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L’assistente del vicedirettore del Dipartimento della Dottrina Accettabile al Monastero dei Frati Verdi, Shoethai, sedeva nel ristorante dell’astroporto, in attesa che fosse scaricato dall’astronave il pacco molto importante che il priore Noazee Fuasoi lo aveva inviato a ritirare.
Come aveva pensato nel ricevere l’incarico, si chiedeva per l’ennesima volta: Perché proprio io? E intanto evitava di guardare la finestra, dove la sua immagine riflessa si sovrapponeva come uno spettro orrendo all’astronave. Il suo viso era così orribile che i funzionari dell’astroporto e le due cameriere del ristorante avevano finto di non vederlo. Ormai abituato al modo in cui la gente reagiva alla sua deformità, Shoethai non manifestava più dolore né sdegno, tuttavia l’odio e la violenza che ribollivano in lui aumentavano di giorno in giorno.
Il priore Fuasoi avrebbe potuto mandare qualcun altro, pensò. Yavi, per esempio, o Fumo. Non sono certo belli, però non sono neanche mostri. E ancora una volta si pose l’eterna domanda: Perché proprio io?
Alla Santità, gli era capitato di incontrare qualche imbecille benintenzionato che aveva manifestato la sua stupidità e la sua insensibilità cercando di confortarlo con frasi come: — Però sei felice di essere vivo, vero? Preferisci la vita alla morte, vero? — E invece lui non preferiva affatto essere vivo, bensì essere morto. Purtroppo, aveva paura di morire. Meglio ancora sarebbe stato se non fosse mai nato, o se a suo padre non fosse stato impedito di ucciderlo, quando aveva tentato. Almeno suo padre aveva dimostrato di volergli bene e di desiderare quel che sarebbe stato meglio per lui. Ma dato che era nato, e che era sopravvissuto alla beata inconsapevolezza delle prime settimane di vita, il meglio possibile sarebbe stato non doversi mai guardare, o non sapere che quella faccia mostruosa gli apparteneva.
Nondimeno, il priore non aveva mandato Fumo, né Yavi, bensì lui, Shoethai. Ciò significava che l’arrivo e l’esistenza stessa del pacco dovevano rimanere ignoti sia a Yavi che a Fumo, quindi anche al priore Jhamlees Zoe, e dunque persino alla Santità. Soltanto due persone, ossia Shoethai e Fuasoi, sapevano del pacco.
Un giorno, mentre Shoethai gli stava pulendo l’ufficio, il priore Fuasoi aveva chiesto, di punto in bianco: — Sai cosa sono gli Ammuffiti?
— I martiri di qualcosa — aveva risposto Shoethai.
— I Martiri degli Ultimi Giorni — aveva precisato il priore. — Una setta impegnata ad affrettare la fine. Hai mai letto il Libro della Fine?
Shoethai era rimasto a bocca aperta, scuotendo la testa: ovviamente non aveva mai letto nessun libro degli Ammuffiti, perché chiunque lo facesse rischiava che la Santità lo cancellasse dagli elenchi della resurrezione.
— Lo so — aveva detto Fuasoi, come se gli avesse letto nel pensiero. — È uno dei libri proibiti. Tuttavia credo che per te sarebbe una lettura interessante, Shoethai. Ecco perché ti permetto di leggerlo. Prendilo, quando esci, ma non lasciare che nessuno lo veda. Soprattutto, non lasciare che lo veda Jhamlees Zoe. — Così dicendo, aveva deposto sulla scrivania un vero e proprio libro, un volume antico rilegato in cuoio, col titolo a lettere dorate: «Libro della Fine».
Prima di uscire dall’ufficio del priore, Shoethai aveva nascosto il libro sotto la tonaca, e poiché era quasi sempre solo, non aveva certo faticato a leggerlo in segreto.
Da allora lo aveva riletto tante volte da saperlo quasi a memoria. Come faceva spesso, ne citò sottovoce una frase: — Vestiti di luce, dimoreremo nella casa della luce. — Poi sorseggiò il tè che il direttore del ristorante aveva dovuto portargli personalmente dopo aver litigato sottovoce, in disparte, con le due cameriere che avevano rifiutato di servirlo.
L’estinzione dell’umanità sarebbe stata seguita dall’avvento della Nuova Creazione. Allora, non più mostruoso e deforme, ma bello come un angelo e vestito soltanto di luce, Shoethai sarebbe sfrecciato nel cielo simile a un fulmine, come spiegava un brano del libro e come mostrava una bellissima illustrazione che Fuasoi si era premurato di indicargli. Shoethai lo credeva senza ombra di dubbio fin dal momento in cui aveva letto per la prima volta quel passo, che sembrava essere stato scritto appositamente per lui. La giustizia era assoluta: le persone che non erano trattate con giustizia nella vita presente, lo sarebbero state in quella futura.
Dopo aver sorseggiato di nuovo il tè, Shoethai bisbigliò: — Che avvenga il mutamento! Che la Nuova Creazione si manifesti! — E pregò in silenzio che le cameriere fossero tra le prime ad essere spazzate via nel modo più doloroso. Il priore Fuasoi gli aveva spiegato che ovviamente sarebbe stato doloroso: lo sapeva perché aveva trascorso quasi un anno in un lazzaretto, ed era diventato un Ammuffito perché non restava altra scelta dopo aver conosciuto gli effetti della peste.
Pur sapendo che oltre a Fuasoi non esistevano Ammuffiti su Grass, e che Jhamlees Zoe li avrebbe uccisi entrambi senza pietà, se avesse scoperto la loro appartenenza alla setta, Shoethai non aveva esitato a convertirsi. Comunque Fuasoi gli aveva garantito che due Ammuffiti sarebbero stati più che sufficienti per compiere la grande opera.
Volgendosi ad osservare gli scaricatori affaccendati intorno all’astronave, Shoethai recitò lentamente: Benedicimi, O Creatore, poiché io ripulirò la tua casa di bruttura.
La bruttura era un peccato nei confronti della Creazione. Secondo Fuasoi, Shoethai era stato creato deforme affinché avesse chiara consapevolezza dell’assoluta depravazione e indegnità dell’uomo: era come un messaggio scolpito dal Creatore nella carne, per lui e per tutti. La sua mostruosità esteriore non era altro che l’espressione della laidezza interiore dell’umanità intera, nella cui carne fetida e fallibile non avrebbe mai dovuto esistere l’intelligenza. La carne si addiceva agli animali, non alle creature intelligenti. Insomma, l’umanità era un esperimento fallito: i pochi che avessero contribuito a spazzarla via, avrebbero beneficiato di ricompense divine, e l’universo purificato sarebbe stato pronto per un nuovo inizio.
Quando si allontanarono dall’astronave alcuni automezzi, fra cui quello che trasportava il pacco, frate Shoethai decise di restare ancora per un po’ dove si trovava, in attesa che la folla si disperdesse. Dopotutto, non aveva fretta. Una volta diffuso il contenuto del pacco, lo sterminio della popolazione del pianeta avrebbe richiesto parecchio tempo, perché talvolta il virus tardava ad entrare in azione. Che importanza poteva mai avere, dunque, un’ora in più o in meno? Nel sorseggiare il tè, Shoethai ridacchiò; ma subito smise, notando l’effetto del risolino sul proprio volto riflesso nel vetro della finestra; e distolse lo sguardo, per non vedersi più.
Nel suo ufficio al Monastero, il priore Noazee Fuasoi si curvò sulla scrivania per cercar di resistere al dolore che gli straziava il ventre. Il secondo trapianto di stomaco e viscere non aveva funzionato più del primo, anche se il dipartimento aveva cercato fra tutti i penitenti il donatore di organi più adatto, e i medici avevano fatto del loro meglio, pur obiettando che il donatore non aveva spontaneamente offerto il proprio corpo, prima di restare mortalmente ferito alla testa in seguito alla caduta accidentale da una torre, come aveva dichiarato lo stesso Fuasoi. Su Grass, purtroppo, non esistevano attrezzature per la clonazione.
Naturalmente, il priore Fuasoi avrebbe potuto tornare alla Santità per farsi clonare le viscere, se Jorny Shales, l’Ammuffito, non gli avesse proibito di perdere tempo: — Il Creatore potrebbe anche concedere un po’ di sollievo a coloro che compiono la Sua opera — digrignò fra sé e sé, come faceva ogni volta che il dolore al ventre lo torturava.
— Prego? — chiese Yavi Foosh, dalla sua scrivania accanto alla finestra. — Come avete detto, Vostra Eminenza?
