125675.fb2
La dottoressa Lees Bergrem non aveva affatto esagerato: tutti sapevano dell’esistenza della peste e della possibile presenza degli Ammuffiti su Grass, nonché del sentiero ampio mezzo miglio che attraversava la prateria e terminava nei pressi della foresta palustre, la quale, d’un tratto, non sembrava più così invalicabile come era sempre parsa, bensì fragile e insicura. Nel Comune, l’inquietudine si stava trasformando in isteria.
Uno degli argomenti su cui la popolazione discuteva maggiormente era l’immunità alla peste che sembrava esistere su Grass, confermata innanzitutto dalla dottoressa Bergrem, la quale aveva assistito alla perfetta guarigione di alcuni appestati dopo due sole settimane di soggiorno sul pianeta.
— Dunque, dottoressa, non intendete dire semplicemente che la peste qui non è ancora diffusa — osservò Roald Few, per sollecitare spiegazioni più approfondite — bensì che non può diffondersi su Grass. C’è dunque qualcosa che lo impedisce?
Lees annuì: — Questo è proprio quello che la mia esperienza mi suggerisce. — Poi guardò Tony e Rillibee, per esortarli ad esprimere la loro opinione.
— Non credo che sia così — obiettò stancamente Tony. — E non è neppure vero che qua su Grass non si può essere contagiati. Le volpi credono che in qualche modo la peste si sia diffusa proprio da qui.
Naturalmente questa dichiarazione suscitò la curiosità di Roald e del sindaco Alverd Bee: — Da quando in qua le volpi comunicano con le persone? E dove sono queste volpi?
Mentre dozzine di persone andavano e venivano, Tony e Rillibee riferirono tutto quel che sapevano e tentarono di descrivere le volpi, ma senza risultare convincenti: il loro racconto fu accolto con scetticismo, se non con aperta incredulità.
Poi arrivarono Ducky Johns e Santa Teresa a raccontare il ritrovamento di Diamante bon Damfels, che nel frattempo era stata ricoverata all’ospedale ed occupava una stanza accanto a quella di sua sorella Emeraude, che era stata brutalmente picchiata, e a quella di Amethyste e Rowena, le quali rifiutavano di tornare a Klive.
Subito Sylvan uscì per recarsi a trovare la madre e le sorelle, seguito dagli sguardi pietosi dei cittadini, la cui opinione era evidente: un bon al Comune era così inutile come una terza zampa per un’oca.
— Come ha fatto Dimity ad arrivare qui? — domandò Tony. — Noi abbiamo appena attraversato la foresta: se è tutta come la parte che abbiamo percorso, allora è letteralmente impenetrabile! Ai margini vi sono alcune isole, ma per il resto è palude: un autentico labirinto di canali profondi e di vegetazione intricatissima. Se Dimity non è brava ad arrampicare come Rillibee, e se non l’hanno portata le volpi, com’è possibile che sia giunta qui?
— Anche noi non abbiamo fatto altro che chiedercelo, dolcezza — rispose Ducky Johns, la cui consueta civetteria era smorzata da una evidente angoscia. — Vero, Teresa? E l’unica risposta possibile è questa: deve esistere un passaggio che è sempre rimasto segreto.
— Un passaggio che ci è tuttora ignoto — precisò Santa Teresa.
— Niente affatto, mio caro — obiettò Ducky. — Adesso sappiamo che esiste, anche se non sappiamo esattamente dove. D’altronde, non possiamo certo escludere che Dimity sia stata trasportata attraverso la foresta proprio dalle volpi!
Appannato dalla spossatezza, Rillibee replicò: — Non credo affatto che siano state le volpi. Frate Mainoa lo avrebbe saputo.
— Ho forse già conosciuto questo monaco di cui parlate così spesso? — domandò Alverd Bee, e Rillibee gli rammentò chi fosse frate Mainoa.
Poco più tardi Sylvan tornò, pallido e angosciato: Dimity aveva ripreso conoscenza, ma non lo aveva riconosciuto; Emmy era ancora svenuta, anche se stava migliorando; Rowena dormiva; Amy gli aveva narrato la morte di Stavenger; e lui stesso si domandava perché la tragica fine del padre non lo commuovesse.
Quando Rillibee ebbe informato il sindaco del lavoro di Mainoa sui testi arbai, Roald gridò: — Dunque hanno già tradotto qualcosa? — Non sembrava sbalordito, ma semplicemente entusiasta. — Devo mettermi in contatto con Semling. — Sedette subito al dimmi, con la chioma grigia ritta intorno alle orecchie come un’aureola, e fra una trasmissione e l’altra si fece schioccare le articolazioni delle mani, producendo un rumore come di noccioline schiacciate. — Voglio vedere al più presto i risultati.
— Siete un linguista? — chiese Sylvan, incuriosito, senza capire perché mai qualche Grassiano potesse desiderare di studiare le lingue.
— Oh, no, ragazzo mio — rispose Roald, senza neppure guardare Sylvan. — Sono soltanto un dilettante. Mi guadagno da vivere come artigiano. — Quindi si volse a Rillibee: — Con chi è in contatto Mainoa su Semling?
Vedendosi ignorato, Sylvan sedette a una tavola vicina e posò la testa sulle braccia a meditare. Non aveva mai pensato che i plebei fossero così attivi, intelligenti e ricchi. Nel Comune si potevano trovare cibi, comodità, apparecchiature che nelle estancia erano del tutto sconosciuti. A causa di tutto ciò si sentiva stupido e insicuro. Nonostante il suo disprezzo per Stavenger e per gli altri obermun, aveva sempre creduto che i bon fossero davvero superiori ai plebei, ma ormai non era più tanto sicuro che non fossero addirittura inferiori.
Con doloroso imbarazzo, si chiese: Perché mi sono illuso che Marjorie potesse ricambiare le mie attenzioni? Che cosa potrei mai offrirle? E rammentò parole che aveva letto, ma raramente aveva usato, come «provinciale», «retrogrado», «meschino». Per i plebei, un bon non era nulla: nessuno mostrava di rispettarlo, nessuno chiedeva la sua opinione. Da quando Rillibee e Tony avevano rivelato che Sylvan non poteva comunicare con le volpi, i cittadini lo avevano ignorato come se fosse sordo e muto. Da parte di una professionista come la dottoressa Bergrem, il disprezzo sarebbe stato più facilmente accettabile, ma gli altri, come il vecchio che discuteva di traduzioni con Rillibee, erano semplici dilettanti, i quali, per puro divertimento, studiavano materie che non avevano alcuna attinenza con la loro vita quotidiana. Eppure, ognuno di loro ne sapeva più di lui!
Colmo di un desiderio disperato di far parte della loro società, o di qualsiasi gruppo, Sylvan si alzò per andare a bere qualcosa.
Nello stesso momento, anche Rillibee si alzò: — Ormai sapete tutto quello che so io, mastro Few. Adesso devo tornare dagli altri. Non posso più restare qui. — Sbadigliò di nuovo, pensando se chiedere a Tony di accompagnarlo, ma pensò che avrebbe preferito rimanere per apprendere qualcosa di più sulle condizioni di Stella. Quanto a Sylvan, meglio sarebbe stato se fosse rimasto in città, giacché Marjorie non desiderava il suo ritorno. Sempre sbadigliando, uscì dall’ospedale e scese al trotto la china, verso il luogo dove le volpi attendevano. Qualcosa lo attirava, insistendo sul suo ritorno: forse gli alberi, forse una necessità o uno scopo che gli si sarebbero rivelati nella foresta. Se non altro, avrebbe potuto riferire tutte le novità che aveva appreso nelle ultime ore.
Intanto, la dottoressa Bergrem stava ancora discutendo con Ducky e Teresa sul motivo per cui Dimity, nuda e priva delle sue facoltà mentali, aveva cercato di introdursi in un mercantile: — Ma soprattutto, perché aveva in mano un pipistrello morto? Che cosa significa questo?
— Gli Hippae — spiegò Sylvan, dalla soglia della stanza. — Gli Hippae si scagliano a vicenda pipistrelli morti. Negli antri degli Hippae si trovano molti pipistrelli morti. — Si accorse che tutti lo guardavano e, d’improvviso, ritrovò la propria sicurezza: — È semplicemente una manifestazione di disprezzo. Quando si sfidano, si scagliano pipistrelli morti. Lo stesso fa il vincitore al termine di un duello, per sottolineare la sconfitta dell’avversario.
Lees Bergrem annuì: — Ne ho sentito parlare. Sembra che gli Hippae abbiano parecchi comportamenti simbolici.
Pieno di sciocca gratificazione per l’attenzione che gli era finalmente concessa, Sylvan riferì quel poco che aveva appreso da bambino sul conto degli Hippae, rammaricandosi che Mainoa non fosse presente ad elargire le sue vaste conoscenze.
Nel corso della mattinata, frate Mainoa studiò i documenti che aveva registrato sul dimmi portatile. Padre James tentò di comunicare con le volpi e ringraziò Dio per l’assenza di padre Sandoval, il quale non ammetteva l’esistenza di alieni intelligenti: chissà cosa ne avrebbe pensato il Papa Esiliato. Invece, Marjorie non parlò affatto con le volpi, limitandosi ad ascoltare quello che Lui le diceva di tanto in tanto e cercando di restare impassibile, benché sentisse, ogni volta che Lui le parlava, un calore che le pervadeva i nervi, un impeto estatico, un sapore, un profumo, qualcosa di indefinibile.
Verso metà mattina, frate Mainoa, Marjorie e padre James sedettero insieme nella veranda della Città Arborica, per confrontare e cercar di collegare le loro parziali conoscenze e le loro varie ipotesi.
— Gli Arbai possedevano apparecchi di teletrasporto — dichiarò Marjorie, che lo aveva finalmente compreso. — Rammentate quella specie di monumento al centro della piazza? In realtà era un apparecchio di teletrasporto: congegni simili consentivano agli Arbai di viaggiare da un luogo all’altro.
