125675.fb2 Pianeta di caccia - читать онлайн бесплатно полную версию книги . Страница 14

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Prima di partire per l’estancia dei bon Laupmon, Rigo chiese a Sebastian Mechanic, Persun Pollut e Asmir Tanlig di accompagnarlo. Peccato che non siano più grandi e più grossi, che non siano armati, e che non siano aristocratici, pensò. Ma purtroppo, rammaricarsi non serve a niente. Sebastian, Persun e Asmir sono plebei, quindi non saranno presi sul serio dai bon. Quanto alle armi. Che io sappia, non ne esistono su Grass, tranne le fiocine dei cacciatori, che però sono troppo ingombranti per la difesa personale. Si sentiva molto solo e, stupidamente, se ne vergognava.

Aiutato da un domestico, si vestì con cura meticolosa, poi si specchiò: gli stivali a punta e i calzoni imbottiti erano decisamente ridicoli e lo mettevano a disagio, ma almeno la giacca, i guanti e il cappello erano degni di un gentiluomo. Rabbiosamente, pensò: Come se l’aspetto contasse qualcosa! Niente ha importanza!

Non avrebbe dovuto giustificare la presenza della sua scorta, giacché non era insolito che un cacciatore si facesse accompagnare da alcuni servi che gli preparassero la camera, il bagno caldo, gli abiti puliti. Al termine dalla sua prima Caccia, dato che nessuno lo aveva informato, Rigo aveva dovuto tornare fino a Collina d’Opale per potersi lavare e cambiare, e così pure Stella. Alla seconda Caccia, si era fatto accompagnare da un servo, però, sconvolto dalla scomparsa della figlia, non aveva certo pensato a fare il bagno. Cosa sarebbe successo se Stella non fosse scomparsa? pensò, a disagio. Avevo dimenticato di portare un servo che provvedesse a lei.

In quel momento giunse una voce femminile dalla soglia della camera: — Rigo?

Pensando stupidamente che fosse Marjorie, egli trasalì: — Eugenie! — E subito sfogò sull’amante l’astio che provava nei confronti di se stesso: — Che diavolo fai qui?

— Pensavo che ti servisse aiuto, adesso che Marjorie…

— Come vedi, Eugenie, ho un domestico. Marjorie non mi aiuta mai a vestirmi.

Mentre il domestico si affrettava ad andarsene, Eugenie cambiò argomento, gesticolando: — Hai notizie di Stella?

— Non ho saputo nulla. Comunque, sai bene che non devi venire nella mia camera da letto.

— Sì, lo so. — Una lacrima scivolò sulla guancia di Eugenie. — Qui non c’è posto per me.

— Vai al Comune, prendi un appartamento all’Albergo dell’Astroporto, e divertiti. Per l’amor d’Iddio, Eugenie! Non ho tempo per te, adesso!

Eugenie rimase senza fiato, impallidì e si girò di scatto.

Sembra Marjorie! pensò Rigo. Le ho insultate entrambe! Oh, Dio! Ma che razza di uomo sono? Infuriato dal disprezzo che provava per se stesso, si recò nello spiazzo ghiaiato, dove era parcheggiato un aeromobile. Con impazienza, attese che Sebastian preparasse il secondo velivolo. Giacché nessun altro pilota era disponibile, Asmir avrebbe dovuto restare alla villa per pilotarlo, nel caso che Eugenie decidesse di trasferirsi al Comune. Dannate donne! pensò Rigo.

— Grass può essere molto noioso per le donne — osservò Persun Pollut. — Mia madre me lo dice spesso. — Con le mani intrecciate dietro la schiena, osservava lugubremente il giardino.

— Eppure vostra madre dev’essere molto impegnata, stando a quel che raccontate — ribatté Rigo, con voce tagliente.

— Oh, al Comune la vita non è affatto noiosa, Vostra Eccellenza. Qui, invece, le donne possono trovare la morte: per la noia o per la Caccia, nonché per tante altre cause.

Ma Rigo non voleva pensare alle donne, perché proprio non le capiva. Non comprendeva Marjorie, ad esempio. Chi si sarebbe mai aspettato che Marjorie prendesse una tale iniziativa, coinvolgendo i Frati Verdi, Tony, e padre James? Sulla Terra non era mai stata così: si era sempre accontenta di essere madre, o amazzone. Aveva dedicato fin troppo tempo alle attività filantropiche fra gli illegittimi, ma cos’altro avrebbe potuto fare? Non era capace di sprecare mezza giornata nei negozi alla moda, come Eugenie, né d’immischiarsi negli aborti clandestini per salvare dalla pena di morte qualche puttanella ignorante e farsi arrestare dalla polizia, com’era capitato alla moglie di Espinoza, che, dopo questo increscioso incidente, non era più stato capace di guardare in faccia gli amici. Insomma, quali che fossero state le sue attività sulla Terra, Marjorie non si era mai occupata di faccende importanti, né si era mai intromessa nelle responsabilità del marito.

Presagendo una sorta di trappola mentale in questo genere di meditazioni, Rigo ripensò alle armi. Perché non esistevano armi su Grass? Senza dubbio le forze dell’ordine del Comune avevano bloccapiedi o congelatori: i poliziotti li usavano in tutti gli astroporti e le taverne dell’universo per placare i facinorosi. Per quale ragione gli aristocratici non ne avevano? Rigo non chiese spiegazioni a Persun perché, come al solito, preferiva ignorare, piuttosto che manifestare ignoranza.

Durante il volo silenzioso verso l’estancia bon Laupmon, che, situata più ad oriente di quella dei bon Damfels, distava circa un’ora da Collina d’Opale, Rigo pensò a come affrontare l’obermun Lancel bon Laupmon. Probabilmente Lancel, proprio come Stavenger bon Damfels, non si curava delle ragazze scomparse. Parlare con suo fratello Gerold, che era vedovo, sarebbe stato perfettamente inutile, giacché, secondo Persun, era del tutto privo di comprensione. Suo figlio Taronce era in qualche modo imparentato con i bon Damfels, ma Rigo non lo aveva mai conosciuto. Pur tenendo conto che erano cacciatori, e quindi imprevedibili, forse avrebbe potuto chiedere aiuto a Jerril e ad Eric bon Haunser, i quali si erano sempre dimostrati abbastanza solleciti e cordiali.