— Nulla — ringhiò Fuasoi. — Mi lamentavo per il dolore alla pancia, ecco tutto. Si tratta probabilmente d’indigestione. — Ma sapeva bene che non era affatto indigestione: era soltanto il corpo fallibile e schiavo dei desideri, fetido e marcio di secrezioni, dolorante, debole e sciocco. Per fortuna coloro che avessero contribuito a purificare il creato non avrebbero più avuto il corpo, dopo la Nuova Creazione. Fradicio di sudore, aggrappato al bordo della scrivania in attesa che il crampo cessasse, Fuasoi rammentò altri luoghi, altre epoche.
Non aveva mai saputo cosa significasse davvero soffrire prima di vivere nel lazzaretto. A veva quindici anni e si chiamava Jorny. Viveva con zio Shales in un villaggio di pescatori, andava a scuola e pescava sul molo, andava in barca quando il tempo era bello, scriveva biglietti d’amore a Gerandra Andraws, la maliziosa, piccola Jerry dal bel sederino, e si chiedeva se fosse già abbastanza grande per poter combinare davvero qualcosa con lei.
Poi, un giorno, Jorny era stato portato nel lazzaretto, confinato in una camerata con altri quindici uomini e ragazzi, senza più scuola, né ragazze, né pesca, né lo zio Shales. Tutti coloro che si trovavano nel lazzaretto erano ammalati, oppure erano parenti stretti dei malati. Jorny seppe che zio Shales stava morendo e che lui stesso avrebbe dovuto restare nel lazzaretto fino a quando si fosse scoperto se la malattia avrebbe ucciso anche lui.
Poiché gli era proibito vedere zio Shales, il ragazzo uscì di nascosto dalla camerata, scoprì in quale letto di quale altra camerata giaceva lo zio, e vi si avvicinò dall’esterno. In seguito, zio Shales socchiuse la finestra ogni notte per chiacchierare col nipote, che stava accoccolato sotto la finestra, col viso rigato di lacrime, cercando di piangere in silenzio. Più volte lo esortò a non aver paura, perché tutto quello che succedeva, era per il meglio; poi, una notte, non rispose, né socchiuse la finestra. Appena fu sicuro che tutti dormissero, Jorny si intrufolò nella camerata e scoprì che lo zio era scomparso: nel suo letto giaceva una sorta di mostro parzialmente bendato, tutto colante di umor fetido, con un occhio solo e una ferita orrenda al posto della bocca.
Quando gli fu spiegato che zio Shales era morto, Jorny pensò di potersene andare. Invece fu tenuto perennemente sotto osservazione, in attesa che anche sul suo corpo comparissero piaghe come quelle che affliggevano quasi tutti coloro che erano confinati nel lazzaretto.
Un giorno arrivò un Ammuffito a predicare che la fine dell’umanità era prossima, e che l’uomo doveva perire perché era soltanto un corpo putrido, e che l’universo doveva essere purificato per la successiva generazione, e che i defunti sarebbero risorti all’avvento della Nuova Creazione, abbigliati di luce e belli come l’alba.
Così Jorny comprese quello che era successo a zio Shales: si era purificato dalla carne, per poter rinascere vestito di luce come un angelo. E per la prima volta, là, nella strada polverosa del lazzaretto, seminascosto dietro un albero, si abbandonò a un pianto sfrenato. Appena l’Ammuffito ebbe terminato la predica, Jorny andò a raccontargli la propria storia e gli confidò di volersene andare dal lazzaretto. Percuotendogli affettuosamente una spalla, il predicatore gli promise di portarlo via e gli annunciò che avrebbe potuto diventare subito un Ammuffito, senza alcuna cerimonia. Fu esaminato, e poiché non aveva la peste, fu trasportato di nascosto in un luogo molto affollato, dove nessuno era malato e i ragazzi non mancavano. Tutto ciò avvenne senza difficoltà perché l’Ammuffito aveva già corrotto il responsabile del lazzaretto per poter predicare e dar conforto ai morenti.
Quella notte, Jorny dormì. Da allora, fece in modo di non pensare più a zio Shales. Decise che tornare al villaggio per salutare gli amici sarebbe stato inutile, dato che la popolazione era stata quasi sterminata dalla peste, e soprattutto era destinata a risorgere. Talvolta, al tramonto, gli Ammuffiti gli mostrarono alcune persone che, già trasformate, sbucavano dalle nubi come raggi di luce dorata. Non tardò a capire che si trattava semplicemente del sole fra le nuvole, tuttavia non se ne curò. Allorché si rese conto che il mostro che aveva visto sul letto, nella camerata, era stato in realtà suo zio, la sua visione della vita era ormai chiara.
A diciassette anni, fu inviato dagli Ammuffiti alla Santità, come accolito, con l’incarico di studiare, lavorare e salire nella gerarchia. Poco a poco divenne membro del Ministero della Dottrina Accettabile, però furono gli Ammuffiti che, mediante la corruzione di vari funzionari, provocarono il suo trasferimento su Grass: era tempo che anche quel pianeta fosse purificato.
E così Jorny Shales, alias Noazee Fuasoi, era pronto a diffondere su Grass la peste che aveva distrutto le uniche persone a cui aveva voluto bene: Se zio Shales meritava la peste, allora non esiste nessuno che non la meriti, pensò. Se zio Shales doveva morire, allora tutti devono morire. Poi aprì gli occhi e si accorse con sorpresa di averli umidi di lacrime, mentre il crampo straziante al ventre si riduceva al solito dolore lieve, ma perenne. Nello stesso istante si rese conto di aver di fronte il priore Jhamlees Zoe.
— Ti senti male, Fuasoi?
— Sì, priore. Ma è soltanto un dolore passeggero.
— Sei stato in città a farti visitare, di recente?
— Alcune settimane fa, priore.
— Cos’hanno detto i medici?
— Il trapianto non è perfettamente riuscito.
— Forse dovresti tornare alla Santità.
— Oh, no, priore! C’è troppo lavoro da sbrigare, qui!
Tradendo un notevole nervosismo, Jhamlees si sfregò le mani, si grattò il naso minuscolo, si dondolò sui calcagni: — Dimmi una cosa, Fuasoi.
— Sì, priore?
— Non hai mica sentito parlare di nessuna malattia, vero?
Incredulo, Fuasoi lo fissò: Malattia? pensò. Costui dev’essere impazzito! è ovvio che le malattie non mancano! Quindi domandò: — A cosa vi riferite, precisamente?
— Oh, be’, a qualsiasi grave malattia. Per esempio, ehm, la peste.
— La Santità nega l’esistenza della peste — rispose Fuasoi, con fermezza. — Non volete certo mettere in dubbio la dottrina della Santità, vero?
— Certo che no! In realtà, mi riferivo a qualche malattia contagiosa. Capisci? Un morbo che possa minacciare il Monastero. Comunque, è sempre confortante sapere che va tutto bene. Abbiti cura, Fuasoi. E avvertimi, se decidi di tornare alla Santità. — Ciò detto, Jhamlees si affrettò ad andarsene.
Bene bene, pensò Fuasoi. Perché mai gli sarà venuta in mente una cosa del genere?
Ma subito Yavi interruppe le sue riflessioni: — È tornato Shoethai — annunciò. — Lo sento arrivare in corridoio. — Andò ad aprire la porta e si volse a scrutare interrogativamente il superiore.
— Fallo pure entrare — annuì Fuasoi. Il dolore al ventre gli era quasi passato. Ma la sofferenza che lo destava nel cuore della notte, sudato e piangente, gli avrebbe dato requie soltanto quando tutto fosse finito. Si tamponò la fronte con un fazzoletto e alzò lo sguardo alla porta dell’ufficio: — Voglio parlargli in privato.
Con una scrollata di spalle, Yavi se ne andò, mentre Shoethai varcava la soglia e si gettava in ginocchio: — Vostra Eminenza.
— Alzati! — ordinò Fuasoi, impaziente. — Hai portato il pacco?
Stancamente, Shoethai annuì, quindi si alzò per andare a deporre un pacchetto sulla scrivania: — Non è stato facile averlo: fingevano quasi tutti di non vedermi.
Con un cenno, Fuasoi si fece consegnare il pacchetto, quindi lo aprì con cautela, rivelando un pacchettino grande all’incirca come un pugno.
— È lì dentro? — chiese Shoethai in tono implorante, bramoso di essere rassicurato ancora una volta.
— Sì — sorrise il priore, finalmente lieto che la missione potesse procedere, e che la sua stessa sofferenza stesse per terminare. — Ecco qua, spedito appositamente per Grass, il virus della peste!