Con un sospiro, frate Mainoa si grattò la testa: — Credo che abbiate ragione, Marjorie. Vediamo. Cosa ho concluso io nelle ultime ore? Ho ricevuto un altro messaggio da Semling. — Depose il dimmi portatile dinanzi a sé e cominciò a battere i tasti con una mano. — Presupponendo che i testi scritti subito prima della tragedia fossero quelli per noi più utili, Semling ha innanzitutto tradotto, e per l’ottanta per cento, un libro scritto a mano che trovai in una casa qualche tempo fa. Sembra che si tratti di un diario, in cui l’autore descrive i suoi tentativi di insegnare a scrivere a un Hippae. Questi, frustrato per la propria incapacità, si infuriò e uccise i primi due Arbai che gli capitarono a tiro. Quando l’Hippae si fu calmato, l’autore lo rimproverò, spiegandogli che era sbagliato uccidere creature intelligenti, e che gli Arbai defunti sarebbero stati pianti dai loro amici, e che l’Hippae non doveva fare mai più una cosa del genere.
Marjorie sussurrò: — Povero, ingenuo, stupido benintenzionato.
— Volete dire che l’autore del diario si limitò a dire all’Hippae di non uccidere più? — chiese padre James, incredulo. — S’illudeva forse che l’Hippae gli desse ascolto?
Tristemente, Mainoa annuì, massaggiandosi una spalla e un braccio come se gli dolessero.
Marjorie commentò: — Quando Lui, quando le volpi pensano agli Arbai, li immaginano sempre circonfusi di luce, come noi immaginiamo gli angeli!
Frate Mainoa pensò: Chissà che aspetto avrebbero gli angeli dorati in cima alle torri della Santità, se fossero zannuti e scagliosi come gli Arbai. E rispose: — Ma non come se fossero entità sacre, vero, Marjorie? Piuttosto, come se fossero creature superiori.
Marjorie annuì: Sì, pensò. È proprio la sensazione che hanno suscitato in me le loro immagini telepatiche: gli Arbai come creature superiori, intoccabili, irraggiungibili.
Incredulo, padre James domandò: — Gli Arbai erano dunque convinti che gli Hippae fossero incapaci di commettere il male?
Mainoa annuì: — Non è che gli Arbai credessero che gli Hippae fossero incapaci di fare il male: non credevano che esistesse il male. Non avevano nessun concetto del male. Nelle traduzioni che ho ricevuto da Semling, vi sono parole che indicano azioni commesse inavvertitamente, o errori, o incidenti, oppure parole che significano «dolore» e «morte», ma nessuna che significhi «male». Secondo i computer di Semling, la parola arbai per «creature intelligenti» ha una radice che significa «evitare errori». E dato che consideravano gli Hippae creature intelligenti, e dopotutto insegnarono loro a scrivere, gli Arbai pensavano di non dover fare altro che indicar loro l’errore, affinché non lo ripetessero più.
— Naturalmente non si trattava di un errore — intervenne Marjorie. — Gli Hippae si divertivano ad uccidere.
Padre James obiettò: — Mi è difficile credere in questo tipo di mentalità.
Frate Mainoa sospirò: — Marjorie ha ragione, padre. Il simbolo inciso dagli Hippae nel suolo dell’antro è un ideogramma arbai, o meglio la combinazione di alcuni ideogrammi arbai: quello che significa «morte», quello che significa «stranieri», e quello che significa «gioia». Secondo i computer, la traduzione più probabile sarebbe dunque «gioia nell’uccidere gli stranieri».
— Credono di avere il diritto di uccidere qualsiasi creatura, tranne loro stessi? — chiese padre James, scuotendo la testa.
Marjorie rise amaramente: — Suvvia, padre! Vi sembra proprio così insolito? Pensate al nostro povero pianeta natale. Gli uomini non hanno forse sempre pensato di aver diritto ad uccidere qualunque creatura, tranne loro stessi? E non hanno forse provato piacere nel farlo? Dove sono le balene e gli elefanti? Dove sono gli uccelli sgargianti che un tempo popolavano le paludi?
— Comunque — riprese frate Mainoa — gli Hippae non sanno nuotare, né si sanno arrampicare, quindi non poterono uccidere gli Arbai che vivevano qui, nella Città Arborica.
— Nondimeno, gli abitanti di questa città non hanno avuto scampo. — Nel dir questo, Marjorie osservò gli ologrammi degli amanti che, appena tornati sul ponte, si appoggiavano alla sponda, nel sole, conversando sottovoce, assorti a scambiarsi tenerezze, ignari della triste sorte del loro popolo. — Forse perirono all’arrivo dell’inverno. Anche il fato degli altri Arbai, che vivevano su altri mondi, era già segnato.
— Gli abitanti di questa città dovevano essere immuni dalla peste — osservò padre James. — Perché non si ritirarono sottoterra? Anche noi dobbiamo essere immuni, come pure l’intera popolazione di Grass.
— Oh, sicuro che siamo immuni — convenne Marjorie — ma soltanto finché restiamo su Grass. È logico ritenere che gli Arbai di Grass fossero immuni: ecco perché gli Hippae li massacrarono. Ma saperlo non ci serve a nulla! Niente di tutto quello che abbiamo scoperto ci consente di comprendere come si diffuse la peste e come curarla. Non faccio altro che pensare alla Terra, dove vive mia sorella, dove Rigo ha la madre e un fratello, dove abbiamo i nostri nipoti. Sulla Terra abitano i miei amici!
— Calma, Marjorie. Dopotutto conosciamo un modo per curare la peste: chiunque viene su Grass.
— Non sappiamo neppure questo — interruppe Marjorie. — Anche se potessimo portare su Grass tutti le persone dell’universo, non potremmo essere certi che, una volta ripartiti, non sarebbero nuovamente contagiati. Non sappiamo se noi stessi resteremmo contagiati, lasciando il pianeta. Non sappiamo neppure come avviene il contagio! E le volpi rifiutano di dirci quello che sanno! Sembra quasi che aspettino qualcosa. Ma cosa? — Colse un’ombra presso il parapetto, e per un istante vide brillare due occhi. Scosse rabbiosamente la testa in risposta a una breve comunicazione telepatica: — Mi sento terribilmente disperata, come se fosse già troppo tardi e non vi fosse più nulla da fare. — Era sicura che fosse avvenuto un mutamento irrevocabile. Sentendo nella mente il tocco incorporeo e il mormorio dolce di una volpe che tentava di confortarla telepaticamente, posò la fronte su una spalla enorme, che pure era lontana: vedeva se stessa danzare con le volpi. D’un tratto sentì mancare l’appoggio e alzò lo sguardo: la volpe era scomparsa. Subito dopo capì per quale ragione, udendo alcune ignote voci umane sovrastare le sussurranti voci registrate degli Arbai: — Ascoltate — disse ai compagni, tentando di localizzare gli sconosciuti. Era troppo presto perché Tony e Rillibee fossero già di ritorno.
In quel momento esplosero alcune grida di gioia minacciosa.
Mentre tre individui si lasciavano cadere dagli alberi come scimmie, Marjorie, frate Mainoa e padre James arretrarono sulla veranda: — Non mi sarei mai aspettato di vederti qui, frate Flumzee — disse il vecchio monaco, con voce calma e stanca.
— Chiamami Granbravone — ribatté l’arrampicatore, nell’appoggiarsi al parapetto. — Ti presento i miei amici, Mandiguglia e Pontelungo. — Sollevò una gamba e piegò un ginocchio, cingendolo con le mani. — Avevamo altri due compagni, Pontecorto e Nodosafune, che però sono stati divorati dagli Hippae, là nella prateria. — E fece un gesto vago. — Crediamo che anche il priore Fuasoi e il suo amichetto Shoethai abbiano fatto la stessa fine, ma non ne siamo sicuri. Abbiamo sentito ululare parecchio, però può anche darsi che siano scappati.
— Cosa ci facevate nella prateria? — chiese frate Mainoa.
— Mi hanno mandato per te, fratello — sogghignò Granbravone. — Ho l’incarico di sistemarti, visto che non sei più dei nostri.
— Ma hai detto che con voi c’erano Fuasoi e Shoethai!
— Non era previsto. Si potrebbe dire che è stata una partecipazione decisa all’ultimo minuto. Hanno approfittato dell’occasione, ma avevano da fare altrove. — Granbravone agitò una mano per scacciare un ologramma che gli passava accanto, come se si trattasse di uno sciame di mosche: — Cosa diavolo sono queste ombre colorate?
— Soltanto immagini di coloro che un tempo vivevano qui — spiegò Marjorie.
Granbravone si volse ad osservare la città: — È un bel posto, molto adatto a un arrampicatore. C’è abbastanza da mangiare perché ci si possa vivere?
— In estate, probabilmente — rispose frate Mainoa. — Frutta, noci, e forse anche qualche animale.
— Però in inverno no, eh? Be’, in inverno potremmo andare in città. Forse ci andremmo comunque a prendere qualche donna da portare qui.
— Intendi restare qua dopo aver sbrigato il lavoro? — chiese Pontelungo.
— Perché no? Riesci a immaginare un posto più bello per noi arrampicatori?
— Non mi piace avere attorno tutti questi mostri — replicò Pontelungo, gesticolando come per allontanare gli ologrammi che passavano.
Notando che gli arrampicatori avevano i muscoli contratti e le mascelle serrate, frate Mainoa pensò che tutte quelle chiacchiere servissero soltanto a prendere tempo, per valutare le capacità di difesa delle vittime. Ma come avrebbero potuto difendersi un vecchio, un debole e una donna? Cercò di contattare telepaticamente le volpi, ma non ottenne nessuna risposta: né immagini, né parole.
— Avete fame? — chiese Marjorie. — Possiamo dividere con voi il nostro cibo.
— Oh, sì che abbiamo fame! — ammise Granbravone, malizioso. — Ma non di cibo. Abbiamo provviste anche noi. — E si passò la lingua sulle labbra, scrutando Marjorie da capo a piedi con tale lascivia da farla tremare di disgusto. — Sembri giovane e sana, tu. Al Monastero si parlava della peste, ma tu non sei contagiata, vero, bella creatura?
