che gli Hippae siano «animali», padre? — ribatté frate Mainoa.

— Ma, perché? Perché sono animali!

— Come lo sapete?

Anziché rispondere, padre James si volse a sostenere padre Sandoval, che si tergeva rabbiosamente la fronte e cercava un luogo dove potersi sedere.

— Seguitemi, padre — indicò allora frate Lourai. — Ho preparato qualcosa da bere nella casa arbai che abbiamo scelto come dimora.

Poco dopo, i visitatori sedettero, lieti delle bevande e del riposo, ma piuttosto sconcertati dalle dimensioni degli scranni, che, adatti a creature gigantesche come gli Arbai, li costringevano a restare seduti soltanto sul bordo.

In breve, padre James riprese la conversazione: — Poco fa mi avete chiesto perché penso che gli Hippae siano animali. Ebbene, li ho visti, e mi è sembrato che si comportassero né più né meno come animali. Non siete d’accordo?

— Quale prova vorreste per convincervi che non sono bestie? — domandò frate Mainoa. — Vorreste che costruissero attrezzi, o seppellissero i morti, o comunicassero verbalmente?

— Non saprei. Non ci ho riflettuto. Da quando siamo qui, non ho sentito nessuno parlare degli Hippae, o dei veltri, o di qualsiasi altra creatura di Grass, come se fossero più che animali.

Frate Mainoa scrollò le spalle: — Ebbene, rifletteteci, padre. E anche voi, lady. Io ci penso, e vi garantisco che è un esercizio molto interessante, tale da suggerire congetture estremamente affascinanti.

Pranzarono tutti assieme, dividendo il cibo dei frati e l’abbondantissima merenda preparata da Marjorie; poi passeggiarono di nuovo per le strade dell’antica città, visitandone le case. Esaminarono manufatti e libri incomprensibili; riattraversarono la piazza, dove sorgeva il monumento ovale, che poteva anche essere un apparecchio ed era esattamente raffigurato su almeno una formella; infine osservarono altri oggetti che forse erano macchinari.

Quando la luce scemò e l’ombra iniziò ad addensarsi fra le rovine, Marjorie rabbrividì: — Dite, fratello, verreste a Collina d’Opale per conoscere mio marito, Roderigo Yrarier, ambasciatore della Santità?

Di scatto, frate Lourai alzò lo sguardo: — Ma io l’ho conosciuto! Venne alla Santità e parlammo della peste! Il Prelato, che era suo zio, lo incaricò di recarsi qui, su Grass, a causa dei cavalli!

A bocca aperta, Tony si volse, dubitando di aver compreso bene.

Allora frate Mainoa si volse a Marjorie: — Il mio giovane compagno è stato indiscreto. La Dottrina Accettabile nega l’esistenza della peste.

— Mamma?

— Aspetta, Tony. — Marjorie si sforzò di riprendere il controllo di se stessa, pensando: E così, Tony ha scoperto tutto. Be’, meglio lui che Stella. Poi si volse a Rillibee: — Cosa sapete della peste, fratello?

Incapace di rispondere, Rillibee rabbrividì: Lasciami morire! gridò il pappagallo da un muro in rovina, battendo le ali grigie.

— Il ragazzo ha visto perire di peste tutta la sua famiglia — intervenne subito Mainoa. — Non chiedetegli nulla. Riflettete invece sul fatto che, altrove, gli Arbai furono sterminati lentamente da qualcosa. Qui, invece, furono massacrati rapidamente. Ovunque, le persone muoiono per una malattia incurabile, ma la Santità nega tutto. Personalmente, questo è quello che so.

Sta forse dicendo che anche in un remoto passato scoppiò una epidemia di peste? pensò Marjorie, spalancando la bocca per lo sbalordimento. E chiese: — Cosa si sa, su Grass, della peste?

— Finora, a quanto pare, noi del Monastero siamo sfuggiti alla peste. Cos’altro c’è da sapere?

— Quante persone sono morte di peste, su Grass?

Il vecchio monaco scrollò le spalle: — Chi può contare decessi che forse sono stati nascosti? La Santità sostiene che la peste non esiste, attualmente, quindi non ci informa delle sue eventuali vittime. Inoltre giudica opportuno negare che la peste sia mai esistita in passato. Secondo la Dottrina Accettabile, gli Arbai morirono di noia, oppure per qualche misteriosa causa ambientale, ma non certo di peste. «Non soltanto i demoni non esistono oggi», sostiene la Dottrina Accettabile, «bensì non sono mai esistiti». Eppure, molti di noi sanno che la peste esisteva, un tempo, e i demoni anche.