Quando Persun Pollut annunciò l’arrivo di frate Mainoa e frate Lourai, Marjorie rimase un momento perplessa, perché aveva dimenticato di aver inviato l’aeromobile a prendere i due monaci. Poi andò a riceverli, nella speranza che la loro presenza ponesse fine, almeno per il momento, al litigio fra Rigo e Stella. Quantunque fossero arrabbiati con entrambi per aver rischiato inutilmente le loro vite, lei e Tony pensavano che l’alterco fosse già durato abbastanza.
Mentre Rigo continuava a gridare, furioso perché Stella aveva partecipato alla Caccia senza chiedergli il permesso, Marjorie intervenne, presentando i frati.
Rosso di collera, Rigo strinse la mano a frate Mainoa. Al cospetto di quel monaco vecchio, calvo, miope e grasso, capì subito di essersi reso ridicolo accusando la moglie di avere una relazione con lui. Inoltre si rese conto che nel mostrarsi così dominato dall’ira non stava certo rimediando. Incapace di fare altro, si scusò in maniera piuttosto brusca e se ne andò, seguito da Stella, la quale sembrava una piccola belva infuriata.
Il compito di riparare alla scortesia rimase a Marjorie e Tony, ma frate Mainoa li prevenne, gesticolando con noncuranza: — Ogni famiglia ha le sue difficoltà, lady Westriding. Se ho ben capito, ieri vostro marito e vostra figlia hanno cavalcato al seguito dei veltri.
— Come lo sapete?
— La notizia si è diffusa in tutto il pianeta subito dopo la loro partenza da Klive. Un servo ha chiamato al dimmi un amico, che ha avvertito un altro amico, che ha informato altre tre persone. Un Frate Verde è venuto alle rovine arbai per portare la notizia a frate Lourai e a me. Insomma, lady Westriding, ormai lo sanno proprio tutti.
— È a causa della sua partecipazione alla Caccia, che Stella stava litigando con Rigo — confessò Marjorie, senza che fosse necessario. — Tony ed io abbiamo paura per entrambi.
— Ne avete tutti i motivi — convenne Mainoa.
— Vostra figlia è decisa a continuare? — domandò Rillibee, che poco prima aveva osservato Stella con evidentissima ammirazione.
— Rigo intende ripetere l’esperienza, e Stella non è da meno, anche se per ragioni diverse. I motivi per cui mio marito crede che nostra figlia non dovrebbe più partecipare alla Caccia, sono gli stessi per cui, secondo me, lui stesso non dovrebbe più farlo. — Marjorie sospirò, allargando le braccia: — Ma Rigo sostiene che il suo caso è del tutto diverso!
— È proprio una faccenda incresciosa — disse Tony, nel tentativo di minimizzare. — Ognuno di noi ripete sempre le stesse cose, senza ascoltare gli altri.
— Ho saputo anche — dichiarò frate Mainoa — che Rowena, la obermum bon Damfels, si trova al Comune, e che l’obermun bon Damfels, a quanto pare, non ne è al corrente.
— Non vi sfugge proprio niente — commentò mestamente Marjorie. — Avete saputo anche perché tutto ciò è successo?
— Ma certo, lady Westriding.
— Vi prego, fratello: chiamatemi semplicemente Marjorie. Padre James, che avete già conosciuto e che fra l’altro è nipote di mio marito, sarebbe molto lieto di partecipare alla nostra conversazione, se a voi non dispiace.
Sorridendo, frate Mainoa annui.
Così pranzarono tutti assieme in terrazzo, nella mite brezza primaverile: frate Mainoa e frate Lourai, Tony e Marjorie, padre James e padre Sandoval. Sia Rigo che Stella avevano lasciato la villa.
— Desideravo in modo particolare parlare con voi, padri — confessò frate Mainoa — perché vorrei chiedervi consiglio su una questione filosofica.
— Davvero? — chiese padre Sandoval, in tono condiscendente. — E desiderate risposta da un punto di vista religioso?
— Sì. Si tratta di un problema pertinente a creature non umane: lo si può considerare puramente teorico, tuttavia è importante.
Padre Sandoval rizzò la testa: — Intendete dire da un punto di vista dottrinale?
— Esattamente. Non ha nessuna rilevanza pratica, però è importante dal punto di vista dottrinale. Ma prima di affrontare il problema stesso, debbo chiedervi di accettare il presupposto che le volpi di Grass sono esseri senzianti e sono turbate da problemi di coscienza.
Allora Tony rise, e Marjorie sorrise, ma padre Sandoval parve soltanto lievemente divertito: — Mi sembra accettabile come base per una discussione filosofica.
Soddisfatto, frate Mainoa annuì: — È un problema di peccato originale.
— Peccato originale? — Padre James sembrò genuinamente divertito. — Fra le volpi? — E sorrise a Marjorie, come se rammentasse la loro recente conversazione sul medesimo argomento.
Ancora turbata da quello che il giovane prete aveva detto, Marjorie abbassò lo sguardo: non era affatto sicura che fosse un argomento frivolo.
Pur accorgendosi di questa breve occhiata, padre Mainoa fece finta di nulla: — Rammentate, padri, di aver acconsentito a considerare le volpi come creature non meno senzienti di noi. Ebbene, partendo da questo presupposto… — Si interruppe un attimo per dire a Tony: — Vi prego di non ridere, giovanotto. — Quindi riprese: — Partendo da questo presupposto supponiamo, come dicevo, che le volpi siano turbate dall’idea del peccato originale. Dato che sono carnivore per natura, mangiano le rane, che sono le larve degli Hippae.
— Dunque lo sapete! — intervenne Marjorie. — Sapete che cosa sono in realtà le rane!
— Sì, lady. Io sono uno dei pochi a saperlo. Ebbene, supponiamo che anche le volpi lo sappiano, e che le mangino.
— E le volpi pensano che ciò sia peccato? — chiese Tony.
— Be’, ragazzo, questo è un punto interessante. Se si trattasse di persone, sarebbe un peccato. La soppressione di un nascituro da parte di un uomo o di una donna è considerata omicidio sia dagli antichi cattolici che dai santificati, nevvero? Le larve degli Hippae non sono assolutamente senzienti, però, quando sono completamente sviluppate e ormai incapaci di muoversi, subiscono una metamorfosi, diventando veltri.
— Ah. — Padre Sandoval, che aveva saputo delle metamorfosi da Marjorie, cominciava a capire dove volesse arrivare frate Mainoa.
— Secondo alcuni, i veltri sono creature senzienti. Di sicuro sono capaci di pensare, entro certi limiti, ma io credo che siano dotati di autocoscienza. In ogni caso, subiscono a loro volta una metamorfosi e diventano…
— Cavalcature — annuì Marjorie. — Li ho visti.
— Certo. E come lady Westriding sa nel profondo del cuore, e come noi tutti sentiamo, gli Hippae sono creature senzienti. Ne abbiamo già discusso, vero? In conclusione, quando mangiano le rane, le volpi uccidono i nascituri di una razza senziente.
— Ma se ne sono consapevoli, allora perché…
— E cos’altro potrebbero mangiare? Gli Hippae stessi? I pochi altri animali del pianeta sono troppo veloci per poter essere catturati, o troppo piccoli per poter essere nutrienti, mentre gli erbivori sono troppo grossi. In sostanza, le volpi mangiano le rane perché si possono catturare facilmente e perché sono moltissime. Infatti, le rane sono così numerose che, se tutte si trasformassero, il pianeta non sarebbe in grado di sostentare la popolazione. La storia della Terra dimostra bene quali orrori derivano dalla riproduzione illimitata voluta dalla religione. Tuttavia non è questo il punto. Il fatto è che le volpi non soltanto mangiano le rane, bensì le trovano gustose. Supponiamo ora che negli ultimi tempi, a causa dell’influenza umana, le volpi abbiano appreso il senso di colpa.
— Non si sentivano colpevoli, prima che arrivassero gli uomini?
— Supponiamo di no. E supponiamo anche che fossero dotate di ragione, ma non conoscessero la vergogna, tratta soltanto in seguito, sempre dall’uomo.
— In tal caso devono averla appresa dai plebei — commentò Tony — perché ne ho trovata ben poco fra i bon.
Frate Mainoa rise: — Dai plebei, certo! Diciamo pure che l’hanno appresa dai plebei!
— Gli antichi cattolici — osservò Marjorie, aggrondata — credono che il peccato originale sia di carattere, ehm, amoroso.