— Non posso escludere di esserlo — ribatté Marjorie, sforzandosi di mantenere un tono calmo. — C’era la peste, sulla Terra, quando sono partita.
Con un gesto, Granbravone impose di mantenere il silenzio ai due seguaci che lo scrutavano interrogativamente: — È inutile mentire. Se fossi stata contagiata prima di partire, saresti già morta. È quello che dicono tutti.
— Talvolta occorrono anni prima che la peste si manifesti — intervenne padre James. — Ma la persona contagiata ne è comunque portatrice.
— E tu, vestito così, chi sei? — chiese Granbravone, con una risata sprezzante. — Una specie di servo, forse? Be’, bada di stare al tuo posto, servo. Nessuno ti ha interrogato.
— Il motivo per cui Fuasoi vi ha mandati ad eliminarmi, ammesso che ciò sia vero, può essere soltanto uno — ragionò frate Mainoa. — Non voleva che si scoprissero le cause della peste, quindi era senza dubbio un Ammuffito.
Restando senza fiato, Marjorie pensò: Un Ammuffito? Qui? Allora è già troppo tardi!
Ignorando il vecchio monaco, Granbravone si staccò dal parapetto e si stirò: — Siete pronti, ragazzi? Voi due sistemate gli ometti. Io, intanto, mi occupo della donna.
In quel momento giunse una voce dagli accecanti barbagli di sole tra le fronde sovrastanti: — Granbravone! Codardo! Bugiardo! Te la senti di salire quassù?
Rillibee! pensò Marjorie, riprendendo a respirare. Però è solo: non sento altre voci.
Volgendosi, Granbravone allungò il collo a scrutare la luce accecante: — Lourai! — gridò. — Dove sei, ranocchio?
— Qua, dove Granbravone non può salire!
— Teneteli tranquilli fino al mio ritorno! — ringhiò Granbravone, indicando con un gesto Marjorie e i due religiosi. Poi saltò sul parapetto, e con un altro balzo scomparve nel fogliame: — Aspettami, ranocchio! Vengo a prenderti!
Rammentando il proprio coltello, Marjorie si avviò alla soglia della casa dove aveva lasciato le proprie bisacce, ma fu subito allontanata con una spinta da Mandiguglia, balzato a bloccarla; inciampò, allungando una mano per aggrapparsi; e precipitò oltre il parapetto, in un vortice di fronde soleggiate, sentendo il suo stesso strillo spegnersi in un silenzio improvviso.
— Una creatura minuscola desidera vederti, O Dio — annunciò un angelo che, a parte le ali, assomigliava molto a padre Sandoval.
Ferma sulla soglia, Marjorie le osservò: non erano ali da cigno, come si era aspettata, bensì traslucide ali da libellula. Da un punto di vista anatomico, erano molto più pratiche delle ali da uccello, visto che si aggiungevano alle braccia, anziché sostituirle.
Mentre l’angelo scoccava a Marjorie una torva occhiata, Dio rispose con pazienza: — Entra pure. — Drappeggiato in una nube, stava dinanzi a un’alta finestra da cui si dominavano tutti i giardini di Collina d’Opale.
Soltanto dopo un momento, Marjorie si accorse che i giardini erano fatti di stelle: — Salve — salutò.
— Benvenuta, creatura minuscola — sorrise Dio, abbagliando l’intero universo. — Qualcosa ti preoccupa? — Assomigliava a qualcuno che Marjorie conosceva, benché avesse la chioma lunga fino alle spalle, ricciuta, nera, con ciocche bianche alle tempie. Aveva occhi grandi nel viso ossuto, ed era più basso di quanto ella si fosse aspettata.
— Anche se ciò mi sconvolge — rispose Marjorie — posso ammettere che tu non conosca il mio nome.
— Un momento — interruppe Dio. — Io conosco i veri nomi di tutto. Cosa intendi dire?
— Intendo dire che non sai che sono Marjorie.
— Marjorie — ripeté Dio, come se il nome gli suonasse strano. — è vero: non sapevo che tu fossi chiamata Marjorie.
— Mi sembra che sia molto crudele essere un microrganismo.
— Io non direi «microrganismo». Ma tu credi che sia crudele essere una creatura che si moltiplica e si diffonde, benché ciò sia necessario?
Vergognosa, Marjorie annuì.
— Evidentemente devi affrontare varie difficoltà. Ma ciò è normale per le creature minuscole: è proprio per questo che le creo. Se non vi fossero idee molto complesse da realizzare mediante la creazione dal nulla, le creature minuscole non sarebbero necessarie. Per il resto la creazione avviene quasi spontaneamente. — Con un gesto, Dio abbracciò l’universo sottostante: — Chimica elementare, un po’ di matematica, ed ecco che tutto funziona alla perfezione. Sono i dettagli che richiedono tempo e hanno bisogno di lenta evoluzione, è come lubrificare gli ingranaggi, per così dire. Tu a cosa stai lavorando, adesso?
— Non so, esattamente — rispose Marjorie.
L’angelo sulla soglia intervenne con impazienza: — La creatura minuscola sta lavorando alla pietà, Signore, nonché alla giustizia e alla colpa.
— Pietà? Giustizia? Sono concetti molto interessanti, quasi degni di essere creati direttamente, anziché mediante l’evoluzione. Quanto alla colpa, non sprecherei il mio tempo per essa. Comunque confido che voi tutti porterete a termine il vostro compito.
— Non ne sono tanto sicura — obiettò Marjorie. — Molte cose che mi sono state insegnate non hanno senso.
— Ciò è nella natura stessa dell’insegnamento. Allorché avviene un fenomeno, l’intelligenza dapprima lo percepisce, quindi ne trae una regola, infine tenta di rispettare la regola. Le creature minuscole agiscono invariabilmente in questo modo. In seguito, però, si verificano nuovi fenomeni che hanno bisogno di nuove regole, e così via, finché l’intelligenza impara a comprendere il flusso dei fenomeni e smette di stabilire regole.
— Ma mi è stato spiegato che le verità eterne…
— Cosa? — Dio rise. — Se ne esistessero, io lo saprei senz’altro! Ho creato un universo basato sul mutamento, e una creatura minuscola viene a parlarmi di verità eterne!
— Non intendevo offendere. Però, se non esistono verità, come possiamo sapere cosa è vero?
— Non mi offendi affatto: non creo esseri che mi possano offendere. Quanto alla verità, quello che è vero, è quello che è scritto. Ogni creatura reca inscritta in se stessa la mia intenzione: rocce, stelle, creature minuscole. Tutto procede naturalmente in un solo senso, che è il senso da me voluto. Il guaio è che le creature minuscole scrivono libri per contraddire la natura, poi dicono che li ho scritti io, e che la natura è una menzogna. — Dio rise di nuovo, e l’universo tremò. — Inventano regole di comportamento che neppure gli angeli potrebbero rispettare, poi dicono che le ho concepite io. Lo fanno per superbia. — E ridacchiò: — «Queste parole sono eterne,» dicono, «quindi devono essere state scritte da Dio».
— Vostra Terribilità — intervenne l’angelo. — Vi rammento che avete una riunione per riesaminare il fallimento degli Arbai.
— Ah, già! Ecco un esempio adatto — dichiarò Dio. — Con gli Arbai ho completamente fallito. Ho cercato di creare qualcosa di nuovo, però erano troppo buoni per fare del bene. Capisci?
— Ma mi è stato detto che tu desideri proprio che siamo buoni!
In gesto consolatorio, Dio percosse una spalla di Marjorie: — Essere troppo buoni significa non esser buoni a niente. Uno strumento deve agire con la necessaria risolutezza ed efficacia, mia cara, altrimenti si limita a provocare confusione senza giungere alla realtà, alle cause essenziali.
— Creatura minuscola — disse l’angelo, con impazienza — stai impedendo a Dio di fare il suo lavoro. — E ripeté: — Vostra Terribilità.
— Rammenta — concluse Dio — che se in effetti non sapevo che tu credi che il tuo nome sia Marjorie, so però chi sei tu in realtà.
— Marjorie! — chiamò l’angelo.
Ella si sentì scrollare una spalla con crescente impazienza.
— Mio Dio! Marjorie!
— Padre James. — gemette Marjorie, senza alcuna sorpresa, rendendosi conto di giacere supina, sotto il fogliame chiazzato dal sole.
— Credevo che ti avesse uccisa.
— Mi ha parlato! Mi ha detto…
— Credevo che quel dannato arrampicatore ti avesse uccisa!
Con la testa che doleva, Marjorie si alzò a sedere. Provava la sensazione che vi fosse qualcosa di sbagliato, che mancasse qualcosa.
— Evidentemente hai battuto la testa.
Allora Marjorie rammentò la spinta e la caduta: — Quel giovane mi ha picchiata?
— Ti ha spinta oltre il parapetto, facendoti precipitare.
— Dov’è adesso? E dov’è il suo compare?
— Proprio mentre cadevi, una volpe è balzata giù dagli alberi, con un ringhio tonante, poi li ha chiusi in una casa. Adesso è là fuori, davanti alla casa, ma continuo a non vederla. Subito dopo sono arrivate altre due volpi che mi hanno portato quaggiù, da te.
Con fatica, appoggiandosi ad una radice sporgente, Marjorie si alzò. Poi, incredula, alzò lo sguardo alla veranda: — Ma una caduta da una tale altezza avrebbe dovuto uccidermi!
— Sei stata rallentata da un paio di rami molto elastici, infine sei atterrata in quell’ammasso di erbe e cespugli, che ha attutito la tua caduta come un materasso enorme — spiegò padre James, indicando la folta vegetazione. — Il tuo angelo custode stava all’erta.
— Come faremo a risalire? — chiese Marjorie, che non credeva affatto agli angeli custodi.
Allora padre James indicò due volpi che attendevano accanto all’albero: vaghe forme senza contorni, centri focali di propositi.
— Anche loro vi hanno aiutato con gli arrampicatori? — chiese Marjorie.