Digrignando i denti, Rigo rammentò che in tempi molto antichi, sulla Terra, si era usato sacrificare bambini a Moloch, a Poseidone, e persino a Dio, con riti orribili, talvolta segreti. Eppure non ricordava che fosse mai esistita nella storia terrestre un’epoca in cui si fosse del tutto ignorata la scomparsa dei figli. Non era mai successo, e non succedeva, su nessun pianeta, tranne che su Grass.

Scosso da un tremito, Rigo inspirò profondamente: Perché vado a questa Caccia? pensò. Vi parteciperò davvero, ancora una volta, pur sapendo quello che prima ignoravo? Perché lo faccio? Per chiedere aiuto e cercare Stella, naturalmente. Ma chi mi aiuterà? Riesaminò mentalmente la lista di tutti gli aristocratici che aveva conosciuto, uno ad uno, badando a non dimenticarne nessuno; poi finalmente chiese, in tono vergognoso: — Ditemi, Pollut. Qualche bon mi aiuterà a trovare mia figlia?

Con una lunga occhiata, Persun vide che l’ambasciatore era davvero affranto, disperato. Per un attimo pensò di mentire, poi decise di dire la verità, se non altro perché lo doveva a lady Westriding: — No — rispose finalmente. — Nessuno vi aiuterà.

— Marjorie mi aveva avvertito — bisbigliò Rigo.

Persun lo udì: — Anche io stesso ed altri abbiamo cercato di avvertirvi, ambasciatore. Lady Westriding è molto sensibile e perspicace: non si è lasciata soggiogare dagli Hippae.

— Anche voi li credete capaci di condizionare la mente delle persone?

Con un certo sforzo, Persun riuscì a reprimere un tono di scherno: — Avete forse qualche altra spiegazione, eccellenza?

— Stiamo per atterrare — annunciò Sebastian. — Nel cortile c’è una folla notevole, signore. Sembra quasi che ci aspettino.

Con un sinistro presagio, Rigo sbirciò dal finestrino, scorgendo molti volti pallidi che guardavano verso l’alto. Persino gli Hippae erano già arrivati, e parevano in attesa! Rigo soffocò l’impulso di dire a Sebastian di tornare indietro: Mai! pensò. Sembrerebbe vigliaccheria! E derise se stesso: Meglio la morte che il disonore, naturalmente! Infine ordinò: — Bene. Atterriamo.

Poco dopo, l’obermun Jerril bon Haunser, impassibile, accolse l’ambasciatore: — Vostra Eccellenza, ho l’onore di comunicarvi la sfida dell’obermun Stavenger bon Damfels. Mi ha incaricato di riferirvi che quella puttana di vostra moglie ha rapito suo figlio, Sylvan, e che voi, quindi, ne risponderete a lui, oppure morirete calpestato. — Ciò detto, accennò al muro di cinta della estancia, dove dodici Hippae scalpitavano e scrollavano il collo con gran cozzare di corna, senza curarsi degli uomini e delle donne che li cavalcavano coi volti assolutamente vacui.

Il fatto che Jerril avesse detto soltanto quello che lui stesso pensava di Marjorie raddoppiò il furore di Rigo, il quale ringhiò, mentre il suo volto si contraeva, diventando simile a una maschera di ferro fuso: — Come osate? — E ripeté, gridando: — Come osate? Una madre viene a cercare la figlia, e voi la chiamate puttana? Proprio voi, che avete prostituito le vostre mogli e le vostre figlie a quei mostri! — Così dicendo, indicò gli Hippae: — Le vostre mogli e le vostre figlie hanno spalancato le cosce ad amanti che non sono neppure umani!

I cavalieri rimasero immobili.

Sempre impassibile, come se fosse cieco, sordo, e non avesse udito lo sprezzante insulto dell’ambasciatore, l’obermun bon Haunser s’inchinò, poi, con un sogghigno vacuo, indicò un Hippae che si stava avvicinando: — La vostra cavalcatura.

Persun afferrò un braccio di Rigo: — Vostra Eccellenza! Andiamocene, finché possiamo!

Con uno scrollone, Rigo si liberò il braccio: — Non scapperò — disse a denti stretti, con gli occhi offuscati da un rosso velo di furore. — Non da loro! Da nessuno di loro!

— Allora, per l’amor d’Iddio, prendete questo! — Persun, che si trovava alle sue spalle, gli lasciò scivolare un oggetto nella tasca della giacca. — È un coltello laser, Vostra Eccellenza. È uno dei miei attrezzi da intagliatore. Lady Marjorie non mi perdonerebbe, se vi lasciassi andare incontro a morte certa.

Stravolto dall’ira, Rigo udì ma non rispose, restando in attesa dell’Hippae che si avvicinava con le zanne snudate in un sogghigno, e gli occhi scintillanti di impudenza, di arroganza, di malignità. Invaso da un panico improvviso, Rigo comprese che la sfida non era stata lanciata da Stavenger, bensì dagli Hippae, alla cui volontà Jerril aveva obbedito passivamente. Con una rapida occhiata all’estancia, dove la gente radunata sul terrazzo osservava a bocca aperta per lo sbalordimento, la meraviglia, o la paura, Rigo capì inoltre che lo scontro era uno spettacolo molto insolito: Quei mostri hanno organizzato tutto e hanno radunato i cacciatori, pensò. Ma come ci sono riusciti? Tuttavia non ebbe il tempo di meditare sul come e sul perché.

L’Hippae allungò una zampa azzurra e maculata, con muscoli che sembravano di marmo.