— E le volpi, che hanno imparato questa dottrina da soltanto il Cielo sa chi, si chiedono se non possa esistere anche un peccato originale di carattere, diciamo così, gustativo. Ebbene, supponiamo che siano venute da me a chiedere: «Vorremmo sapere, frate Mainoa, se siamo colpevoli di peccato originale». Naturalmente, ho risposto che non posso pronunciarmi su una dottrina che non appartiene alla Santità. Ma ho anche aggiunto: «Però padre Sandoval, che è un antico cattolico, dovrebbe saper tutto a questo proposito». E così, le volpi vogliono discutere l’argomento.
— Discutere l’argomento?
— Be’, sì, in un certo senso. Supponiamo che abbiano trovato un mezzo per comunicare.
Molto aggrondato, padre Sandoval si addossò allo schienale della sedia, unì le punte delle dita a formare una sorta di gabbia, e rimase per qualche tempo a fissarla come se vi avesse imprigionato i pensieri: — In tal caso risponderei — dichiarò finalmente, dopo una lunga pausa — che il loro senso di colpa non deriva affatto dal peccato originale. Ammesso che si tratti di un peccato, non sono stati i loro capostipiti a commetterlo, bensì loro stessi.
— E questo fa differenza?
— Oh, certo! Un peccato commesso semplicemente da loro stessi può essere espiato con la penitenza e perdonato da Dio, purché il loro pentimento e la loro fede in Dio siano sinceri.
Purché Dio creda in loro, pensò Marjorie. Se Dio non conosce neppure i nomi dei suoi microrganismi umani, è mai possibile che si curi delle volpi?
Corrucciato, assorto in riflessione, frate Mainoa risistemò le proprie posate sulla tavola: — Ma supponiamo che il peccato sia stato commesso dai loro antenati.
— Non si tratta soltanto di chi ha commesso il peccato, se loro stessi o i loro progenitori, più o meno consapevolmente. Quello che bisogna considerare è il punto di vista di Dio. Per giudicare se vi sia peccato originale, è necessario accertare se le volpi siano mai vissute nella grazia divina. È mai esistito un tempo in cui furono senza peccato? Sono mai decadute dallo stato di grazia come avvenne ai nostri capostipiti, secondo gli insegnamenti della nostra religione?
Frate Mainoa annuì: — Supponiamo di no. Supponiamo che, a loro memoria, la situazione sia sempre stata com’è adesso.
— Le volpi non hanno leggende orali, né tradizioni scritte?
— Assolutamente no.
Padre Sandoval fece una smorfia e si picchiettò i denti con l’unghia di un pollice: — In tal caso, è possibile che non vi sia mai stato peccato originale.
— Neppure se, attualmente, queste creature consapevoli provano turbamento per qualcosa che hanno sempre fatto?
Con una scrollata di spalle, padre Sandoval sorrise, allargando le mani: — Ebbene, fratello, supponiamo di giudicare le volpi colpevoli di peccato originale. Prima bisogna stabilire se la loro salvezza è possibile, ossia se vi è modo di ottenere la loro espiazione mediante il perdono divino. Non possono pentirsi sinceramente di qualcosa che non hanno fatto, quindi il pentimento, per loro, è inutile. Devono confidare in una forma di redenzione soprannaturale, come quella che fu offerta agli antichi cattolici dal Salvatore, mediante il quale ci è concessa l’immortalità. Ai santificati, invece, la redenzione è offerta dalla Santità stessa, per mezzo della quale ottengono l’immortalità.
— I santificati credono nel medesimo Salvatore — osservò frate Mainoa. — Tanto è vero, che un tempo sostenevano di essere i Suoi santi.
— Può darsi, benché ciò non abbia più molta rilevanza nella dottrina della Santità. In ogni modo non abbiamo tempo di discutere le nostre diverse concezioni dell’immortalità. Secondo la mia religione, il sacrificio del Salvatore ha redento anche le persone pie che vissero prima della Sua nascita come uomo. Perciò suppongo che lo stesso possa essere vero anche per le volpi, sebbene siano sempre vissute su un altro pianeta. D’altronde non spetta a me, semplice prete, stabilire questo: soltanto la massima autorità della Chiesa può farlo.
— Ah! Molto interessante! — Perplesso e divertito al tempo stesso, frate Mainoa fece un gran sorriso e scosse la testa. — È proprio con speculazioni di questo genere che inganno il tempo, mentre scavo o catalogo i reperti.
Cogliendo nella espressione di padre Sandoval un accenno di collera, Marjorie tentò di deviare la conversazione: — Anche voi, frate Lourai, meditate su argomenti etici e filosofici?
Sollevando gli occhi dalla sua insalata, Rillibee Chime scrutò padre Sandoval con tale intensità che parve metterlo a disagio: — No, la mia famiglia non ha mai commesso peccato contro nessuno, e io non ho mai avuto la possibilità di macchiarmi di alcuna colpa. Rifletto dunque su ben altre cose: penso agli alberi, rammento i miei genitori e la loro morte, ricordo il nome che mi hanno dato, e mi chiedo perché sono qui.
Marjorie sorrise: — Nient’altro?
— Sì — rispose Rillibee, sorprendendo lei e se stesso. — Mi chiedo cosa significa il nome di vostra figlia, e se mai la rivedrò.
— Be’, il mio confratello è ancora giovane — commentò frate Mainoa, con le sopracciglia inarcate, percuotendo cordialmente un braccio del ragazzo. — Anch’io pensavo a queste cose, tanto tempo fa.
Dopo alcuni istanti di cupo silenzio, Marjorie cercò un argomento meno inquietante: — Ditemi, frate Mainoa. Conoscete un animale di Grass che assomiglia a un pipistrello? — E descrisse le creature che aveva veduto nell’antro, sottolineandone la caratteristica più notevole, ossia le zanne.
— Non soltanto lo conosco — rispose il vecchio frate — ma ne sono anche stato morso, come è capitato almeno una volta alla maggior parte degli abitanti del pianeta. È un vampiro che caccia al crepuscolo, colpisce in questo punto — aggiunse, battendosi la nuca con una mano callosa — e cerca di affondare le zanne. Per fortuna la robustezza delle ossa protegge gli umani, ma evidentemente gli animali grassiani hanno un punto debole alla base del cranio. Sono creature orrende, vero?
Marjorie annuì.
— Dove li avete visti?
Ancora una volta, Marjorie raccontò la propria avventura, suscitando l’interesse di Rillibee e di padre James.
Niente affatto sorpreso, frate Mainoa rispose: — In tal caso li avete indubbiamente visti morti. Davanti agli antri degli Hippae, i loro corpi sono numerosi come le foglie sul suolo della foresta, nell’autunno terrestre. Lo so perché sono uno dei pochi che è riuscito a spiare un antro e poi andarsene.
Dal modo in cui la guardava, Marjorie si rese conto che frate Mainoa immaginava con estrema precisione i motivi per cui si era avventurata nella prateria: — Andarsene? — ripeté, sottovoce.
— Direi che è piuttosto difficile andarsene, lady Westriding — rispose frate Mainoa, in tono ironico. — Una volta che si è stati fiutati o veduti, non si ha più scampo.
— Io ero a cavallo.
— Tuttavia lo trovo sorprendente. Certo, può darsi che il vostro cavallo sia stato più veloce degli Hippae, o che non siate stati individuati perché il vento vi era favorevole, o che l’odore del cavallo li abbia confusi abbastanza a lungo. Ve la siete cavata per miracolo, lady. — Con una occhiata penetrante, quasi telepatica, Mainoa soggiunse: — Vi suggerirei di non riprovare, specie durante l’intervallo.
— Io lo avevo già deciso — dichiarò Marjorie, abbassando gli occhi, imbarazzata dallo sguardo di rimprovero di Tony, che era perfettamente d’accordo col vecchio monaco. Intanto pensò: Possibile che frate Mainoa mi abbia letto nella mente?
— Gli Hippae non vogliono essere osservati? — domandò Tony.
— Non lo tollerano. Ecco perché si sa così poco sul loro conto, e perché la gente che si avventura nella prateria scompare. Comunque posso dirvi che gli Hippae depongono le uova durante l’inverno, o all’inizio della primavera. A tarda primavera, in fondo agli antri, ho visto uova che non erano state deposte in autunno. Quando il clima è abbastanza caldo, i migerer portano le uova al sole e le ruotano in continuazione, fino a quando si schiudono. Nello stesso periodo, le rane e i veltri che sono abbastanza sviluppati tornano agli antri e si trasformano. Intanto, gli Hippae li sorvegliano. Ecco la ragione dell’intervallo.