Padre James scosse la testa: — La volpe lassù non ha avuto bisogno di aiuto.
Meditando, Marjorie scrutò per un lungo momento le due volpi, quindi, sopraffatta dalla vertigine, si addossò all’albero, mormorando: — Rocce. Stelle. Creature minuscole.
— Sembra che tu sia fuori di te.
— Niente affatto. — Marjorie riuscì a sorridere, nel rammentare il proprio sogno. — Ditemi, padre. Avete mai visto Dio?
Turbato dalla domanda, il prete notò che gli occhi di Marjorie erano spalancati, fissi, vitrei: — Credo che tu abbia una lieve commozione cerebrale, Marjorie, o forse persino una frattura.
— Può anche darsi che io abbia avuto una visione, come talvolta capita.
Padre James tacque, ma sapeva come avrebbe risposto padre Sandoval, secondo il quale gli antichi cattolici dovevano evitare le visioni nell’interesse dell’equilibrio e della moderazione. Una volta solidamente definiti i princìpi della fede, le visioni servivano soltanto a confondere la gente. Personalmente, padre James non era affatto privo di dubbi a tale proposito.
Con l’aiuto del prete, Marjorie si avvicinò alle volpi, una delle quali la prese in spalla e la trasportò su, fino alla veranda, dove le altre volpi erano così numerose, che le loro emanazioni mentali erano opprimenti, come un tuono, una risacca, o il respiro di un drago enorme nelle tenebre: — Buon Dio — bisbigliò Marjorie. — Da dove sono venute tutte queste volpi?
— Erano già qui — spiegò Mainoa. — Ci osservavano dagli alberi. Adesso si sono semplicemente avvicinate. Vi sentite bene, Marjorie?
— Non sta affatto bene — intervenne padre James, preoccupato. — Pronuncia strani discorsi, e il suo sguardo è diverso dal solito.
— Sto benissimo — garantì distrattamente Marjorie, cercando di scorgere la moltitudine di entità invisibili. — Perché le volpi sono qui?
Frate Mainoa la scrutò, aggrondato: — Stanno cercando di scoprire o decidere qualcosa, ma non so che cosa.
La volpe che col suo corpo bloccava completamente l’ingresso della casa trasmise nitidamente l’immagine di due persone lasciate cadere da un ramo altissimo. Marjorie la cancellò, suscitando sia l’approvazione che la disapprovazione della moltitudine; poi cancellò anche l’immagine della liberazione di un arrampicatore, provocando la medesima reazione. Evidentemente le volpi stavano discutendo senza giungere a un accordo sul da farsi.
Un tremito alle gambe fece vacillare Marjorie: — Rillibee non è ancora tornato?
— No — scosse la testa frate Mainoa. — Si è allontanato in quella direzione — indicò — e la sua voce non si è più sentita.
Avvicinatasi alla casa, Marjorie osservò i due arrampicatori, i quali, legati strettamente mani e piedi, ricambiarono torvamente il suo sguardo: — Chi vi ha mandati ad uccidere frate Mainoa?
I due monaci si scambiarono un’occhiata, poi Pontelungo scosse la testa e Mandiguglia rispose, di malavoglia: — Shoethai, che però si è limitato a trasmettere gli ordini del priore Fuasoi. Ci ha detto che Mainoa è un apostata.
Marjorie si massaggiò la fronte, che le doleva: — Che cosa lo induceva a crederlo?
— Una specie di libro di Mainoa stesso, che Shoethai aveva trovato alle rovine arbai.
— Il mio diario! — capì subito frate Mainoa. — Temo di essere stato così imprudente da non nascondere l’ultimo quaderno del mio diario. Però avevamo una tale fretta di partire.
— Quali argomenti avete trattato nel diario, fratello? — domandò Marjorie.
— La peste, gli Arbai, e tutto enigma di cui ci stiamo occupando.
— Capisco. — Marjorie si rivolse ai prigionieri: — Dimmi, tu, ehm, Pontelungo. Intendevate stuprarmi, tu e gli altri, vero?
Pontelungo si fissò i piedi, dilatando una narice: — Ci avremmo provato, certo… perché no? Non avevamo visto quelle dannate creature qua intorno, quindi. Perché no?
— Credevate che fosse una… — Marjorie si interruppe, cercando di esprimersi in modo tale che gli arrampicatori potessero comprendere: — Credevate che fosse una buona cosa, una bella impresa, o qualcosa del genere?
— Chi sei tu? — ribatté Pontelungo, in tono di scherno. — Appartieni forse della Dottrina Accettabile? Volevamo farlo e basta!
— Non v’importava di quello che avrei provato io?
— Lo sanno tutti che alle donne piace sempre, anche quando protestano.
Marjorie ebbe un tremito di paura e disgusto: — E dopo mi avreste uccisa?
— Se ci fosse piaciuto, certo.
— Alle donne piace anche essere ammazzate?
Confuso, Pontelungo si leccò le labbra, senza rispondere.
— Mi avreste uccisa senza alcuno scrupolo?
Pontelungo continuò a tacere, però Mandiguglia brontolò: — Ce ne saremmo rammaricati, in seguito, se ci fosse tornata voglia.
— Capisco. Ma non vi sareste certo dispiaciuti per me, vero?
— E perché mai avremmo dovuto? — ribatté Pontelungo, irosamente. — Dov’eri tu, quando ci hanno separati dalle nostre famiglie per spedirci alla Santità? Dov’eri quando ci hanno esiliati al Monastero dei Frati Verdi?
Allora Marjorie ricevette di nuovo l’immagine telepatica dei due prigionieri che precipitavano dalla cima di un albero altissimo, e di nuovo la cancellò, ma con minor decisione: — Cosa vogliono tutte queste volpi, frate Mainoa? — chiese. — Perché sono qui?
— Credo che vogliano sapere cosa deciderete.
— Ebbene, cosa intendi fare? — domandò padre James.
— Sto cercando di stabilire se possiamo permetterci di essere misericordiosi. Gli Arbai lo furono, ma quando si affronta il male, la misericordia stessa diventa un male: per essa gli Arbai perirono, e per essa noi rischieremmo a nostra volta la vita. Costoro, infatti, potrebbero semplicemente tornare indietro per assassinarci a tradimento. Il problema è questo: sono malvagi? In caso affermativo, non ha importanza come lo sono diventati, perché il male può essere fatto, ma non disfatto.
— Il perdono è una virtù — intervenne padre James, più per consuetudine che per convinzione.
— Ah, no! è troppo comodo! Se li perdonassimo, consentiremmo a costoro di commettere altri crimini. — Marjorie si prese la testa fra le mani, meditando: — Abbiamo il diritto di comportarci consapevolmente in modo stupido? No, non possiamo farlo a spese altrui.
Padre James la scrutò con estremo interesse: — Non hai mai parlato così, Marjorie. La misericordia è alla base della nostra fede.
— Soltanto perché voi non credete che questa vita abbia realmente importanza, padre. Invece, Dio dice che ne ha.
— Marjorie! Questo non è affatto vero!
— Benissimo! — ribatté Marjorie, mentre il dolore che sentiva alla testa si trasformava in cupo furore. — Non intendo voi personalmente, padre James, bensì voi preti e quello che dite di solito. Sostengo che questa vita ha importanza, e che la misericordia, in questo caso, significa decidere la sorte di costoro in modo da risparmiare sofferenze agli altri, inclusa me stessa! Non intendo commettere lo stesso errore degli Arbai!
— Marjorie! — esclamò ancora padre James, sgomento. Nonostante i propri dubbi, era profondamente turbato nel vedere Marjorie così violenta come non era mai stata: le parole le uscivano di bocca come granaglie da un sacco squarciato.
— Mi spiace — dichiarò Marjorie, volgendosi ai prigionieri. — A quanto pare, non ho altro mezzo per garantire la nostra incolumità, che lasciarvi uccidere dalle volpi.
— Oh, lady! Per l’amor d’Iddio! — gridò Mandiguglia, atterrito. — Portateci al Comune e consegnateci alle autorità! Siamo inermi, così legati!
Marjorie esitò: quantunque sicura che risparmiare gli arrampicatori fosse una pessima idea, non sapeva bene perché.
Scuotendo ansiosamente la testa, padre James intervenne, in tono implorante: — Mainoa li ha legati molto saldamente, senza contare che dobbiamo in ogni modo recarci al Comune. Affidiamo dunque costoro alle autorità: non saranno peggiori della solita feccia che frequenta l’astroporto.
Marjorie annuì, benché non fosse affatto convinta: Non è una buona idea, pensò. Non è quello che un microrganismo dovrebbe fare. Una creatura minuscola dovrebbe comprendere il pericolo e precipitare queste carogne dall’albero più alto.
La volpe che bloccava la soglia emanò una tempesta telepatica di luci, ombre, vibranti striature di colori evanescenti.
— È scontento — spiegò frate Mainoa.
— Io pure — rispose Marjorie, stralunando gli occhi per il dolore. — Ascoltatele tutte! Soltanto alcune sono intervenute in nostro aiuto. Forse le volpi sono proprio come sono sempre stata io. Piena di dubbi e sensi di colpa astratti, ho sempre lasciato che le cose accadessero, senza tener conto dei miei stessi sentimenti. — Mentre il dolore diveniva sempre più intenso, ricevette una immagine di volpi che si allontanavano fra gli alberi, e telepaticamente la cinse con un cerchio luminoso: Ma sì! Perché no? Tanto vale che se ne vadano. E annunciò: — Se ne stanno andando. Ma noi dobbiamo rimanere qua ad aspettare Rillibee. — Poi le parve che una cannonata esplodesse nella sua mente. Andò a coricarsi nella propria stanza e si rilassò. Poco a poco la sofferenza diminuì. Intanto ricevette fuggevoli impressioni telepatiche dalle volpi che si allontanavano nella foresta: una serie di immagini e suoni, come un susseguirsi di frangenti e risacca, che la fece sprofondare nel dormiveglia.
Verso metà pomeriggio, un richiamo provenne dalle fronde più basse.