Fissate le redini all’ultimo corno, Rigo montò, infilò le punte degli stivali fra le costole, e puntò i piedi appena in tempo per resistere ad una impennata improvvisa, reggendosi soltanto con le mani e coi piedi, lo sguardo fisso al cielo, i muscoli delle gambe e della schiena dolorosamente contratti.

Con una risata quasi umana, l’Hippae si mise a camminare sulle zampe posteriori, in apparenza con la medesima facilità con cui si muoveva su tutti e quattro gli arti. Continuò per quella che parve una eternità, prima di lasciar ricadere le zampe anteriori.

Come per una parata, il grande Hippae verde montato da Stavenger si affiancò a quello azzurro montato da Rigo, e scrollò il collo, facendo cozzare le corna. Stavenger sembrava ormai il guscio di se stesso: paonazzo, proruppe in una sfilza di urla insensate, chiuse di scatto la bocca, e rimase immobile.

Quando il mostro azzurro scosse il collo, Rigo sentì se stesso gridare. In una esplosione interiore di furia, tacque, liberando la propria mente dall’intrusione aliena.

Intanto, gli Hippae si misero a danzare fianco a fianco, al galoppo, al trotto, avanti e indietro, in una beffarda e sprezzante imitazione degli esercizi che avevano visto eseguire da El Dia Octavo e Don Chisciotte.

A tale umiliazione, Rigo reagì infuriandosi ancor più. Saldamente aggrappato alle redini con la sola mano sinistra, prese di tasca con la destra il coltello laser di cui Persun si era servito per intagliare i pannelli dello studio di Marjorie: era un semplice attrezzo, ma poteva essere usato come arma, giacché era possibile regolare l’intensità e la lunghezza del raggio. Alla massima potenza, era in grado di tagliar le corna come burro, senza che gli Hippae se ne accorgessero.

Privo di esitazione, Rigo accese il coltello e incise una tacca nel secondo corno, senza che il mostro azzurro reagisse. Con una rapida occhiata intorno, si accertò che nessuno lo avesse visto. Tutti i cacciatori erano inerti come zombie. Gli unici spettatori che si godevano la danza erano gli Hippae, i quali però erano così arroganti e sicuri di se stessi, che non si curavano di sorvegliare i cavalieri.

Indisturbato, Rigo scolpì il primo corno a forma di maniglia, per avere una presa comoda e sicura, quindi rintascò il coltello laser e attese gli sviluppi del duello.

Scambiandosi muggiti di sfida, gli Hippae si mostrarono la groppa e cominciarono con tutte e quattro le zampe a raccogliere e a scagliarsi masse nere e polverose, imbrattando i cavalieri; poi si fronteggiarono di nuovo, si rizzarono sulle zampe posteriori, sibilando fra le zanne, con le corna cozzanti, e arretrarono sinché furono a quasi duecento metri l’uno dall’altro.

Nel silenzio ferale, Rigo gettò un’occhiata agli spettatori sul terrazzo e ai cavalieri schierati lungo il muro, i quali tacevano tutti e restavano immobili, senza dare alcun segno di emozione. Poi si resse saldamente, digrignando i denti.

All’improvviso, con gran tuonar di zoccoli, gli Hippae partirono alla carica l’uno contro l’altro come cavalli da guerra, coi colli piegati a protendere minacciosamente le corna, senza vedere, ma guidati da un istinto o da un allenamento infallibili e precisissimi. Stavenger rimase immobile come un pupazzo, del tutto inconsapevole, ma Rigo, all’ultimissimo istante, sfilò il piede destro dalle costole, poiché i due mostri si stavano incrociando da destra; quindi sollevò la gamba destra, spostando tutto il peso sulla sinistra, aggrappato con la mano sinistra alla maniglia.

Le corna cozzarono fragorosamente le une contro le altre come sciabole, poi quelle dell’Hippae verde sfiorarono il corpo dell’Hippae azzurro senza ferirlo, mentre quelle di quest’ultimo sfracellarono la gamba destra di Stavenger, con lunghi spruzzi di sangue nella polvere. Era chiaro che i mostri intendevano scontrarsi soltanto per far scempio dei cavalieri.

Di nuovo ben saldo in groppa, Rigo estrasse il coltello laser, mentre gli Hippae proseguivano d’impeto la corsa, e recise d’un sol colpo le quattro corna che aveva dinanzi, facendole cadere al suolo ed eliminando così il rischio di restare trafitto.

Gli Hippae volteggiarono, si scrutarono, e ripartirono alla carica, questa volta incrociandosi da sinistra e lanciando strilli di sfida. Stavenger rimase impassibile, quando il sangue sgorgò dal suo stivale sinistro a brandelli. Rigo sollevò la gamba sinistra, reggendosi con la forza che traeva dal furore, dalla paura, e pensò che cercar di uccidere l’obermun sarebbe stato come schiacciare una pulce sul collo di un cane rabbioso all’assalto: se non li avesse fermati, gli Hippae avrebbero continuato a scontrarsi fino alla sua morte.

Così, mentre i mostri caricavano ancora, incrociandosi di nuovo da destra, Rigo si arrotolò le redini intorno all’avambraccio sinistro, si afferrò alla maniglia con la mano sinistra, sollevò la gamba destra, regolò la lama del coltello alla massima intensità e lunghezza, quindi si sporse a menare un fendente che affondò nella carne con un ronzio.

Strillando, il mostro verde crollò con una zampa posteriore quasi recisa.

Invano il mostro azzurro si fermò di scatto e gettò all’indietro la testa con un ululato, cercando di trafiggere il cavaliere con le corna che aveva perduto: Rigo si allungò ad amputargli una zampa posteriore, abbattendolo, e rotolò via. Barcollante, si rialzò a scrutare gli Hippae strillanti che strisciavano verso di lui, cercando di reggersi su tre zampe. Regolata di nuovo la lama del coltello alla massima lunghezza, avanzò a squarciar loro il cranio con due rapidi fendenti, poi arretrò, osservando i colli che si agitavano spasmodicamente e poco a poco si placavano nella morte.