— E i bon non lo sanno — dichiarò Marjorie.
— Esatto: non lo sanno. Nessuno glielo dice, né vogliono saperlo: per loro è tabù.
— Forse posso mostrarvi qualcosa che non sapete. — Marjorie andò a prendere il registratore di rotta e fece comparire sullo schermo il disegno che aveva visto nell’antro. — Mi è stato detto che il tuono che di quando in quando scuote il suolo, è prodotto dalle danze degli Hippae. Be’, forse questo è quello che ne risulta.
Frate Mainoa fissò il disegno, dapprima perplesso, poi incredulo. Marjorie sorrise: Bene! pensò. Dopotutto, non è onnisciente! Quasi per caso, Rillibee osservò: — Sembra la scrittura degli Arbai, vero, fratello?
— Le rane sferiche! — D’un tratto, Marjorie rammentò di aver visto raffigurati i veltri seduti e le rane rotonde sulle formelle delle facciate delle case, alle rovine arbai. E il disegno dell’antro assomigliava sia alla scrittura arbai, sia ai fregi dei bassorilievi. Quando lo disse, Marjorie provocò un profondo silenzio meditativo.
In seguito, la conversazione affrontò altri argomenti, incluso il verificarsi o meno di decessi inesplicabili su Grass, giacché Marjorie e Tony non avevano certo dimenticato la loro missione; però nessuno dimenticò il disegno veduto sullo schermo del registratore di rotta. Prima di accomiatarsi, frate Mainoa disse che desiderava molto mostrarlo a un amico, e Marjorie, pensando che si riferisse a un amico tra i Frati Verdi, gli prestò il registratore di rotta.
Soltanto dopo la partenza dei due monaci, Marjorie si chiese come mai frate Mainoa aveva veduto gli antri degli Arbai ed era sopravvissuto per raccontarlo.
Il giorno successivo, quando Rigo partì per l’ultima Caccia a Klive, Stella, che aveva pensato molto a Sylvan, chiese di accompagnarlo.
— Hai detto che non avresti messo a repentaglio la vita dei ragazzi — rammentò Marjorie al marito. — Lo hai promesso, Rigo. — Non pianse né gridò, ma aveva gli occhi colmi di lacrime.
Di recente, Rigo aveva desiderato farla piangere, tuttavia non provò alcuna soddisfazione nel vederla piangere per la figlia: — Non ho violato la promessa — spiegò, nel suo tono di voce più tranquillo e ragionevole. — Non avrei mai ordinato a nessuno di voi di partecipare alla Caccia. Ma Stella desidera farlo, quindi è del tutto diverso.
— Potrebbe morire, Rigo.
— Chiunque di noi potrebbe morire — ribatté Rigo, con calma estrema, indicando con un ampio gesto un universo ostile che tramava la morte di tutti. — Però non succederà niente a Stella: secondo Stavenger bon Damfels, cavalca con estrema abilità — soggiunse, come se ciò equivalesse ad una investitura per la ragazza. — Anzi, Stavenger mi ha esortato a farla partecipare ancora.
— Stavenger! — ripeté Marjorie, con profondo disprezzo. — Colui che ha quasi picchiato a morte Rowena, poi ha tentato di lasciarla morire di fame e di sete, e ora non si accorge neppure della sua assenza. E tu intendi rischiare la vita di Stella confidando nel parere di un individuo simile?
— Suvvia, mamma! — intervenne Stella, con pacatezza inflessibile e ostinata, molto simile a quello del padre. — Smettila! Io vado, e basta.
Dalla gradinata del terrazzo, Marjorie seguì con lo sguardo il marito e la figlia, quindi rimase a fissare il cielo finché l’aeromobile divenne piccolo come un puntino e finalmente svanì.
Mentre ella stava per rientrare, Pollut le si avvicinò: — Lady.
— Sì, Persun?
— Il dimmi ha trasmesso un messaggio per voi. Sylvan bon Damfels ha domandato se assisterete alla Caccia. Quando ho risposto di no, mi ha chiesto di riferirvi che vorrebbe venir qui a farvi visita, nel pomeriggio.
— Forse ha notizie di Rowena — rispose mestamente Marjorie, sempre fissando il cielo limpido dove l’aeromobile era scomparso. — Quando arriva, accompagnatelo nel mio studio.
Più tardi, Sylvan portò davvero notizie di Rowena, suscitando la compassione di Marjorie. Le ferite dovute alle percosse stavano guarendo, ma non si poteva dire lo stesso delle lesioni psichiche, giacché ritrovare Dimity era divenuta la sua ossessione: non riusciva ad ammettere che la figlia fosse deceduta, né che, in caso contrario, trovarla sarebbe stato più straziante che crederla morta. Tuttavia non era questo il motivo della visita. In breve, Sylvan abbandonò questo argomento così doloroso per affrontarne un altro del tutto diverso.
Era trascorso tanto tempo dall’ultima volta che era stata corteggiata, che Marjorie ascoltò quasi tutto il discorso romantico e poetico del giovane prima di coglierne appieno il significato: — Sylvan! — implorò allora, improvvisamente terrorizzata. — Non parlate così, vi prego!
— Ma devo — sussurrò Sylvan. — Vi amo fin dal primo momento che vi ho vista, e ancor più dall’attimo in cui vi ho presa fra le braccia, al ricevimento. Senza dubbio ve ne siete resa conto. È impossibile che non abbiate sentito.
Marjorie scosse la testa per proibirgli di continuare: — Non dite altro, Sylvan, o dovrò pregarvi di lasciare questa casa. Non posso ascoltarvi. Ho famiglia.
— Ebbene? Cosa importa?
— A voi nulla, forse. Ma a me importa moltissimo.
— Si tratta della vostra religione? Quei due preti vi sorvegliano per conto di Rigo?
— Padre Sandoval e padre James? Naturalmente no! Piuttosto, mi aiutano a proteggermi! — Esasperata, Marjorie volse la schiena a Sylvan. — Come posso spiegarvi? La vostra cultura è del tutto diversa, e poi, siete così giovane. Sarebbe un peccato!
— A causa della mia giovinezza?
— No, non per questo. Sarebbe un peccato perché sono sposata.
Sylvan era perplesso: — Su Grass non è così.
— Non esiste il sacramento del matrimonio, su Grass?
Egli scrollò le spalle: — Per i bon non sono importanti i matrimoni, bensì i figli. Naturalmente devono essere figli nobili, anche se spesso la finzione vale quanto la realtà: molti bon hanno sangue plebeo nelle vene, anche se nessun obermun lo ammetterebbe. Ma lo potete capire anche voi! Perché mai Rowena dovrebbe dormir sola per tutta la primavera e per tutto l’autunno, mentre Stavenger caccia, o riposa dopo la caccia, o pensa alla caccia successiva? Sono certo che Shevlok è figlio di Stavenger, però ho qualche dubbio a proposito di me stesso.
— Su Grass non esiste dunque il concetto di peccato? Non vi sono azioni che considerate sbagliate e riprovevoli?
Sylvan scrutò Marjorie come cercando di penetrare nel suo mistero: — Sarebbe sbagliato uccidere un altro bon, suppongo, oppure obbligare una donna a far l’amore contro la sua volontà, o far male a un bambino, o rubare in una estancia altrui. Ma nessuno giudicherebbe sbagliato se noi due fossimo amanti.
Nel guardare Sylvan che protendeva le mani verso di lei con occhi ardenti di fervore, Marjorie si sentì invadere dal panico, a causa del proprio fugace desiderio di abbracciarlo: in passato aveva desiderato con la stessa intensità di abbracciare Rigo. Come posso convincerlo che non abbiamo quasi nulla in comune, quando il mio stesso essere cospira contro di me? pensò. Quindi rispose: — Voi avete detto di amarmi, Sylvan.
— È così.
— Dunque intendete molto di più, presumo, della semplice lussuria. Non mi state certo dicendo che desiderate soltanto il mio corpo!
Nel pronunciare questa frase, Marjorie arrossì, perché non aveva mai detto nulla del genere neppure a Rigo. E vi riuscì soltanto allontanandosi dal giovane, per andare a guardar fuori dalla finestra.
— Naturalmente, no — rispose Sylvan, addolorato.