Una volpe rispose con un sussurro minaccioso.
Il richiamo fu ripetuto, e l’avvertimento anche, ma meno minacciosamente.
Marjorie uscì nella veranda: — Rillibee!
Il ragazzo comparve fra le liane, avanzando stancamente.
— Sei spossato!
Rillibee sembrava un gufo, con gli occhi cerchiati che parevano enormi nel viso magro e pallidissimo: — È stata un’arrampicata lunga — mormorò. — Molto lunga. — Si avvicinò con estrema lentezza, infine scavalcò il parapetto, esausto: — Sono proprio contento di essermi tanto arrampicato, al Monastero, su tutte quelle scale e tutti quei ponti.
— Cos’è successo? — chiese frate Mainoa.
— Granbravone mi ha inseguito, senza riuscire a prendermi. L’ho attirato molto lontano, nella foresta, poi mi sono nascosto per lasciarlo passare oltre, e sono tornato indietro. Se fossi riuscito ad escogitare un modo facile per riuscirci, l’avrei ammazzato, quel bastardo!
Marjorie gli accarezzò una guancia: — Possiamo tornare al Comune, adesso.
Rillibee scosse la testa: — No, non ancora. Abbiamo bisogno delle volpi. Mi spiace aver sprecato tanto tempo con Granbravone, ma non sapevo che altro fare, se non allontanarlo da qui. Credevo che mi avrebbero inseguito tutti e tre, visto che Granbravone preferisce sempre essere in netto vantaggio sugli avversari. Ma vedo che siete riusciti comunque a sistemare gli altri due.
— Ci ha pensato una volpe.
— Capisco. — Rillibee si afflosciò a sedere. — Ho varie cose da dirvi, Marjorie. — E raccontò brevemente tutto quello che aveva saputo al Comune, cominciando col massacro compiuto dagli Hippae e terminando col ritrovamento della sorella di Sylvan.
— Dimity e Janetta, entrambe catturate dagli Hippae! — commentò Marjorie, sbalordita. — Ed entrambe ricomparse all’astroporto!
— Nude — annuì Rillibee — e del tutto prive delle loro facoltà mentali. Al Comune sono tutti terribilmente preoccupati per questo. Se Janetta e Dimity non hanno attraversato la foresta trasportate dalle volpi, allora deve esistere una segreta via di accesso alla città, che forse potrebbe essere utilizzata anche dagli Hippae. Perciò dobbiamo scoprire come hanno fatto le ragazze a passare.
Un brontolamento di preoccupazione giunse dagli alberi.
— Le volpi sono turbate, arrabbiate — spiegò frate Mainoa, massaggiandosi la testa. — Non hanno mai trasportato nessuno in nessun luogo prima di noi, Rillibee. Pensavano che il Comune fosse al sicuro. Loro stesse ne hanno incoraggiato la costruzione dove pensavano che gli Hippae non potessero giungere.
— Incoraggiato?
— Ormai sappiamo tutti — sospirò frate Mainoa — in che modo riescono a incoraggiarci, o, se preferite, a influenzarci.
Accorgendosi che le volpi si allontanavano, Marjorie chiese: — Dove stanno andando?
— A cercare il passaggio che, secondo quello che ha detto Rillibee, esiste di sicuro. Stanno pensando ai migerer.
— Quelle specie di talpe? In tal caso, sospettano che si tratti di un cunicolo.
— Qualcosa del genere. — Mainoa rabbrividì, prendendosi la testa fra le mani. — Ah, Marjorie, sono soltanto un vecchio stanco, incapace di partecipare a questa ricerca.
Rillibee cinse le spalle del vecchio frate: — E io sono un giovane stanchissimo, fratello: ho bisogno di riposare. Lasciamo dunque che siano le volpi a cercare, se non credi che abbiano bisogno del nostro aiuto.
— Ce la faranno — garantì frate Mainoa. In ogni caso, pensò, io non sono in grado di fare altro. Poi si coricò, cominciando subito a russare.
Sdraiatosi, Rillibee si addormentò all’istante, come un bambino. Marjorie si ritirò nella propria stanza e poco a poco, mentre il dolore si placava, sprofondò in un sonno privo di sogni telepatici. Padre James rimase seduto con la schiena al parapetto, meditando su quello che era realmente accaduto a Marjorie: quello che ella aveva veduto, o soltanto sognato. Pontelungo e Mandiguglia, conversando sottovoce, cercarono di sciogliere i loro legami.
Nel tardo pomeriggio, immagini di cavalli e cavalieri furono trasmesse telepaticamente: così, poco prima di tornare, Primo annunciò che il passaggio era stato trovato. A cavallo, Marjorie e compagni attraversarono tranquilli specchi d’acqua, guadarono fiumi melmosi, percorsero lunghi canali, seguendo un tragitto molto tortuoso: senza la guida delle volpi, si sarebbero ben presto smarriti nel labirinto della palude, finendo risucchiati dalle sabbie mobili.
Finalmente sbucarono nella prateria, sulla sponda del laghetto dove avevano ritrovato Stella, e videro che l’erba era stata falciata e il prato era stato strappato a rivelare l’ingresso di una galleria, molto simile agli antri degli Hippae: la volta precedente si erano trovati a pochi metri da essa, senza scorgerne l’ingresso accuratamente mascherato dall’erba.
— Questa è opera dei migerer - commentò frate Mainoa. Allora una volpe emise un lamento agghiacciante.
— Opera del demonio, dicono le nostre guide — si corresse Mainoa. — La galleria scende molto al di sotto della palude. Una volpe l’ha percorsa fino all’astroporto.
Le caratteristiche orme degli Hippae entro l’ingresso non lasciavano dubbi su chi si fosse servito del cunicolo. Fuori, le tracce erano state cancellate dal rivolo che usciva dalla galleria stessa.
Seguendo l’esortazione telepatica delle volpi a non perdere altro tempo, Marjorie entrò nel cunicolo, trainando Don Chisciotte, seguita dagli altri. Stare in sella non era possibile perché la volta era così bassa che Ragazza Irlandese era costretta a procedere a testa china, sfiorando con le orecchie le radici fangose che scendevano dalla palude. In breve, l’acqua melmosa che gocciolava dalla volta inzuppò i componenti del gruppetto, i quali imprecavano contro l’aria umida e malsana, il puzzo di escrementi, e il suolo fangoso lievemente in salita, che sembrava voler risucchiare rumorosamente i loro piedi. L’illuminazione delle torce era insufficiente.
— Credo che le volpi ci stiano seguendo — annunciò Rillibee, che si trovava in fondo alla fila. — Sento la loro presenza. Però è strano. Questa galleria non è abbastanza alta per gli Hippae.
— Possono passare uno alla volta, lentamente, quatti quatti come leoni in agguato — spiegò frate Mainoa. — Comunque il cunicolo non è stata scavata per loro.
A breve distanza dall’ingresso, la galleria cominciò a scendere tanto ripidamente che i cavalli, con nitriti di protesta, dovettero puntare le zampe posteriori per non scivolare, ma furono incoraggiati dalle volpi a proseguire. Finalmente il suolo ridivenne piano. L’avanzata continuò nelle tenebre, in acque più profonde.
Con la torcia, Marjorie illuminò numerose aperture nelle pareti, a livello dell’acqua: — Cosa sono queste?
— Servono senza dubbio a far defluire l’acqua — spiegò padre James.
— E dove? L’acqua non può certo scorrere a monte!
— Ci troviamo all’interno di una collina — intervenne frate Mainoa, tossendo. — Il Comune e la foresta palustre si trovano in un vasto catino roccioso, che però è più elevato rispetto alla prateria circostante. Immaginate un catino posto su una tavola: se lo si fora, l’acqua defluisce.
— Credete che tutto questo sia opera dei migerer? - domandò Marjorie.
Di nuovo il vecchio monaco fu squassato dalla tosse: — Credo proprio di sì. E sono convinto che lo abbiano fatto per ordine degli Hippae.
— Ma è possibile che abbiano scavato la roccia?
— Soltanto in parte. Qui lo strato roccioso è abbastanza friabile. Inoltre, io stesso ho visto i migerer scavare in questo tipo di roccia.
— Chissà quanto manca ancora? — chiese Marjorie, fra sé e sé.
Dopo qualche tempo, frate Mainoa rispose: — Mi sembra di scorgere qualcosa, là innanzi.
Si trattava di una camera, pulita, asciutta, fornita di vari mucchi di fieno. Con la torcia, Marjorie trovò brandelli di indumenti intimi, due stivali sinistri, una giacca da caccia molto lacera: — Janetta è stata qui — commentò.
— Non soltanto lei — sospirò frate Mainoa, indicando gli stivali. — Probabilmente anche Dimity bon Damfels.
Trilli, ringhi ed esortazioni colmarono la galleria.
— Primo vuole che proseguiamo — riferì Mainoa. — C’è pericolo, alle nostre spalle.
Il gruppetto riprese subito l’avanzata, spronato dalla paura. Nel guardare Don Chisciotte, che procedeva all’erta, Marjorie si chiese se non comprendesse le volpi molto meglio di lei stessa. Gli altri cavalli si comportavano allo stesso modo.
D’un tratto, uno strillo proveniente da molto lontano alle loro spalle echeggiò e rimbalzò sulle pareti: — Ee-yah! Ee-yah! Ee-yah! — Quindi, poco a poco, si spense.
Subito dopo, nelle menti delle persone, apparve una parola terrestre in lettere maiuscole nere su fondo arancione, sottolineata e accompagnata da un punto esclamativo: Presto!
— Cos’era? — sbottò Marjorie.
— Anche se non è molto interessato alla scrittura — spiegò frate Mainoa — Primo talvolta sceglie una parola scritta dalla mia mente e la trasmette.
In quell’istante fu proiettata un’immagine: tutti i componenti del gruppetto che fuggivano a cavallo.