Un fragore assordante indusse Rigo a volgersi appena in tempo per accorgersi che tutti gli altri Hippae erano partiti al galoppo dal muro della estancia: impossibile fuggire, oppure evitarli. Riparandosi dietro le carogne dei mostri che aveva ucciso, mozzò fauci e zampe finché la pioggia di sangue lo accecò. Infine fu percosso alla testa e si afflosciò, stordito, fra urla, strilli e ruggiti. Si rese conto che ì mostri si stavano ritirando, prima che l’oscurità lo circondasse, cominciando a risucchiarlo.

— Alzatevi, signore! Alzatevi! — esortò Persun. — Entrate, presto! Non possiamo respingerli a lungo!

Rigo sentì una vibrazione, il fracasso che si spegneva poco a poco in lontananza, poi fu del tutto inghiottito dalla tenebra.

Sbalordito, Figor bon Damfels vide Persun e Sebastian respingere gli Hippae con l’aeromobile, balzar fuori, e trarre in salvo Roderigo Yrarier. Nessun servo della sua famiglia o dei bon Laupmon, invece, fece nulla per proteggere i padroni in pericolo.

Soltanto quando la strage ebbe termine con la morte di tutti i cavalieri e quando gli Hippae se ne furono andati, Figor si avvicinò a Stavenger, che era pallido e freddo, apparentemente illeso. Gli sganciò gli stivali traboccanti di sangue, coll’esterno dei gambali sbrindellato, e glieli sfilò: i piedi rimasero nelle scarpe.

L’obermun bon Damfels era morto dissanguato, senza neppure muoversi. Con lui erano periti l’obermun bon Haunser e altri dodici bon, in gran parte membri della famiglia bon Laupmon. Oltre ai due uccisi da Rigo, altri due Hippae erano morti, con le zampe amputate come da una mannaia gigantesca. Gli altri mostri avevano cercato di vendicarli, ma forse si erano infuriati soprattutto a causa della fuga di Yrarier: invano avevano scalpitato, ululato e compiuto balzi nel tentativo di azzannare l’aeromobile che decollava.

Durante il massacro, Figor era rimasto paralizzato dall’ira e dallo sbalordimento, come tutti; ma finalmente cominciò a riflettere sull’evento terribile a cui aveva assistito.

Proprio in quel momento, suo cugino Taronce bon Laupmon lo chiamò: — Guarda, Figor. Ho trovato questo, dove il fragras si è difeso.

Figor prese quello che sembrava un attrezzo, lo accese con l’interruttore, ne vide la lama tremare con un ronzio ferale, e subito lo spense: — Per i nostri antenati! — sussurrò, sconvolto. — Taronce!

— Dev’essere l’arma che il fragras ha usato contro le cavalcature — mormorò Taronce, massaggiandosi la spalla all’articolazione del braccio artificiale. — Ha mozzato loro le zampe e le teste, come fanno loro con noi. Come hanno fatto loro con me! — E guardò attorno, con imbarazzo: — Nascondi quell’arma, prima che qualcuno la veda.

— Cosa dice Lancel?

— È morto. Gerold è vivo perché non cavalcava.

— Ma com’è stato possibile tutto questo? — chiese Figor, gesticolando. — Al mio arrivo, gli Hippae stavano già attaccando Yrarier.

— Stamane gli Hippae erano già nel cortile ad aspettare. Semplicemente, hanno preso in groppa i cavalieri: Stavenger appena è arrivato, e anche bon Haunser.

— Io non sono stato convocato.

— Nessun altro Io è stato. Soltanto dodici cavalieri, più Stavenger e Jerril. E adesso sono tutti morti.

— E con loro sono morte quattro cavalcature — sussurrò Figor. — Devo nascondere quest’arma: non devono sapere che l’abbiamo.

— La useresti, vero?

— E tu?

— Credo proprio di sì. È così piccola, maneggevole, eppure potente. Si può tenere in tasca, senza che loro lo sappiano. E poi, se uno di loro aggredisce…

— Se l’aveva Yrarier, probabilmente è facile da ottenere. Forse si può comprare al Comune.

— Perché non lo abbiamo mai saputo?

— Perché loro ce lo hanno impedito. O forse, non abbiamo mai voluto saperlo.

Arrivati a Collina d’Opale, Persun e Sebastian lasciarono Rigo nel velivolo, privo di conoscenza, perché non potevano far nulla per lui, se non trasportarlo subito all’ospedale del Comune. Prima, però, fecero una cosa ancor più importante: chiamarono al dimmi il padre di Pollut e gli dissero che intendevano evacuare l’estancia.

— Cosa?! — rispose Hime Pollut. — Stai scherzando, Pers?

— Ascolta, papà. Rigo Yrarier ha ucciso almeno due Hippae. Senza dubbio alcuni bon sono morti dopo la nostra fuga, anche se non so precisamente quanti. Se ben ricordo, l’estancia Darenfeld fu incendiata dopo che qualcuno aveva ferito un Hippae, e tutta la popolazione del villaggio perì. Ebbene, i villici di Collina d’Opale e i servi della villa appartengono alla nostra gente, papà: sono gente del Comune.

— Quanti sono?

— Poco più di un centinaio. Puoi mandare Roald Few con alcuni aviocarri?

— La gente sarà pronta?

— Sebastian è già andato al villaggio. Se manderete aviocarri come quelli che si usano per il trasferimento al Comune in inverno, i villici potranno portare anche i loro animali: ne avranno bisogno.

Dopo un lungo silenzio, Hime domandò: — Porterete via anche gli stranieri?

— Certo. Sua Eccellenza, la sua segretaria e la sorella, il vecchio prete. Non c’è nessun altro.

— Dove sono la moglie, i figli, l’altro prete, e l’amante di Yrarier?