Sempre guardando il giardino, Marjorie continuò: — Allora, se davvero mi amate, non parlate più di questo argomento. Dovete accettare quello che vi dico: sono sposata con Rigo, e non ha nessuna importanza che il matrimonio sia felice o infelice, né che voi ed io potremmo essere felici insieme. Non importa, e non dovete parlarne! Il mio matrimonio è un fatto religioso, immutabile. Sarò vostra amica, ma non posso essere vostra amante. Se volete spiegazioni religiose, chiedete a padre Sandoval. Da parte mia sarebbe peccato persino discuterne con voi.
— Ma cosa posso fare? — chiese Sylvan, in tono implorante. — Cosa posso fare?
— Nulla. Andate a casa, dimenticate di essere venuto qui, e di avermi parlato, come cercherò di fare io.
Riluttante, ancor più infervorato dal rifiuto di quanto lo sarebbe stato dal consenso, Sylvan si alzò: — Ebbene, sarò vostro amico! — gridò, poiché non poteva rinunciare a lei. — E anche voi dovrete essermi amica! Non dobbiamo dimenticare la peste: avrete bisogno del mio aiuto per compiere la vostra missione!
Con le braccia conserte in atteggiamento difensivo, Marjorie si volse a guardare il giovane: — Sì, Sylvan, avremo bisogno del vostro aiuto, se vorrete offrircelo — rispose, con la bocca arida. — Però non dovrete più parlare del resto. — Lo vedeva così affranto che desiderava confortarlo, ma non osava toccarlo, e neppure sorridergli.
— Benissimo: non parlerò più del resto. — Sylvan fece un ampio gesto con entrambe le mani, come per gettar via ogni cosa, eppure senza rinuncia. Se non poteva conquistare l’affetto di Marjorie parlando d’amore, avrebbe tentato in altro modo, perché gli era semplicemente impossibile evitare di corteggiarla. Non capiva la sua religione, perciò decise di studiarla. Era ovvio che essa tollerava molti comportamenti proibiti, altrimenti il fiero e e severo Rigo non avrebbe potuto mantenere così sfacciatamente la sua amante!
Seduto a notevole distanza da Marjorie, Sylvan si fece spiegare di quali informazioni avesse bisogno e promise di fare tutto il possibile per ottenerle. Senza far più nulla che potesse turbarla, condusse la conversazione con fascino discreto, finché poco a poco ella abbassò le proprie difese, si rilassò, e ridiventò la donna con cui aveva danzato. Al momento di lasciarla, nel chiedersi come lei lo giudicasse, si sentì inumidire gli occhi, e si rese conto, sbalordito, di quanto Marjorie fosse divenuta importante nella sua vita. Non era più un ragazzo, eppure, si preoccupava di quel che una donna pensava di lui!
Nel seguire Sylvan con lo sguardo mentre se ne andava, Marjorie era così turbata come non le accadeva più da molti anni: desiderava con tutto il cuore che egli non fosse mai venuto a trovarla, che non le avesse mai confessato il proprio amore, o che si fossero conosciuti prima che lei incontrasse Roderigo Yrarier. Ma questo era un pensiero peccaminoso, quindi si recò nella cappella a pregare.
Ormai da anni trovava conforto nella preghiera, però quel giorno rimase inginocchiata per quasi un’ora senza ritrovare la propria tranquillità interiore. La luce rossa sull’altare non le sembrava più un occhio sacro e comprensivo, perché non si considerava più una figlia di Dio, bensì un microrganismo dotato di intelletto e turbato da desideri che non potevano essere soddisfatti. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho riso con allegria? pensò. Quanto tempo è passato dall’ultima volta che ci siamo divertiti tutti insieme, come una vera famiglia? Ricordava quelle ultime volte, che risalivano a un passato ormai lontano, quando Stella era ancora bambina, prima che Eugenie divenisse amante di Rigo.
Uscita nel freddo del pomeriggio, Marjorie udì il rumore attutito di un aeromobile proveniente da nord-est, corse allo spiazzo ghiaiato, e rimase in attesa, tremando, lo sguardo fisso al cielo: aveva bisogno di Rigo e di Stella, aveva bisogno della famiglia, e di appartenere a qualcuno. A costo di implorare o di esigere, li avrebbe indotti a mostrarle un po’ di affetto!
Nell’avvicinarsi lentamente, l’aeromobile ingrandì poco a poco sinché non fu più un puntino, ma divenne simile a una delle palle che Marjorie, da bambina, aveva usato appendere all’albero di Natale. Terminato l’atterraggio, il pilota smontò dal velivolo e se ne andò, senza guardare Marjorie. Anche Rigo uscì, si volse lentamente, e rimase immobile alla vista della moglie, col viso privo di espressione.
In quell’istante di immobilità assoluta, che parve interminabile, un primo, terribile sospetto divenne certezza: — Stella! — strillò Marjorie nel vento.
In silenzio, Rigo fece un gesto disperato e continuò a restare immobile: si vergognava troppo per avvicinarsi alla moglie e si rendeva conto di non poter dire nulla di utile.
— Frate Mainoa! — insistette Marjorie, picchiando il pugno sulla tavola della cucina, dove aveva trovato Tony e padre James intenti a consumare insieme uno spuntino. — Frate Mainoa sa qualcosa! è stato nelle praterie e ha visto molto. Se gli Hippae hanno rapito Stella, lui è l’unico che possa aiutarci!
— Dov’è tuo marito? — chiese il prete. — Dov’è zio Rigo?
— Lo ignoro — rispose Marjorie. — Comunque è rientrato in casa.
— Cos’ha detto esattamente?
— Che Stella è scomparsa, come Janetta, e come Dimity bon Damfels. — Marjorie inspirò profondamente, come se l’aria non le bastasse. — Rigo non ci sarà di nessun aiuto, perché ormai è diventato come Stavenger e come l’obermun bon Haunser. Non possiamo chiedere aiuto a nessuno dei bon, perché se non fanno niente neppure quando scompaiono i loro figli, di sicuro non muoveranno neanche un dito per Stella. Gli abitanti del Comune non sanno niente di queste cose, e i villici hanno una paura mortale delle praterie: avreste dovuto vedere l’espressione che aveva Sebastian Mechanic quando mi ha parlato del tuono che scuoteva il suolo nella notte! Eppure, qualcuno gliene ha parlato! E quando gli ho chiesto chi fosse stato, sapete cosa mi ha risposto? Frate Mainoa! Si torna sempre a frate Mainoa!
— Vuoi andare subito alle rovine, Marjorie?
— Sì, subito.
— Hai controllato che frate Mainoa sia ancora là?
— No — singhiozzò Marjorie, disperata. — Ma deve essere là!
Con un cenno della testa, padre James indicò a Tony il dimmi che si trovava in un angolo della cucina; poi, sebbene fosse più magro e non più alto di lei, abbracciò Marjorie, la sostenne, la fece sedere su una sedia e la aiutò a calmarsi.
Dopo aver parlato brevemente al dimmi, Tony lo spense e si girò: — Frate Mainoa è ancora alle rovine, con frate Lourai. Quando gli ho spiegato l’accaduto, ha risposto che verrebbe subito, se avesse l’aeromobile. Ad ogni modo puoi andare tu da lui, mamma, oppure vado a prenderlo io.
— Vado io! — Marjorie balzò in piedi, guardando attorno con occhi stralunati. — Sono stata malvagia, padre James. Ho nutrito rancore nei confronti di Stella, e Dio l’ha portata via.
— Marjorie! — gridò il prete, scrollandola. — Basta! Credi forse che Dio sia così ingiusto da punire tua figlia per qualcosa che hai commesso tu? Non sarai di nessun aiuto a Stella se ti lascerai affliggere da questi assurdi sensi di colpa. Perciò, basta!
Di nuovo Marjorie inspirò profondamente: — Sì, è vero. Avete ragione. Mi spiace. — Con uno sforzo evidente, cercò di riprendere il controllo di se stessa: — Tony, prendi qualcosa da mangiare: senza dubbio, tu e padre James avete fame. Io vado a prendere giacca e mantello. — Ciò detto, uscì di corsa, quasi barcollando, poi rallentò. Quando tornò, poco più tardi, era completamente padrona di se stessa, e tale rimase durante il viaggio in aeromobile.
Alle rovine, sotto una pioggia violenta, frate Lourai condusse il terzetto nell’alloggio che occupava con frate Mainoa: era una casa arbai restaurata, con una stufa in un angolo e pochi mobili.
Cedendo all’insistenza del vecchio frate, Marjorie si tolse il mantello bagnato e si lasciò servire una bevanda fumante; infine, incapace di trattenersi oltre, raccontò la storia della scomparsa di Stella.
— Perché siete venuta da me? — domandò Mainoa.