Prima che l’immagine telepatica sbiadisse, Marjorie e gli altri montarono in sella e si allungarono sui cavalli, che proseguirono al trotto veloce nell’acqua e nelle tenebre, come se disponessero di un sistema di orientamento noto soltanto a loro. Sbrigativamente gettati in sella a Ragazza Irlandese, i due prigionieri dapprima protestarono, poi tacquero, appena Rillibee minacciò: — Zitti, o vi abbandoniamo agli Hippae!
Lontano, in alto, apparve una luce rosea, verso la quale saliva la galleria: una volpe si stagliò per un istante nel chiarore, prima di scomparire. Finalmente i cavalieri sbucarono su un’isoletta nella palude. Oltre il margine della foresta, la china di un colle saliva verso il tramonto rosso. Numerosi spettri uscirono dalla galleria e scomparvero sugli alberi.
Una parola rossa, imperativa, su fondo bianco: Andate!
Guadata la palude, i cavalli attraversarono l’ultimo tratto di foresta e si lanciarono al galoppo su per il lungo versante, mentre i cavalieri si volgevano a guardare, aspettando di veder scaturire l’orrore. Invece non videro né udirono alcunché. Probabilmente le volpi avevano procurato loro un po’ di vantaggio.
— Io vado a consegnare costoro alle autorità — disse Rillibee, imprimendo uno strattone alla fune che legava i due arrampicatori. Poi indicò la cima del colle: — Lassù, vicino all’Albergo dell’Astroporto, c’è l’ospedale, dove troverete Stella e vostro marito.
Senza rispondere, Marjorie spronò Don Chisciotte. Solo quando fu a metà della distanza che la separava dall’ospedale, si rese conto che si stava recando dal marito: Rigo, pensò. Nulla risuonò nel suo spirito: si trattava semplicemente di un conoscente. Normalmente, nel pensare a lui, avrebbe provato senso di colpa, angoscia, frustrazione; invece sentiva soltanto curiosità, o forse anche una lieve tristezza, chiedendosi che cosa avrebbe provato nel rivederlo dopo tutto quello che era accaduto.
I gruppetti di cittadini che affollavano l’Albergo dell’Astroporto si volsero ad osservare con curiosità i cavalieri. Alcuni gridarono, levando le braccia a indicare, quindi Sebastian Mechanic si fece largo tra la calca e corse loro incontro: — Lady Marjorie! Vostro figlio è qui, con vostra figlia e vostro marito!
Marjorie smontò e si terse il viso infangato: — Rillibee me lo ha detto. Devo vederli, ma prima ho bisogno di lavarmi.
In un attimo, mentre Sebastian e Asmir si occupavano dei cavalli, Persun Pollut fu accanto a Marjorie: — Sono lieto che siate qui, lady Westriding — disse. Lo sguardo tradiva i suoi sentimenti, ma ella non se ne accorse. — I cavalli saranno presto al sicuro nella stalla. Come posso esservi d’aiuto?
— Sapete dov’è Rigo?
— Là. — Persun indicò una porta aperta, oltre la quale parecchie persone stavano conversando animatamente. — La dottoressa Bergrem gli ha permesso di alzarsi alcune ore fa. Si sta discutendo della peste e degli Hippae. C’è il rischio che quei mostri riescano ad entrare nel Comune e a divorarci tutti.
— La peste! — Marjorie vide Rigo al centro del gruppo, seduto su una sedia, pallido, sparuto, ma abbastanza in forze. E stava discutendo della peste!
— Lo sanno tutti, lady. Vostro marito sta cercando di mettere un po’ d’ordine nella situazione.
— Devo avvertirli della galleria — dichiarò frate Mainoa, che aveva seguito Persun e Marjorie. — Bisogna far subito qualcosa.
— E Stella? — chiese Marjorie.
— Di là — rispose Persun, indicando un corridoio.
— Vi accompagno — disse Rillibee, mentre frate Mainoa si allontanava, sostenuto da padre James.
Per un corridoio, Persun guidò Marjorie e Rillibee fino a una camera che era quasi interamente occupata da una ronzante apparecchiatura, una panacea: — Eccola.
Stella giaceva sotto uno schermo trasparente, collegata alla panacea mediante parecchi fili e tubi.
— Siete la madre? — chiese Lees Bergrem, che era entrata subito dopo di loro.
— Sì. — Marjorie si volse. — Come sta Stella? Voglio dire, cosa…
Con un cenno, la dottoressa invitò Marjorie ad accomodarsi su una sedia: — Sono la dottoressa Lees Bergrem. Devo ammettere che non sono del tutto sicura sulla prognosi. La ragazza è qui da poco più di un giorno soltanto, e non, be’, non ha subito alcuna grave lesione fisica.
— E hanno abusato di lei?
— In un certo senso. Non so ancora esattamente come, ma hanno modificato in maniera perversa la trasmissione nervosa delle sensazioni sessuali ai centri cerebrali del piacere, talché la soddisfazione sessuale sembra derivare dall’obbedire agli ordini ricevuti. Credo di poter rimediare a tutto questo.
Marjorie tacque, in attesa.
— Forse non ricorderà tutto e non sarà più la stessa di prima. Forse riacquisterà una personalità simile a quella che aveva da bambina. — La dottoressa Bergrem scosse la testa: — Avete saputo di Janetta bon Maukerden e dell’altra ragazza che è stata ritrovata, Diamante bon Damfels? Sembra che le loro personalità siano state completamente cancellate e che rispondano a un unico tipo di stimolo: quello che vi ho appena descritto. — Di nuovo scosse la testa. — Vostra figlia è stata più fortunata: la sua personalità non è stata del tutto annullata. Anche se rimarrà segnata da questo trauma, potrà apprendere di nuovo e ricostruire la propria psiche.
Rillibee posò una mano sulla spalla di Marjorie, che non sapeva cosa dire: — Ho la sensazione che guarirà.
Forse dovrei piangere, pensò Marjorie. Ma in realtà provava collera nei confronti di Rigo, e persino di Stella, perché quello che era accaduto era conseguenza esclusiva della loro insensatezza. La responsabilità ricadeva anche sui bon, ma non sugli Hippae, quantunque fossero malvagi. Misericordia. Giustizia. Non sprecherei il mio tempo nella colpa.
La dottoressa Bergrem interruppe le riflessioni di Marjorie: — Mi sembra che anche voi non stiate molto bene. Sulla fronte avete un bernoccolo grosso come un uovo. Fate vedere. — Dopo alcuni brevi esami, concluse: — Commozione cerebrale. Be’, conviene che vi rimetta in sesto finché siete qui, prima che vi ributtiate a capofitto in tutta questa faccenda e crolliate. Vi farò anche portare quel che vi occorre affinché possiate lavarvi. Avete un cambio d’abiti?
Poco più tardi, lavata, abbigliata con una camicia avuta in prestito, e collegata a sua volta alla panacea mediante tubi e fili, Marjorie sedette accanto a Stella. Poco a poco, la visione che aveva avuto nella foresta palustre sbiadì, pur senza scomparirle dalla memoria, e con essa sbiadirono le parole di Dio.
Rientrata nella stanza, la dottoressa Bergrem sedette accanto a Marjorie e le raccontò degli studi che aveva condotto a Semling e a Pentimento, nonché dei giovani scienziati del Comune che stavano studiando un problema che interessava molto anche a lei.
— Ne sono al corrente — disse Marjorie. — Mi sono procurata i vostri libri.
La dottoressa arrossì: — In verità, li ho scritti per gli specialisti.
— Me ne sono subito resa conto — rispose Marjorie. — Tuttavia sono riuscita a comprenderne alcune parti. — Poi, su richiesta della dottoressa, raccontò quello che le era accaduto nella foresta palustre, omettendo la visione, ma parlando degli arrampicatori: — Oh, in passato li avrei perdonati — ammise. — Li avrei senza dubbio lasciati andare, per paura di essere condannata dalla società, o da Dio, se avessi agito altrimenti. Avrei pensato che, in questa vita, il dolore non fosse importante, e che qualche omicidio in più, qualche stupro in più, non avrebbero avuto importanza in paradiso. È proprio quello che ci hanno sempre insegnato, vero, dottoressa? Ma Dio non ha mai detto nulla di questo genere: ha detto semplicemente che dovremmo continuare a fare il nostro lavoro.
La dottoressa Bergrem si volse a scrutarla negli occhi, in modo strano.
Marjorie annuì: — Non fanno altro che dirci che il volere di Dio è espresso nei libri sacri. Per tutta la vita ho avuto in tasca la parola di Dio, ma qui ho capito che Lui.
— Shhh. Non ci pensate, adesso — mormorò Lees, battendole affettuosamente un braccio. Rimase con lei finché si fu rilassata, quindi se ne andò.
Nel silenzio, ascoltando il proprio respiro e il ronzare delle apparecchiature, Marjorie pensò ai libri della dottoressa Bergrem, e all’intelligenza, e a Stella, e rammentò vagamente il volto di Dio e padre Sandoval con ali da libellula, come se li avesse veduti nelle illustrazioni di un libro di favole, in un lontano passato.
Nella stanza affollata dove Rigo era seduto, frate Mainoa fece ricorso alle sue ultime riserve di energia per insistere, con stanca risolutezza, sull’urgenza di agire: — Bisogna chiudere subito la galleria per impedire agli Hippae di invadere il Comune. Ci hanno inseguiti, ma erano pochi perché possono passare soltanto uno alla volta. Tuttavia, bastano pochi Hippae per compiere un massacro.
— È vero — confermò il sindaco, Alverd Bee. — Appena ho saputo dell’esistenza della galleria, ho inviato due uomini a sorvegliarne l’uscita. Ebbene, mi hanno riferito di aver veduto alcuni mostri.
— Adesso sono pochi, ma arriveranno sempre più numerosi — intervenne Rigo. — Frate Mainoa ha ragione: bisogna distruggere la galleria.
— Vorrei aver qualche idea su come riuscirci. — Alverd si volse al suocero: — Tu cosa ne dici, Roald?
— Come diavolo vuoi che si possa fare? — ribatté Roald, irritato. — Farla saltare con l’esplosivo, o allagarla, o sbarrarla con una specie di cancello. — Poi si grattò la testa: — Hime Pollut se la cava meglio di me, in questo genere di faccende. Chiedi a lui.