— Dunque credete all’esistenza dei demoni? — Così dicendo, Marjorie guardò con la coda dell’occhio padre Sandoval, che stava facendo una smorfia di disgusto. — È possibile, secondo voi, che siano sempre esistiti e abbiano atteso che le creature intelligenti raggiungessero le stelle, per poi punirle per la loro presunzione?

— Forse.

— Comunque non avete risposto alla mia domanda: verrete a conoscere mio marito?

Con lo sguardo perduto a fissare qualcosa che soltanto lui poteva vedere, frate Mainoa rispose: — Se manderete un aeromobile a prendermi, lady, non sarò certo così scortese da rifiutare il vostro invito. — Sarebbe del tutto comprensibile, se mi chiedeste una consulenza sui giardini di Collina d’Opale: dopotutto, ho contribuito a crearli. Ma se domandaste ai miei superiori di inviarmi da voi per qualsiasi altra ragione, probabilmente rifiuterebbero.

Dopo un momento di silenziosa riflessione, Marjorie domandò: — Siete molto leale con i vostri superiori, frate Mainoa?

Rillibee sbuffò brevemente.

Scoccando un’occhiata di rimprovero al giovane monaco, frate Mainoa rispose: — Sono stato votato alla Santità, lady, senza che mi fosse permesso esprimere la mia volontà, e lo stesso è accaduto a frate Lourai. Ciò nondimeno, quando abbiamo manifestato il nostro dissenso, siamo stati esiliati su Grass, sempre contro la nostra volontà. Non rammento che mi sia mai stato chiesto di essere leale.

Padre Sandoval si schiarì la gola e disse, in tono risoluto: — Vi ringraziamo per il tempo che ci avete concesso, fratelli.

— Grazie a voi, padre.

— Presto manderò un aeromobile a prendervi — promise Marjorie. — Rimarrete qui, nei prossimi giorni?

— Ora che siamo qui, lady Westriding, rimarremo sino a quando ci verrà ordinato di tornare.

— Come mai mi conoscevate già, fratello, benché non ci fossimo mai incontrati prima?

— Perché un mio amico si è interessato a Collina d’Opale — sorrise vagamente frate Mainoa — e durante una conversazione mi ha parlato di voi.

Dopo aver assistito alla partenza dell’aeromobile, i due monaci tornarono al loro alloggio, dove frate Mainoa trasse il proprio diario da un nascondiglio e scrisse le proprie impressioni sugli avvenimenti della giornata.

— Lo fai sempre? — chiese Rillibee.

— Sempre — sospirò il vecchio. — Se io dovessi morire, Lourai, troverai in queste pagine tutto quello che so, oppure sospetto.

— Se tu dovessi morire. — sorrise il giovane.

Mainoa non ricambiò il sorriso: — Sì, se io dovessi morire. E bada bene, Lourai: se mi succederà qualcosa, dovrai nascondere questo diario, perché se lo troveranno in tuo possesso, uccideranno anche te.

La parola «peste» risuonava come un tuono nella mente di Tony, suscitando altri echi. Naturalmente il ragazzo aveva già sentito parlare della peste, perché in segreto se ne parlava, anche se la Santità ne smentiva l’esistenza. Per la prima volta si chiedeva per quale ragione la Santità si fosse ostinata a negare qualcosa di inesistente, e perché mai suo padre si fosse recato alla Santità per discutere della peste col Prelato.

Su Grass non vi era alcun indizio dell’esistenza della peste. Tony aveva trascorso parecchio tempo al villaggio con Sebastian Mechanic per comprendere le usanze locali e conoscere gente, però non aveva mai sentito nessuno parlare della peste. Naturalmente le malattie non erano affatto sconosciute: reumatismi, artriti e infarti erano abbastanza diffusi. A causa della eccezionale salubrità dell’aria, le affezioni polmonari erano rare, mentre le malattie infettive erano ormai debellate nei contadi e quasi ignote al Comune, grazie alla perfetta efficienza della quarantena all’astroporto.

Ma la peste?

Sottovoce, pensando alle persone che aveva lasciato sul pianeta natale, e in particolare a una ragazza, Tony domandò: — Mamma, c’è la peste sulla Terra?

Decisa a mentire per necessità, Marjorie si volse, inorridita; ma nel guardare il viso sincero e ansioso del figlio, finì per confessare involontariamente: — Sì. Sì, sulla Terra c’è la peste. Si è diffusa anche su tutti gli altri pianeti abitati.

— E qui?

— Su tutti i pianeti, tranne questo, forse. O almeno, così presumiamo, perché così ci è stato detto.

— E voi siete qui per scoprirlo?

Marjorie annuì.

— E non ce lo avete detto?