— Lo sapete bene — rispose Marjorie, in tono di sfida. — Forse le vostre chiacchiere filosofiche hanno ingannato gli altri, ma io sono convinta che quello che avete detto delle volpi sia vero, almeno in parte. Sono persuasa che sugli Hippae, sulle volpi, e su quello che succede nelle praterie, sapete un sacco di cose che noi ignoriamo.
— Dunque volete ritrovare vostra figlia.
— Certo che voglio ritrovarla.
— Anche se fosse nelle stesse condizioni di Janetta bon Maukerden?
— Dannazione! — si adirò Tony. — Dovevate proprio parlarne?
Frate Mainoa lo scrutò con una lunga occhiata: — Certo che dovevo, giovanotto. So che gli Hippae hanno rapito vostra sorella, ma non so dove sia. Anche se non ero al ricevimento, ho saputo della ricomparsa di Janetta, perché ho parlato al dimmi con Jandra Jellico. So anche cosa accade alle ragazze rapite dagli Hippae, e voi stessi ne siete stati testimoni. Non vi sembra che, prima di rischiare le nostre vite in un’impresa orribilmente pericolosa, convenga accertare se lo desideriamo davvero?
— Non dire altro, Tony — intervenne padre James. — Frate Mainoa ha ragione.
Alzandosi per servire altro tè a tutti, Rillibee osservò, con una tale preoccupazione che Marjorie ne fu sorpresa: — Janetta è stata loro prigioniera per molto tempo, mentre Stella è stata catturata soltanto oggi.
Frate Mainoa annuì: — Il mio giovane amico ha ragione. Se agiremo tempestivamente, forse ritroveremo Stella non molto diversa da quella che era al momento della sua scomparsa.
— Se esiste qualche remota probabilità di successo — disse stancamente padre James — dobbiamo cercare di ritrovarla comunque, quali che possano essere le sue condizioni. Tuttavia, Marjorie, non posso permettere che si vada incontro a morte certa: dobbiamo avere almeno qualche speranza di successo.
— Siete stato nelle praterie, vero? — chiese di nuovo Marjorie al vecchio monaco. — Avete spiato gli Hippae, eppure siete sopravvissuto.
— Ho potuto recarmi da solo nelle praterie ad osservare, perché sono stato protetto. Non so se tutti noi potremo beneficiare della medesima protezione per andare a cercare Stella. Forse converrebbe che tentassi da solo.
No, devo andare io, pensò Marjorie, scuotendo la testa. E disse: — Dobbiamo partire subito!
— No, non subito. Presto, ma non subito. Da quando siamo tornati da Collina d’Opale, frate Lourai ed io abbiamo cercato di comprendere il disegno che ci avete mostrato. Mediante il dimmi, ci siamo collegati ai computer del Comune, che sono a loro volta collegati con la rete di Semling, e abbiamo inserito molti volumi arbai, nonché i fregi delle formelle. Forse fra poche ore avremo qualche indicazione su eventuali correlazioni.
Incredula, Marjorie domandò: — E tutto ciò sarebbe più importante della vita di Stella?
— Comprendere il significato del disegno degli Hippae, ammesso che ve ne sia uno, potrebbe fornirci lo strumento che ci occorre per ritrovare Stella — spiegò pazientemente frate Mainoa. — Restate qua con noi ad aspettare. Potrebbe trattarsi soltanto di un paio d’ore.
Meno di un’ora più tardi, l’esito della ricerca fu trasmesso dal dimmi e registrato su un computer portatile: — Ho dato una scorsa alle informazioni — dichiarò frate Mainoa, balzando in piedi e intascando l’apparecchio. — Non abbiamo tempo di studiarle adesso. Dato che dal cielo non potremmo scoprire nulla, dobbiamo andare a piedi. E dobbiamo cominciare la nostra ricerca proprio da dove Stella è stata rapita: l’estancia bon Damfels. — Ciò detto, si avviò alla porta, lasciando il proprio diario sul tavolo.
— No, frate Mainoa — obiettò Marjorie, avvolgendosi nel mantello ancora umido. — Non andremo a piedi, visto che possiamo fare di meglio. Andremo a cavallo.
Dopo aver bevuto alcuni bicchieri del brandy eccellente che Roald Few gli aveva fornito, Rigo andò in cerca di Marjorie e Tony, ma non li trovò.
Padre Sandoval gli disse che erano partiti con padre James: — Credo che siano andati alle rovine arbai. Marjorie spera di trovare aiuto.
— Per far cosa? — ringhiò Rigo, furioso per non essere stato invitato a partecipare alla spedizione.
— Per trovare Stella, naturalmente.
— Mia moglie crede forse che io non abbia interesse per mia figlia? Crede forse che io non stia tanto in pena quanto lei?
Padre Sandoval tentò di calmare Rigo: — Non ho parlato con Marjorie. So soltanto quello che mi è stato riferito da padre James.
Con un ringhio, Rigo se ne andò a vagabondare per il giardino senza meta, imprecando fra sé e sé. Così arrivò da Eugenie, ma promise a se stesso di restare soltanto per poco tempo, giacché intendeva farsi trovare nella propria stanza al ritorno della moglie. D’altronde, non aveva fretta, visto che Marjorie era andata lontano. Per sfogarsi, raccontò molte cose ad Eugenie, la quale gli rispose con mormoni di comprensione, ma senza ascoltarlo affatto, e intanto gli versò da bere parecchie volte.
Dapprima furioso, Rigo divenne poco a poco triste, poi piagnucoloso. Nel confortarlo, Eugenie lo condusse nella camera da letto dell’appartamento estivo. Così, nessuno dei due udì il ritorno dell’aeromobile nel cuore della notte.
Dato che aveva un po’ di esperienza, padre James sellò Millefiori, la giumenta più vivace. Marjorie sellò Don Chisciotte per se stessa e El Dia Octavo per Tony, quindi esortò frate Mainoa e frate Lourai ad aiutarla con Sua Maestà e con Stella Azzurra, due giumente graziose ed eleganti, nonché tranquille e intelligenti: — Voi monterete queste, fratelli. Non dovrete fare altro che sedervi in sella e rilassarvi: le giumente faranno il resto.
Allora i due monaci si scambiarono un’occhiata d’imbarazzo. Da fanciullo, Rillibee aveva cavalcato asini e cavalli, qualche volta, ma sempre al passo, e guidato da qualcuno, mentre frate Mainoa non ricordava di aver mai toccato nessun genere di cavalcatura.
Intenta a sellare Ragazza Irlandese, la grande giumenta da tiro, Marjorie non ebbe il tempo di rassicurarli.
— Chi monterà quella cavalla? — chiese Rillibee.
— Ragazza Irlandese porterà la maggior parte delle nostre provviste. Poi potrà montarla Stella, quando l’avremo trovata.
Quando e se la troveremo, pensò padre James, il quale non era andato ad informare padre Sandoval della pericolosa avventura che stava per intraprendere, giacché era certo che non avrebbe mai ricevuto il suo permesso. Sarebbe stato molto più semplice chiedergli perdono in seguito.
— Prima della partenza, se vogliamo riuscire nell’impresa, devo andare nella prateria da solo, per un po’ — annunciò frate Mainoa.
Bramosa di partire, eppure consapevole del pericolo, Marjorie lo scrutò: — È proprio necessario?
— Sì, se vogliamo arrivare interi dai bon Damfels.
Mordendosi un labbro, Marjorie lo esortò con un gesto ad andare: — Sbrigatevi, se vi è possibile. — E lo seguì con lo sguardo mentre scompariva nelle tenebre, chiedendosi che cosa avesse in mente.
In quel momento tornò Tony: — Ecco un po’ di viveri e di equipaggiamento — spiegò, deponendo gli oggetti al suolo. — Dovremo dividerli fra noi. Occorre altro?
— Padre James, volete controllare se Tony ha dimenticato qualcosa? — Marjorie si appoggiò stancamente alla robusta Ragazza Irlandese, chiedendo al figlio: — Hai detto a tuo padre dove stiamo andando?
— L’ho cercato per tutta la villa, ma non l’ho trovato.
Contenta di non dover sopportare le sue sfuriate, Marjorie pensò: Probabilmente Rigo è da Eugenie, però sarebbe molto imbarazzante se Tony andasse là a cercarlo. Quindi disse: — Lasciagli un messaggio al dimmi, Tony. Informalo che andiamo a cercare Stella e che prendiamo i cavalli.
— Già fatto — rispose il ragazzo.
— Mancano acqua e pronto soccorso — disse padre James.