— Stamane Asmir Tanlig ha portato Eugenie al Comune. Gli altri non sono più qui, ma adesso non ho tempo di spiegarti tutto. — Lasciato il dimmi, Persun corse ad avvertire i servi, che erano tutti villici, e ne mandò alcuni ad informare padre Sandoval e le sorelle Chapelside. A tutti, lasciò soltanto un’ora di tempo per fare i bagagli. Anche così, la vita di Rigo era in pericolo. Tuttavia, la gente non poteva abbandonare ogni loro avere: in particolare, le donne avevano sempre bisogno di parecchie cose.

Pensando che ciò valesse anche per Marjorie, incaricò tre cameriere di farle i bagagli: — Prendete i suoi vestiti e i suoi effetti personali. — Poi pensò: E Stella? Sarà mai ritrovata? Quali sono le cose a cui teneva di più?

— Quanto tempo abbiamo, Persun? Cosa dobbiamo prendere, esattamente?

— Al diavolo! — ribatté Pollut, frustrato. — Fate voi: prendete un po’ di vestiti per Marjorie e per Stella, i loro gioielli, le cose di valore, e lasciate perdere il resto! — Quindi pensò: Forse è soltanto paranoia. Forse gli Hippae non assaliranno Collina d’Opale. Forse la gente è al sicuro. D’un tratto fu colto dal panico: O forse no! E tornò di corsa al dimmi.

— Roald Few sta arrivando con quattro aviotreni presi in prestito al cosmodromo — comunicò Hime. — È d’accordo con te sull’importanza di salvare il bestiame.

Allora non è soltanto la mia paura, pensò Persun, correndo allo studio per prendere quello che Marjorie poteva desiderar di conservare. O, se lo è, sono riuscito a diffonderla. Si soffermò ad osservare i pannelli che lui stesso aveva intagliato: in ognuno era raffigurata una gentildonna che passeggiava in un bosco, talvolta nascosta fra gli alberi, con il bel viso sempre un poco distolto, inafferrabile come un sogno. Accarezzando un pannello, pensò: Ho il tempo di staccarli e portarli via? Poi, di scatto, arretrò di un passo, esclamando: — Non c’è tempo!

Salvato tutto il possibile, Persun partì in aeromobile con Sebastian, per trasportare subito Rigo all’ospedale. Quindi accompagnò le sorelle Chapelside e padre Sandoval al vicino Albergo dell’Astroporto, dove trovò Asmir e gli chiese: — Dov’è Eugenie?

— Non so — rispose Asmir. — Non era con voi?

— Pensavo che fosse venuta al Comune, stamane.

— Mi ha detto di aver cambiato idea. Io sono venuto soltanto ad acquistare un po’ di provviste.

In breve, Persun interrogò padre Sandoval e le sorelle Chapelside: nessuno sapeva dove fosse Eugenie. Ansioso di sfruttare le restanti ore di luce, tornò subito a Collina d’Opale, dove alcuni aviotreni, atterrati presso il villaggio, stavano caricando persone, bestiame e masserizie. Poco dopo, quando arrivò un altro aviotreno, Persun vide Sebastian al posto di pilotaggio: — Non riesco a trovare Eugenie! — gli gridò.

— L’amante di Sua Eccellenza? Ma Asmir non l’aveva accompagnata al Comune?

— No, Eugenie aveva cambiato idea!

— Allora chiedi a Linea, la sua cameriera!

In breve, Persun trovò e interrogò la ragazza, la quale non sapeva nulla: — Non vedo Eugenie da stamattina presto. Sarà in casa, o forse in giardino.

Imprecando sottovoce, Persun corse a controllare, ma trovò soltanto le soffici tendine rosa aleggianti nel vento di primavera e un profumo di fiori sconosciuti: la casetta era deserta. Allora andò a cercare per i sentieri dei giardini, nella brezza mite, tra la fragranza inebriante delle erbe: — Eugenie! — gridò ripetutamente. Tanta confidenza gli sembrava sconveniente, ma tutti la chiamavano così, semplicemente. — Eugenie!

Con un ruggito di motori, gli aviotreni decollarono. Ritornato al villaggio, Persun vi trovò un gruppetto di persone, pochi maiali, qualche gallina, e una mucca solitaria che muggiva al cielo, mentre l’occhio caldo del sole ardeva all’orizzonte occidentale: — Gli aviotreni torneranno? — domandò ai villici rimasti.

— Cosa credi? Non vogliamo mica star qui da soli! — ribatté una vecchia. — Ma cosa è successo? Sembra che nessuno sappia niente. a parte il fatto che gli Hippae stanno per arrivare con l’intento di massacrarci nel sonno.

Senza rispondere, Persun corse via per un estremo tentativo. Perquisì la villa stanza per stanza, poi di nuovo la casetta, ma senza trovare Eugenie. Non pensò neppure a cercare nella cappella, perché al Comune la religione era scarsamente diffusa e le chiese non esistevano affatto.

Trasportando la vecchia villica e i suoi polli nelle stie, Persun ripartì in aeromobile e volò a bassa quota sui giardini di erba, sempre alla ricerca di Eugenie. Di nuovo la cercò al Comune, pensando che potesse essere salita a bordo di un aviotreno. Era già buio, quando disse a Sebastian, che era appena tornato dall’ultimo viaggio con l’aviotreno: — Devo tornare! Eugenie dev’essere ancora all’estancia!

— Ti accompagno. La gente è già tutta arrivata e si sta sistemando nei sotterranei.

— Hai notizie di Sua Eccellenza?

Sebastian scosse la testa: — Non ho avuto tempo di chiedere. I medici cos’hanno detto, quando lo hai ricoverato? Era grave?

— Aveva le gambe calpestate e una commozione cerebrale. Respirava normalmente, ma non poteva muovere le gambe: forse è rimasto paralizzato.

— Le lesioni di questo tipo si possono curare.

— Non sempre.

I due amici erano in volo da poco per Collina d’Opale, quando avvistarono l’incendio che divorava la prateria, torreggiando sull’estancia.