— Be’, Stella… — mormorò Marjorie — tu conosci Stella.

— Sì. Ma, mamma, perché avete taciuto anche con me?

— Abbiamo pensato che, essendo ancora molto giovane, avresti potuto tradirti.

— Ma perché tanta segretezza?

— Perché? — Padre Sandoval si curvò innanzi ad afferrare un braccio del ragazzo: — A causa degli Ammuffiti, i nichilisti. Se sapessero come stanno le cose, cercherebbero di diffondere la peste anche qui. Inoltre, ai Grassiani non interessa assolutamente niente se tutti gli altri mondi periranno: vogliono soltanto evitare di essere disturbati.

— Ma è disumano!

— Non è giusto affermare che i Grassiani non si interessano alla sorte degli altri mondi — dichiarò Marjorie, sottovoce. — Diciamo piuttosto che non si rendono conto della gravità della situazione. Si è tentato in vari modi di indurii a comprendere, ma suscitando soltanto la loro irritazione. In effetti, padre Sandoval ha ragione: non vogliono essere disturbati. Tuttavia non si tratta soltanto di questo, ma piuttosto di un problema psicologico, che io, anzi, non esiterei a definire patologico: si tratta di qualcosa che li distrae perennemente dalla realtà. Ecco perché, Tony, fingiamo di essere in missione diplomatica. In realtà, dobbiamo scoprire se la peste si è diffusa anche su questo pianeta. E se non vi si è diffusa, dobbiamo fare in modo che un’équipe di scienziati ottenga il permesso di recarsi su Grass ad appurare perché.

— Cosa avete scoperto, finora?

— Pochissimo. In verità, sembra che la peste qui non sia ancora arrivata, però non ne siamo del tutto sicuri. Asmir Tanlig sta investigando presso i villici per stabilire se si sono verificati decessi o malattie inesplicabili, mentre Sebastian Mechanic sta cercando di ottenere le medesime informazioni dai lavoratori dell’astroporto, fra cui ha parecchie conoscenze. Tuttavia non abbiamo rivelato a nessuno dei due il vero motivo dell’indagine: abbiamo detto semplicemente che la Santità ci ha incaricato di compiere una ricerca sulle condizioni di salute della popolazione del pianeta. Naturalmente abbiamo bisogno di ottenere informazioni anche dai bon e abbiamo cercato di formare qualche amicizia, però sino ad ora siamo riusciti ad allacciare soltanto relazioni puramente formali.

— Ecco la ragione del ricevimento!

— Esatto.

— E l’arrivo di Eugenie con quella ragazza non ha certo contribuito a migliorare la situazione.

— Proprio così, Tony.

Con un gesto come per allontanare la donna, Tony commentò, scoraggiato: — Eugenie ha meno cervello di una rana grassiana. — Sia lui che Stella non erano mai riusciti a capire perché Rigo fosse tanto affezionato ad Eugenie. — Anzi, non ha neanche un briciolo di cervello.

— Probabilmente ciò è quasi vero, purtroppo. — Nel dir questo, Marjorie incontrò lo sguardo di padre James, e arrossì. Dopotutto, il prete era nipote di suo marito: non avrebbe dovuto criticare Rigo in sua presenza. Quanto a questo, non avrebbe dovuto criticarlo neppure in presenza di Tony, a parte il fatto che questi sapeva già troppe cose.

Tony scosse la testa: — Mi sono chiesto spesso quale missione potesse essere tanto importante da indurti ad abbandonare così il tuo lavoro alla Città dei Procreatori. Ad ogni modo, non si può certo dipendere soltanto da noi: cosa sta facendo la Santità?

— Tutto il possibile, secondo Rigo. Il virus può essere isolato e ucciso, ma non quando si trova in un ospite: nessun animale, incluso l’uomo, è in grado di produrre gli anticorpi necessari. Alla fine, se scopriremo che davvero la peste non esiste su Grass, invieremo campioni cellulari alla Santità.

— Campioni cellulari? Ma i bon lo permetteranno?

— Fra loro non vi sono medici, Tony. In caso di necessità, devono chiamare i dottori del Comune, quindi credo che sia possibile ottenere tutti i campioni cellulari necessari.

— Finora, però, la Santità non ha scoperto nulla.

— Nulla. Nessuna cellula su cui sono stati compiuti esperimenti è riuscita a produrre anticorpi. — Mentre tutti e quattro sedevano furtivi come cospiratori, Marjorie soggiunse: — Tony, non devi…

— Lo so: non devo dirlo a Stella, che altrimenti lo rivelerebbe a tutti, soltanto per dimostrare che non accetta ordini da nessuno, specie da noi.