Il sindaco andò a consultarsi con Hime e tornò in breve tempo: — Hime ritiene che il modo migliore sia far saltare la galleria, ma non sa cosa potremmo impiegare.
— Servitevi dell’esplosivo che usate solitamente nelle miniere o per ampliare i sotterranei — suggerì Rigo.
— Ci abbiamo pensato, ambasciatore, ma il problema è andare a collocare l’esplosivo senza essere divorati dagli Hippae che stanno all’uscita della galleria — rispose Alverd, mordendosi meditativamente le labbra.
— All’altra estremità.
— È la stessa cosa, ambasciatore. Ho già mandato un aeromobile a controllare: oltre la foresta ci sono un centinaio di mostri nella prateria, nonché una ventina a guardia dell’ingresso della galleria. Dato che non si può certo presumere che se ne vadano, non possiamo avvicinarci.
— Non si potrebbe far cadere l’esplosivo dall’alto?
— Abbiamo l’esplosivo, certo, ma non abbiamo… come li chiamate, pure? Ah, sì! I detonatori. E non abbiamo bombe. Abbiamo tecnici che sarebbero in grado di fabbricare bombe se avessero i materiali necessari, o forse persino di produrre tali materiali. Ma voi e il vostro amico sostenete che il tempo stringe. Se avessimo giorni o settimane a disposizione, potremmo addentrarci nella foresta, localizzare la galleria dall’alto, trivellarla e inondarla. Però abbiamo soltanto poche ore. Gli Hippae hanno già fatto i loro piani. Vostra moglie ha trovato la loro dichiarazione di guerra impressa nel suolo di un antro. Frate Mainoa ci ha mostrato l’ideogramma e ce ne ha spiegato il significato: è chiaro che hanno intenzione di venir qua a massacrarci tutti, proprio come fecero con gli Arbai. Sembra proprio che questo sia un gioco molto divertente, per gli Hippae.
— Dov’è lo sbocco della galleria? — chiese Rigo.
— Su un’isoletta nella foresta, qui alla base del colle — spiegò frate Mainoa. — A oriente dell’astroporto, la fascia della foresta è meno ampia che altrove: circa due o tre miglia terrestri. Perciò quei dannati migerer hanno scelto di scavare proprio in quel tratto. Senza dubbio hanno lavorato per anni: sono stati costretti a scendere in profondità per evitare che la galleria si allagasse. Chissà quanto tempo hanno impiegato!
— È possibile avvicinarsi allo sbocco della galleria? — insistette Rigo.
— Sarebbe possibilissimo, se non fosse sorvegliato dagli Hippae — ribadì Alverd, aggrondato, passandosi le dita fra i capelli e digrignando i denti in una smorfia. — Non abbiamo equipaggiamento né velivoli da combattimento. I motoveìcoli che usiamo in città sono troppo fragili per offrire protezione. Con gli aeromobili potremmo ricacciare nella galleria gli Hippae, che però tornerebbero subito fuori ad assalire gli artificieri.
— Se però attirassimo gli Hippae lontano dalla galleria, gli artificieri potrebbero andare a farne saltare l’uscita.
— E come? — chiese Alverd, scrutando Rigo con speranza e diffidenza al tempo stesso.
— Ancora non lo so. Ma ammettiamo di riuscire ad allontanare gli Hippae. In tal caso, ce la farebbero gli artificieri?
— Probabilmente sì.
— Ebbene, dite loro di prepararsi ad agire.
Alverd scosse la testa: — Mio Dio. Mi sembra un’impresa così disperata.
Rigo gli scoccò un’occhiata feroce: — Forse noi, qua su Grass, siamo gli ultimi superstiti dell’umanità intera, sindaco Bee. Supponiamo che sia proprio così: come preferite morire? Aspettando o combattendo?
Digrignando nuovamente i denti, Alverd si allontanò.
Allora Rigo si volse a Roald Few: — Se il mio piano funzionerà, alcuni Hippae potrebbero riuscire ad aggirarci e a raggiungere la città. È possibile armare la gente, convincerla a rifugiarsi nei sotterranei, e barricarne tutti gli accessi? In mancanza d’altro, si potrebbero usare i coltelli laser.
— Quanto alle armi, è senz’altro possibile, ambasciatore. Ma prima di essere costretti a chiuderci nei sotterranei, credo che potremo sfruttare la Mug come linea difensiva. Basteranno pochi uomini coraggiosi e bene armati per difendere il valico.
— Ottima idea! Evacuate il Quartiere Commerciale e Riva del Porto, trasferite l’intera popolazione oltre la barriera, e fate scendere tutti nei sotterranei, tranne coloro che sono in grado di combattere. Assicuratevi che tutte le astronavi che si trovano nel cosmodromo siano chiuse: se riusciremo a cavarcela, ne avremo bisogno. Dov’è situata la centrale energetica?
— Nei sotterranei. Gli Hippae dovranno sterminarci, prima di potervi accedere.
E molto probabilmente è proprio quello che succederà, pensò Rigo.
Dopo un breve silenzio, Roald se ne andò, lasciandolo alle sue premonizioni di morte e distruzione.
Appoggiato al davanzale della finestra, Rigo pensò: è facile parlar di attirare gli Hippae fuori dalla galleria. Ma escogitare un modo per riuscirci è molto più difficile. Intanto osservava la confusione rumorosa della città, vedendola sinistramente trasfigurata dai propri sanguinosi presagi.
— Ambasciatore.
— Sì, Sebastian?
— Un Frate Verde chiede di vedervi. Si tratta di un pezzo grosso: il gran capo in persona.
— Il suo nome?
— Jhamlees Zoe. L’ho avvertito che siete molto occupato, e gli ho spiegato anche perché, ma lui sostiene di avere assoluta necessità di parlarvi.
— Posso concedergli al massimo tre minuti.
— Bene. Lo conduco nella stanza accanto, che è vuota.
Poco dopo, in tono perentorio, il priore dichiarò: — Ambasciatore, esigo di essere informato su tutto quello che sapete a proposito della peste. — Sebbene la stanza fosse fredda, aveva la chioma impastata di sudore.
— Davvero? — chiese Rigo, scrutandolo. — E in base a quale autorità?
— Quella della Santità, che vi ha inviato in missione qua su Grass. Sono stato incaricato di tenermi in contatto con voi.
— A me, invece, non risulta nulla del genere. Al contrario, mi è stato raccomandato di mantenere assolutamente segreta la mia missione. — Così dicendo, Rigo notò una goccia di sudore che pendeva dalla punta del naso minuscolo del priore.
— Il nuovo Prelato, Cory Strange, mi ha informato della vostra missione mediante un messaggio riservato.
Senza alcuna allegria, Rigo sorrise: — Dunque è stato nominato un nuovo Prelato. Be’, mi rammarico che non sia entrato in carica prima, fratello Zoe, perché in tal caso non sarei rimasto coinvolto in questo dannato pasticcio. Ad ogni modo, non m’importa affatto quale autorità abbiate o non abbiate, perché se anche rifiutassi di dirvi quello che so, potreste apprenderlo in pochi minuti recandovi all’albergo e chiedendo a chicchessia. Su Grass, la peste non esiste, quindi si può dedurre che una cura è possibile, anche se non sappiamo in cosa consiste, né come trovarla. Non sappiamo se coloro che giungono qui vengono curati in qualche modo, ma se è così, ignoriamo se la cura sia duratura o temporanea. Sappiamo soltanto che la risposta si trova presumibilmente qui, su Grass.
Jhamlees si terse il viso con un fazzoletto che aveva tolto di tasca: — Vi sono molto grato di questo ragguaglio, ambasciatore. — Ciò detto, si volse e se ne andò quasi di corsa.
Per un attimo Rigo lo seguì con lo sguardo, poi si accorse di un documento che gli era caduto di tasca quando aveva preso il fazzoletto. Lo raccolse, poi lo spiegò, per vedere se fosse qualcosa di così importante da doverlo indurre a rincorrere il priore per restituirlo. Si trattava di una lettera scritta in una calligrafia molto nitida e precisa: «Mio caro vecchio amico Nods…» Dopo aver letto l’intera lettera con crescente incredulità, Rigo la rilesse: «… la peste esiste sulla Terra, come pure su qualunque altro mondo… non desideriamo che si diffondano informazioni sulla peste, né sulla cura… Alcuni Anziani sono convinti che la peste sia la Mano di Dio Onnipotente che ripulisce i mondi dai miscredenti…»
— Rigo.
Di scatto, Rigo si girò, scoprendo che la moglie gli si era avvicinata: — Marjorie! Mi hanno detto che eri da Stella! — Osservandola, notò che appariva molto pallida e stanca.
— Sono andata a trovarla, infatti, ma non è stata una vera visita, perché è rinchiusa in una enorme panacea. Rillibee è rimasto con lei.
— Come sta?
— La dottoressa Bergrem mi ha detto che probabilmente si riprenderà, ma mi ha avvertita che comunque non si tratterà di una completa guarigione. — Marjorie si stropicciò gli occhi. — La sua personalità è stata parzialmente distrutta.
Benché la moglie non lo avesse rimproverato in alcun modo, neppure col tono della voce, Rigo si sentì biasimato e si scostò: per il momento, non voleva parlare della figlia. Rammentò invece la missiva che aveva in mano: — Devi assolutamente leggere questa lettera. È caduta di tasca al priore generale del Monastero, che proprio poco fa è venuto ad interrogarmi a proposito della peste.
Dopo aver letto e riletto la missiva, Marjorie, pallidissima, scrutò il marito: — Ciò significa forse che la Santità manterrà segreta la cura, se noi la scopriremo?
— Mi sembra evidente. L’autore di questa lettera è il nuovo Prelato. Benché fosse un apostata, zio Carlos non sarebbe mai stato capace di commettere una simile infamia!
— Cosa possiamo fare?
— Per il momento, mi rammarico maledettamente di aver riferito quello che sappiamo a quel frate. Non so come agire!