— Ah, be’ — mormorò Persun. — Dopotutto, non era una paura isterica, la mia. Papà invece aveva qualche dubbio.

— Ne sei forse contento? — chiese Sebastian, virando per poter osservare l’incendio. — O preferiresti essere considerato isterico e avere Collina d’Opale indenne? Da molto tempo non vedevo pannelli così belli come quelli che hai intagliato per lo studio di lady Westriding. Anzi, erano i migliori che avessi mai visto.

— Ho ancora le mani — rispose Persun, guardandosele. E pensò alla sorte che esse avrebbero probabilmente subito, se non avesse obbedito alle proprie apprensioni. — Posso intagliarne altri — soggiunse. Quindi pensò: Se Marjorie si salverà. Soltanto per lei, infatti, avrebbe potuto intagliarne di altrettanto belli.

— Pensavo che i giardini servissero a bloccare gli incendi — commentò Sebastian.

— Infatti. Ma in questo caso le fiamme sono state appositamente propagate nei giardini e nelle case. — Nell’osservare le rovine, Persun esclamò: — Guarda laggiù, Sebastian! Quella traccia!

Un sentiero correva per la prateria, dritto come una freccia, da Collina d’Opale verso la foresta palustre: sembrava che diecimila Hippae in fila lo avessero tracciato.

I due amici si scambiarono un’occhiata di orrore.

— Credi che Eugenie sia laggiù? — sussurrò Sebastian. Persun annuì: — Sì, c’è. Era laggiù, da qualche parte.

— Vuoi che…

— No. Guarda là, vicino all’incendio: sono Hippae che danzano. Devono essere centinaia, e molti altri stanno tracciando quel grande sentiero. Quanti saranno? Inoltre ci sono i veltri. Laggiù devono esserci tutti i veltri di Grass, e stanno andando tutti verso il Comune. No, non possiamo atterrare, ora. Torneremo domani, quando l’incendio si sarà spento. Forse Eugenie si è rifugiata nei sotterranei. Spero soltanto che non sia bruciata viva.

Ma Eugenie non era arsa viva: questa sorte le era stata risparmiata dai veltri che avevano assalito l’estancia prima dell’incendio.

Accogliere un centinaio di persone al Comune non era gran cosa, giacché gli alloggi invernali sotterranei, con le loro grandi cucine, erano in grado di ospitare e sostentare agevolmente l’intera popolazione della città e dei villaggi: soltanto i bambini che avevano meno di un anno grassiano non li conoscevano e quindi li consideravano piuttosto spaventosi. Si trattava di caverne già esistenti all’epoca della colonizzazione, che in seguito erano state ampliate e modificate. Gli animali disponevano di ricoveri invernali appositi e potevano contare sulle provviste di foraggio e granaglie dell’anno precedente, visto che il fieno di stagione non era ancora stato falciato.

Tuttavia l’arrivo dei profughi aveva diffuso una notevole angoscia nel Comune. L’incendio di una estancia era un evento raro, anche se non privo di precedenti nel lontano passato: non era facile comprenderlo, né accettarlo. E quando Persun Pollut recò la notizia della marcia degli Hippae verso la foresta palustre, l’angoscia aumentò. La diffusa consapevolezza che i mostri non erano in grado di attraversare la foresta non bastava a placare l’inquietudine e a scacciare il sinistro presagio di pericoli misteriosi.

La preoccupazione si propagò anche a Riva del Porto, contagiando Santa Teresa e Ducky Johns, i quali si incontrarono in fondo a Via del Piacere e passeggiarono insieme per Via Riva del Porto. Ducky appariva grassa e tremolante nell’ampia veste dorata. Santa Teresa era invece alto e magro come la caricatura di un airone, con la testa calva che scintillava come acciaio nelle luci azzurre dell’astroporto, e le mani grandi che gesticolavano senza posa. Come al solito, indossava ampi calzoni porpora stretti al ginocchio e un frac di jermot, ossia una pelle scagliosa che veniva importata, via Semling, da un pianeta deserto ai confini dell’universo.

— Non capisco. Bruciare così Collina d’Opale. — disse Santa Teresa, mimando con le mani un aeromobile che volava in cerchio per compiere ricerche e poi si allontanava con una virata di frustrazione. — Per fortuna non c’era più nessuno.

— Una persona c’era ancora — corresse Ducky. — Si tratta della bella amante dell’ambasciatore, di cui non si è saputo più nulla.

— Va bene, c’è stata una vittima. Comunque gli Hippae hanno appiccato il fuoco a tutto, e l’incendio non si è ancora spento. — Nel dir questo, Santa Teresa agitò le dita per imitare il guizzar delle fiamme.

Annuendo, Ducky suscitò un tremito di ciccia che la percorse dalla testa ai piedi: — È appunto di questo che volevo parlarti, Teresa. L’intera situazione sta sfuggendo a qualsiasi controllo, proprio come l’incendio. Sai che l’ambasciatore ha ucciso alcuni Hippae?

— L’ho sentito dire. È la prima volta che succede, a quanto ne so.

— Così risulta anche a me. Molti anni fa, però, Darenfeld ne ferì uno, prima che la sua estancia bruciasse.

— Pensavo che fosse stato un incendio estivo causato dai lampi.

— I bon finsero che fosse così, poi cominciarono a circondarsi di giardini d’erba. Ma Roald Few e altri dicono che dalla «Cronaca» del Comune risulta la verità: fu uno scoppio di furore degli Hippae.

Più turbato di quanto volesse ammettere, Santa Teresa rimase per alcuni istanti in silenzio a labbra serrate, prima di rispondere: — E va bene! Ma i bon non sono affar nostro. Se anche arrostissero vivi domani, dal primo all’ultimo, i nostri clienti se ne fregherebbero, Ducky. Loro possono anche illudersi di essere la crema della creazione, ma noi sappiamo che le cose stanno in modo ben diverso.

— Ah, ma non si tratta soltanto di loro, bensì anche della peste. Se ne sente parlare sempre più spesso.