Padre Sandoval annuì: — Temo che sia proprio così. — Conosceva Stella da quando era bambina. Ella gli confessava parecchi peccati, esagerando di solito quelli di cui era meno colpevole. Soprattutto confessava ira nei confronti di Marjorie, la quale era colpevole di non averle dato quel qualcosa di indefinibile che aveva sempre desiderato. Dopo lunga meditazione, padre Sandoval era giunto alla conclusione che forse Stella e Rigo desideravano la stessa cosa: intimità. Però nessuno dei due era disposto a rinunciare al proprio egoismo abbastanza da guadagnarsela. Desideravano famiglia, ma soltanto a comando, come acqua dal rubinetto: a disposizione quando faceva loro comodo, e per il resto assente. Sembrava che dicessero: Aiutami, adesso, consolami. E poi, togliti dai piedi!

Sospirando, padre Sandoval si rammaricò di non essere riuscito a comprendere meglio Stella e Rigo. Naturalmente, Stella avrebbe finito per sposarsi e imparare ad obbedire al marito, proprio come aveva imparato ad obbedire ai genitori. Ma Rigo? Entrambi, padre e figlia, erano troppo impazienti per ricorrere alla persuasione: conquistavano, sopraffacevano, oppure niente. Non chiedevano mai: prendevano qualsiasi cosa desideravano, come se spettasse loro per diritto, anche se si trattava di cose che non avrebbero dovuto neppure sfiorare.

Frattanto, ignara delle preoccupazioni di padre Sandoval, Stella stava affrontando la sesta ora di allenamento al simulatore, dopo aver regolato il temporizzatore sulle sette ore, vale a dire due ore più di quanto avesse mai cavalcato prima. Incurante della fame e della sete, perduta in una trance che lei stessa aveva suscitato, aveva gli occhi vitrei e teneva la schiena dritta. Suo padre aveva terminato il proprio allenamento da alcune ore, Hector Paine se n’era andato, quindi nessuno sarebbe sceso nei sotterranei. Il simulatore non poteva essere spento in anticipo, né era possibile smontare, se non cadendo.

Mentre l’erba sfilava sugli schermi che la circondavano, Stella era sferzata sul cappello e sulla giacca da dispositivi che imitavano gli steli, mentre il simulatore ondeggiava e sussultava, però sempre senza alcuna regolarità, talché ella non poteva rilassarsi neppure per un istante. Il corpo era costantemente all’erta, tuttavia la mente aveva cessato di pensare, ritirandosi in un nulla da cui non si percepiva neppure la spossatezza.

E così, Stella sognava Sylvan bon Damfels.

Durante la festa, mentre Sylvan ballava con Marjorie, Stella lo aveva osservato, anzi, lo aveva divorato interamente con lo sguardo. In seguito, nel ballare con lui, lo aveva assorbito attraverso i pori, interiorizzandone l’immagine come perfetto modello di uomo. Poi lo aveva spogliato e posseduto, facendo con lui tutte quelle cose che non aveva mai fatto con nessuno, e non certo per inibizione morale, bensì perché non aveva mai trovato nessuno che, a suo giudizio, fosse degno di lei. Ma finalmente aveva scoperto un uomo degno e nobile: Sylvan. Con lui avrebbe potuto accoppiarsi, anzi: con lui si sarebbe senz’altro accoppiata! E fra non molto: le occorreva soltanto il tempo necessario per imparare a cavalcare come cavalcava lui, e poter cacciare al suo fianco.

Stella ignorava completamente il consiglio che Sylvan aveva dato a Marjorie e a tutti gli Yrarier, poiché esso non era consono all’immagine di lui che aveva forgiato in base alle proprie necessità: il vangelo di San Sylvan, secondo Stella.

E mentre il simulatore galoppava con scattar di molle e scorrere di leve, con l’attutito tuonar di zoccolio diffuso dagli altoparlanti, l’erba che sfilava in eterno sugli schermi, gli steli artificiali sferzanti e sibilanti, Stella, in un angolo remoto della mente, raccontò ad Elaine Brouer tutto su Sylvan, sul loro incontro, sul modo in cui si erano guardati: In quel momento, in quel preciso momento, mi ha amata come non ha mai amato nessuna prima d’ora.

Nello stesso istante, passeggiando per un tortuoso sentiero nel cuore dei celeberrimi Giardini d’Erba di Klive, Sylvan stava mormorando fra sé e sé parole molto simili: — L’ho amata nel momento stesso in cui l’ho vista, nel momento in cui l’ho presa fra le braccia, come non ho mai amato prima. — E tuttavia non parlava di Stella, bensì di Marjorie.