— Provvedo subito — rispose Tony, uscendo.
Padre James lo seguì: — Anche abiti di ricambio in sacchetti impermeabili.
— Avete tutto quello che vi occorre, frate Lourai? — chiese Marjorie.
Rillibee scrollò le spalle come se non fosse possibile prevedere quello che sarebbe stato necessario: — Sia io che frate Mainoa abbiamo portato abiti e stivali di ricambio, nonché tutte le provviste che avevamo nella dispensa. Però ci servirebbe qualcosa per cucinare.
— Ecco — Marjorie indicò un fornelletto portato da Tony. — E là ci sono le bisacce. Rigo e io avevamo previsto di dover compiere lunghe spedizioni a cavallo, perciò abbiamo portato l’attrezzatura da campeggio che usavamo a casa.
— A casa? Dove vivevate?
— In Bretagna. Dopo aver sposato Rigo, mi trasferii nell’Antica Spagna.
— L’Antica Spagna?
— La provincia sud-ovest dell’Europa Occidentale.
— E là vivono molti antichi cattolici?
— Certo. Sono più numerosi là, che in qualsiasi altro paese della Terra. La Santità non ha fatto molti proseliti in Spagna.
— Molto tempo fa gli antichi cattolici erano anche nel mio paese.
— Quale?
— La Nuova Spagna, nelle Province Centro-Americane. Mio padre, Joshua, mi spiegò che un tempo la nostra provincia era chiamata Messico.
— Vostro padre era un antico cattolico? Eppure voi siete un santificato.
Rillibee scosse la testa: — Io sono soltanto quello che era Joshua. Non so esattamente a quale religione appartenesse, comunque so che non era un antico cattolico. — Imitando Marjorie, si appoggiò a Sua Maestà e cominciò ad accarezzarla. — Lui amava gli alberi. Anche Miriam li amava. — E batté le palpebre per scacciare le lacrime. A parte il boschetto vicino alle rovine arbai, non aveva visto alberi su Grass, e neppure alla Santità. Talvolta pensava che se soltanto avesse potuto vedere qualche albero, si sarebbe sentito meno solo.
Poco dopo tornarono padre James e Tony con altre provviste. Pensoso, frate Mainoa ricomparve in tempo per aiutarli a riempire le bisacce, incluse quelle di Ragazza Irlandese, che erano molto più capienti delle altre.
Terminati i preparativi, tutti rimasero immobili ad osservarsi a vicenda, come se riluttassero a compiere il successivo, inevitabile passo.
Infine, il silenzio fu rotto da frate Mainoa: — Per un po’ vi guiderò io, lady Westriding. Poi non sarà più necessario. Volete spiegarmi come dirigere il cavallo?
Senza esitare, Marjorie gli spiegò tutto quello che doveva sapere e gli cavalcò al fianco per accertarsi che avesse compreso.
In breve, i cavalieri lasciarono il sentiero del giardino per addentrarsi nella prateria di erbe alte, dove ciascuno poteva vedere a malapena colui che lo precedeva. Prima ancora che le continue sferzate della folta vegetazione avessero il tempo di esasperarli, sbucarono in una prateria di erba corta e deviarono risolutamente a nord-est.
Tutti tacevano, tranne frate Mainoa, che di quando in quando chiedeva delucidazioni a Marjorie su come guidare la giumenta, ma imparava in fretta, e alla perfezione.
Per qualche tempo si udirono soltanto lo zoccolio attutito dei cavalli e il frusciar dell’erba nel silenzio assoluto.
Ad un tratto, Marjorie ebbe l’impressione che frate Mainoa, il quale le era ancora accanto, mormorasse qualcosa: — Come avete detto, fratello? — si curvò a sussurrare. Quindi sentì di nuovo il medesimo suono di poco prima, e capì che il vecchio monaco russava, addormentato, mentre Stella Azzurra costeggiava colline illuminate dalle stelle e attraversava buie valli tortuose, tranquilla come se stesse tornando a casa, le orecchie orientate innanzi come se ascoltasse qualcuno che la chiamava per nome.
Con gli occhi arrossati e un sapore acido in bocca, Rigo si destò senza rammentare dove si trovava. Poi vide un uccello passare come un lampo davanti alle finestre, udì il gracidio ripetuto di una rana dal giardino d’erba, e ricordò Grass. Le soffici tendine rosa ondeggianti nella brezza mattutina gli fecero capire di trovarsi nella camera di Eugenie, che però non era a letto con lui.
Come una cometa che avesse per corpo un vassoio e per coda una lunga chioma e una veste di seta, Eugenie entrò: — La domestica arriverà soltanto più tardi, Rigo, perciò ti ho preparato io stessa il caffè.
— Gli sistemò il cuscino, gli sedette accanto sul letto, e si curvò graziosamente a versare la bevanda bollente nelle tazzine rosa, ricurve come petali di fiore.
— Dove l’hai trovata? — chiese Rigo, indicando la crema fumante.
— Da quando siamo qui non ho più avuto la crema nel caffè.
— Non preoccuparti — s’imbronciò Eugenie, arrossendo di soddisfazione a causa della sua contentezza. — Ho le mie risorse.
— Dico davvero, Eugenie. Come l’hai avuta?
— Me la porta Sebastian. Sua moglie ha una vacca.
— Non me lo ha mai detto.
— Perché non glielo hai mai chiesto. — Eugenie gli mescolò il caffè e glielo servì.
— Hai flirtato con lui!
Eugenie si limitò a sorridere ad occhi socchiusi, sorseggiando il caffè.
Quando fece per dire una battuta sulle ragazze che flirtavano, e su Stella in particolare, Rigo fu come fulminato dal ricordo: lasciò cadere la tazza a rotolare sul tappeto e balzò in piedi, sbarazzandosi delle coperte.
— Rigo! — protestò Eugenie.
— Stella! L’avevo dimenticata!
— Niente affatto. Me ne hai parlato, la sera scorsa.
— Dannazione, Eugenie! Non intendevo questo!
Mentre Rigo faceva la doccia, Eugenie rimase seduta sul bordo del letto, con lo sguardo fisso al caffè che restava nella tazza, senza berlo, pensando: Se soltanto non avesse ricordato, ancora per un po’.
Dopo aver cercato in cucina, nella stanza di Marjorie e in quella di Tony, senza trovare nessuno, Rigo pensò al dimmi e trovò il breve messaggio: suo figlio e sua moglie erano partiti a cavallo per cercare Stella. Con tale violenza ululò di collera e di dolore, che la cristalleria vibrò e produsse come un lamento di gelide voci. Non sapeva dove fosse diretta Marjorie, ma logicamente la ricerca poteva cominciare soltanto dalla estancia bon Damfels.
Arrossì nel ricordare che il giorno prima, quando aveva implorato aiuto per cercare la figlia, Stavenger, dapprima gelido, poi ardente di collera, lo aveva accusato di un comportamento indegno di un cacciatore, e infine, assieme a Dimoth e a Gustave, lo aveva esortato a smetterla di gridare e tornare a casa per piangere Stella in privato, mentre gli zii e i cugini bon Haunser e bon Damfels ridevano di lui.
Nonostante questo, Rigo decise di tornare a Klive, dove, quel giorno, non si sarebbe svolta nessuna battuta di caccia.
Nell’aviorimessa, trovò entrambi gli aeromobili parzialmente smontati e Sebastian che stava esaminando alcuni pezzi di ricambio: — In nome del cielo! Ma cosa…
— Il vostro pilota mi ha detto che ieri lo stabilizzatore dava problemi — spiegò Sebastian, trasalendo. — Anzi, abbiamo avuto problemi con entrambi i velivoli, e siccome oggi non c’è Caccia…
Rigo represse un ruggito di furore: — Non c’è nessun altro velivolo, qui o al villaggio?
— No, signore. Però posso risistemarvi questo in un paio d’ore. Ma se dovete partire prima, potremmo chiamare qualcuno dal Comune.
Poco dopo, Persun chiamò il padre, Hime Pollut, che però era assente dalla bottega e non aveva lasciato detto quando sarebbe tornato. Quanto a Roald Few, era impegnato, mentre altri tre amici di Persun erano andati all’astroporto a ritirare merci che attendevano da molto tempo. Per manifestare il proprio disappunto, Persun aggrottò esageratamente le folte sopracciglia.
Intanto, col passar delle ore, Rigo accumulò un’ira e una frustrazione a malapena contenibili, sapendo che Marjorie si stava allontanando sempre più, poco a poco, verso una meta ignota.