— Qui non c’è nessuna peste.

— Infatti, e questo è abbastanza strano. So che Asmir Tanlig e Sebastian Mechanic sono andati in giro un po’ dappertutto a fare un sacco di domande sulle varie malattie e sui vari decessi. Visto che tutti e due lavorano per lui, è chiaro che l’ambasciatore sta cercando di scoprire qualcosa. Ho parlato con Roald, e non sono l’unica, qui a Riva del Porto, a sentire cosa dicono gli stranieri. Ebbene, sembra che la peste sia diffusa su tutti i pianeti, tranne il nostro. La Santità fa di tutto per nascondere l’esistenza della peste, ma la verità si sta propagando sempre più.

— Davvero? Si può sapere dove vuoi arrivare, Ducky?

— È presto detto, vecchia cicogna! Se la peste sterminerà gli abitanti degli altri pianeti, non avremo più clienti, tu ed io. E allora come vivremo? Senza contare che ci sarà da soffrire una dannata solitudine, a star qui, sapendo che il resto dell’umanità è scomparso, e che gli Hippae, là nelle praterie, diventano sempre più violenti.

— Non possono mica attraversare la foresta!

— Questo è quello che si dice. Ma se anche fosse vero, prova ad immaginare tutta l’umanità rinchiusa in uno spazio non più grande del Comune. C’è da farsi venire un attacco di claustrofobia al solo pensarci, Teresa!

Arrivati dove Via Riva del Porto si trasformava in un sentiero che conduceva a meridione attraverso i pascoli, Ducky Johns e Santa Teresa tornarono indietro, rallentando il passo perché di rado Ducky passeggiava tanto.

Sull’astroscalo grigio cenere, illuminato dai fari azzurri, sostavano soltanto due cosmonavi: uno yacht molto elegante, all’ombra di un enorme magazzino; e, in un laghetto di luce zaffiro, lo Star-Lily, un mercantile di Semling, col portellone spalancato come una bocca sbadigliante.

Scorgendo un movimento nella zona illuminata intorno al mercantile, Ducky posò una mano sul braccio del compagno: — Guarda là, Teresa! Vedi?

Anche Santa Teresa aveva colto il movimento: — Nessuno lavora a quest’ora di notte!

— Vai subito a vedere, Teresa. Io non sono abbastanza veloce.

Prima ancora che Ducky terminasse la frase, Santa Teresa partì di corsa a passi lunghissimi sulle gambe da airone, attraversò l’astroscalo come un uccello in caccia, e scomparve nell’ombra.

Ansimando, coi rotoli di ciccia che ballonzolavano spasmodicamente, Ducky lo seguì; lo perse di vista per alcuni momenti; poi lo vide agire con la rapidità di un rapace nell’atto di ghermire la preda, e tornare indietro trattenendo una pallida creatura che si divincolava. Poco dopo strillò di sorpresa, scoprendo che si trattava di un’altra ragazza nuda, taciturna, priva di espressione, che guizzava come un pesce trafitto da una fiocina.

— Ebbene? — chiese Teresa. — Cosa ne dici di questa?

— Cos’ha in mano? — Cosa stava facendo là?

— Stava cercando di montare a bordo. — Santa Teresa immobilizzò il braccio della ragazza e la obbligò ad aprire la mano.

Ducky si curvò ad osservare: — È un pipistrello morto, secco come una foglia d’autunno. Che cosa se ne fa?

Entrambi scrutarono la ragazza, quindi si scambiarono un’occhiata carica di domande e di supposizioni.

— Be’, non è difficile indovinare — dichiarò finalmente Ducky. — È Diamante bon Damfels, detta Dimity: la ragazza scomparsa questa primavera. Non può essere che lei.

Santa Teresa non la contraddisse: — E adesso?

— Adesso la portiamo da Roald Few, come avrei dovuto fare anche con l’altra. E chiediamo a Gelatina, a Jandra e a chiunque altro abbia un po’ di sale in zucca, che ci accompagnino. Non so cosa sta succedendo, vecchia cicogna, ma qualunque cosa sia, non mi piace affatto.

Nella Città Arborica degli Arbai, la notte giunse come un visitatore cortese, annunciandosi con ritegno, percorrendo lentamente i ponti, abbracciando dolcemente gli ologrammi spettrali, colmando silenziosamente d’ombra ogni stanza. Globi sospesi sui ponti e appesi ai soffitti spandevano una luce opalescente, che non era sufficiente per lavorare, tuttavia consentiva di passeggiare agevolmente, riconoscere gli amici, osservare l’andirivieni dei fantasmi.

I visitatori scelsero di pernottare in alcune delle case prospicienti la veranda, meno frequentate dagli spettri: Tony e Marjorie ne occuparono una, i due frati e il prete un’altra, Sylvan una terza. Poi cenarono insieme nella veranda, con le provviste che avevano portato e con le strane frutta colte da Rillibee sugli alberi vicini. Per breve tempo la presenza di alcune volpi si manifestò con ombre, e con voci che rammentavano il grande ululato. I visitatori risposero come meglio poterono alle loro domande telepatiche, infine furono lasciati soli.

— Ci sono parecchie cose che non capisco — ammise Tony, esprimendo il pensiero di tutti, giacché molto di quello che le volpi avevano detto era risultato più enigmatico e stimolante che chiarificatore.

— Ci sono moltissime cose di ogni genere che non ho mai capito — replicò frate Mainoa, che quella sera sembrava molto stanco e invecchiato.

— Le volpi sono dunque figlie degli Hippae? — chiese padre James. — Hanno parlato molto di questo.

— Niente affatto — rispose frate Mainoa. — Non sono più figli degli Hippae di quanto le farfalle siano figlie delle crisalidi.

— Si tratta di un’altra metamorfosi — intervenne Marjorie. — Gli Hippae si trasformano in volpi.

— Soltanto alcune — precisò il vecchio monaco. — Non tutte.