Marjorie gli posò gentilmente una mano sulla spalla: — Una cosa alla volta, Rigo. Precipitare non serve a niente.
— Benissimo: una cosa alla volta. La minaccia più immediata è quella degli Hippae che stanno arrivando dalla galleria. Probabilmente finiremo con il doverli sterminare, quei maledetti mostri.
— No! — Marjorie intascò la lettera del Prelato, dopo averla accuratamente ripiegata. — No, non possiamo ucciderli tutti, e neppure ucciderne la maggior parte, perché si trasformano nelle volpi, che sono una razza intelligente e nobile. Anche gli Hippae sono intelligenti, a loro modo.
— Nonostante questo, dovremo ucciderne parecchi — obiettò Rigo, con l’impressione che Marjorie fosse cambiata. — In caso contrario, saranno loro a sterminare noi, come fecero con gli Arbai. Per salvarci, dobbiamo impedir loro di accedere al Comune.
— Sì, sarà necessario ucciderne alcuni — convenne Marjorie — però il minor numero possibile. Sono venuta a dirti, comunque, che ho saputo della tua tattica. Ebbene, dobbiamo usare i cavalli.
Dapprima, Rigo ebbe l’impulso di scoppiare a ridere, poi, quando fu al corrente del piano di Marjorie, desiderò abbandonarsi al pianto, protestò, ma, mentre lei lo scrutava con una risolutezza assolutamente insolita, non seppe proporre nulla di meglio. Invaso dalla disperazione, uscì dall’Albergo dell’Astroporto per occuparsi dei preparativi. Come era già stato chiarito durante la discussione fra lo stesso Rigo e Alverd, era necessario attirare gli Hippae lontano dalla galleria per poterne minare l’uscita. E giacché gli Hippae odiavano i cavalli, avrebbero usato i cavalli: — Almeno — mormorò Rigo fra sé e sé, cercando di ridere — non dovrò indossare quei ridicoli calzoni imbottiti e quei dannati stivali appuntiti!
Poco dopo l’alba, in un silenzio pressoché assoluto, poiché si erano già detti tutto quello che era necessario, e inoltre erano tutti stufi di parlare, coloro che avrebbero affrontato gli Hippae si radunarono nell’ampia stalla dov’erano alloggiati i cavalli. Avevano paura, ma erano anche risoluti. Rigo, pallido ma deciso, sellò El Dia Octavo; Marjorie scelse Don Chisciotte; Tony preferì Stella Azzurra; e Sylvan optò per Sua Maestà. Con rammarico, si era deciso che Ragazza Irlandese non fosse abbastanza veloce. Dunque restava soltanto Millefiori.
— Vorrei che ci fosse qualcuno anche per lei — disse Tony, osservando la bella giumenta.
— Ma c’è qualcuno, Tony — dichiarò Marjorie, calmissima. Quando padre Sandoval le aveva proposto di confessarsi e ricevere l’assoluzione, aveva rifiutato, sostenendo di non averne il tempo. In realtà, non desiderava confessare nulla: dubitava di aver qualcosa da confessare. In ogni caso non voleva, o non poteva, condividere le sue ultime esperienze, perché non le aveva ancora comprese.
— Chi? — chiese Tony, sorpreso.
— Io. — Pallidissima, stagliata sulla soglia nella luce mattutina, ella indossava una giacca da caccia tipica dei bon e un paio di calzoni imbottiti che erano stati frettolosamente modificati.
— Mamma! — sospirò Sylvan.
— Sono lieta di avere ancora un figlio che può chiamarmi mamma — rispose Rowena, con voce gelida. — Dimmi, Sylvan. Hai visto Dimity?
Incapace di rispondere, Sylvan per un momento chinò la testa: — Sì, l’ho vista — mormorò poi. — So in quali condizioni si trova, ma non servirà a niente se parteciperai a questa azione. E poi, non ti sei ancora completamente rimessa.
— Promisi a Marjorie che, se ne avesse avuto bisogno, le avrei dato tutto il mio aiuto. E adesso ne ha bisogno. Inoltre, chi altri potrebbe farlo? Alcune ore fa, Marjorie mi ha insegnato ad andare a cavallo. Ebbene, non è nulla in confronto a quello che ho fatto da ragazza, nonché per quasi tutta la mia vita da obermum, persino dopo la tua nascita, Sylvan. Credo proprio di avere esperienza sufficiente per compiere questa impresa. Hai visto Emmy? I medici dicono che col tempo guarirà, ma sembra che sia quasi nelle stesse condizioni di Dimity.
Impassibile, Sylvan osservò: — È stato papà.
— Non biasimo Stavenger. Perché accusare un defunto? Odio invece gli Hippae, che sono i veri responsabili di tutto questo, e lo sono sempre stati.
— Anche i bon e le volpi hanno una parte di responsabilità — obiettò Marjorie, con ardore. — Le volpi si sono volutamente astenute da qualsiasi azione, senza tentare in alcun modo di influenzare gli eventi. Quando tutto è andato nel peggiore dei modi, si sono limitati a discuterne filosoficamente. Poi, all’arrivo dell’umanità sul pianeta, hanno appreso concetti del tutto nuovi, come quello della colpa e quello della redenzione. Ne hanno discusso, e così si sono smarriti in dispute interminabili. Hanno incaricato frate Mainoa di scoprire se potesse esser loro concesso il perdono. Tuttora stanno dibattendo sul peccato originale e sulla colpa collettiva. Non hanno imparato che talvolta il pentimento non serve proprio a niente. — Così dicendo, strinse con tanta forza il sottopancia, che Don Chisciotte si lamentò.
— Non dire così, mamma — rispose Tony.
— Dannazione! Le volpi avrebbero ben potuto fare qualcosa! Sono creature enormi e possenti. Si sono evolute così per potersi difendere da predatori antichi e terribili, ormai estinti da tempo immemorabile. Adesso però non fanno più niente: meditano, discutono, e non decidono.
— Hanno pur preso una decisione, quando vi hanno aiutati — osservò Rigo.
— Bah! — ringhiò Marjorie. — Uno di loro mi ha aiutata, e per sua personale decisione. Non credo che da solo avrebbe potuto fare granché contro una dozzina di Hippae. Le altre volpi sono rimaste sedute sugli alberi a meditare su cosa avrebbero potuto fare se mai avessero deciso di agire. È stato un errore, da parte mia, impedire che quei due arrampicatori fossero uccisi: avrei dato il buon esempio, se avessi deciso diversamente. Le volpi sono fin troppo pronte a seguire il buon esempio, se non devono assumersi la responsabilità di quello che fanno. — Ciò detto, controllò per la decima volta il proprio equipaggiamento.
Seguendo le indicazioni di Rigo, il quale rammentava le armi e le armature di un’antichissima epoca terrestre, gli artigiani del Comune avevano costruito in una lega metallica, leggera ma molto resistente, sia le lance che le armature: ogni cavaliere era protetto da un petto munito di resta, mentre ogni cavallo aveva pettiera e fiancali. Ciascuna lancia, dotata di perfetto bilanciamento grazie all’impugnatura adeguatamente appesantita, era fornita di un grilletto che consentiva di accendere il grande coltello laser, del tipo usato per falciare le erbe, che era saldato in punta. A differenza che in un torneo antico, i cavalieri non avrebbero dovuto tener puntate le lance, anzi, muovendole come falci avrebbero inflitto le ferite più gravi dalla massima distanza. La resta avrebbe consentito a ciascuno di controllare meglio l’arma e avrebbe impedito che essa s’inclinasse, conficcandosi nel suolo. Oltre alla lancia, ogni cavaliere portava anche un coltello laser da tasca, come aveva suggerito Rigo, il quale aveva ben potuto constatarne l’efficacia.
Il piano proposto da Marjorie non comprendeva una vera e propria carica: i cavalieri avrebbero compiuto una rapida sortita per indurre gli Hippae ad allontanarsi dalla galleria; quindi, se fossero sopravvissuti, si sarebber lanciati in una lunga fuga per attirare i mostri all’inseguimento, affinché gli artificieri avessero il tempo di collocare le cariche esplosive.
Durante l’esercitazione a cavallo nell’uso della lancia, che era stata necessariamente breve, Rigo aveva raccomandato: — Rammentate che i cavalli sono più rapidi in piano, mentre gli Hippae lo sono maggiormente in salita, a causa della loro stessa corporatura, che li rende più simili ad enormi felini che ad equini. Correremo dunque in pianura, e poi affronteremo la salita della collina, ma gradualmente. Se arriveremo al cancello della Capitaneria, saremo salvi.
Nell’attraversare la piazza lastricata che separava la stalla dall’Albergo dell’Astroporto, ormai deserto, e aggirando l’ospedale verso la china che scendeva alla palude, i cavalieri studiarono il tragitto che avrebbero percorso, quando fossero stati inseguiti dagli Hippae, per arrivare al cancello, che pareva una meta irraggiungibile. A settentrione, si sarebbero ben presto trovati in trappola contro la Mug, dove, fra l’altro, gli artificieri attendevano l’occasione per volare all’uscita della galleria. Non restava dunque che andare a sud, aggirare per alcune miglia i pascoli fino all’estremità meridionale di Via Riva del Porto, e costeggiarla fino alla Via della Montagna di Grass, che conduceva al cancello della Capitaneria. Il terreno era ovunque in pendenza, erboso e incolto, cosparso di massi e di tane di animaletti simili a talpe, dove i cavalli avrebbero rischiato di inciampare.
Poiché i cavalieri procedevano contro sole, la palude in fondo al declivio era in ombra, oltre la frangia estrema della foresta. Di quando in quando si udivano gli ululati degli Hippae nascosti: nessuno sapeva che cosa stessero aspettando.
— Pronti? — chiese Rigo.
Silenzio.
Gettando occhiate a destra e a sinistra, Rigo vide che tutti annuivano, pronti, ma desiderosi di non turbare la quiete con le parole. Allora, con le ginocchia, incitò El Dia Octavo, scendendo la china ad un passo regolare.