— Un tempo si trasformavano tutte — insistette Marjorie, priva di dubbi. Per lei era chiaro, anche se non avrebbe saputo spiegare come fosse giunta a tale certezza. Semplicemente, lo sapeva. — Molto tempo fa, tutti gli Hippae si trasformavano in volpi.

— Sì, è vero — convenne Mainoa. — A quell’epoca, erano le volpi a deporre le uova.

Tentando di ricordare quello che aveva imparato a scuola molti anni prima, Marjorie si grattò la testa: — Deve essersi trattato di una mutazione. Per effetto di una mutazione, alcuni Hippae cominciarono a riprodursi precocemente, come accade anche a certe creature terrestri, che si riproducono quando sono ancora allo stadio di larva. Ma se la mutazione si è trasmessa, deve necessariamente aver garantito qualche vantaggio dal punto di vista della sopravvivenza.

— Forse gli antri consentivano agli Hippae di proteggere meglio le loro uova, che quindi si schiudevano in numero maggiore rispetto a quelle delle volpi — ipotizzò padre James. — Infatti, soltanto gli Hippae usano gli antri.

— Col tempo, il compito della riproduzione fu assunto quasi interamente dagli Hippae. Ormai, soltanto pochi Hippae si trasformano in volpi. Quante volpi esistono?

— In tutto il pianeta? — Frate Mainoa scosse la testa. — Chissà? Tutte le volte che si ode il grande ululato, le volpi capiscono che una di loro si è trasformata, ed escono a decine, a dozzine, per trovarla, accoglierla, condurla qua nella foresta, dove sarà al sicuro. Ma se sono i primi a trovarla, gli Hippae la uccidono finché è ancora debole e indifesa, oppure, se si rifugia in un boschetto, si servono dei bon per stanarla.

— Ma gli Hippae — scosse la testa padre James — non si rendono conto di essere loro stessi a…

Frate Mainoa rise amaramente: — Non lo credono! Rifiutano di credere che sono loro stessi a trasformarsi in volpi. Credono di essere destinati a restare quello che sono fino alla morte. Molti di loro muoiono, infatti. Rammentate, padre, quando eravate ragazzo? Vi rendevate davvero conto, allora, che sareste diventato adulto e che sareste invecchiato?

Inquieto, Sylvan passeggiava lungo il parapetto della veranda, scrutando la foresta notturna: — Senza dubbio le volpi ci odiano. Per tutto il tempo che hanno conversato con voi, ho pensato a quanto devono odiare noi bon.

— Per via del fatto che le cacciate? — domandò Tony.

— Sì, proprio perché aiutiamo gli Hippae a cacciarle.

— Non credo che ce l’abbiano con voi — obiettò frate Mainoa. — Piuttosto, biasimano se stessi. — Rifletté brevemente, prima di correggersi: — O almeno, questo è il sentimento di colui con il quale ho parlato tanto spesso. Forse per gli altri è diverso.

— Come lo chiamate? — chiese Marjorie. — Io non riesco a trovare un nome adatto.

— Primo — rispose frate Mainoa. — Lo chiamo Primo, oppure Lui, con l’iniziale maiuscola, come quando si dice «Egli» per intendere Dio. — E rise debolmente.

— Dunque ci avete parlato di loro, quel giorno, a Collina d’Opale — esclamò padre James. — Le volpi! Loro sono turbate dal peccato originale!

— Sì — sospirò frate Mainoa. — Tuttavia non vi parlai del vero motivo di tale turbamento. Il loro rimorso non ha nulla a che fare con le rane: le mangiano da sempre senza nessun problema, perché sanno che le rane sono così numerose, che se si trasformassero tutte, il pianeta non riuscirebbe più a sostentare la popolazione. Quello che le turba, invece, è ben altro, ossia il genocidio degli Arbai. Alcune volpi hanno derivato da noi i concetti di peccato e di colpa, ma non sanno a cosa applicarli, e ciò li preoccupa. Naturalmente non mi riferisco a tutte le volpi, ma soltanto a quelle che meditano su tali problemi. Ognuna ha la sua individualità, come noi, ed è mutevole, come noi, perciò discutono, e talvolta aspramente, proprio come noi.

Padre James si volse a scrutare con curiosità il vecchio monaco: — Si sentono colpevoli per il massacro della città arbai?

— No, non semplicemente per quel massacro, bensì per il genocidio degli Arbai, come ho detto poc’anzi — ripeté Mainoa. — Lo sterminio di tutti gli Arbai, in tutto l’universo. Non so come, ma sta di fatto che gli Hippae hanno compiuto questo genocidio.

— Cosa? — domandò Marjorie, incredula. — Hanno sterminato gli Arbai su tutti i pianeti?

— Proprio come la peste sta sterminando la nostra razza in tutto l’universo — spiegò padre James, comprendendo improvvisamente. — Credo che frate Mainoa ci abbia condotti qui proprio per questo.

— Infatti — sospirò il vecchio monaco. — Le volpi, o almeno alcune volpi, ci hanno guidati qui perché non vogliono che il genocidio si ripeta. Credevano di aver preso provvedimenti sufficienti per impedire che avvenisse di nuovo. Non chiedetemi in che modo, perché lo ignoro. Tuttavia non sono state abbastanza prudenti e meticolose. Mi hanno detto che forse è già troppo tardi, anche se vi sono cose che non mi hanno rivelato.

— No, non può essere troppo tardi! — protestò Marjorie. — Mi rifiuto di rassegnarmi!

Stanco, affranto, frate Mainoa scrollò le spalle, e padre James si allungò a sostenerlo, per fargli coraggio.

— No — ripeté Marjorie con assoluta certezza, pensando a Stella, prigioniera in un luogo segreto, e a Tony, e a tutti coloro che aveva conosciuto, a tutti coloro cui aveva voluto bene durante tutta la vita: non intendeva rassegnarsi alla loro distruzione neppure se si trattava di microrganismi senza nome. — Possiamo credere qualsiasi cosa, ma non che sia ormai troppo tardi.